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Sentenza

VIOLENZA SESSUALE – Utilizzo degli screen shot contenuti nel cellulare

(Cp, articolo 609-bis; Cpp, articoli 254, comma 2, e 353; articolo 15 della Costituzione)
VIOLENZA SESSUALE – Utilizzo degli screen shot contenuti nel cellulare (Cp, articolo 609-bis; Cpp, articoli 254, comma 2, e 353; articolo 15 della Costituzione)

La messaggistica archiviata nei telefoni cellulari non può più essere considerata alla stregua di un mero documento, liberamente acquisibile senza la garanzia costituzionale prevista dall’articolo 15 della Costituzione ma richiede l’assoggettamento alla disciplina dell’articolo 254 del codice di procedura penale che impone la necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, necessariamente motivato al fine di giustificare il sacrificio della segretezza della corrispondenza, senza la possibilità di accesso diretto da parte della Polizia Giudiziaria, che ha solo il potere di acquisire materialmente il dispositivo elettronico ma senza accesso diretto al suo contenuto, analogamente a quanto previsto per l’invio della corrispondenza postale dall’articolo 254, comma 2, del codice di procedura penale, e fermo quanto disposto dall’articolo 353 del codice di procedura penale sull’apertura dei plichi o di corrispondenza con l’autorizzazione del pubblico ministero quando ciò sia necessario per l’assicurazione elementi di prova che potrebbero andare persi a causa del ritardo. Trattandosi di una attività svolta dalla polizia giudiziaria nei confronti di un soggetto, già gravato da elementi indiziari tali da giustificare l’acquisizione della posizione di indagato, il consenso che si assume essere stato prestato liberamente dall’ indagato non può supplire alla carenza di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziarie, di autorizzazione preventiva o di convalida successiva dell’atto di indagine possono in essere, invece, in totale autonomia dalla polizia giudiziaria. Tuttavia, nel caso di specie il telefono del prevenuto è stato consegnato proprio in presenza del difensore ed analizzato in sede di interrogatorio davanti il Pm; non solo: i messaggi intercorsi tra l’imputato e la donna sono stati comunque visti anche esaminando il cellulare della persona offesa, con ciò evidentemente dovendosi ritenere superato il dictum sopra riportato.

    Tribunale Genova, sentenza 15 settembre 2025 n. 325 – Pres. Cascini, Giud. Est. Crucioli
Incontrato dunque C. verso le 19:00/20:00 (a contestazione che l'incontro era avvenuto alle 18:00, la
teste ha affermato di non ricordare con precisione l'orario) del giorno 13.3.2024, i due bevevano un
caffè nel bar; l'imputato le proponeva di recarsi a casa propria; S. non era sicura di volersi recare a
casa di C., il quale però la convinceva ad andare a mangiare qualcosa per conoscersi meglio; avendo
la teste acconsentito, i due si recavano in un negozio per comprare qualcosa per cena (pane da
inzuppare in una minestra da scaldare) e poi andavano a casa dell'imputato, luogo nel quale la teste
non era mai stata prima.
Entrati in casa, cenavano assieme (senza uscire nuovamente) e C., che assumeva alcolici durante la
cena, le chiedeva di fermarsi ancora per bere qualcosa; la donna rispondeva di non poter bere alcolici,
essendo astemia.
È utile precisare che, a specifica domanda, la teste ha negato espressamente di aver chiesto a C. di
uscire a comprare vino.
Durante la cena la conversazione era normale, ma C. aveva bevuto troppo, ragione per la quale la
teste gli chiedeva di portarla a casa; l'imputato le diceva di restare ancora e lei accettava, spaventata,
ma solo per poco tempo chiedendogli poi di andare via; C. si innervosiva e le diceva che non se ne
sarebbe più andata {"resterai qui e non vedrai neanche più i tuoi figli" senza dare spiegazioni),
parlando poi al telefono con una persona non identificata, in una lingua a lei non nota.
A quel punto, vista tale reazione, S. si agitava e si alzava, insistendo per andare via da sola,
dirigendosi verso la porta; C. la raggiungeva, la prendeva per la mano e la tratteneva in casa; la
donna si spaventava ancora di più, metteva la mano sulla porta per aprirla, e C. la strattonava,
tirandola, sia per la mano che per il collo, e spingendola verso il letto; andati nella camera, la buttava
sul letto, con l'intenzione di fare sesso (sul punto la teste ha riferito che l'imputato non chiedeva
nulla, ma le azioni erano molto chiare); la donna lo respingeva ma C., posto sopra di lei e vestito
quasi del tutto (essendosi ad un certo momento tolto solo i pantaloni), la toccava e iniziava a
spogliarla, parlando in modo confuso e facendole comunque capire che voleva fare sesso con lei; la
donna, vestita con un abito lungo verde, intero, con ima giacca nera sopra, cercava di difendersi
anche gridando aiuto (a specifica domanda la teste ha riferito che forse C. le aveva anche detto di
stare zitta e di non urlare).
S. provava a dimenarsi ed a liberarsi, piangendo, e diceva a C. di lasciarla un attimo libera per
calmarsi; l'uomo la portava in cucina, si calmava bevendo anche un altro bicchiere di vino e la teste
approfittava di quegli attimi per scrivere alla propria amica T., chiedendole di venire a prenderla e
mandandole la propria posizione geolocalizzata su whatsapp.
C. (che si era accorto delle sue azioni) le prendeva il cellulare e lo buttava via, rompendolo per poi
agitarsi ancora di più, dicendole che comportandosi cosi allungava solo i tempi; le chiedeva poi di
tornare nella stanza da letto.
S. era quindi nuovamente trascinata in camera e C. cercava di convincerla a fare sesso; ottenuto
ancora un fermo diniego, le metteva una mano sull'inguine, toccandola sia sopra che sotto la
biancheria; vista la ritrosia della donna, si innervosiva, rompend ole le calze in mezzo, a livello
inguinale; la donna provava a calmarlo, parlandogli, e riusciva ad impedire la consumazione di un
rapporto sessuale.
S. diceva nuovamente di aver bisogno di prendere aria e l'imputato, convinto dopo un po' di tempo,
la lasciava libera (pur tenuta per la mano) di uscire da una porta che conduceva su di un poggiolo,
dal quale la donna si metteva ad urlare avendo visto i carabinieri in strada. C., arrabbiato, la accusava
di averli chiamati e la riportava in casa; giungevano finalmente le FFOO che, entrate in casa, la
liberavano e la portavano fuori. In strada era presente, oltre ai carabinieri, l'amica T..
Il PM, terminata la descrizione generale dei fatti, ha chiesto alcune precisazioni alla teste, anche
mediante contestazioni (in forza della denuncia querela 14.3.2024, proposta alla presenza dell'amica
T. che fungeva da traduttrice; delle sit del 17.3.2024, in caserma dei CC di S. sempre con l'amica, il
17.3.2024; infine sit del 18.4.2024, alla presenza di un interprete), che ha chiarito:
- C. le aveva detto "tu non andrai via e sarai mia", contestando che l'imputato le aveva anche detto
che il giorno dopo due persone l'avrebbero portata via, lontano da tutti i suoi conoscenti spaccandole
il cellulare (sul punto vi è diversità di vedute sul significato sintattico della frase, se come effettuata
con riferimento alle affermazioni future degli amici dell'imputato o come azione posta in essere
dall'imputato mentre parlava); la teste ha confermato la circostanza della rottura del dispositivo,
dicendo che inizialmente non l'aveva ricordato, e che era stato rotto solamente il display, mentre il
telefono continuava a funzionare; - al momento del primo tentativo di uscire di casa, C. l'aveva
afferrata non solo per il braccio e il collo ma anche per i capelli, sempre nel salottino dell'entrata, per
impedirle di accedere all'esterno;
- sul letto, con C. posto sopra di lei, le era intimato di non urlare perché altrimenti sarebbe stata
picchiata, minaccia che poi non è stata realizzata;
- in effetti aveva detto a C. che se non si fosse fermato avrebbe chiamato le FFOO, ottenendo come
risposta che lui era già stato in carcere, che non aveva paura di nessuno e che le avrebbe spaccato il
cellulare se avesse provato a chiamare;
- C. l'ha toccata non solo sulla zona inguinale ma "un po' dappertutto";
- gli episodi aggressivi verificatisi nella camera da letto sono stati frazionati in due momenti, come
già detto (in modo parzialmente diverso rispetto alle prime dichiarazioni);
- la durata della situazione di aggressività è imprecisata, ma comunque collocabile nel tempo grazie
ai messaggi inviati;
- C. le aveva offerto una somma di denaro (non precisata), che lei ha rifiutato; a contestazione
(utilizzando il verbale del 18.4.2024) la donna aveva detto di aver ricevuto la somma di Euro 70,00
(come regalo per il bambino) che lei rifiutava ma alla fine tratteneva, avendo C. messo il denaro
borsa; dopo la consegna di tale denaro, S. aveva tentato di allontanarsi dall'alloggio; in aula la teste
ha ribadito di non aver preso i denari ma di averli lasciati su di un tavolo (la contestazione è avvenuta
a specifica domanda effettuata il 18.4.2024 dai CC in seguito alle spiegazioni fornite dall'imputato in
sede di interrogatorio di garanzia); al riguardo la teste non ha ricordato il momento nel quale sono
stati consegnati i soldi;
- il vestito si è rotto un po' lateralmente e dietro;
- C. ha preso una pastiglia durante la permanenza in casa.
A domande della propria difesa, la parte civile A.S. ha negato di essere stata in gravidanza, nei giorni
dei fatti sopra descritti, non potendo più avere figli avendo le tube di F. legate.
In sede di controesame, la teste ha dichiarato di essere ancora iscritta a B. ma di non usarlo più. È
stata mostrata una immagine fotografica estratta dalla piattaforma: la teste ha confermato che la
immagine è stata da lei inserita come propria, con "A. 22" (la data è del 13.1.2025) e descrizione in
epigrafe "mi piace l'avventura"; al riguardo la teste ha detto che forse si è sbagliata e di non ricordare
chi l'ha inserita.
In realtà la fotografia è la medesima prodotta dal PM, ma con differenti epigrafi, e la data di
inserimento è molto recente, cosi come recente è l'ultimo ingresso on line del suddetto profilo (al
riguardo la teste non ha saputo spiegare, ribadendo di non aver più usato la piattaforma).
L'immagine è stata estratta dallo stesso imputato inserendosi nella piattaforma B. ed effettuando uno
screen shot il 13.1.2025.
Altro screen shot riguarda un invito della A. al C. immediatamente dopo il primo contatto su B., il
12.3.2024 (trattasi della stessa immagine prodotta dal PM). La teste ha riferito di non averlo voluto
incontrare subito, volendo conoscerlo meglio, mentre dalla lettura dei messaggi risulta che è stato
C. a non volersi mettere in macchina perché aveva bevuto. La teste ha al riguardo ribadito di aver
detto che voleva prima conoscerlo meglio.
Sempre a domande della difesa, S. ha riferito di aver incontrato l'imputato il 13.3.2024 in prossimità
di un supermercato in zona B. verso le ore 19:00/20:00; al riguardo è stato prodotto uno scontrino
delle ore 19:40 del supermercato L. e la teste ha confermato di essersi recata insieme a C.,
nell'esercizio commerciale sito in via dei L. (che è localizzato in S. proprio vicino a casa
dell'imputato). La teste, che aveva in precedenza affermato di aver fatto la spesa a B. subito dopo
l'incontro e non a S., ha comunque ribadito di non aver chiesto a C. di comprare vino.
D.B. a casa di C. si sono mossi con la macchina, di colore grigio, in uso all'imputato e sono giunti
nell'appartamento dopo un tragitto di circa mezz'ora. Tra l'ingresso ed i primi atteggiamenti
inappropriati dell'imputato è trascorso un tempo che la teste non è stata in grado di ricordare, anche
se risulta da whatsapp che la richiesta di aiuto all'amica è stata inviata alle 22:58, altro lasso
temporale che la teste non è stata in grado di precisare con esattezza.
Dunque, è stato chiesto cosa è successo tra le 20:30 e le 22:58, e la teste ha ribadito che si è verificata
l'aggressione, prima narrata; che aveva un solo telefono, rotto subito dopo la chiamata all'amica ma
ancora funzionante, essendo stato danneggiato unicamente lo schermo. La casa di C. è composta da
alcune stanze, un corridoio di ingresso, di fronte la stanza da letto e poi la cucina ed il bagno, uniche
stanze da lei usate. La porta di casa è stata chiusa da C. dopo l'ingresso ed era apribile dall'interno
ma S. non è stata in grado di ricordare con che modalità si potesse aprire. Sono state mostrate alcune
immagini fotografiche della porta e la teste non ha ricordato se la porta fosse di tal fatta. Sono state
poi mostrate altre fotografie scattate dalla sorella dell'imputato, ritraenti il tavolo apparecchiato per
la cena e riconosciuto dalla teste.
La teste ha poi riferito che i carabinieri sono entrati nell'appartamento; non è però stata in grado di
ricordare chi avesse loro aperto la porta; C. era nel corridoio, posto in piedi poco davanti a lei ed in
stato di agitazione.
La teste ha affermato di aver ricevuto alcuni schiaffi, di essere stata tirata per la testa e di aver
avvertito, sia subito che in seguito, dolori sia al capo che alla schiena. La polizia le aveva detto di
chiamare l'ambulanza, ma lei non lo ha fatto sia perché era molto agitata sia perché voleva affidarsi
all'amica T. e calmarsi.
In seguito, ha proseguito la teste, è stata chiamata dalle FFOO per verbalizzare quanto accaduto; in
quella sede, avendo lei detto di aver dolore alla testa ed un segno, le dicevano di andare all'ospedale
e questa volta acconsentiva, recandosi al pronto soccorso; dopo aver atteso ed essere rimasta in
ospedale quasi tutto il giorno, S. ha riferito di essersi volontariamente allontanata, senza essere
refertata o visitata.
Ancora, la teste ha specificato di aver guadagnato pochi soldi dal lavoro irregolare e saltuario e di
aver dunque avuto bisogno di denaro per le medicine del figlio; di aver anche avuto ospitalità
gratuita dall'amica T. (T.), conosciuta da anni.
Nella chat di whatsapp prodotte dalla difesa sono poi presenti quattro foto, inviate dalla parte civile
all'imputato, ritraenti l'automobile di proprietà della parte civile che era priva di RC auto e che la
stessa aveva inviato all'imputato per fare in modo di avere l'assicurazione. Durante la cena, C. le
aveva detto di avere un amico che avrebbe potuto aiutarla ed aveva parlato al telefono con un'altra
persona in lingua a lei non nota.
Infine, alle domande del secondo difensore dell'imputato, la teste ha negato di aver parlato o visto
altre persone durante la serata trascorsa nell'alloggio.
2- Le dichiarazioni degli altri testi di accusa.
La teste T.P.T., amica della persona offesa e con lei convivente, ha riferito di aver ricevuto un
messaggio con il quale S. le chiedeva di chiamare la polizia; le è stato mostrato il messaggio ricevuto
via whatsapp mentre si trovava in via M. (a B.) e di aver provato a chiamarla, senza ricevere risposta;
di aver dunque chiamato la polizia (con tale termine la teste si riferisce alle FFOO, con termine
generico, e quindi anche ai carabinieri) indicando il luogo inviato dall'amica e di essere uscita da
casa propria, incontrando la polizia sotto casa dell'imputato.
L'amica S. è uscita sul balcone e la polizia è così riuscita ad individuare l'appartamento nel quale
intervenire. Anche la teste ha visto l'amica affacciata ed ha visto che la polizia è entrata ed ha fatto
uscire S., con la quale si è poi recata in caserma.
S. tremava, era molto spaventata e non riusciva a parlare, riuscendo poi a descrivere i fatti solamente
in caserma. Le due sono poi tornate a casa e S. le raccontava quanto accaduto, negli stessi termini
sopra riassunti: il signore, con il quale stava cenando, le aveva detto che la voleva sequestrare,
portandola da suoi amici, tirandola per i capelli e toccandola ovunque, pretendendo un rapporto
sessuale.
T. ha poi riconosciuto i messaggi intercorsi tra lei e l'amica ed i tentativi di chiamata, seguiti dalla
comunicazione che la teste inviata a S., dicendole che era arrivata sotto casa ma che non riusciva a
vederla.
Risulta in effetti il messaggio della S. alle 22:58 ("vieni con la polizia per favore") che inviava la
propria posizione; tale primo sms era seguito da messaggi e chiamate, senza risposta da parte della
S., inviati dalla teste che si era preoccupata per la situazione.
S. le aveva detto che si sarebbe vista con un amico senza altre precisazioni.
A domande della difesa, la teste ha riferito che si trovava in casa e di essersi recata sotto la casa
dell'imputato con la macchina, condotta dal proprio marito (con il quale convive unitamente ai due
figli ed alla persona offesa). Dai messaggi esaminati risulta che T. è giunta sul luogo alle ore 23:19
("sono arrivata"); il messaggio successivo è delle ore 23:49 ("sono qui con la polizia") e la teste ha
ricordato di aver girato, in quel frattempo, per trovare il palazzo nel quale si trovava l'alloggio
indicato dall'amica.
In quel frangente la teste non ha sentito urla dalla strada, pur essendo assieme alla polizia, ed è stato
possibile individuare l'alloggio solo allorché l'amica usciva sul poggiolo e gridava; le urla, a quel
punto, erano sentite sia dalla teste sia dalle FFOO.
Il marito era rimasto nei pressi, mentre lei girava assieme ai carabinieri (da lei chiamati con il proprio
cellulare) che erano arrivati pressoché assieme a loro.
Il M.llo D.B.G., in forza ai CC di S., ha ripercorso le vicende partendo dall'avviso ricevuto dalla
centrale operativa in data 13.3.2024 alle ore 23:20 (e di essere giunto sul posto dopo circa 20 minuti).
T., che aveva chiesto soccorso alle FFOO, usciva da via dei L. civico 2 e diceva loro di aver ricevuto
un messaggio di aiuto, con invio della posizione, dall'amica; esaminata tale geo localizzazione, i
militari comprendevano che l'appartamento si trovava nella finitima via G.B. M. ed entravano nel
condominio facendosi aprire il portone da un residente. Penetrati nelle scale, per capire quale fosse
l'alloggio nel quale era rinchiusa la S., chiedevano alla T. di far suonare il cellulare dell'amica;
purtroppo non riuscivano a sentire la suoneria nè ad individuare l'alloggio.
Uscivano dunque dal condominio e raggiungevano nuovamente T. per chiedere altre informazioni;
in quel momento, dall'alto, erano chiamati da una donna affacciata dalla finestra; salivano quindi
subito al piano dell'edificio, bussando energicamente alla porta corrispondente alla finestra e si
facevano aprire la porta dalla ragazza, che - pallida e tremante, in stato di choc - narrava brevemente
l'accaduto indicando il C., che si trovava in maglietta e mutande all'interno della vicina camera da
letto, come autore dell'aggressione.
L'imputato appariva alterato e confuso, rallentato e con atteggiamenti contraddittori. C. non riusciva
neppure a trovare i vestiti per seguire i militari in caserma, pur parlando e comprendendo l'italiano.
C., portato in caserma separatamente dalla S., è stato arrestato circa alle ore 2:00 della notte.
Il teste ha anche esaminato le utenze telefoniche, acquisendo dal cellulare della S. la comunicazione
intercorse tra quest'ultima, l'imputato e la T. (con whatsapp), mentre la chat di B. è stata acquisita
dal telefono consegnato dal difensore dell'imputato.
A domande della difesa, il teste ha riferito che, arrivati sul posto, T. usciva da un portone e che, in
seguito, la S. si affacciava da un balcone sito a distanza di pochi metri (primo o secondo piano).
C. - al momento dell'ingresso dei carabinieri in casa - era in intimo, in piedi, nella camera da letto e,
pur essendo alterato, non teneva condotte aggressive. La cucina presentava molti piatti sporchi,
c'erano bottiglie di alcolici e, nell'alloggio, non erano presenti segni di colluttazione, pur essendo il
letto sfatto e senza lenzuola.
T., al momento dell'intervento, era da sola (a piedi, usciva dal portone di via dei L.) e nessun altro si
è avvicinato a loro. Il giorno seguente è stata sentita a sit una vicina di casa. La richiesta di aiuto
proveniva da una donna che, affacciatasi da una finestra, fuoriusciva con il busto all'esterno.
La persona offesa, che era in stato di choc marcato, mostrava una rottura del vestito e le calze sfibrate.
3- Le dichiarazioni dell'imputato.
L'imputato, che già si era sottoposto ad interrogatorio, ha sostenuto l'esame parlando un fluente
italiano e palesando così la propria piena capacità di comprendere e parlare la nostra lingua.
Ha riferito di aver contattato la S. su B. il 12.3.2024 per avere una prestazione sessuale a pagamento,
concordando la somma di Euro 150 ("trattabili", secondo l'imputato); la ragazza gli ha confermato di
fare incontri (sottinteso: sessuali) e chiedeva di vederlo quel giorno stesso, ma lui, avendo bevuto
bina e temendo conseguenze, non voleva mettersi alla guida; il giorno dopo, si è incontrato con lei
davanti alla L. verso le ore 18:00, ove si è recato con la propria macchina giungendo da L.,
riconoscendola per gli abiti, essendo evidentemente "pronta all'incontro"; del resto, la stessa S. gli
aveva detto come era vestita; C. si rendeva conto che la ragazza era diversa (più brutta) da come se
la aspettava e come era apparsa in fotografia sull'app; gli sembr ava anche in avanzato stato di
gravidanza ("come donna in stato di gravidanza", secondo l'imputato, e cioè "grassa"; nel verbale di
interrogatorio appare tuttavia chiaro il riferimento alla gravidanza e non alla stazza fisica, essendo
comunque S. davvero minuta).
L'imputato, visto l'aspetto diverso della ragazza che aveva visto su B., decideva comunque di
portarla a casa propria per darle da mangiare, senza nulla in cambio e senza doppi fini, avendogli
fatto pena e capendo che lei aveva bisogno di aiuto.
La ragazza saliva in macchina e lo toccava subito nelle parti intime, mentre guidava, fatto per il quale
non ha fatto denuncia (in sostanza l'imputato ha accusato S. di violenza sessuale). Volendo fare la
spesa per cena, l'imputato le chiedeva di entrare nel L. ma lei rifiutava dicendo di essere conosciuta
e di non volersi far vedere; i due si recavano dunque a S. in un tabacchino, ove l'imputato le
comprava un pacchetto di sigarette, e poi andavano a casa verso le 19:00/19:20.
Saliti in casa, la ragazza andava in bagno e lui in cucina a preparare da mangiare; ivi era raggiunto
dalla S. che gli chiedeva un vino speciale ("città vecchia", un vino bianco); per tale ragione, uscivano
da casa e andavano in un negozio, a piedi; nel tragitto la ragazza continuava a guardarsi attorno
come se cercasse qualcuno, giustificandosi dicendo che cercava un luogo dove parcheggiare se fosse
tornata da sola.
Rincasati, lui cucinava un piatto pronto (una zuppa) e si mettevano a tavola, aprendo una prima
bottiglia (due bicchieri a testa); durante la cena lui parlava al telefono con un ragazzo, passando poi
il cellulare alla S.: si parlava della macchina della ragazza, che voleva venderla.
La S., subito dopo, pretendeva i soldi chiesti fin dall'inizio (Euro 150 pattuiti) ma l'imputato le diceva
che erano rimasti solo Euro 70, avendone avuti inizialmente solo Euro 100, Euro 30 dei quali usati
per acquistare il cibo.
- di aver aperto una porta finestra dopo che la ragazza gli aveva detto che sotto c'era qualcuno e di
essersi affacciato; nella camera da letto non ci sono finestre ma una porta finestra, mentre nella sala
c'è unicamente una finestra; queste sono le uniche uscite dal lato della strada;
- che nel tragitto da e per il negozio, lei stava sempre al telefono, così come in casa;
- di essersi sentito male, dopo aver bevuto il bicchiere di vino datogli dalla S., e di non aver potuto
fare nulla, anche se aveva timore di lasciare la ragazza da sola in casa.
4- Le dichiarazioni dei testimoni a difesa.
La teste D.A.M., vicina di casa dell'appartamento nel quale sono avvenuti i fatti (cioè al primo o
secondo piano, essendo sfasati rispetto al piano strada), ha riferito di non aver sentito alcunché pur
trovandosi in casa dalle ore 20-20:30 fino alla mattina successiva. Nessun urlo, nessun pianto,
nessuna richiesta di aiuto. L'unica stranezza è stata la presenza dei carabinieri che hanno suonato il
campanello (la teste non ha aperto subito, volendo prima verificare chi fosse presente sotto); solo
dopo aver visto le macchine della polizia e, mentre si recava ad aprire, ha sentito camminare al piano
di sopra (evidentemente qualcun altro aveva aperto).
Evidentemente, la vicina di casa non ha sentito neppure la richiesta di aiuto che - pacificamente - è
stata rivolta dalla persona offesa ai militari che erano giunti in strada. Segno che si è in presenza di
problematiche acustiche più che evidenti e che la testimonianza non può in alcun modo comportare
conseguenze probatorie.
La teste L.C., sorella dell'imputato e proprietaria dell'alloggio di via G. M. 26 int.9 nel quale si sono
verificati i fatti, ha dichiarato di ospitare spesso il fratello che però vive nel proprio alloggio a L..
La teste ha riferito di aver acceso il telefonino il 15.3.2024, atterrando con l'aereo, e di aver saputo
dell'arresto di V. dal difensore; rientrata in casa alle ore 1:00 del 16.3.2024, trovando la tavola
apparecchiata come da immagini fotografiche da lei scattate; sono presenti i bicchieri usati durante
la cena, puliti (e cioè lavati). La porta di ingresso dell'alloggio si apre, dall'interno anche senza chiave
(girando la serratura) anche se la porta ha il "ferro morto" e non risultavano forzature, anche se dalle
immagini sembra il contrario (la teste ha cambiato la serratura entrando e non ha modificato il legno,
rovinato).
La teste ha poi riferito di non aver trovato denaro sui mobili ma unicamente uno scontrino, che è
stato poi prodotto in aula (quello dell'IN'S delle ore 19:20 del giorno dei fatti). Erano state comprate
due bottiglie di vino, che sono state poi trovare sul tavolo: una era vuota ed una era piena, ma di
acqua. Sul tavolo era presente anche un posacenere contenente filtri che non corrispondono a quelle
che fuma il fratello (davidoff marroni); il fratello non assume farmaci o pastiglie di qualunque tipo.
Il teste S.H., amico dell'imputato e suo conoscente per lavoro, ha riferito di essere entrato in contatto
con videochiamata il 13.3.2024 (ad ora imprecisata ma il pomeriggio tardi) su messenger per
organizzare una cena; (...) è il numero del testimone e risulta dallo screen shot delle chiamate (di
whatsapp) che ha contattato il numero dell'imputato il 13.3.2024 alle ore 20:35; il teste ha riferito di
aver parlato con V. (di questioni loro personali); l'imputato era con una ragazza e si vedeva anche
lei, i bicchieri erano sul tavolo e si vedeva un vino rosso versato all'interno di un bicchiere che poi
non era più ripreso; da ciò il teste ha desunto che la ragazza lo aveva preso e aveva bevuto.
Il colloquio avveniva in italiano con il C., il quale non gli presentava la ragazza lì presente.
A domande del PM il teste ha riferito di aver poi chiamato due o tre volte l'imputato ma di non aver
saputo più nulla del processo, se non tramite la sorella dell'imputato che gli ha riferito dell'arresto
di V. a causa delle dichiarazioni della ragazza che il teste ha visto in videochiamata.
Il Pm ha giustamente fatto notare la stranezza per la quale il teste ricordava, senza averne prima
avuto alcuna notizia da alcuno, una telefonata del tutto normale avvenuta più di un anno or sono
con dovizia di particolari, senza però rammentare il contenuto del colloquio con il C..
5- Conclusioni: la responsabilità penale.
Dall'insieme delle prove assunte a dibattimento si traggono alcuni elementi di certezza, mentre molti
altri sono oggetto di valutazioni completamente divergenti tra le parti.
È certo - anche se la ragazza ha tentato di nasconderlo - che S. esercitava la professione di prostituta
e che il 12.3.2024 veniva contattata da C. per ottenere una prestazione sessuale mediante la
piattaforma B., nella quale i due si scambiavano il numero di cellulare per poter così comunicare,
più semplicemente, con whatsapp.
Il fatto, come detto, è ampiamente provato non solo in forza delle dichiarazioni dell'imputato ma
anche dal contenuto delle chat depositate dalla difesa: la stessa S. afferma, in apertura del colloquio
su B., di essere disposta a fare incontri e di volere la somma di Euro 150,00 in cambio del suo tempo.
Il tutto con un soggetto da lei prima non conosciuto né visto.
È certo anche, questo non contestato da alcuno, che C. si incontrava nel tardo pomeriggio (o nella
prima sera) del giorno 13.3.2024 con la S. davanti ad un supermercato di B., la faceva salire in
macchina e si recava a casa propria, sita in S., in via G. M..
È certo poi che i due consumavano una frugale cena nell'alloggio, da soli, e che alle ore 22:58 circa la
S. contattava l'amica T. chiedendo aiuto ed inviando anche la propria posizione geolocalizzata;
l'amica, a sua volta, chiedeva soccorso alle FFOO le quali giungevano sul luogo, vedevano una
ragazza chiedere aiuto dalla finestra del secondo piano e salivano in casa, trovando la S. in stato di
choc e C. in stato confusionale all'interno della propria camera da letto, in mutande e maglietta.
Cosa sia avvenuto all'interno dell'alloggio è invece narrato, in modo completamente diverso,
dall'imputato e dalla persona offesa/parte civile.
Secondo la donna, C. - con il quale non erano intercorsi accordi di alcun tipo in ordine a prestazioni
sessuali - l'avrebbe invitata a casa per ottenere prestazioni sessuali non gradite e, appreso il suo
diniego, l'avrebbe prima minacciata e poi costretta fisicamente a rimanere nell'alloggio, toccandola
anche nelle parti intime; S. riusciva a fuggire solamente dopo aver chiesto aiuto all'amica T. che, a
sua volta, chiedeva aiuto alle FFOO.
Secondo l'imputato, invece, l'incontro era inizialmente finalizzato a consumare un rapporto sessuale
poi da lui non più voluto in ragione dell'apparenza fisica non soddisfacente della ragazza. Non
avendo l'imputato voluto pagare la donna (se non in parte, con gli unici denari che gli erano rimasti
dopo l'acquisto degli alimenti e dell'alcol), sorgeva una discussione e S., dopo essersi appartata in
bagno, avrebbe versato al C. un bicchiere di vino alterato con qualche sostanza per stordirlo e poter
così rubare in casa.
Le versioni dei fatti, narrate dalle parti, si fondano su alcuni elementi che, pur essendo di contorno,
assumono notevole rilievo, stante proprio l'assenza di testimoni presenti all'interno dell'alloggio.
Ed è su questi elementi che si sono - giustamente - dilungate le parti, cercando di dimostrare la
inverosimiglianza della versione sfavorevole e di indicare elementi di dubbio sulla rispettiva
credibilità.
Tali discrepanze riguardano:
- l'attività "professionale" della S.;
- l'acquisto di generi alimentari da parte di C., il luogo ed il tempo in cui è avvenuto;
- l'uso di sostanze alcoliche da parte della S.;
- la presenza sul luogo dei fatti della T. anche prima dell'avviso da parte dell'amica;
- la richiesta di aiuto della S., sia all'interno dell'alloggio sia verso le FFOO;
- la rottura del telefono della S. ed il momento in cui tale fatto è avvenuto;
- l'impossibilità di aprire la porta da parte della ragazza;
- la consegna di denaro dal C. alla S.;
- l'assenza di lividi, di segni sul corpo della ragazza e la rottura dei vestiti.
Il tutto con l'aggiunta della complessiva valutazione di credibilità delle rispettive versioni, se non
delle rispettive persone (a titolo di esempio e rispettivamente: la mancata indicazione della propria
reale professione da parte della S., da un lato; la ragione per la quale C. invita a casa propria la
ragazza, pur non volendo con essa consumare alcun rapporto sessuale). In realtà, tutte le
problematiche sopra indicate non portano a dubitare seriamente della versione offerta dalla parte
civile e dunque della prova sottesa all'accusa.
Innanzitutto, la mancata indicazione dell'aver svolto l'attività di prostituzione mediante inserzioni
sulla piattaforma informatica di B. non ha alcun reale significato ai fini del processo, apparendo
chiara la normale ritrosia della giovane donna di confermare, in aula, di aver svolto il meretricio.
Parimenti, la discrepanza su quanto affermato dalla S. in aula rispetto a quanto accertato dai
carabinieri in ordine a chi ha aperto la porta di casa del C. è agevolmente spiegabile con l'evidente
stato di choc nel quale si trovava la giovane. Davvero non è possibile non sottolineare come agli
occhi dei militari intervenuti nell'appartamento in esame la richiedente aiuto si trovasse in uno stato
di "terrore", certamente non simulabile con tali modalità (tremore, difficoltà a parlare, richieste di
aiuto immediato, urla dalla finestra). Ecco allora che un dettaglio come questo (chi ha aperto la porta
ai militari) possa essere stato dimenticato dalla donna, terrorizzata, quando anche neppure recepito
al momento stesso dei fatti.
Ancora, l'acquisto di generi alimentari presso il negozio sito nei pressi dell'alloggio di C. non è affatto
in contrasto con la narrazione della persona offesa che, anzi, lo ha subito detto: i due si sono fermati
a fare acquisto di generi alimentari per la cena. Il posizionamento del negozio, nei pressi del luogo
di incontro (B.) o dell'abitazione (S.) non ha il rilievo dirimente conferito dalla difesa, giacché
comunque per recarsi in tale luogo (un supermercato) la donna è salita nella macchina di C., per poi
recarsi a casa del medesimo.
Altre supposte aporie nella narrazione della persona offesa sono del tutto indimostrate. Ad esempio
- e proseguendo nell'elencazione di cui sopra - nessuno è stato in grado di dichiarare che S. ha bevuto
alcolici in casa di C.. Neppure il teste S., sulle dichiarazioni del quale si stende fortissimo il dubbio
di veridicità (la memoria "selettiva" del teste è parsa evidentemente sospetta), ha dichiarato di aver
visto la ragazza bere dal bicchiere posto sul tavolo.
Quanto al fatto che l'amica della S. si sia recata sul luogo assieme al proprio marito, non vi è traccia
di elementi di segno opposto; la difesa ha, anzi, avanzato il sospetto che T. fosse la sfruttatrice
dell'attività di prostituzione della S. (in tal senso veniva chiamata negli sms "mama") unitamente al
di lei marito, allontanatosi dal luogo proprio per tale motivo. Ma anche se cosi fosse, si toma al
ragionamento sopra indicato: il fatto che S. esercitasse il meretricio non priva di disvalore penale le
azioni commesse dall'imputato. E la presenza sul posto di T., chiamata in soccorso dall'amica, prova
che la donna fosse in pericolo, proprio nell'alloggio di C. ed a causa delle azioni da questo attuate.
Quanto poi alle richieste di soccorso da parte della persona offesa, davvero non si vede come sia
possibile smentire le testimonianze sia dell'amica T. sia, e soprattutto, dei carabinieri intervenuti sul
posto: tutti sentono una donna chiedere aiuto da una finestra e la vedono, affacciata, urlare.
Tale fatto smentisce completamente la versione dell'imputato (che afferma di essersi affacciato lui,
non la persona offesa) e conferma quella della S..
Al tempo stesso, priva di valore l'argomento difensivo circa il mancato ascolto, da parte della vicina
di casa, di urla o richieste di aiuto. La donna, infatti, non si è neppure accorta di ciò che invece è stato
ascoltato, dal piano strada, dalla T. e dai Carabinieri. Perché ciò non sia avvenuto è del tutto
insignificante: può essere che la vicina stesse ascoltando la musica o fosse in stanze diverse e magari
rivolte verso l'interno del palazzo o può essere anche non abbia fatto caso a nulla. Fatto sta che non
ha sentito le urla che S. ha rivolto ai militari.
Peraltro, la stessa audizione della S. in aula ha consentito di apprezzare la totale timidezza della
ragazza ed il suo tono di voce appena percettibile; può pertanto benissimo essere che le "urla" della
stessa non potessero giungere, attraverso i muri, al piano sottostante o che le minacce di C. l'abbiano
fatta desistere subito dalle richieste di aiuto.
Quanto al telefono, il display del quale si sarebbe rotto al primo episodio di aggressività di C., pare
evidente che l'uso dello stesso è stato comunque possibile, avendo la ragazza chiesto aiuto all'amica
proprio tramite tale telefono, inviando anche la propria posizione geolocalizzata. Non si vede
dunque quale elemento di contraddittorietà possa derivare da tale circostanza.
Resta da osservare, da un lato, che denaro non è stato trovato nella casa ma non è stato neppure
cercato né dentro l'alloggio né nella borsa della S., rimanendo pertanto elemento del tutto neutro al
fine di riscontrare le versioni di una piuttosto che dell'altra parte del processo.
Risultano invece vestiti rotti, come emerge dalle immagini fotografiche. Se è vero che la S. ha
descritto ima scena di violenza, è altresì vero che non si è trattato certamente di una rissa o di una
lotta senza esclusione di colpi. La minuta S. si è difesa da strattonamenti e da palpeggiamenti,
riportando la rottura degli abiti che indossava, fatto riscontrato dalle immagini fotografiche.
Ben più gravi, a voler cercare davvero elementi di dubbio, sono le aporie nel racconto dell'imputato.
Innanzi tutto, non si comprende la ragione per la quale C., dopo aver visto la S. ed avendola ritenuta
non all'altezza delle sue pretese estetiche prima ancora che sessuali, l'ha comunque portata a casa
propria. Sul punto l'imputato ha fatto confusamente riferimento ad una volontà umanitaria di
aiutare la ragazza a mangiare, offrendole la cena. Situazione davvero paradossale, dato che poi le
avrebbe anche dato soldi per una prestazione sessuale non consumata nè voluta e l'avrebbe poi fatta
rimanere a casa, pur sentendosi male.
Inoltre, si ricorda che C., nel tentativo di dare dimostrazione della sua totale mancanza di intenzioni
a scopo sessuale, ha anche detto di aver visto la S. in stato di gravidanza. Le imbarazzanti
giustificazioni offerte in aula per smentire il contenuto del verbale di interrogatorio lasciano
interdetti, tenuto conto non solo del fatto che l'imputato parla in modo corretto la lingua italiana (ed
è laureato, a sua detta, in lingue europee) ma che al momento dell'interrogatorio era presente anche
un traduttore; inoltre, il PM aveva insistito molto sul punto ottenendo una risposta netta.
S., lo si ricorda, non può più procreare avendo subito la legatura delle tube di F. e non può essere
incinta (oltre ad apparire, ad oggi, magrissima).
Del resto, la propensione a mentire in modo fantasioso da parte dell'imputato ha costellato tutte le
indagini preliminari ed è apparsa in tutta evidenza anche nel corso dell'esame dibattimentale.
Infine, davvero non si comprende perché S., che avrebbe avuto - secondo C. - intenzione di rapinarlo
o di sedurlo o comunque di estorcere denaro, dopo averlo addormentato (somministrandogli con il
vino una sostanza venefica della quale non vi è alcuna traccia in alcun luogo) avrebbe dovuto:
- rimanere in casa dell'imputato, che si sarebbe addormentato con televisione e musica accesa nella
propria camera da letto;
- inviare un messaggio con richiesta di aiuto all'amica T., mandandole anche la propria posizione;
- non rispondere più alle chiamate telefoniche dell'amica;
- affacciarsi dalla finestra (o dal balcone) e gridare aiuto per strada alla vista dei carabinieri.
Atteggiamenti davvero incomprensibili per una donna che, stando alla versione offerta
dall'imputato, era riuscita ad entrare in casa del sedotto con l'inganno e ad addormentarlo
somministrandogli sostanze venefiche.
Caso mai la S. avrebbe dovuto, infatti, perlustrare la casa, sottrarre ogni bene di valore e guardarsi
dall'attendere l'arrivo dei carabinieri; comunque giammai avrebbe dovuto chiamarli.
Ancora: C. non ha in alcun modo dichiarato, all'arrivo dei carabinieri o immediatamente dopo, di
sentirsi male o di essere stato "avvelenato" né ha chiesto di essere sottoposto ad analisi del sangue o
delle urine per dimostrare la presenza di sostanze stupefacenti nel suo organismo.
Se è vero che la prova degli elementi di accusa spetta al PM, quello degli elementi a discarico spetta
alla difesa e la somministrazione di sostanze stupefacenti, nell'ottica di cui si è detto, è certamente
un elemento la cui prova sarebbe spettata all'imputato.
Insomma, gli argomenti difensivi non fanno i conti con la realtà dei fatti emersi dal dibattimento.
È infine il caso di notare che anche ammettendo la veridicità del fatto che la porta di ingresso
dell'alloggio poteva essere chiusa solo dall'esterno e che era apribile dall'interno senza l'uso di chiavi
(altro elemento suggestivo non provato in modo certo, ma solo affermato, dalla difesa), comunque
sia S. per uscire avrebbe dovuto superare l'ostacolo insormontabile rappresentato dall'imputato che,
infatti, le ha impedito di uscire frapponendosi tra lei e l'uscita, strattonandola per allontanarla
dall'uscio.
Si deve inoltre tenere presente che nel lato interno della porta dell'alloggio è presente il c.d. "ferro
morto" (e dunque la porta avrebbe potuto essere chiusa anche dall'interno) e che la S. ha chiaramente
affermato di essere riuscita a liberarsi della presa dell'imputato solo per pochi istanti fino a quando,
appena prima dell'intervento delle FFOO, C. ha iniziato ad essere completamente ubriaco ed a
perdere contatto con la realtà. Ed è proprio per tale ragione che S. riesce, in un primo momento, a
chiamare l'amica e poi, dopo svariate decine di minuti, ad affacciarsi alla finestra e poi ad aprire la
porta.
La difesa di parte civile ha poi acutamente fatto notare che nessuno era in grado di conoscere i
precedenti penali del prevenuto in M. e che dunque S. non poteva in alcun modo "inventare" il
contenuto della minaccia profferita da C. ("io non ho paura di niente perché sono stato in carcere").
L'imputato, dunque, mente nuovamente affermando di non aver minacciato la ragazza e di non
averle neppure detto di essere stato in carcere. Pare invece evidente l'utilizzo, in funzione minatoria,
di precedenti penali o comunque delle precedenti esperienze carcerarie, effettivamente esistenti e
note solamente allo stesso C.
Una breve notazione meritano infine le valutazioni offerte dai testi a difesa in ordine a:
- la presenza di alcuni bicchieri lavati sul tavolo: la sorella dell'imputato, tornata a casa tre giorni
dopo i fatti avrebbe verificato che due bicchieri ancora presenti sarebbero stati lavati; tale fatto, in
uno con la presenza di ima bottiglia di vino vuota e l'altra piena di acqua, dimostrerebbero la callida
azione della S. volta alla cancellazione delle prove dell'avvelenamento di C.; non vi è in realtà alcun
elemento per poter sostenere che sia stata la parte civile a lavare i bicchieri ed a riempire la bottiglia
di acqua, anche ove tali fatti siano realmente esistenti e siano stati percepiti dalla sorella
dell'imputato ben tre giorni dopo i fatti;
- la chiamata di C. a S.: anche S. afferma che l'imputato ha parlato per alcuni minuti con qualcuno,
in lingua a lei non nota; la semplice presenza della telefonata nell'indice del cellulare del prevenuto
non ha alcuna efficacia dimostrativa di alcunché, tenendo anche presente le evidenti difficoltà del
teste nel momento in cui ha ricordato di aver effettuato una videochiamata ma di non essere in grado
di ricordare di cosa abbia parlato con l'imputato;
- lo stato di alterazione dell'imputato e la sua allocazione, in mutande e maglietta, nella camera da
letto posta proprio vicino all'ingresso, ben lungi dallo smentire la versione della S., ne costituisce
anzi formidabile riscontro; C. non è semplicemente "addormentato" come riferisce in sede di esame
dibattimentale, ma si trova in un evidente stato di ebbrezza, tanto che davanti ai militari non riesce
neppure a mettersi i pantaloni; ed è proprio grazie a tale stato di ebbrezza alcolica che la S. è riuscita
ad allontanarsi dalla camera da letto e ad affacciarsi per chiedere aiuto;
- l'assenza di referto del pronto soccorso non prova nulla, né in un senso né nell'altro; la stessa parte
civile non ha mai esposto di essere stata colpita con pugni o di aver riportato escoriazioni se non
lesioni.
Si deve poi ricordare che, se è vero che S. è parte civile nel processo ed ha interesse alla declaratoria
di penale responsabilità dell'imputato, le sue dichiarazioni sono nella sostanza rimaste sempre le
medesime, prive di aporie o contraddizioni, fatta eccezione per la comprensibile volontà di celare la
professione di prostituta. Inoltre, sono presenti plurimi riscontri estrinseci costituiti dal contenuto
delle chat di B. e di whatsapp intercorse con l'imputato e con l'amica nonché dal verbale di arresto
da parte delle FFOO che hanno colto, come detto, l'imputato nella flagranza del reato.
Quanto all'utilizzo degli screen shot o comunque delle informazioni ricavati dal cellulare
dell'imputato, non ignora il Collegio del recente arresto della Suprema Corte Sez. VI, 13/01/2025, n.
1269 secondo la quale "anche la messaggistica archiviata nei telefoni cellulari non può più essere
considerata alla stregua di un mero documento, liberamente acquisibile senza la garanzia
costituzionale prevista dall'art. 15 Cost., ma richiede l'assoggettamento alla disciplina dell*art. 254
cod. proc. pen. che impone la necessità di un provvedimento dell'autorità giudizi aria,
necessariamente motivato al fine di giustificare il sacrifìcio della segretezza della corrispondenza,
senza la possibilità di accesso diretto da parte della Polizia Giudiziaria, che ha solo il po tere di
acquisire materialmente il dispositivo elettronico ma senza accesso diretto al suo contenuto,
analogamente a quanto previsto per l'invio della corrispondenza postale dall'art. 254, comma 2, cod.
proc. pen., e fermo quanto disposto dall'art. 353 cod. proc. pen. sull'apertura dei plichi o di
corrispondenza con l'autorizzazione del pubblico ministero quando ciò sia necessario per
l'assicurazione elementi di prova che potrebbero andare persi a causa del ritardo.
Nel caso di specie, non vale osservare che l'acquisizione delle chat è avvenuta con il consenso di chi
aveva il diritto di disporne, atteso che trattandosi di una attività svolta dalla polizia giudiziaria nei
confronti di un soggetto, già gravato da elementi indiziari tali da giustificare l'acquisizione della
posizione di indaga o, il consenso che si assume essere stato prestato liberamente dall* indagato non
può supplire alla carenza di un provvedimento emesso dall'autorità giudiziarie, di autorizzazione
preventiva o di convalida successiva dell'atto di indagine possono in essere, invece, in totale
autonomia dalla polizia giudiziaria".
Tuttavia, nel caso di specie il telefono del prevenuto è stato consegnato proprio in presenza del
difensore ed analizzato in sede di interrogatorio nanti il Pm; non solo: i messaggi intercorsi tra
l'imputato e la S. sono stati comunque visti anche esaminando il cellulare della persona offesa, con
ciò evidentemente dovendosi ritenere superato il dictum - peraltro inserito ad abundantiam nella
citata sentenza - sopra riportato.
Preme sottolineare ancora una volta che non vi è alcuna ragione logica in forza della quale poter
affermare:
- che C. abbia condotto a casa propria la S. per una qualunque motivazione comprensibile e diversa
da quella di avere con lei un rapporto sessuale a pagamento
- ma anche (e soprattutto) che la ragazza, una volta fatta addormentare la supposta "preda" ormai in
sua completa balia, avrebbe dovuto rimanere nell'alloggio per poi chiedere aiuto sia all'amica sia - e
soprattutto - alle FFOO.
Non sussiste, allora, alcun ragionevole dubbio sulla responsabilità penale dell'imputato per i delitti
a lui ascritti ai capi 1) e 2) di imputazione.
Riguardo a tali fattispecie delittuose si concorda con le indicazioni fornite dal Pm in sede di
discussione.
Infatti, pare che le azioni sessualmente orientate poste in essere dal prevenuto, pur superando la
soglia del tentativo (avendo lo stesso attinto con le proprie mani non solo il pube della ragazza ma
anche il seno ed altre zone erogene) non configurino una grave intromissione nella sfera sessuale
della S..
La gravità della condotta descritta nel capo di imputazione riguarda l'azione complessivamente
intesa e non tanto la violenta azione realizzata sessualmente verso la ragazza. Tenuto conto delle
prette azioni (in sostanza toccamenti posti in essere con la forza) si stima corretto l'inquadramento
del delitto nella fattispecie di minore gravità, con la precisazione che la riduzione della pena non
potrà avvenire certo nella massima estensione proprio per la gravità della condotta
complessivamente considerata. Di ciò si dirà nel seguente paragrafo relativo alla quantificazione
della pena.
Quanto al secondo delitto contestato, il sequestro di persona, è il caso di osservare che non si verifica
alcun assorbimento del reato in quello di violenza sessuale, giacché l'azione è ben distinta ed non ha
riguardato unicamente la condotta volta a forzare l'intimità della S.. Anzi: C. impedisce alla ragazza
di uscire con il preciso intento di non farla più tornare (come da lui detto) dai suoi familiari, non solo
e non tanto per poter abusare sessualmente di lei quanto per farla rimanere nell'alloggio.
Si veda al riguardo Cass. sez. 2, Sentenza n. 4634 del 01/10/2020: "il delitto di sequestro di persona
concorre con quello di violenza sessuale, nel caso in cui la privazione della libertà personale si
protrae nel tempo anteriore o successivo alla costrizione necessaria a compiere gli atti sessuali".
Quanto al lasso temporale durante il quale il delitto è stato perpetrato, pare corretto affermare che
S. è stata privata della libertà di allocarsi autonomamente nello spazio allorché ha tentato di uscire
ed è stata trattenuta da C. fino al momento in cui sono entrati i CC nell'alloggio. La mera richiesta di
aiuto telefonica all'amica e le urla alla finestra non hanno, infatti, reso la libertà alla S., che è riuscita
a uscire dalla casa solamente nel momento in cui i militari hanno aperto la porta.
6.- La pena ed il risarcimento: quantificazione.
I reati in contestazione sono certamente avvinti dal nesso di continuazione, essendo stati posti in
essere in esecuzione del medesimo disegno criminoso, all'interno di un unico contesto spazio
temporale. Reato più grave, pur tenendo conto della riduzione per la circostanza ad effetto speciale
come sopra riconosciuta, è quello di cui all'art. 609 bis c.p..
Al riguardo è possibile procedere alla riduzione della pena anche se non nella misura massima di
due terzi tenuto conto, comunque, del fatto che S. è stata costretta a rimanere nella casa dell'imputato
con la forza ed a subire ripetutamente dei veri e propri "assalti" finalizzati ad ottenere un rapporto
sessuale. Se è dunque vero che, alla fine, l'azione sessuale si è ridotta a toccamenti delle zone genitali
e del seno, ciò è avvenuto solo grazie alla reazione della ragazza ed all'evidente stato confusionale
nel quale, alla fine (dopo l'abuso di alcol), è incorso C..
All'imputato non possono essere riconosciute attenuanti di sorta, non tanto per la già intercorsa
valutazione favorevole delle azioni intrusive ai sensi dell'art. 609 bis comma 3 c.p., quanto per
l'atteggiamento palesemente menzognero tenuto nel corso delle indagini e del processo.
C. non si è limitato, in effetti, a mentire per essere assolto dalle gravi accuse (con ciò esercitando un
suo pieno diritto: quello di mentire), ma ha accusato falsamente S. di avergli somministrato un
sonnifero o altra sostanza venefica e, in effetti, di aver tentato di rapinarlo o di truffarlo o comunque
di estorcergli denaro. Difesa, quella esercitata nel corso del dibattimento dall'imputato, posta in
essere con modalità davvero maldestre quando anche non offensive della Pubblica Accusa, tacciata
di aver falsamente riportato le sue dichiarazioni in sede di interrogatorio e di aver dunque portato
all'attenzione del Collegio un elemento falso. Valutati dunque gli elementi di cui all'art. 133 c.p. ed
in particolare il dolo intenso che ha mosso il prevenuto, la durata dell'azione violenta, il contegno
tenuto dopo i fatti (con la più completa assenza di resipiscenza od offerta di risarcimento), si stima
equa la pena di anni tre di reclusione. A tale pena deve essere aggiunta quella per il delitto di
sequestro di persona che si stima equo determinare in ulteriori mesi tre di reclusione, per la pena
finale di anni 3 e mesi 3 di reclusione.
Alla declaratoria di penale responsabilità consegue:
- la condanna al pagamento delle spese processuali;
- l'applicazione delle pene accessorie di cui all'art. 609 nonies c.p. e segnatamente quelle di cui al
comma 1 numero 4) (interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque,
essendo la pena per il delitto di cui al 609 bis comminata per anni tre); non vi sono invece elementi
per poter dichiarare l'imputato pericoloso socialmente ed applicare conseguentemente la misura di
sicurezza indicata in tale articolo;
- la condanna al risarcimento del danno alla parte civile costituita; la relativa quantificazione deve
essere rimessa al Giudice civile, non essendo emersi nel processo elementi sufficienti per una
compiuta valutazione di tutte le poste di danno risarcibili; è invece certamente possibile accogliere
la richiesta di provvisionale avanzata in sede di conclusione dalla difesa, con corretta indicazione
della somma di Euro 5.000,00 a titolo di ristoro immediato dei danni, certamente maggiori, subiti
dalla ragazza in conseguenza dei delitti di cui si tratta;
- la condanna alla rifusione delle spese legali sostenute non già dalla parte civile quanto dall'Erario,
essendo la S. stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e dovendo dunque i denari essere versati
ex art. 110 TUSG.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara C.V. responsabile dei delitti a lui ascritti e, ritenuta l'attenuante
di cui all'art. 609 bis comma 3 c.p., unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna
alla pena di anni tre e mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Dichiara l'imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Condanna l'imputato a risarcire il danno provocato alla parte civile, S.A.G., rimettendo le parti nanti
al competente Giudice civile per la relativa quantificazione. Concede provvisionale di Euro 5.000,00
in favore della predetta parte civile.
Condanna, infine, l'imputato al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa in giudizio della
parte civile per l'importo di Euro 2.500,00 oltre 12,5%, IVA e CPA, disponendone il pagamento in
favore dello Stato ex art. 110 D.P.R. n. 115 del 2002.
Genova, 28.1.2025
La Corte d'Appello di Genova, con sentenza n. 1594 del 20.06.2025 conferma la presente sentenza in
data 28.01.2025 appellata dall'imputato C.V. che condanna al pagamento delle spese processuali di
questo grado del giudizio e delle spese sostenute dalla Parte Civile, che liquida a favore dello Stato
in Euro 724,87 oltre IVA e CPA.
Conclusione
Così deciso in Genova, il 15 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2025.
Avv. Antonino Sugamele

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