DIRITTO PENALE - Minacce alla compagna
(Cp, articoli 61 n. 11 quinquies, 81 cpv, 163, 165 e 612)
La minaccia, quali che ne siano le modalità, deve avere una effettiva potenzialità intimidatrice, cioè deve apparire capace, secondo un giudizio ex ante tanto più rigoroso nei casi di minaccia larvata, implicita o indeterminata, di intimidire, di creare un senso di paura, da valutarsi caso per caso con riferimento alle circostanze della fattispecie concreta (male prospettato, sua credibilità ed eseguibilità, a scadenza breve o differita, forme, tempo e luogo e ogni modalità della condotta minatoria, capacità a delinquere dell’agente e altro), alle particolari condizioni psicologiche del soggetto passivo (impressionabilità, età, capacità di resistenza) e alla conoscenza di esse da parte del soggetto attivo al momento della condotta. La minaccia, per essere idonea, deve essere seria, cioè ragionevolmente credibile come verosimile da parte della vittima, dovendo il male prospettato apparire verosimilmente realizzabile, anche se è irrilevante che possa o meno verificarsi obiettivamente o che la vittima sia stata o meno intimorita. Nel caso in esame, l’imputato aveva intimorito e offeso la compagna con frasi del tenore “non me ne frega niente di te né di quella merda che hai dentro ... spero che abortisci e che muori anche tu ... puttana” “ti faccio fare la fine della ragazza di Milano ... ti faccio abortire a suon di pugni in pancia”.
Tribunale Udine, sentenza 28 giugno 2025 n. 676 - Giudice Qualizza
TRIBUNALE DI UDINE
SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO
Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del dott. Mauro Qualizza Giudice
Monocratico,
all'udienza pubblica di data 12/05/2025 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
A.N.
nato il (...) a P.
residente in via N. n. 19 - G. del F.
domicilio eletto c/o difensore
- libero, già presente -
Difeso dall'avv. di fiducia …del foro di Udine
IMPUTATO
In ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv, 612 c. 1 e 2, 61 n. 11 quinquies c.p., perché, con più atti in
esecuzione del medesimo disegno criminoso, minacciava alla compagna convivente M.J., in stato di
gravidanza, un danno ingiusto ed in particolare:
In data 31.05.2023, la intimoriva e la offendeva con frasi del tenore "non me ne frega niente di te né
di quella merda che hai dentro ... spero che abortisci e che muori anche tu ... puttana" nonché che
non avrebbe riconosciuto il figlio e non le avrebbe dato un centesimo;
In data 03.06.2023, allorquando la M. gli aveva intimato di trovare un'altra sistemazione, la
minacciava con frasi del tenore "fti faccio fare la fine della ragazza di Milano ... ti faccio abortire a
suon di pugni in pancia";
Sempre in data 03.06.2023, dopo l'intervento delle Forze dell'Ordine presso la loro abitazione, la
minacciava e la intimoriva con frasi del tenore "spero che muori durante il parto ... tanto qualcosa ti
succederà perché quello che dico io si avvera".
Reato aggravato dall'essere stato commesso in danno di donna in stato di gravidanza nonché
dall'essere le minacce gravi.
In Udine, nelle date suindicate.
Con l'intervento del P.M. dott.ssa Gaspardis (con delega)
della costituita parte civile M.J. assistita e difesa dall'avvocato …del difensore …
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Tratto a giudizio per rispondere dell'imputazione in epigrafe circostanziata con decreto di citazione
di data 6 febbraio 2024, N.A., in atti generalizzato, compariva ritualmente al processo.
All'udienza predibattimentale del 30 ottobre 2024, dopo un differimento accordato su istanza
difensiva (22.5.2024), si costituiva parte civile J.M. ed era fissata la data della prosecuzione del
giudizio. Il 9 dicembre 2024 erano ammesse le prove. Il 20 gennaio 2025 si assumevano le deposizioni
della persona offesa, del vicebrigadiere A.D., in servizio presso il Nucleo Operativo e Radiomobile
dei Carabinieri di Udine, del maresciallo ordinano G.G., in forza alla stazione CC di C., di M. A.,
comune conoscente e vicino di casa dell'imputato e della parte lesa, di T.P. e M.D., rispettivamente
madre e amica della denunziante, di L.P., operatrice del centro antiviolenza Z.T., e delle assistenti
sociali F.N. e G.D.R.. Il 17 febbraio 2025 erano sentite la psicologa S.L. e M.L., madre dell'imputato.
Il 12 maggio 2025, dopo un differimento dovuto alla sua mancata comparizione, era la volta
dell'appuntato scelto U.C., in servizio presso il Nucleo Operativo e Radiomobile dei Carabinieri di
Udine. Di seguito, il pubblico ministero e i difensori formulavano e illustravano le rispettive
conclusioni e il tribunale, dichiarato chiuso il dibattimento, si ritirava in camera di consiglio e
pronunziava la sua decisione come da dispositivo integralmente riprodotto in calce.
Le prove acquisite al processo confermano la penale responsabilità dell'imputato limitatamente al
reato contestato al secondo alinea di rubrica, previa esclusione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11
quinquies c.p.
La vicenda in disamina attiene alla convivenza more uxorio tra J.M. e N.A., iniziata attorno al
novembre 2022. I rapporti si deteriorano dopo pochi mesi, quando la denunziante era già in attesa
d'un figlio che sarebbe poi nato da quella relazione. Il 31 maggio 2023, in particolare, scoppiò una
lite per un motivo assolutamente banale: N.A.. al rientro dal lavoro, mangiò degli affettati che la
compagna aveva acquistato esclusivamente per sé e, alla richiesta di spiegazioni, reagì con la frase
non me ne frega niente di te né di quella merda che hai dentro. J.M. si sentì mortificata da quelle
parole e intimò al compagno d'andarsene immediatamente di casa, di prendersi le sue cose e di
trovarsi un'altra sistemazione. Egli replicò d'aver bisogno d'un po' di tempo per organizzarsi e
reperire un alloggio, tant'è che la denunziante continuò a ospitarlo nella propria abitazione anche
nei giorni successivi, pur ignorandolo completamente. La mattina del 3 giugno 2023, tuttavia, la
donna rincasò dopo essere uscita con alcune amiche e domandò all'imputato la data del suo
definitivo allontanamento. N.A. affermò che non aveva alcuna intenzione d'andarsene e minacciò
gravemente l'ex compagna, dicendole che ci avrebbe fatto fare la fine della ragazza di Milano a tutti
e due, che mi avrebbe fatto abortire a suon di pugni in pancia, che fanno bene ad ammazzarci. J.M.,
sentite quelle frasi, subito attivò il sistema di registrazione del proprio cellulare e le rimproverò
all'imputato, il quale, senza alcuna smentita, replicò con l'espressione è normale e, alle ulteriore
richieste di trasferirsi altrove, continuò a domandare un po' di pazienza. La lite fu ben percepita dal
vicino M.A., il quale, allarmato dalle grida, richiese l'intervento dei Carabinieri. J.M., dal canto suo,
avvisò dell'accaduto la madre e l'amica M.D., mentre N.A. se ne andò per alcune ore. Ai militari fu
spiegata la situazione, e il consiglio fu di cambiare la serratura. L'amica e la madre della denunziante
si recarono dunque in un negozio per acquistare il necessario, mentre J.M. restò a casa assieme al
vicino M.A.. L'imputato si ripresentò nel pomeriggio e, alla vista di copia della relazione d'intervento
redatta dai Carabinieri, si adirò e augurò alla ex compagna di morire durante il parto, tanto qualcosa
ti succederà perché quello che dico io si avvera. Egli comunque recuperò le proprie cose e se andò
definitivamente di casa proprio in coincidenza con l'arrivo delle forze dell'ordine, nuovamente fatte
intervenire sul posto. J.M. fu invece accompagnata all'ospedale per un controllo, e poi si recò presso
la stazione Carabinieri di Udine Est a sporgere querela. Nei mesi successivi ella si rivolse a un centro
antiviolenza, mentre N.A. le inviò dei messaggi telefonici di scuse. Ma tra ex conviventi non vi
furono ulteriori rapporti.
M.A. ha confermato d'aver richiesto l'intervento dei militari dopo aver sentito l'imputato e la persona
offesa litigare la mattina del 3 giugno 2023, e d'aver poi udito, di persona, gli auspici di morte che
N.A. aveva rivolto alla ex compagna quello stesso pomeriggio.
T.P., madre della denunziante, ha confermato che la figlia le aveva confidato le minacce di morte
dell'imputato, e analoga confidenza era stata resa all'amica M.D..
I fatti in contestazione appaiono dunque comprovati alla luce dell'attendibile deposizione di J.M.,
ampiamente riscontrata non solo dal contenuto della registrazione dalla stessa effettuata in data 3
giugno 2023 (nella quale non vi è alcuna negazione, da parte dell'imputato, delle minacce di morte
appena proferite, e dalla quale traspare, piuttosto, l'atteggiamento aggressivo e intimidatorio da lui
mantenuto nei confronti della convivente), ma anche dalle immediate confidenze rese alla madre
T.P. e all'amica M.D., oltreché dalla testimonianza di M.A..
Sul piano giuridico, occorre tuttavia ricordare che l'elemento materiale del delitto di minaccia risiede
nella prospettazione di un male o, usando la terminologia dell'articolo 612 del codice penale, di un
danno futuro e avente come destinatario il soggetto passivo del reato o un terzo, a questi legato da
particolari rapporti di parentela o affettivi; risiede, inoltre, nella prospettazione della dipendenza del
male dalla volontà dell'agente, che può consistere in un male azione o in un male omissione. Circa
le modalità, la minaccia può essere espressa in tutte le forme e i mezzi psicologicamente idonei a
incutere timore, cioè a turbare la tranquillità psichica della persona. Può quindi essere diretta o
indiretta, determinata o indeterminata, reale o simbolica, palese o larvata, esplicita o implicita.
Essenziale, tuttavia, è che la minaccia, quali che ne siano le modalità, abbia una effettiva potenzialità
intimidatrice, cioè deve apparire capace, secondo un giudizio ex ante tanto più rigoroso nei casi di
minaccia larvata, implicita o indeterminata, di intimidire, di creare un senso di paura, da valutarsi
caso per caso con riferimento alle circostanze della fattispecie concreta (male prospettato, sua
credibilità ed eseguibilità, a scadenza breve o differita, forme, tempo e luogo e ogni modalità della
condotta minatoria, capacità a delinquere dell'agente e altro), alle particolari condizioni psicologiche
del soggetto passivo (impressionabilità, età, capacità di resistenza) e alla conoscenza di esse da parte
del soggetto attivo al momento della condotta. La minaccia, per essere idonea, deve essere seria, cioè
ragionevolmente credibile come verosimile da parte della vittima, dovendo il male prospettato
apparire verosimilmente realizzabile, anche se è irrilevante che possa o meno verificarsi
obiettivamente o che la vittima sia stata o meno intimorita. La minaccia assurda o fantasiosa può
essere idonea solo se rivolta a persone che, per il basso livello intellettuale o culturale, possano subire
effettivi intimiditivi. Circa l'accertamento della idoneità, essa non va ritenuta in re ipsa, cioè
necessariamente insita nell'effetto di intimidazione operato, né esclusa perché non ha raggiunto
l'effetto intimidativo, ma va accertata sulla base degli elementi sopra indicati.
Nel caso in disamina, alcuna capacità d'intimidazione può essere riconosciuta alle frasi contestate al
primo e al terzo alinea di rubrica, trattandosi di meri auspici di morte certamente espressivi
dell'atteggiamento di spregio e denigrazione mantenuto dall'imputato nei confronti della compagna,
ma del tutto slegati da una sua capacità di realizzazione.
Quanto all'espressione di cui al secondo alinea, invece, è agevole osservare che N.A. intimidì la
denunziante dicendole che l'avrebbe uccisa, come accaduto a quella ragazza di Milano, e che
l'avrebbe fatta abortire colpendola con pugni nella pancia, prospettando dunque un male assai grave
di cui lui si sarebbe reso immediato artefice. Ciò conferma la sussistenza del reato in contestazione,
trattandosi di frasi proferite nella consapevole volontà della loro portata intimidatoria. Del pari
sussistente è l'aggravante di cui all'articolo 612, comma secondo, del codice pende: l'anzidetta
circostanza, a effetto speciale, deve essere infatti valutata non in astratto o in assoluto, ma in senso
relativo e concreto, e deve essere accertata con riferimento all'entità del turbamento psichico causato
al soggetto passivo dell'atto intimidatorio, turbamento che si desume non solo dall'entità del male
minacciato, ma anche dall'insieme delle modalità dell'azione, dalle condizioni particolari in cui si
trovano l'agente e la persona offesa, dal grado di probabilità che presenta la realizzazione del male
prospettato. Orbene, proprio tali elementi di obiettiva valutazione consentono di affermare la
sussistenza dell'aggravante in disamina, trattandosi di minacce aventi a oggetto l'integrità fisica della
persona offesa, oltreché del bambino ch'ella aveva in grembo, proferite in un contesto di ostilità e
grave malanimo nei confronti della persona offesa, dunque particolarmente credibili. Tant'è che i
militari intervenuti il pomeriggio del 3 giugno 2023 constatarono immediatamente lo stato di forte
agitazione in cui si trovava la denunziante, tanto da consigliarne l'accompagnamento al pronto
soccorso dell'ospedale di Udine.
Deve essere invece esclusa l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 quinquies c.p., inapplicabile al reato di
minaccia trattandosi di delitto contro la libertà morale.
Quanto alla pena, la gravità delle intimidazioni subite dalla vittima e il fatto ch'esse fossero in un
contesto di spregio e denigrazione non consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche né di valutare il fatto in termini di particolare tenuità, e fanno ritenere equa la pena di
mesi due di reclusione.
Alla condanna consegue il pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 535 del codice di
procedura penale.
L'accertamento della penale responsabilità di N.A. comporta, inoltre, la condanna dello stesso al
risarcimento del danno in favore della parte civile costituita J.M., danno che, in ragione del
particolare turbamento dalla stessa subìto, si liquida in complessivi Euro 2.000 oltre a interessi dal
di del dovuto al saldo.
All'accoglimento di tale pretesa risarcitoria consegue la condanna dell'imputato alla rifusione delle
spese di costituzione e assistenza legale sostenute dalla medesima parte civile, che si liquidano in
complessivi Euro 1.800, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. e C.N.A. nella misura di legge.
All'imputato può essere riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena alle
condizioni di legge. L'operatività del beneficio deve essere tuttavia subordinata all'integrale
pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in favore della parte civile
costituita entro il termine di mesi uno a far data dal passaggio in giudicato della sentenza, atteso che
la gravità dei fatti in disamina fa apparire adeguato un trattamento sanzionatorio la cui efficacia resti
sospesa soltanto all'esito dell'integrale ristoro delle pretese risarcitorie.
P.Q.M.
Il tribunale di Udine, in composizione monocratica,
visti e applicati gli articoli 533 e 535 c.p.p.
dichiara
l'imputato colpevole del reato a lui ascritto al secondo alinea di rubrica, esclusa l'aggravante di cui
all'art. 61 n. 11 quinquies c.p., e, per l'effetto, lo
condanna
alla pena di mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Letti gli articoli 538 e 541 c.p.p.
condanna
l'imputato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita che liquida in complessivi
Euro 2.000 oltre a interessi dal dì del dovuto al saldo, nonché alla rifusione delle spese di costituzione
e assistenza legale sostenute dalla medesima parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.800, oltre
a rimborso spese forfettarie, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Letti gli artt. 163 e 165 c.p.
accorda
all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinatamente all'integrale
pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in favore della parte civile
costituita entro il termine di mesi uno a far data dal passaggio in giudicato della sentenza.
Letto l'articolo 530 c.p.p.
assolve
l'imputato dagli ulteriori reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.
Motivazione riservata nel termine di giorni 90.
Conclusione
Così deciso in Udine, il 12 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2025
12-09-2025 15:03
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