Il menù nei ristoranti è proposta contrattuale. La mancata indicazione dell'uso di prodotti surgelati è frode commerciale.
SENTENZA
sul ricorso proposto da
T.M., nato a ..... il ......
avverso la sentenza del 31/01/2017 della Corte d'appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l'imputato gli avv.ti R. Lania e F. Moscatt che hanno concluso
chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 31 gennaio 2017, la Corte d'appello di Bologna ha
confermato la sentenza del Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di
Rimini con la quale T.M. era stato condannato, all'esito del giudizio
abbreviato, alla pena sospesa di C 400,00 di multa, per il reato di cui all'art. 56,
515 cod.pen. perché, quale legale rappresentante della società F.,
proprietaria dell'esercizio commerciale "Piadina Romagnola", deteneva per la
vendita esclusivamente pesce congelato e compiva atti idonei alla
somministrazione agli avventori dell'esercizio commerciale di ristorazione
prodotti ittici surgelati in luogo di quelli freschi indicati nel menù.
Fatto accertato in Rimini il 17/12/2009.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del
difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo con un unico ed
articolato motivo la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. b), c) ed e)
cod.proc.pen.
La Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l'ipotesi di
reato di tentativo di frode in commercio dalla mera esposizioni di immagini
ritraenti pietanze dalla quali non si potrebbe dedurre, in assenza di apposita
lista, se i prodotti fossero freschi o surgelati, non potendo dalla mera immagine
della pietanza ricavarne l'indicazione della natura dei prodotti impiegati nella sua
preparazione; neppure potrebbe configurare l'offerta in vendita" dalla mera
immagine della pietanza posto che non vi sarebbero tutti gli elementi (prezzo)
della offerta al pubblico disciplinata dal codice civile e l'immagine pubblicitaria
avrebbe come unico scopo quello di incentiva il consumo, ma non potrebbe
costituire un'offerta al pubblico. Conclusivamente, argomenta il ricorrente, che
l'immagine pubblicitaria di una pietanza in sé non avrebbe alcuna valenza se non
quella dimostrativa della presentazione del piatto perché è solo con l'inserimento
nella lista data agli avventori o posizionata sul tavolo che si manifesta intenzione
del ristoratore ad offrire quei prodotti. Da qui l'insussistenza del reato contestato
di frode in commercio.
Censura, poi, la carenza di motivazione sulla doglianza difensiva che
lamentava la mancata acquisizione dei menù posti sul tavolo, in ragione
dell'operata scelta del rito abbreviato e la illogicità della motivazione in relazione
alla inequivocità degli atti a commettere il reato contestato. La semplice
esposizione all'interno dei locali di immagini raffiguranti le pietanze sarebbe
diretta ad incentivare il consumo, ma non sarebbe condotta inequivoca a
dimostrazione le qualità delle pietanze raffigurare nei menù e a manifestare
l'intenzione del ristoratore a consegnare un prodotto diverso.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, che il ricorso sia rigettato.
4. Il ricorso è manifestamente infondato e va, pertanto, dichiarato
inammissibile.
Manifestamente infondata è la censura di violazione di legge e di vizio di
motivazione in relazione alla configurazione del delitto tentato di frode in
commercio.
Secondo l'indirizzo ormai consolidato di questa Corte di legittimità, il
tentativo del reato di cui all'art. 515 cod.pen. è configurato e si verifica quando
l'alienante compie atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare
all'acquirente una cosa per un'altra ovvero una cosa, per origine, qualità o
quantità diversa da quella pattuita o dichiarata.
Di conseguenza, come ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di
legittimità, costituisce il tentativo del delitto di frode in commercio anche il
semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande che determinati prodotti
sono congelati, giacché il ristoratore ha l'obbligo di dichiarare la qualità della
merce offerta ai consumatori.
Il contrasto interpretativo in ordine alla configurabilità dei tentativo di
frode in commercio, peraltro risalente nel tempo (cfr. per la tesi opposta Sez. 3,
n. 37569 del 25/09/2002, P.M. in proc. Silvestro, Rv 222556), risulta
definitivamente superato dalla giurisprudenza più recente, ma ormai consolidata,
che, a partire dalle Sezioni Unite di questa Corte ( S.U., n. 28, del 25 ottobre
2000, Morici, Rv 217295), hanno affermato il principio che se il prodotto viene
esposto sui banchi dell'esercizio o comunque offerto al pubblico, la condotta
posta in essere dall'esercente l'attività commerciale è idonea ad integrare il
tentativo perché dimostra l'intenzione di vendere proprio quel prodotto. La lista
delle vivande consegnata agli avventori o sistemata sui tavoli di un ristorante
equivaleai fini che qui interessano/ ad una proposta contrattuale nei confronti
dei potenziali clienti e manifesta l'intenzione del ristoratore di offrire i prodotti
indicati nella lista, dunque, "anche la mera disponibilità di alimenti surgelati, non
indicati come tali nel menu, nella cucina di un ristorante, configura il tentativo di
frode in commercio, indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione
con il singolo avventore" (Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017, P.G. in proc.
Acampora, Rv. 270836; Sez. 3, n. 899 del 20/11/2015 Bordonaro, Rv. 265811;
Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, Prete, Rv. 259149; Sez. 3, n. 44643 del
02/10/2013, Pellegrini e altri Rv. 257624; Sez. 3, n. 6885 del 18/11/2008,
Chen, Rv. 242736; Sez. 3, n. 24190 del 24/05/2005 Bala, Rv. 231946).
I giudici del merito hanno fatto corretta applicazione dello ius receptum e
hanno congruamente motivato la responsabilità penale del ricorrente e, sulla
scorta dell'accertamento fattuale insindacabile in questa sede, hanno ritenuto il
tentativo di frode in commercio in presenza di detenzione all'interno dell'esercizio
commerciale di gastronomia "La Piadina Romagnola" di alimenti surgelati (pesce)
destinati alla somministrazione, senza che nel menù fosse stata indicata tale
qualità in assenza, oltretutto, di alimenti freschi essendo congelata la totalità
delle provviste. Quanto poi alle modalità di rappresentazione dell'offerta dei
prodotti, la corte territoriale ha condivisibilmente, ritenuto che anche
l'esposizione di immagini del prodotto offerto, in luogo della sua descrizione nel
menù, è idonea a configurare la condotta di reato, stante la natura diretta a
incentivare la consumazione del prodotto. Anche l'immagine fotografica del
prodotto costituisce offerta al pubblico, sicchè la scelta del ristoratore di offrire
un alimento attraverso la raffigurazione fotografica dello stesso, in luogo di
quella descrittiva, non vale ad escludere la condotta di tentata frode in
commercio qualora non contenga l'indicazione de qua..
Quanto, infine, al profilo di censura sulla mancanza di sequestro dei menù
e, dunque, della prova dell'esistenza del menù, censura peraltro ripetitiva di
quella già devoluta e disattesa dal giudice dell'impugnazione, rileva il Collegio
che il ricorrente aveva scelto di essere giudicato con il giudizio abbreviato,
giudizio a prova contratta nel quale assumono valore probatorio tutti gli atti di
indagini compiuti, e che dalla sentenza del Giudice delle indagini preliminari del
Tribunale di Rimini risulta l'esistenza dei menù (cfr. pag.2), sicchè la doglianza,
che prospetta un travisamento del fatto, non è proponibile in questa sede.
5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 19/10/2017
03-02-2018 22:35
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