MALTRATTAMENTI - Elemento oggettivo del reato del reato di maltrattamenti
(Cp, articoli 133 e 572)
Il fatto che la persona offesa, non versi in una condizione di completo assoggettamento, ma abbia la forza di contrapporsi al proprio compagno nel corso dei litigi che segnano il loro rapporto non esclude l’elemento oggettivo del reato. Infatti, lo stato di inferiorità psicologica in cui precipita la persona offesa dal reato di maltrattamenti non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo annichilimento, ma è sufficiente che si concretizzi uno stato di avvilimento generale e di sopraffazione tale da impedire alla vittima di vivere con dovuta serenità la quotidianità domestica, in quanto la fattispecie tutela la normale tollerabilità della convivenza. Il fatto poi, che la persona offesa, a discapito delle innumerevoli angherie e umiliazioni subite negli anni, sia incapace di troncare il proprio rapporto con il marito, a discapito della separazione, è del tutto inconferente ai fini dell’integrazione della fattispecie.
Tribunale Bari, sezione I, sentenza 14 luglio 2025 n. 3671 – Giudice Rubino
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il Gip con Provv. depositato il 13 gennaio 2025, emetteva decreto di giudizio immediato nei confronti
di M.M. (sottoposto con ordinanza del 20.12.24 alla misura cautelare dell'allontanamento dalla casa
familiare e del divieto di avvicinamento alla persona offesa con applicazione della modalità di
controllo elettronico di cui all'art. 275 bis c.p.p., aggravata nella misura cautelare degli arresti
domiciliari con Provv. del 4 aprile 1925), disponendo la comparizione dell'imputato innanzi al
Tribunale di Bari, in composizione monocratica, per sentirlo rispondere del delitto compiutamente
descritto in rubrica.
All'udienza del 7.04.25, il Tribunale rilevata la mancata traduzione dell'imputato disponeva il
differimento del processo all'udienza del 14.04.25.
Alla detta udienza, accertata la regolare costituzione delle parti, l'imputato personalmente avanzava
istanza di definizione del processo nelle forme del rito abbreviato condizionato all'esame della
persona offesa; il Tribunale, all'esito della camera di consiglio, rigettava l'istanza proposta in quanto
meramente esplorativa e non necessaria ai fini della decisione disponendo procedersi oltre; indi,
veniva dichiarato aperto il dibattimento e ammessi i mezzi istruttori richiesti dalle parti con rinvio
del processo all'udienza del 12.05.25.
All'udienza del 12.05.25, le parti prestavano il consenso all'acquisizione al fascicolo del dibattimento
della querela sporta dalla persona offesa, F.M.C., in data 17.12.24, delle sommarie informazioni rese
in pari data con allegato fascicolo fotografico, dell'integrazione di querela del 12.02.25 con annessa
pen drive, con rinuncia del Pm all'escussione della stessa e riserva di domande a chiarimento della
difesa; all'esito dei chiarimenti resi dalla persona offesa, il Pm dichiarava di rinunciare al residuo
teste di lista, M.llo A.F. con revoca della relativa ordinanza ammissiva. Il Giudice disponeva rinviarsi
il processo all'udienza del 7.07.25 per l'esame dell'imputato e la discussione.
All'udienza del 7.07.25, l'imputato, presente, si sottoponeva all'esame; all'esito, il Tribunale,
dichiarata conclusa l'istruttoria dibattimentale, e utilizzabili gli atti contenuti nel fascicolo
dibattimento, invitava le parti alla discussione, rinviando per repliche all'udienza del 14.07.25.
All'odierna udienza, in assenza di repliche, il Tribunale si ritirava in camera di consiglio per la
deliberazione.
Le risultanze dell'istruttoria
L'editto accusatorio addebita all'odierno imputato il reato di maltrattamenti ai danni della propria
moglie convivente, F.M.C., nei termini compiutamente descritti in epigrafe.
Dall'istruttoria dibattimentale risulta provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'iniziale assunto
accusatorio, con la conseguenza che va dichiarata la penale responsabilità del M. per il reato a lui
ascritto in rubrica. Ciò posto, sulla base delle risultanze probatorie in atti, la vicenda può essere
ricostruita, nei termini di seguito riportati.
Nel contenuto della querela sporta in data 17.12.24. la persona offesa premetteva di aver iniziato una
relazione sentimentale con l'imputato nell'agosto 2017 (cui seguiva, dopo circa un mese, l'inizio della
convivenza) e di aver contratto matrimonio con lo stesso il 20.05.20. La donna sosteneva che il M.,
privo di occupazione dal luglio del 2024, soffre di dipendenza dall'alcool e, saltuariamente, è dedito
al consumo di sostanze stupefacenti.
Con una puntuale e cronologicamente ordinata ricostruzione del dipanarsi degli eventi, la F. riferiva
di essere stata vittima di un'aggressione fisica da parte dell'imputato in data 13.01.2020, a seguito
della quale sporgeva querela ("mi sbatteva con le sue mani la mia testa contro il volante della
macchina; era ubriaco nonché sicuramente aveva fatto uso di cocaina, sostanza che all'epoca
utilizzava"); il Tribunale di Bari Sezione GIP emetteva misura cautelare dell'allontanamento dalla
casa familiare e divieto di avvicinamento. Per questo procedimento, tuttavia, l'imputato non veniva
condannato dal Tribunale in quanto la persona offesa, persuasa dalle "promesse di cambiamento"
dell'uomo, si determinava a ritirare la querela sporta. Successivamente, dall'anno 2021 al 2023, la
coppia dimorava stabilmente in Germania per motivi di lavoro sino a quando la F., il 15.03.2024
rientrava definitivamente in Italia, a Mola di Bari (Ba).
Esponeva che, sin dall'inizio del matrimonio, il M. aveva esternato il proprio carattere violento,
aggressivo ed autoritario ai danni della donna. Tale situazione si protraeva anche durante il periodo
di convivenza in Germania, motivo per il quale, la persona offesa, presentava un'altra denuncia
contro l'imputato per maltrattamenti, in conseguenza della quale veniva, collocata in un gruppo di
protezione; in Germania otteneva il divorzio (per il quale risulta ancora in corso la trascrizione della
sentenza in Italia).
Ciononostante, dopo sei mesi dalla fine della relazione la coppia riprendeva la convivenza: "mi
aveva promesso che si sarebbe curato dai suoi problemi di dipendenza dall'alcool. Sono stata una
stupida e solo ora mi rendo conto di aver fatto un grandissimo errore".
Anche questa volta, le promesse dell'imputato venivano immancabilmente disattese.
Secondo quanto esposto dalla persona offesa, dal momento del rientro in Italia (il 15.03.24), il M.
riprendeva a perpetrare ai suoi danni quotidiane aggressioni fisiche e verbali.
La F. narrava di un episodio, occorso il 18.05.2024, quando al rientro a casa dopo una giornata di
lavoro, l'imputato "che come al solito era ubriaco", iniziava a gridare e ad offenderla con epiteti del
seguente tenore: "ZOCCOLA - PUTTANA - BUCCHINA A QUESTA ORA TI RITIRI? ("Cercavo di
dirgli che il ristorante La Lampara di Mola di Bari, dove all'epoca ero in prova, aveva chiuso la sera
sul tardi"), per poi spingerla così facendola urtare contro il mobile della cristalliera della camera da
pranzo.
Il giorno successivo, rientrata dal lavoro, la F. trovava il M. steso sul letto sul letto "completamente
ubriaco"; ai tentativi della donna di svegliarlo, l'imputato reagiva, "come sempre", alzandosi di scatto
e urlandole contro le parole: "ZOCCOLA-PUTTATA-TROIA". La donna si allontanava dalla camera
da letto e si recava in cucina ove il M. le si avvicinava riprendendo ad inveire nei suoi confronti e a
minacciarla di morte: "IO TI DEVO UCCIDERE".
Secondo quanto esposto dalla persona offesa, in detta circostanza, mentre si trovava intenta ad
affettare il pane con un coltello, "M. mi spinge ed io cerco di allontanarlo da me, spingendolo a mia
volta. In quel frangente, involontariamente e dimenticando che avevo il coltello in mano, lo colpivo
con il coltello sul suo braccio. Interveniva una pattuglia dei carabinieri e M. andava in ospedale per
le cure mediche M. ha rimesso la querela perché era perfettamente conscio di aver sbagliato sia in
quella occasione che durante tutta la nostra convivenza".
In un'altra occasione, risalente al luglio 2024, mentre si trovavano in casa, il M. iniziava a sbattere le
sedie, dare pugni sul tavolo e a minacciarla: "FARO DI TUTTO PER FARTI PERDERE LA CASA-
PERDERAI TUO NIPOTE - TI AMMAZZO CON LE MANI MIE-PUTTANA-ZOCCOLA TROIA".
In detta circostanza, la donna reagiva colpendolo con degli schiaffi ma l'uomo non si fermava
neanche davanti a questo e la schiaffeggiava a sua volta,
La querelante specificava che le aggressioni verbali si verificavano con cadenza quotidiane e ne
indentificava la causa nella possessività dell'imputato.
Riferiva, altresì, di alcuni episodi nel corso dei quali l'uomo l'avrebbe costretta contro la sua volontà
a consumare rapporti sessuali: "Più volte gli ho detto che la nostra relazione non poteva più andare
avanti in quel modo. Ho cercato di allontanarlo da casa ma non ci riesco. Dormiamo in camere
separate. Tre giorni fa, all'epoca dormivamo ancora nello stesso letto, M. durante la notte ha preso
la mia mano e l'ha posta sui suoi organi genitale, lo mi alzavo di scatto e lo sgridavo. Già in passato,
credo che fosse l'inverno del 2021 ed eravamo in Germania, dopo una discussione molto accesa, M.
mi strappava i vestiti di dosso, ed aveva un rapporto sessuale completo. Con il suo pene, dopo
avermi strappato le mutandine, mi penetrava nella vagina. A nulla valeva il fatto che gli dicessi: IO
NON VOGLIOSTAI FERMO-BASTA - VAI VIA - LASCIAMI. Durante l'atto piangevo ed urlavo di
lasciarmi stare, E' un animale e lo è sempre stato. Ripeto che le aggressioni verbali si verificano tutti
i giorni".
Aggiungeva che quella stessa mattina, per l'ennesima volta, il M. la contattava telefonicamente alle
ore 10:30 chiedendole dove si trovasse; al rientro della F. presso l'abitazione l'uomo iniziava a
sbattere le sue mani contro il tavolo della cucina inveendo nei sui confronti: "A CHI CAZZO VUOI
PRENDERE PER IL CULO", per poi sbattere le sedie e prendere un coltello dal tavolo della cucina
per sbatterlo nel tiretto con fare minaccioso.
Allarmata, la persona offesa decideva di rivolgersi alle forze dell'ordine. "Ritengo che quando è sotto
l'influenza di alcool o droga è una persona molto pericolosa. Con le mie forze non riesco ad
allontanarlo da casa. Vi consegno copia nr 4 fotografie che mi ritraggono dopo le sue aggressioni
fisiche e risalenti le prime due a fatti del 2021 mentre le ultime due ad aggressioni del 2024. I
maltrattamenti si sono verificati sempre nell'ambito delle mura domestiche e non erano presenti altre
persone.
Quanto riportato in querela veniva pedissequamente confermato dalla persona offesa nelle
sommarie informazioni rese ai militari in pari data.
Con successiva integrazione di querela del 12.02.25, la F. consegnava agli operanti una pennetta usb
(acquisita con il consenso delle parti all'udienza del 12.05.25) e dichiarava quanto di seguito
riportato: "Ad integrazione della mia denuncia querela contro M.M. presentata presso i Vostri Uffici
in data 17.12.2024, consegno una pen drive su cui sono riportate diverse foto relative alle lesioni da
me riportate a seguito delle aggressioni da parte di M. e verificatesi dall'anno 2023 al 2024. Vi è anche
la foto di un mio dente, rotto a seguito di schiaffi inferti da M. nel mese di Novembre 2024. Vi è anche
un file audio video in cui si notano le condizioni di M. che è visibilmente sotto l'influenza di sostanze
stupefacenti e alcool risalente al 04.04.2018 e verificatosi all'interno dell'abitazione di Via A. D. di M.
di B.. Nel file si sente anche la voce di sua madre, che ride. Vi sono anche dei files audio, da me
denominati con la tipologia degli insulti e violenze subite. I files li ho estrapolati dal mio telefono
cellulare ".
Escussa all'udienza 12.05.25, la persona offesa confermava quanto esposto nel contenuto della
querela e della successiva integrazione.
A domanda della difesa, come già esposto in querela, la donna ribadiva che, nel 2019/2020, aveva
reagito ad un'aggressione posta in essere dal M., il quale le stringeva la gola, brandendo un coltello
da cucina che in quel momento aveva in mano: "è stata una legittima difesa, il signor M. quel giorno
mi ha strangolato nella gola, io mi volevo liberare, stavo a cucinare e non mi ero nemmeno accorta
che avevo questo oggetto in mano, mi volevo solo liberare dalla strangolazione sua". Affermava che,
a seguito di tale episodio, l'imputato aveva sporto querela nei suoi confronti, successivamente
ritirata.
Nel corso della narrazione offerta, la donna affermava di aver tentato molte volte di allontanare il
M., pregandolo di andar via di casa, ma invano, poiché l'uomo si rifiutava categoricamente: "tante
volte l'ho cacciato anche fuori di casa, l'ho pregato di andarsene, ma lui non se ne andava, voleva
stare a tutti i costi li da me e non avevo altro modo di uscirmene in questa situazione".
Riferiva che l'imputato la minacciava gravemente, anche di morte ("minacciava fortemente, si, mi
minacciava che doveva farmi perdere i miei figli, mi minacciava che mi faceva perdere la mia villa,
mi minacciava pure che mi doveva distruggere a morte, e c'era quasi riuscito, mi ha minacciato di
perdere tutta la mia vita, lo faceva spesso e volentieri, e se non andava come diceva lui mi alzava le
mani a morire") e che, le aggressioni, tanto fisiche, quanto verbali, si perpetravano "quasi tutti i
giorni" ed erano motivate, per così dire, dalla gelosia dell'uomo perché la persona offesa "rientrava
tardi dal lavoro" (DICH. F. - lui diceva sempre "non è orario, ti devi ritirare, non è cosa", comunque
alla gastronomia si sa quando incominci a lavorare ma non si sa quando finisci a lavorare. GIUDICE-
quindi lui i arrabbiava perché lei tornava tardi dal lavoro. DICH. F.-si. GIUDICE-e che cosa le diceva,
cosa faceva? Se faceva qualcosa. DICH. F. sclerava, mi offendeva. GIUDICE cioè, la offendeva e cosa
le diceva? DICH. F."bocchinara dove sei stata, quanti cazzi in bocca hai preso?" Cioè... GIUDICE non
si preoccupi signora, sono queste le cose che deve dire, stia proprio tranquilla, siamo qui per questo.
DICH. F. "quanti cazzi in bocca hai perso? " Una volta sono andata a fare addirittura l'acinino insieme
a mia figlia, io sono una tipa che quando lavoro non guardo nessuno in faccia, faccio il mio lavoro e
basta, mia figlia poi ha detto "oggi è stata un po' dura, abbiamo lavorato con una squadra di Barletta",
lui incomincia a dire "quanti pompini hai fatto?").
In riferimento alle aggressioni fisiche, sosteneva che, dette violenze consistevano, spesso, nello
spingerla verso il muro, così determinando la perdita di equilibrio della F. che finiva per andare a
sbattere contro muri o mobili, nonché nello stringerle la gola; in un episodio, inoltre, l'imputato con
uno schiaffo le causava la perdita di cinque denti: "DICH. F.: mi spingeva sempre verso il muro, io
poi perdevo l'equilibrio, purtroppo c'ho una gamba che non è tanto bene stabile, che nel 2018 ho
fatto un incidente, perdo l'equilibrio ogni volta nel modo come lui mi spingeva e sbattevo spesse
volte contro il muro o contro il mobile. GIUDICE quindi la spingeva, in qualche altro modo la
colpiva? DICH. F. io poi con la mia forza mi alzavo e lui incominciava sempre a sclerare, a umiliarmi
da morire, che mi metteva anche le mani nella gola, che me la stringeva nel modo che io non
prendevo aria, lo sono una persona che... cioè cercavo di difendermi. GIUDICE signora questo è
successo in più di un'occasione, più volte le ha messo le mani alla gola? DICH. F.-si. GIUDICE-faceva
qualcos'altro a livello proprio fisico, di aggressioni fisiche? DICH. F.-le sue mani sono molto pesanti
anche. GIUDICE e che faceva con le mani signora, faceva qualcos'altro? DICH. F.- l'ho detto, ho peso
cinque denti anche per colpa sua. GIUDICE parliamo sempre dell'ultimo anno signora, del 2024, che
faceva con le mani, la colpiva, le dava uno schiaffo? È questo che ci deve dire. DICH, F. uno bello
schiaffo pesante che saltavano i denti, l'ultima volta è stato l'ultimo dente di dietro. GIUDICE
quando è successo l'episodio del dente? DICH. F. nel 2024 è successo che sono andata dal dentista,
che io ho lavorato anche per una cooperativa di pulizie, è stati su per già l'anno scorso, verso ottobre.
GIUDICE ottobre 2024? DICH. F.-si, perché li ho incominciato a lavorare nella cooperativa delle
pulizie. GIUDICE- però lei non è andata in ospedale. DICH. F. no, sono andata dal dentista".
Asseriva, tuttavia, di non essere mai ricorsa alle cure del Pronto Soccorso avendo sempre tentato di
risolvere i problemi senza ricorrere all'aiuto di persone esterne e, in ordine all'episodio dei "denti",
sosteneva di essersi recata soltanto dal dentista "no, non sono una persona vigliacca, ho cercato di
risolvere il problema nella famiglia, cioè senza mettere altre persone in mezzo".
Le continue vessazioni dell'uomo si estrinsecavano anche in umiliazioni quotidiane, abusando della
dedizione della donna il cui lavoro costituiva il sostentamento unico della coppia e costringendola
a subire attenzioni sessuali non desiderate.
La F. riferiva, altresì, che anche dopo l'applicazione nei confronti dell'imputato della misura
cautelare del divieto di avvicinamento, questi, in numerose occasioni, aveva continuato a seguirla
("GIUDICE quello è stato l'unico episodio signora? Da quando l'imputato è andato via da casa, dal
dicembre 2024, poi a parte l'episodio, c'è stato un episodio per il quale poi c'è stato un aggravamento
della misura nei confronti dell'imputato. DICH. F.-si, ci siamo incrociati che avevo l'appuntamento
con l'avvocatessa G.... GIUDICE - però dico è stata solo quella volta? DICH. F. non è stato solo quella
volta, spesse volte sono passato al lungomare, perché c'è un'amica mia che abita al lungomare, io
sono passata tranquillamente con la macchina, senza pensare a niente insieme all'amica mia, che la
stavo a portare a casa, lui c'ha seguito fino alla piazza del pesce, cioè è stato lui a seguirci sempre
dietro. AVV. RUSSO con cosa l'ha seguita il signor M.? DICH. F.-guarda che da li a li non sono manco
due secondi che arriva. AVV. RUSSO no, lei stava viaggiando con la macchina o a piedi? DICH. F.
no, con la macchina, io stavo in macchina. AVV. RUSSO-e come faceva il signor M. a seguirla, con
quale mezzo, a piedi oppure con un'auto? DICH. F. come so c'ha un monopattino").
Narrava, inoltre, di uno specifico episodio, verificatosi il 28.03.25, nel corso del quale, il M., scorta la
persona offesa, anziché allontanarsi, come imposto dalla misura alla quale era sottoposto, le si
avvicinava "arrabbiato" con un ombrello in mano: "DICH. F.-allora, io sono scesa dalla macchina
tranquillamente, era un orario che D.M. a quell'ora è chiuso, siccome che non ho trovato il
parcheggio vicino allo studio di T.G. ho detto sono costretta a parcheggiare al lungomare, che si
trovava tra D.M. e Bar Primavera, io ho parcheggiato più a Bar Primavera perché sta di fronte alla
stradina per accorciare per andare da lei. Non avevo pensato che stava lui là, cioè io sono scesa
tranquillamente dalla macchina e stavo andando nel percorso per andare all'avvocatessa mia, lui mi
vede dal D.M., anzi che fermarsi là mi vede arrabbiato, con l'ombrellone in mano e ci siamo
incrociati, la mia fortuna è stata che il padre aveva aspettato nella macchina, se non stava il padre
non so che cosa doveva succedere quella sera".
Anche l'imputato, all'udienza del 7.07.25, si sottoponeva ad esame dibattimentale nel corso del quale
negava integralmente gli addebiti in contestazione.
Ammetteva, tuttavia, di aver offeso la F. nel corso dei frequenti litigi con parole quali "troia, zoccola,
puttana, bucchina"; sosteneva, dapprima, di averla colpita una sola volta, nel 2021, con uno schiaffo
che le causava la perdita di due denti (quale reazione ad un morso della donna), per poi ammettere,
di averla colpita con "qualche schiaffo" nel 2024 (sempre, asseritamente, in risposta alle aggressioni
della donna).
Confermava l'abuso di alcol e sosteneva che, nonostante i litigi era la F. a chiedergli di restare
specificando di non aver posto fine alla relazione nel timore che la donna potesse compiere atti
autolesionistici; in merito, sosteneva che la persona offesa aveva provato per tre volte a farsi del
male.
Nel corso della medesima udienza, la difesa produceva verbale di sommarie informazioni rese da
V.N. in data 19.01.20; la donna, figlia della persona offesa, riferiva ai militari che, all'epoca delle dette
dichiarazioni, il M. aggrediva frequentemente la F. tanto verbalmente, con epiteti quali "PUTTANA,
TROIA, APRI GLI OCCHI", quanto fisicamente, colpendola con schiaffi, pugni e calci.
Sosteneva di essere intervenuta, in più occasioni, unitamente al proprio convivente, per "dividere i
due" e sosteneva che, in una circostanza la propria madre si era inferta dei tagli sul braccio quale
gesto autolesionistico, preda di un F. turbamento legato ai contrasti con il M.; aggiungeva, che anche
in passato, precisamente quando vivevano in Germania (fino al 2013), la donna aveva compiuto atti
di autolesionismo.
La difesa depositava, altresì, verbale di sommarie informazioni rese dalla F. il 19.01.20 in cui la donna
ammetteva di essersi procurata da sola dei tagli con un coltello da cucina dopo un acceso litigio con
il proprio marito e affermava di aver sofferto di depressione e di essersi rivolta in passato ad uno
psicologo, mentre si trovava in Germania.
La valutazione nel merito
Così compendiati gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, come noto, il reato di maltrattamenti,
integra una figura delittuosa necessariamente abituale, che si caratterizza per la sussistenza di una
serie di fatti, per lo più commissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non
punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.), ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse
o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro
reiterazione nel tempo; detto reato si perfeziona, dunque, allorché l'agente realizzi un minimo di tali
condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità.
Come condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza della Corte Suprema, dunque, ai fini
dell'integrazione del reato abituale di maltrattamenti in famiglia, è richiesto il compimento di atti
che non siano sporadici e che costituiscano manifestazione di un atteggiamento di contingente
aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della
vittima (Cass. Pen., Sez. VI, n. 6126 del 09/10/2018).
Sul versante soggettivo, costituisce un assunto consolidato quello secondo cui l'art. 572 c.p. non
implichi l'intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, a una serie di sofferenze
fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria, sicché,
è sufficiente la presenza del dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre
la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza a nulla
rilevando i motivi dell'azione (cfr. ex multis, Cass. Pen., sez. VI, n. 15680 del 28/03/2012).
Di talché, ai fini della configurabilità di tale fattispecie è, quindi, sufficiente che i vari episodi siano
legati tra loro dal dolo unitario della condotta oppressiva e prevaricatrice del colpevole, il quale è
consapevole di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale,
instaurando una condizione di vessazione che avvilisce la sua personalità, senza che assuma alcuna
rilevanza, a differenza di quanto avviene nel reato continuato, la sussistenza di uno specifico
programma criminoso verso il quale siano finalizzate le ripetute condotte delittuose.
In ordine al valore probatorio da ascrivere alle dichiarazioni della persona offesa, valga richiamare
il granitico orientamento della Corte Suprema secondo cui le dichiarazioni della persona offesa
possono, anche da sole, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale
dell'imputato, senza doversi applicare le regole previste dall'art. 192 c. 3 e 4 c.p.p. - ossia senza
doversi ricercare altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità -, ma, a tale scopo, è
necessaria una precisa verifica positiva della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità
intrinseca del suo racconto.
In altri termini, la qualità di persona offesa non è di per sé incompatibile con la genuinità della
testimonianza (o delle sommarie informazioni), atteso che le cause di incompatibilità tipizzate ex
lege sono limitate a quelle sole ipotesi tassative in cui la fonte di prova sia portatrice di un rilevante
interesse in relazione all'oggetto e all'esito del procedimento, al punto tale da non poter rivestire
quella posizione di terzietà che giustifica la presunzione di fides propria del testimone.
Detta presunzione non viene meno per il sol fatto di essere rimasti vittime di un reato e, per l'effetto,
di essere interessati alla punizione del suo autore, dovendosi, altrimenti, sempre escludere
l'affidabilità e l'attendibilità della persona offesa. Tuttavia, le parole della vittima del reato vanno
sottoposte con particolare prudenza alle regole generali di valutazione della testimonianza, la quale
va condotta, sotto il profilo soggettivo, apprezzando le qualità personali, morali, intellettive e
sensitive del dichiarante, nonché, i suoi rapporti con l'autore del fatto contestato, sotto il profilo
oggettivo verificando l'analiticità, l'intima coerenza e la reiterazione costante ed uniforme delle sue
affermazioni, e, comunque, partendo dal presupposto che il dichiarante riferisce fatti obiettivamente
conformi a verità o da lui ragionevolmente ritenuti tali fino a prova contraria, ovvero, finché non
emergano chiari e specifici elementi positivi da cui possa, in maniera plausibile, inferirsi l'esistenza
del mendacio, oppure, un vizio di percezione o di ricordo del teste.
Venendo al caso di specie, non si ravvisano ragioni per dubitare della credibilità soggettiva ed
oggettiva della vittima, le cui dichiarazioni appaino logiche, lucidamente espresse, immuni da vizi
contraddizioni di sorta, e non essendo emersi dall'istruttoria elementi specifici da cui poter inferire
l'esistenza di una volontà calunniosa nei confronti dell'imputato.
Né elementi di segno avverso possono essere tratti dalla documentazione depositata dalla difesa
all'udienza del 7.07.25, costituita dalle sommarie informazioni rese dalla F. in data 19.01.20, nonché
da quelle rese in pari data dalla figlia della donna, V.N..
A riguardo, preme osservare che trattasi, in entrambi i casi, di dichiarazioni riferite ad accadimenti
che esulano dal perimetro del capo d'imputazione, né appaiono idonee a minare l'attendibilità della
persona offesa la quale, con una narrazione puntuale, ha esposto le umiliazioni, le minacce, le offese
verbali e fisiche (comprensive di spintoni, strette alla gola, in un'occasione anche uno schiaffo che le
faceva saltare i denti) subite con cadenza quasi giornaliera ancorché non refertate, come spesso
accade in questi casi perché "le questioni si risolvono in famiglia".
Peraltro, in ogni caso, anche le dichiarazioni rese dalla V., ove prese in considerazione, confermano
la natura violenta dell'imputato conferendo maggior forza alle asserzioni della persona offesa.
E' altresì innegabile, che le condotte del M. si collochino nel quadro di un rapporto affettivo
connotato sin dal principio da "turbolenze", ossia discussioni e litigi nel corso dei quali
verosimilmente la vittima non si limitava ad assumere atteggiamenti meramente passivi.
Tuttavia, il fatto che la persona offesa, non versasse in una condizione di completo assoggettamento,
ma avesse la forza di contrapporsi al proprio compagno nel corso dei litigi che segnavano il loro
rapporto non esclude l'elemento oggettivo del reato. Infatti, la Suprema Corte ha recentemente
chiarito che lo stato di inferiorità psicologica in cui precipita la persona offesa dal reato di
maltrattamenti non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo annichilimento, ma
è sufficiente che si concretizzi uno stato di avvilimento generale e di sopraffazione tale da impedire
alla vittima di vivere con dovuta serenità la quotidianità domestica, in quanto la fattispecie tutela la
normale tollerabilità della convivenza (Cass., Sez. VI, 17359/2021).
Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte vessatorie e
violente siano poste in essere dai familiari in danno reciproco l'uno degli altri, posto che la natura
del reato ex articolo 572 del c.p. risiede non già nella sola persistenza, nel tempo, di comportamenti
quali percosse, minacce, ingiurie lesioni, privazioni imposte a un familiare, ma anche in semplici atti
di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima che, reiterate e sistematiche, si risolvano in vere e
proprie sofferenze morali, in un regime di vita mortificante ed insostenibile.
Che tale stato di avvilimento generale e di sopraffazione sussistesse nel caso di specie è emerso
chiaramente dalle dichiarazioni della persona offesa.
Peraltro, non appare minimamente inficiare l'integrazione della fattispecie criminosa de qua, la
circostanza che le condotte maltrattanti non si siano svolte in presenza di testimoni e che la persona
offesa non si sia rivolta alle cure di un Pronto Soccorso; la stessa, difatti, ha affermato che, come
spesso si verifica in questi casi, era convinta che le questioni private dovessero risolversi in
"famiglia".
Inoltre, l'imputato ha ammesso tanto le pesanti offese rivolte alla donna, quanto, sebbene con
evidente reticenza, di averle inferto (sempre nel periodo oggetto di contestazione), "qualche
schiaffo"; ha ammesso, inoltre, in detto periodo, di aver abusato di sostanze alcoliche (come
sostenuto dalla F.).
Il fatto poi, che la persona offesa, a discapito delle innumerevoli angherie ed umiliazioni subite negli
anni, fosse, secondo quanto riferito dall'imputato, incapace di troncare il proprio rapporto con il
marito, a discapito della separazione, è del tutto inconferente ai fini dell'integrazione della
fattispecie.
Ebbene, nel caso in esame, appare evidente, a parere di questo Tribunale, alla luce dell'intero
compendio probatorio in atti, che le condotte poste in essere dall'imputato integrino tutti gli elementi
costitutivi della fattispecie in contestazione, tanto sul piano oggettivo, quanto su quello soggettivo.
Infatti, è emerso come le condotte oppressive dell'imputato nei confronti della compagna fossero
ispirate da una volontà unitaria di controllo e di sottomissione della stessa attraverso la sua
sistematica svalutazione. Sotto questo profilo appaiono particolarmente significativi, la frequenza e
l'intensità delle condotte maltrattanti erano tali che egli non poteva non essere consapevole delle
conseguenze che avrebbero avuto sulla persona offesa, con la quale, peraltro, conviveva. Perciò, deve
essere ritenuto soddisfatto anche questo requisito, così come definito da Cass., Sez. VI, 30432/2015,
secondo cui: "In tema di maltrattamenti in famiglia, i Giudici devono accertare la sussistenza del
dolo unitario, il quale si concretizza nella volontà e nella consapevolezza di porre in essere un
compattamento oppressivo e prevaricatorio reiterato nel tempo"
Le determinazioni finali
Acclarata la responsabilità dell'imputato in ordine alla fattispecie in contestazione, non può trovare
accoglimento la richiesta della difesa di applicazione della previsione di cui all'art. 438, ultimo
comma, c.p.p. in quanto, la maggior parte delle prove raccolte nel corso dell'istruttoria
dibattimentale è stata acquisita grazie al consenso prestato dalle parti, sicché non si ritengono
sussistere i presupposti di cui all'invocata previsione normativa.
Si rileva, ad ogni modo, che la leale condotta processuale dell'imputato - la cui difesa tecnica ha
prestato un'ampia collaborazione processuale, fornendo il consenso all'acquisizione di numerosi atti
d'indagine − induce il Tribunale a ritenere il prevenuto meritevole della concessione delle
circostanze attenuanti generiche.
Si ritiene, pertanto, in applicazione dei criteri orientativi di cui all'art. 133 c.p., nel concorso di
circostanze attenuanti generiche, pena equa, la condanna ad anni due e mesi due di reclusione (p.b.,
anni tre di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p., ad anni due e mesi due di reclusione), oltre alla
refusione delle spese del presente procedimento.
L'entità della pena irrogata non consente l'applicazione del beneficio della sospensione condizionale
della pena in favore dell'imputato nei cui confronti, allo stato, non è in ogni caso formulabile un
giudizio di prognosi favorevole circa la futura astensione dalla commissione di reati, alla luce della
personalità del prevenuto e della pervicacia dello stesso come emersa dall'istruttoria dibattimentale.
Il deposito della motivazione è contestuale.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara M.M. colpevole del reato ascritto in rubrica, e in concorso di
circostanze attenuanti generiche, lo condanna, per l'effetto, alla pena finale di anni DUE e mesi DUE
di reclusione, con condanna al pagamento delle spese processuali.
Deposito contestuale della motivazione.
Conclusione
Così deciso in Bari, il 14 luglio 2025.
12-09-2025 14:57
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