Telefonini all'interno di un pallone. Casa Circondariale di Trapani
Cassazione sez.Penale Sent. Sez. 6 Num. 33534 Anno 2025 Presidente: COSTANZO ANGELO Relatore: DI GIOVINE OMBRETTA Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.D. , nato il a ;
F. R. nato il a ;
I. V. nato il ... a ...
avverso la sentenza del 05/12/2024 dalla Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta Di Giovine;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Raffaele Piccirillo, che chiede l'annullamento con rinvio della sentenza per D.
M., l'inammissibilità per R. F. e il rigetto per V.I.;
udita l'Avvocato Lina Caputo, in sostituzione dell'Avvocato Chiara Bonafede, in
difesa di V.I., che insiste per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Palermo confermava la
condanna di D.M. e R.F. per il reato di cui all'art. 391-ter
commi 1 e 3, cod. pen. (capo 16), perché, in concorso tra loro, organizzavano e
realizzavano, tramite il lancio di un pallone da calcio modificato in modo da
contenere telefonini, l'ingresso illecito di tali dispositivi all'interno del carcere.
Confermava altresì la condanna di V.I. per i reati di cui all'art. 73,
commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 18) e agli artt. 73, commi 1 e
4; 80, lett. g) d.P.R. n. 309 del 1990 cit. (capo 19), perché, in concorso con altri,
consegnava lo stupefacente ad altra persona per farlo entrare in carcere e farlo
consegnare ad un detenuto.
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso gli imputati.
3. D. M. ha articolato, per il tramite dell'Avv. Bartolo Guggino, cinque
motivi.
3.1. Violazione della legge penale quanto all'utilizzabilità delle intercettazioni
ritenute fondanti la responsabilità penale del ricorrente in quanto corpo del reato
e correlato vizio di motivazione.
Il Giudice di primo grado aveva ritenuto inutilizzabili le captazioni effettuate
tra il 16 e il 27 febbraio del 2022, sia alla luce dell'art. 270 cod. proc. pen. sia
quali corpo del reato, ed invece utilizzabili come corpo del reato le intercettazioni
captate la sera del 28 febbraio 2022, fondando su di esse la responsabilità del
ricorrente.
La Corte d'appello ha confermato pedissequamente le motivazioni di primo
grado, senza confrontarsi con le deduzioni difensive che evidenziavano come le
conversazioni non fossero coeve al lancio (la prima conversazione captata aveva
avuto luogo alle 23:21 ed era durata tre minuti e 44 secondi; alle 23:28
F. R. lasciava un sacchetto tra le sterpaglie nel lato nord-est del carcere; la
seconda captazione era successiva alle 23:28; F. dava corso alle operazioni
di lancio che, però, per ben 5 volte andavano a vuoto, e non riusciva quindi a far
passare la palla al di là del muro di cinta; solo al sesto tentativo il pallone non
tornava indietro). Il lancio si verificava dopo ben sei tentativi: a prescindere dalle
indicazioni fornite a R. F. che, non per nulla, effettuava più giri di
perlustrazione prima di procedere al lancio.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione.
La difesa aveva già dedotto come, anche a ritenere che le captazioni del 28
febbraio 2022 fossero utilizzabili, dalle stesse si inferiva che:
- era N.F. ad a interloquire con R. F., fornendo le
indicazioni per il lancio del pallone;
- le frasi attribuite a M., in larga parte incomprensibili, sembravano
rivolte più a N. F., e comunque erano reiterative di quanto dallo
stesso affermato, se non addirittura interrogative o meramente descrittive
di quanto stava accadendo;
- l'intera organizzazione ed esecuzione del reato era maturata in ambiente
vicino a N. F..
Il contributo di M. non rileva, dunque, causalmente, neppure come
concorso morale.
3.3. Violazione dell'art. 391-ter cod. proc. pen., quanto alla sua ritenuta forma
consumata e vizio di motivazione.
La Corte di appello non ha risposto alla deduzione difensiva per cui il reato
avrebbe dovuto essere configurato, al più, nella forma tentata.
I telefoni non giunsero mai nella disponibilità dei detenuti, poiché furono
rinvenuti nel pallone lanciato dentro il carcere.
La difesa aveva inoltre eccepito come il mero lancio del pallone non potesse
nemmeno integrare l'elemento dell'introduzione, visto che l'azione si era arrestata
ad una fase precedente. L'ipotesi accusatoria è infatti costretta a supporre che:
nessuno si accorgesse del lancio; il detenuto sarebbe stato autorizzato ad uscire
dalla cella per recarsi in infermeria; quindi, si sarebbe potuto recare all'esterno
per recuperare il pallone e poi fare tappa in infermeria e ritornare, infine, nella
cella. Il tutto senza che nessun agente di polizia penitenziaria notasse tali
movimenti.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento
sanzionatorio.
La mancata considerazione del carattere marginale della condotta e l'omessa
qualificazione del fatto in termini di mero tentativo ha determinato l'applicazione
di una pena sproporzionata (due anni e sei mesi di reclusione).
3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dichiarazione di
delinquenza abituale e all'applicazione della misura di sicurezza della libertà
vigilata per due anni.
Era già stato dedotto come la dichiarazione di delinquenza abituale ex art.
103 cod. pen. difettasse di adeguata motivazione, ma anche la Corte d'appello ha
eluso il principio di diritto che richiede, oltre alla sussistenza di almeno due
condanne pregresse, il puntuale ed analitico riferimento alla specie dei reati posti
in essere e all'arco temporale in cui gli stessi sono stati realizzati, dovendo la
valutazione essere svolta in concreto.
Invece, nel caso di specie, non soltanto la motivazione ha riguardato entrambi
gli imputati, ma non si è fatto alcun riferimento alle condanne riferibili a M. al
momento della pronuncia, risultando illo tempore svariate condanne irrevocabili e
non, fra loro omogenee e ravvicinate nel tempo, suscettibili, al più, di configurare
una recidiva ovvero la continuazione fra reati.
Difettando i presupposti per la dichiarazione di delinquenza abituale, viene
meno anche la legittimità della libertà vigilata.
Né la Corte d'appello si è confrontata con la deduzione difensiva per cui la
condotta di M. poteva condurre, al più, ad un giudizio di pericolosità sociale
affievolito e quindi all'applicazione di una misura di sicurezza meno afflittiva.
4. R. F., per il tramite dell'Avvocato Antonio Leone, ha dedotto
tre motivi.
4.1. Errata applicazione dell'art. 391-ter cod. pen. e vizio di motivazione.
Premesso che l'imputato era condannato ex art 391-ter, commi 1 e 3, cod.
pen. perché, in concorso con altri, tramite lancio di un pallone da calcio, avvenuto
il 1 marzo 2022, consentiva l'ingresso illecito di cinque cellulari, posti all'interno
dello stesso pallone, nella casa di reclusione di Trapani, in favore di detenuti N.
F. e D. M. i filmati delle telecamere poste a sicurezza dell'istituto
non sono chiari e non consentono di individuare con certezza l'autore del lancio.
Neppure risulta che l'imputato fosse a conoscenza del contenuto del pallone.
4.2. Violazione di legge quanto alla utilizzabilità delle intercettazioni.
Le intercettazioni hanno ad oggetto dialoghi generici dal cui contenuto non è
possibile desumere elementi di prova significativi. Anche le immagini di
videosorveglianza sono distanti, poco nitide e non consentono di stabilire con
certezza quale fosse la condotta tenuta dall'imputato, né di desumerne la
consapevolezza del contenuto del pallone.
4.3 Violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica del fatto.
Non essendo provata la conoscenza del contenuto del pallone, il fatto avrebbe
dovuto essere qualificato come favoreggiamento.
5. Ha presentato ricorso V. I., eccependo, con un unico motivo,
per il tramite dell'avvocato Simone Bonanno, violazione di legge e vizio di
motivazione riguardo alla mancata riduzione dell'aumento per la continuazione.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto un aumento per la
continuazione superiore a quello consentito dalla legge (aumento a mesi 59 di
reclusione su una pena di 40 mesi).
Alla specifica deduzione la Corte d'appello si è limitata a replicare che il
Giudice di primo grado ha applicato all'imputato una pena certamente congrua e
anzi benevola in relazione alle modalità della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di D.M. è infondato.
1. Infondato è il primo motivo di ricorso, sull'inutilizzabilità delle
intercettazioni.
Sul punto si premette che, nel corso di intercettazioni autorizzate nei confronti
di D.M. e N. F., detenuti nel carcere di Trapani, per vicende
di natura corruttiva che li avevano visti coinvolti insieme ad un assistente di polizia
penitenziaria (poi deceduto), erano emersi elementi di prova relativi alla
commissione del reato di cui all'art 391-ter cod. pen., essendo stato organizzato
un meticoloso piano per introdurre nel carcere dei telefonini mediante il lancio di
un pallone appositamente modificato in modo da contenerli.
La Corte di appello ha condiviso la valutazione in primo grado sulla
inutilizzabilità delle conversazioni comprese tra il 16 e il 27 febbraio 2022, in
ragione dei limiti edittali dell'art. 391-ter cod. pen., che non consentono le
intercettazioni per tale reato.
Invece, i Giudici di entrambi i gradi di giudizio di merito hanno ritenuto
utilizzabili le captazioni nella notte del 28 febbraio 2022, dalle quali emergeva
come N. F. e D. M. avessero letteralmente guidato il lancio del
pallone compiuto da un terzo imputato (R.F.) dall'esterno del carcere,
fornendogli "in diretta" una serie di coordinate, risultate essenziali alla riuscita
dell'operazione, volte far sì che il pallone cadesse in una zona in cui i complici
interni avrebbero potuto recuperarlo (impossessandosi, quindi, dei telefonini). E a
tale conclusione sono giunti sulla base del presupposto che tali indicazioni verbali,
di per sé integranti reato, ne costituissero "corpo" (e non mera prova): vale a dire,
richiamando Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, Floris, Rv. 259776, secondo cui la
comunicazione o conversazione oggetto di registrazione costituisce corpo del
reato, unitamente al supporto che la contiene, allorché essa integri ed esaurisca
la fattispecie criminosa.
Tanto chiarito, e precisato che una siffatta lettura - la quale assume che il
fatto ascritto a M. si esaurisca in un concorso morale - non esorbita # dato
testuale della citata sentenza Sez. U Floris (non specificamente calibrato sulle
ipotesi di concorso di persone in cui il contributo causale sia fornito in forma
morale) né appare manifestamente irragionevole, il ricorrente si limita a
richiamare nominalmente a tale arresto giurisprudenziale nell'intitolazione del
motivo. Mentre, nella parte descrittiva, evidenzia soltanto ipotetiche discrepanze
temporali, nell'intento di dimostrare che le indicazioni fornite da M. non fossero
coeve al lancio (finale, alcuni tentativi non essendo andati a buon fine) e non
potessero avere, per tale ragione, efficacia causale: ciò, in contrasto con quanto
motivatamente accertato - lo si è in precedenza riferito - nei due gradi di giudizio
di merito.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, poiché propone una lettura
alternativa rispetto a quella logicamente e compiutamente motivata in sentenza,
ove si chiarisce in termini testuali che le indicazioni sul lancio del pallone,
contenente cinque dispositivi, provennero, oltre che da N. F., altresì da
D.M. il quale, dunque, non risulta certamente estraneo al fatto.
1.3. Il terzo motivo è infondato, oltre che reiterativo di eccezioni cui il Giudice
di secondo grado ha fornito risposta adeguata.
Sul punto si precisa quanto segue.
Premesso che a M., nel capo di imputazione, erano ascritti i commi 1 e 3
dell'art. 391-ter cod. pen., è vero che egli mai entrò nella disponibilità dei
dispositivi, previamente intercettati dalla polizia penitenziaria, una volta atterrati
sul suolo carcerario. Tuttavia, come precisato dai Giudici dell'appello, ciò nulla
toglie alla sua responsabilità, in qualità di concorrente, nel reato di cui all'art. 391-
ter, comma 1, cod. pen.
L'impostazione difensiva è, infatti, costretta ad assumere che il concetto di
"introduzione" includa la disponibilità e cioè la concreta possibilità di usare il
dispositivo, il che, nel caso di specie, non avvenne, con la conseguenza che -
secondo la tesi difensiva - il fatto avrebbe dovuto essere comunque qualificato in
termini di mero tentativo. In tal modo, però, si suggerisce un'interpretazione non
soltanto non obbligata, ma forse nemmeno consentita del testo legislativo
dell'accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti
detenuti (art. 391-ter, comma 1, cod. pen.) che, nell'intento di coprire la più ampia
area dei comportamenti tesi ad eludere il rispetto della disciplina penitenziaria,
descrive plurime fattispecie tra loro alternative: tra cui una a dolo specifico e a
consumazione anticipata rispetto alla "messa a disposizione" (punendo, in
particolare, tra l'altro chi, fuori dei casi previsti dall'articolo 391-bis, indebitamente
«introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di
renderlo disponibile a una persona detenuta»).
Sul punto, è appena il caso di aggiungere, in modo incidentale - il rilievo non
è svolto in sede difensiva -, che tale lettura, affatto testuale, non è preclusa dalla
considerazione del terzo comma dello stesso articolo, là dove punisce il detenuto
che «riceve o utilizza» i dispositivi in oggetto e che sembra dunque richiedere una
compiuta "messa a disposizione" degli stessi. Nulla esclude che l'ipotesi di reato
di cui all'art. 391-ter, comma 3, cod. pen. possa essere integrata al di là del previo
concorso nel primo comma, quante volte il detenuto si veda recapitato un
dispositivo la cui introduzione in carcere sia stata progettata e/o realizzata da altri
(attraverso tale previsione, il legislatore sembra, anzi, voler chiudere il cerchio di
una tutela "a campo largo").
Alla luce di quanto osservato, risultano dunque infondate le deduzioni
difensive volte a relegare la rilevanza della condotta di M. nell'area del mero
tentativo che, peraltro, il ricorrente sembra addirittura voler escludere, negando
l'idoneità degli atti e sostenendo che la condotta si sarebbe arrestata alla fase
preparatoria (laddove, l'idoneità andrebbe pacificamente valutata ex ante, e non
ex post, come argomentato nel ricorso).
1.4. Ne discende l'infondatezza altresì del quarto motivo di ricorso.
1.5. Quanto al quinto motivo di ricorso, la Corte d'appello ha replicato alle
deduzioni difensive che la dichiarazione di abitualità nel reato «appare ben
giustificata alla luce dei plurimi precedenti penali gravanti sul M.», così come
sulla scorta di tali plurimi precedenti penali ha considerato giustificata
l'applicazione, nei suoi confronti, della misura di sicurezza.
La motivazione è sufficiente, anche alla luce della più ampia argomentazione
della sentenza di primo grado (che con quella impugnata, trattandosi di c.d.
"doppia conforme", forma un unico corpo decisionale:
Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), ove si trova precisato che la
lunghissima serie di precedenti penali, anche di rilevante gravità, commessi
dall'imputato, comprende rapine, violazioni in materia di misure di prevenzione e
violazioni in materia di stupefacenti, e si aggiunge che l'evidente tendenza al reato
nonché l'avere l'imputato improntato la propria esistenza alla commissione
costante di delitti, peraltro di varia tipologia, ne evidenziano l'altissima pericolosità
sociale, nemmeno frenata dallo stato di detezione inframuraria, concludendo
coerentemente per la dichiarazione di delinquenza abituale, ai sensi dell'art. 103
cod. pen.
1.6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
2. Il ricorso di R.F. è inammissibile.
2.1. I primi due motivi sono inammissibili in quanto declinati in fatto e
contrastanti con la ricostruzione motivatamente operata nei due gradi di giudizio
di merito (nella sentenza di primo grado le immagini che ritraggono il ricorrente
sono addirittura definite «di inusuale chiarezza»).
Né, stante il livello di ardimento dell'impresa, può dubitarsi che l'imputato ne
conoscesse i dettagli, compresa la natura del contenuto del pallone che fu
chiamato a lanciare, sicché il dolo non può essere negato.
2.2. Conseguentemente infondato, in modo manifesto, è poi il terzo motivo
di ricorso, sulla qualificazione giuridica del fatto, che si vorrebbe identificare in un
favoreggiamento: ipotesi peraltro eccentrica, vieppiù considerato che R.F.
integrò la tipicità dell'art. 391-ter, comma 1, cod. pen., rispetto alla quale
gli altrui comportamenti sono stati ascritti in concorso, e non una condotta
successiva al reato commesso da altri (il favoreggiamento dovendo per contro
essere post crimen patratum).
2.3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle
somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle
ammende, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen.
3. Anche il ricorso di V.I. è inammissibile.
3.1. Premesso che l'illiceità dell'aumento in continuazione è stata dedotta in
termini - quelli testualmente riferiti nel "ritenuto in fatto" - del tutto generici sia
in questa sede sia, prima, davanti al giudice dell'appello, ad ogni conto, va
ricordato che, ai sensi dell'art. 81, comma quarto, cod. pen., l'aumento della
quantità di pena non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il
reato più grave e che, come si evince dalla sentenza di primo grado (la cui
motivazione, come ricordato, integra quella della pronuncia impugnata,
trattandosi di "doppia conforme"), ad Ingrassetto è stata riconosciuta la recidiva
reiterata specifica infraquinquennale.
Il calcolo operato da quei Giudici (anni 2 di reclusione ed euro ed euro
5.400,00 di multa, aumentati di 2/3 per la recidiva qualificata, quindi sino a 40
mesi ed euro 9.000.000; ulteriormente aumentati per la continuazione ex art. 81
quarto comma cod. pen. a 59 mesi ed euro 12.000, con finale riduzione per il rito
a 3 anni ed euro 8.000,00) e giudicato benevolo in secondo grado, si sottrae,
pertanto, a censure in sede di legittimità.
3.2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle
somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle
ammende, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso Di M.D. e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di F.R. e di
I.V. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/09/2025
29-10-2025 21:09
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