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Sentenza

Il recepimento dell’accordo quadro 909/2008/Gai a opera del Dlgs 161/2010 fa sì che che le norme in esso contenute abbiano natura speciale rispetto a quelle del codice di procedura penale e quindi su quest’ultime prevalenti.
Il recepimento dell’accordo quadro 909/2008/Gai a opera del Dlgs 161/2010 fa sì che che le norme in esso contenute abbiano natura speciale rispetto a quelle del codice di procedura penale e quindi su quest’ultime prevalenti.
Il recepimento dell’accordo quadro 909/2008/Gai a opera del Dlgs 161/2010 fa sì che che le norme in esso contenute abbiano natura speciale rispetto a quelle del codice di procedura penale e quindi su quest’ultime prevalenti. Cosicché in materia di reciproco riconoscimento in ambito Ue delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione in uno Stato membro cosiddetto di esecuzione sono da applicare le norme di derivazione sovranazionale, compresa la tutela del diritto alla traduzione dei documenti provenienti dallo Stato di trasmissione che richieda all’Italia di eseguire la pena.

La Cassazione penale ha infatti rigettato - con la sentenza n. 33544/2025 - il ricorso che riteneva leso il diritto difesa del ricorrente per il quale il Belgio chiedeva l’esecuzione in Italia della condanna inflitta da un suo giudice nazionale, perché la richiesta era stata inoltrata con il certificato della sentenza in lingua italiana senza però la versione tradotta della relativa decisione.

Per tale mancanza la difesa sosteneva l’illegittimità dell’ordinanza che aveva accolto la richiesta di esecuzione per violazione degli articoli 730 e 731 del Cpp. Ciò che non poteva essere in quanto al caso di specie va applicata non la norma codicistica generale sulla procedura da seguire in caso di richiesta di esecuzione di una sentenza straniera di condanna bensì la norma speciale recata dall’articolo 12 del Dlgs 161/2010 che esplicitamente regola il caso che la fattispecie ricada dentro l’accordo europeo recepito.

Ebbene, l’articolo citato detta esplicitamente come presupposto di completezza e quindi di legittimità della richiesta, che questa sia corredata dal certificato della sentenza debitamente tradotto in lingua italiana e chiaramente dal testo della sentenza senza specificare o richiedere che anch’essa sia stata tradotta prima della trasmissione al Ministero e poi alla Corte d’appello. A riprova che non sussista il vulnus lamentato per la mancata trasmissione iniziale della sentenza straniera in versione italiana, la norma prevede che questa potrà essere ottenuta se il giudice lo ritenga necessario per il proprio esame con precisa richiesta allo Stato di emissione e fissando un termine congruo per riceverla. Ma a riprova che l’iniziale mancanza della traduzione dell’intera sentenza non sia necessaria va sottolineato che nella sua richiesta di traduzione il giudice italiano può limitarsi anche alle sole parti essenziali o ritenute tali della decisione straniera da eseguire nel nostro territorio. Addirittura la richiesta può limitarsi a domandare una riscrittura del certificato della sentenza. Ciò che dimostra che è questo l’unico documento di cui fondamentalmente l’autorità straniera sia tenuta a fornirne dall’inizio la versione tradotta in italiano.

Quindi, in un caso simile va applicata la disposizione contenuta nel comma 3 dell’articolo 12 del Dlgs 161/2010 che esplicitamente afferma: in caso di incompletezza del certificato, di sua manifesta difformità rispetto alla sentenza di condanna o comunque quando il suo contenuto sia insufficiente per decidere sull’esecuzione della pena o della misura, la corte di appello, anche tramite il Ministero della giustizia, può formulare richiesta allo Stato di emissione di trasmettere un nuovo certificato o la traduzione in lingua italiana della sentenza di condanna, o di parti essenziali della stessa, fissando a tale scopo un termine congruo.
Avv. Antonino Sugamele

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