Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Revoca della pena accessoria per riduzione della condanna sotto i tre anni.
La Corte di cassazione (sentenza 34776 del 2025) stabilisce che il giudice dell’esecuzione può revocare la pena accessoria, come l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, quando quella principale, ridotta di un sesto, scende sotto i tre anni di reclusione
Revoca della pena accessoria per riduzione della condanna sotto i tre anni. La Corte di cassazione (sentenza 34776 del 2025) stabilisce che il giudice dell’esecuzione può revocare la pena accessoria, come l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, quando quella principale, ridotta di un sesto, scende sotto i tre anni di reclusione
La Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, con sentenza 34776 del 2025, stabilisce un nuovo principio interpretativo, basato su una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 442, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Il principio affermato è che il giudice dell’esecuzione, in forza dei poteri riconosciutigli dall’art. 676, commi 1 e 3-bis, cod. proc. pen., può procedere alla revoca della pena accessoria (in questo caso l’interdizione temporanea dai pubblici uffici) in base proprio all’articolo 442, comma 2-bis che stabilisce un meccanismo premiale per effetto del quale la pena viene ridotta di un sesto nell’ipotesi in cui il condannato in esito a un giudizio abbreviato non proponga impugnazione contro la sentenza. Riduzione espressamente indicata come ulteriore rispetto a quella della metà o di un terzo prevista dal comma 2.

La decisione fa riferimento alla sentenza n. 208 del 2024 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del codice di procedura penale, fornendo una base per l’interpretazione adottata dalla Corte di Cassazione. Nello specifico la sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 442, comma 2-bis nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il giudice dell’esecuzione di concedere la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. E l’interpretazione costituzionalmente orientata, in conformità con questa sentenza, richiama e si basa sui principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost. ), evidenziando che la misura finale della pena, determinata dopo la riduzione, deve costituire il presupposto e il parametro per la valutazione delle condizioni relative alla revoca delle pene accessorie. La decisione della Corte ha il fine di garantire quindi un trattamento equo per i condannati che rinunciano all’impugnazione, incentivando soluzioni processuali deflattive.

Dalla vicenda al principio

Il ricorrente, a seguito di un giudizio abbreviato, era stato condannato a una pena di tre anni di reclusione, convertita in ore di lavori di pubblica utilità, con l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Successivamente, rinunciando all’appello, la pena principale era stata ridotta di un sesto, scendendo sotto i tre anni di reclusione. In seguito ha richiesto la revoca della pena accessoria, sostenendo che la nuova pena principale non giustificava più la sua applicazione. Tuttavia, il giudice dell’esecuzione aveva respinto la richiesta, ritenendo che la riduzione della pena non influenzasse gli effetti penali accessori.La Corte di cassazione, richiamando i principi costituzionali e la sentenza n. 208/2024 della Corte Costituzionale, ha annullato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, stabilendo che la misura finale della pena, determinata “a valle” delle riduzioni previste dal legislatore, deve costituire il presupposto per la valutazione delle condizioni di applicazione o revoca delle pene accessorie. Garantendo così un trattamento equo e incentivando la rinuncia all’impugnazione e favorendo anche, secondo la Corte, la deflazione del contenzioso penale: obiettivo del sistema giudiziario che mira a ridurre il numero di procedimenti penali, accelerando la risoluzione dei casi e diminuendo il carico di lavoro dei tribunali, attraverso strumenti e meccanismi che incentivano soluzioni alternative al dibattimento, come il ricorso a riti abbreviati, patteggiamenti o rinunce alle impugnazioni. Questi strumenti permettono di semplificare e velocizzare i procedimenti, garantendo comunque il rispetto dei diritti delle parti coinvolte e migliorando l’efficienza del sistema giudiziario.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza