Stalking e lesioni nella relazione tossica (Cp articoli 576, 582, 585 e 612-bis; Cpp articoli 533, 535, 538, 539 e 541; Cost. articolo 25)
I messaggi offensivi indirizzati alla compagna e l’atteggiamento aggressivo tenuto dall’imputato il quale aveva ammesso di aver colpito il di lei padre con un calcio al petto, a seguito di una discussione legata ad una relazione tossica, segnata da frequenti litigi, gelosia e atteggiamenti di controllo del secondo, sono da inquadrare penalmente nel reato di stalking.
Tribunale Nola, penale, sentenza 15 gennaio 2025 n. 38
Quanto ai riscontri documentali alla versione dei fatti di causa fornita dalla p.c., vanno richiamati il
referto medico A.S. del 5.01.2024 ed il CD contenente le conversazioni WhatsApp tra la p.c. e
l'imputato.
Partendo da queste ultime, e considerando quelle dal 20.10.2024 in poi (atteso il periodo di
contestazione in data prossima ed antecedente al 25.10.2024), dalle stesse emerge sicuro riscontro
del dato (evidenziato dalla p.c. e dalla sorella C., nonché dall'imputato medesimo) che gli alterchi
tra A. ed il prevenuto trovavano la loro causa nei disaccordi riguardanti la gestione del bambino, per
poi ricadere quasi sempre sui loro rapporti personali.
Esemplificativamente sul punto, dai messaggi WhatsApp scambiati dalla p.c. e dal L. in data
20.10.2024, si evince come i due avessero iniziato a discutere per il fatto che la prima, impegnata a
lavoro, non era andata a prendere il bambino a scuola né era tornata a casa, data la disponibilità
della di lei madre ad occuparsi del piccolo (dal file _chat.txt, in atti: "20/10/23, 14:09:56 M.: Io non mi
faccio nessun film ma se a luna non stavi sul negozio e ora sono le 2 potevi anche andare da tuo
figlio"; "20/10/23, 14:10:40 A.: Ma io stavo al negozio 20/10/23, 14:10:49 A.: Infatti ti ho detto che non
andavo io perché dovevo lavorare"; "20/10/23, 14:12:52 M.: Se tu a luna non stavi al negozio e non
sei andato a prendere A. perché stava con tua madre che avevi un ora per prenderlo?"; "20/10/23,
14:13:06 A.: M. ma nun capisc 20/10/23, 14:13:11 A.: Io stavo al negozio 20/10/23, 14:13:15 A.: Mia
mamma stava a casa 20/10/23, 14:13:21 A.: Oggi usciva prima").
Nella serata dello stesso giorno, poi, M. videochiamava A. per vedere il bambino, ma, poiché lei non
gli rispondeva, iniziava a rimproverarle di dover aspettare "i suoi comodi" per poter parlare con il
figlio (alludendo al fatto che l'ex compagna avesse di nascosto altre frequentazioni). La p.c., in tutta
risposta, gli rimproverava che era lui a frequentare altre persone. A tal proposito, A. inviava a M.
una foto, postata da un'altra ragazza, nella quale si intravedono il tavolo di un bar ed il braccio
tatuato di un ragazzo, che la p.c. sosteneva essere il L. (dal file _chat.txt, in atti: "20/10/23, 19:07:36
M.: Ann ma k sa da fa p vre a stu criatur 20/10/23, 19:07:39 M.: Fam capi 20/10/23, 19:08:05 M.: Pe caz
tuoj staj Ca' ngop p m fa vre a figlm i a chi a già asptta e cazz tuoj? 20/10/23, 19:08:54 M.: Tu t arrtir e
9 i a già asptta e 9 a ser fam capi 20/10/23, 19:10:24 M.: Nun e normal c staj Ra Matin a ser Ca' ngop
e po' Nun rispun tu tien e caz tuoj a fa a me poco mi importa delle tue cose 20/10/23, 19:10:31 M.: T
Ric a verita 20/10/23, 19:10:42 M.: Mo a chi a già chiama p mo fa vre 20/10/23, 19:10:56 M.: E caz tuoj?
O Ca' già fa fam sent 20/10/23, 19:11:14 M.: Mo a bontà a staj piglian p scimita e Nun jam buon o frat
20/10/23, 19:20:30 A.: Ecco qua 20/10/23, 19:20:47 A.: Mo amm luvat o burdell a miezz" "20/10/23,
19:21:06 M.: E che 20/10/23, 19:21:18 A.: Ti interessi di con chi posso uscire io 20/10/23, 19:21:19 A.: E
tu 20/10/23, 19:21:22 A.: allegato: 00026195-PHOTO-2023-10-20-19-21-22.jpg 20/10/23, 19:21:27 A.:
Ridiculeeeeasssss"; "20/10/23, 19:22:03 M.: Vedi bene 20/10/23, 19:22:08 A.: M. e il tuo braccio 20/10/23,
19:22:10 M.: Non mi chiamo A. 20/10/23, 19:22:11 A.: Ma c stai dicen 20/10/23, 19:22:15 M.: Vedi
bene").
Si percepisce, dunque, come effettivamente i litigi tra la V. e l'imputato, anche quando principiavano
da motivi legati al figlio, finivano sempre per ricadere sui loro rapporti personali, in un vortice di
controllo e gelosia, per vero non unilaterale, bensì reciproco.
Tale tenore ripercorre tutte le successive conversazioni riportate nel file in atti, sino a quella del
25.10.2023, strettamente connessa all'episodio da cui prendono avvio i fatti in questa sede contestati
al L..
Ebbene, compatibilmente a quanto riferito a tal proposito dalla V., dai messaggi WhatsApp
scambiati con il L. in data 25.10.2023, si evince come questi lamentasse di aver dovuto chiamare la
madre della p.c. per avere notizie del figlio, benché quest'ultima avesse utilizzato il cellulare fino alle
4:00 del mattino (dal file _chat.txt, in atti: "25/10/23, 07:25:54 M.: A. non è per sapere le tue cose e né
tanto meno niente ma io per sapere di mio figlio devo chiamare tua madre quando poi ti ho mandato
un messaggio e devo vedere che fai le 4 del mattino qui sopra A. staj esageran 25/10/23, 07:25:57 M.:
Ma over 25/10/23, 07:29:44 M.: Non farmi arrivare al punto di fare questioni già sono 3 volte che te
lo detto p me può fa a sgagl quando vuoi tu e puoi fare quello che vuoi ma con rispetto come io te
lo porto.. pke mo bast io devo essere al corrente di tutto di mio figlio no ci sent e 8 a ser e basta. Lo
sapevo Ca' stiv nguaiat ma no a questi livelli. T parlo chiaro e come vedi facendo quest ora qui sopra
Nun Mag muzzcat a lingua o tniv a ret a Port o ganc o Nun te Maj spartut. Ma a me Nun m n Fot o
problem e figlm. Vir com vuoi fare ma non mettermi in condizioni di sbagliare. Perché te lo sto
dicendo da 10 giorni 25/10/23, 07:33:22 M.: Chiamata vocale persa 25/10/23, 08:35:16 M.: Tu a forza
mi vuoi fare sbagliare 25/10/23, 08:35:29 A.: allegato: 00026986-PHOTO-2023-10-25-08-35-29.jpg
25/10/23, 08:35:45 A.: S.A. si è svegliato e ho visto che avevi mandato dei messaggi e li ho aperti
25/10/23, 08:35:50 A.: Ma che parli a fare sempre a vuoto 25/10/23, 08:35:53 A.: Senza sapere le cose).
In quest'occasione, dunque, con toni intimidatori ("non farmi arrivare al punto di fare questioni";
"non mettermi in condizioni di sbagliare"; "tu a forza mi vuoi fare sbagliare"), il prevenuto contattava
l'ex compagna, sollevando questioni in effetti riguardanti il figlio, ma perpetrando, attraverso le
stesse, un'insidiosa intrusione nella vita privata della p.c. ("devo vedere che fai le 4 del mattino qui
sopra, A. stai esagerando"; alludendo ad un altro uomo: "tu lo tenevi dietro la porta ... o non ti sei
mai separata. Ma a me non interessa il problema è mio figlio").
Nonostante A. gli rispondesse di non voler parlare con lui, sempre attraverso WhatsApp, M. le
comunicava che si sarebbe recato presso casa sua, per avere spiegazioni e per prendere con sé il
bambino.
Si osservi, poi, come - ad ulteriore riscontro del narrato della V. e dei testi di parte civile - nel corso
della conversazione più volte il L. dimostrasse un atteggiamento minaccioso, utilizzando frasi del
tipo: "mo e arrivat o mument ca' mo facim e nummr (è arrivato il momento di fare i numeri)"
(messaggio inviato alle ore 08:53:24); "A. scendi perché sta volta veramenre m fac arrsta (veramente
mi faccio arrestare)" (messaggio inviato alle ore 08:54:21); "non farmi arrivare, A., al punto di
sbagliare perché sta volta ce facimm male (questa volta ci facciamo male)..." (messaggio vocale
inviato alle ore 8:52:21); "ricordati tutto sto male ca' t fac pava (te la faccio pagare)/ A. non finisce qui/
ti trov avvisat, mo è guerr (ti avviso, adesso è guerra)/ ta piaciut a romp o cazz/ mo è guerr (ti è
piaciuto a rompere il cazzo, ora è guerra)", "to fac lua (te lo faccio togliere, alludendo al bambino)/ e
t denuncio pure" (messaggi inviati dalle 9:23:12 alle 9:42:03).
Ancora, con toni offensivi, l'imputato scriveva alla p.c.: "sei una puttana/ questa sei sempre stata e
questo sarai/ a vita/ tu mammt e t a raza toj (tu, tua mamma e tutta la tua razza)/ sit fallut (siete
falliti)" (messaggi inviati dalle 9:44:33 alle 9:45:01).
Guardando ora, al citato referto medico (in atti), esso fornisce attendibile conferma dell'aggressione
che la p.c. sosteneva di aver subito il 5.01.2024. Tale documentazione, infatti, attesta che, in quella
data, veniva diagnosticata a V.A. una contusione della regione zigomatica destra, guaribile in giorni
2; diagnosi perfettamente compatibile con lo schiaffo che la p.c. asseriva di aver ricevuto dal L. e che
questi, sottopostosi ad esame, ammetteva.
Guardando, infine, ai riscontri investigativi a sostegno del narrato della V., attinenti all'episodio, da
ultimo citato, avvenuto nel gennaio del 2024, si osservi che è allegato agli atti il verbale di arresto in
flagranza di L.M. ad opera dei CC di San Paolo Bel Sito.
Questi davano atto, segnatamente, del fatto che, in data 5.01.2024, alle ore 18:57 avevano ricevuto
una chiamata da parte dell'utenza mobile della p.c., già nota all'ufficio, in quanto vittima di reati
rientranti nel cd. "codice rosso", avvianti il procedimento R.G.N.R. 7707/2023.
Durante la telefonata, si percepivano le parole "correte, Villa, Nola" e delle urla, entrambe
riconducibili alla denunciante.
La pattuglia allertata arrivava, in pochi minuti, sul luogo indicato ed ivi rinveniva due soggetti,
identificati nell'imputato e nel padre della p.c. (allertato dalla figlia), che discutevano animatamente.
Il verbale attesta che la p.c., a distanza di pochi metri, si presentava terrorizzata e tremante,
dimostrando difficoltà nell'esprimersi. Ella mostrava, inoltre, segni dell'avvenuta aggressione,
consistenti nello zigomo destro completamente rosso (dato compatibile con quanto si evince dal
referto medico sopramenzionato).
Come riportato dai verbalizzanti, appena il L. si avvicinava a lei, la p.c. indietreggiava riparandosi
dietro gli agenti intervenuti.
Frattanto, l'odierno giudicabile, nonostante la presenza dei CC e le esortazioni di questi a mantenere
la calma, continuava ad insultare l'ex compagna con frasi del tipo: "sei na sporca, te la fai con altre
persone, mio figlio non deve stare con te!". Egli, inoltre, minacciava la V., profferendo al suo indirizzo
espressioni quali: "ti devo spaccare la testa, se affondo io vi affondo pure a voi" (parole che, in sede
di esame, l'imputato riconosceva di aver pronunciato).
Tutto ciò premesso in ordine alla materialità dei fatti di causa, in punto di diritto, ai fini della positiva
configurazione del delitto ex art. 612 bis c.p., si richiede la sussistenza di una pluralità di atti tipici,
essenzialmente concretantisi in minacce e/o molestie, sia fisiche che verbali, che si dispieghino nel
tempo assumendo caratteri di abitualità, e tali vessazioni, fisiche o psicologiche, devono esprimere
una sorta di strategia sopraffattrice della personalità della vittima, nella quale viene ingenerato un
fondato timore e viene indotta un'alterazione delle abitudini di vita ( Cass. Sez. IV 14391 del
28.2.2012; Cass., Sez. V, n. 29872 del 19.5.2011).
Al riguardo, appare opportuno incidentalmente inquadrare la relativa fattispecie incriminatrice alla
luce delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte Costituzionale nella sentenza dell'11.6.2014,
n. 172, allorché il Giudice delle Leggi veniva adito per la pretesa violazione dei parametri di
tassatività e determinatezza di cui all'art. 25 Cost., in relazione ai requisiti: a) della condotta
intrusiva, di cui non sarebbe determinato il minimum temporalmente necessario e sufficiente
affinché possa dirsi integrata la persecuzione penalmente rilevante; b) del "perdurante e grave stato
di ansia e di paura"; c) della "fondatezza" del "timore" indotto nella vittima; d) delle "abitudini di
vita", la cui alterazione integra il terzo ed alternativo evento del fatto tipico.
Nel precisare che il metodo interpretativo da seguire, al fine di vagliare la compatibilità della
fattispecie incriminatrice con il parametro costituzionale che si assumeva violato, dovesse essere di
natura "integrata" e "sistemica", imponendosi all'interprete di valutare ogni requisito di struttura del
reato, in rapporto agli altri elementi costitutivi ed alla ragione giustificativa dell'incriminazione, e
proprio sulla scorta di una valutazione non atomistica, la Corte ha ritenuto l'insussistenza delle
censure prospettate dal remittente (che aveva, sul punto, recepito lo scetticismo delle prime letture
della norma) per i motivi e nei termini che si vanno ad esporre.
In ordine alle condotte di minaccia e molestia, devono soccorrere i criteri ermeneutici delle
preesistenti disposizioni codicistiche, che ricostruiscono la prima in termini di prospettazione di un
male ingiusto, le altre quali condotte che alterino, in modo fastidioso ed inopportuno, l'equilibrio
psichico di una persona "normale", immune cioè da stati patologici che inducano ad una amplificata
percezione della situazione di pericolo. Con la previsione della "reiterazione" delle condotte, il
legislatore ha inteso circoscrivere la rilevanza penale delle molestie e della minaccia alle specifiche
condotte assillanti che si caratterizzino per un atteggiamento di tipo predatorio nei confronti della
vittima. Proprio questo requisito, che impone di ritenere la sussistenza del reato in presenza di
almeno due episodi di natura molesta o intimidatoria, nel momento in cui diviene causa di uno dei
tre eventi alternativi della fattispecie, esprime un più intenso disvalore penale della condotta e fonda
la previsione della più severa disciplina sanzionatoria prevista dall'art. 612 bis c.p.
Quanto al "grave e perdurante stato di ansia" ed al "fondato timore per l'incolumità", elementi che
attengono alla sfera emotiva e psicologica dell'individuo, è necessario che siano accertati attraverso
una accurata osservazione di elementi ed indici comportamentali che devono variare nel tempo,
dunque attraverso la valutazione comparativa tra un "prima" e un "dopo", tra la situazione
precedente e successiva rispetto alla condotta dell'agente; e detti elementi ed indici comportamentali
devono denotare un'apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico del
soggetto passivo.
La valorizzazione delle aggettivazioni (gravità e perduranza dello stato di ansia; fondatezza del
timore) impone di espungere dall'ambito oggettivo della fattispecie le condotte determinative di stati
di ansia di poco momento - sia in rapporto alla loro durata, sia in rapporto alla loro incidenza sul
soggetto passivo - o quelle che diano impulso a timori immaginari o del tutto fantasiosi.
Occorre tuttavia precisare che se, per un verso, l'assenza di riferimenti a criteri accertativi di natura
medico legale non consente di ritenere che detto evento sussista solo in presenza di stati ansiosi che
acquisiscano connotazioni da patologia psichiatrica, per altro verso, la fondatezza del timore è
requisito che non può essere oggettivizzato più che tanto, trattandosi di uno stato psicologico
reattivo che, attenendo al foro interno della coscienza, deve presentare un nesso di correlazione
causale con la condotta dell'agente, e non essere meramente occasionato da essa, ma la cui intensità
non può essere "calibrata". Ciò, ferma restando la necessità di verifica della offensività della condotta,
in rapporto al bene giuridico presidiato.
Similmente, si è ritenuto che anche il terzo evento, inerente al cambiamento delle abitudini di vita,
vada riscontrato muovendo dal raffronto tra la situazione pregressa e quella successiva alla condotta
criminosa, avuto riguardo al complesso dei comportamenti che la persona solitamente tiene nella
sfera dinamico - relazionale, e dunque, in ambito familiare, sociale e lavorativo, comparando il
"prima" e il "dopo" gli atti persecutori subiti (Corte Cost., 172/2014).
Ora, facendo applicazione delle descritte linee interpretative alle condotte qui al vaglio, l'istruttoria
dibattimentale ha dato prova del fatto che, nel periodo intercorrente tra l'ottobre del 2023 ed il
gennaio del 2024 (data del suo arresto), il L. reiterava condotte di molestia e minaccia nei confronti
della p.c., integrando il requisito dell'abitualità di cui all'art. 612 bis c.p.
Ciò posto, dalla piattaforma probatoria in atti si evince che gli atteggiamenti di controllo del
prevenuto nei riguardi dell'ex compagna avvenivano soprattutto mediante messaggi (come attestato
dalle conversazioni Whatsapp) e telefonate (come univocamente asserito da tutti i testi di parte
civile, oltre che dalla p.c.).
In merito a queste ultime, risulta serenamente dimostrato che il L. cercasse ripetutamente, a mezzo
telefono, la p.c. per avere informazioni sul figlio e, attraverso tale tramite, per informarsi su di lei.
Tale circostanza, affermata dalla p.c. in sede dibattimentale, è stata ampiamente corroborata dalle
dichiarazioni dei testi V.C., V.V. e N.T., come sopra riportate.
Si è diffusamente detto, infatti, della frequenza con la quale A. riceveva telefonate da parte
dell'imputato (il quale, ove lei non rispondesse, prendeva a contattare i suoi familiari), nonché del
tenore, spesso offensivo e minaccioso, delle conversazioni che seguivano.
Il file contenente la chat WhatsApp (di cui al CD in atti), inoltre, avvalora il dato dell'elevato numero
di messaggi che, quotidianamente, M. e la p.c. si scambiavano. Benché l'imputato abbia motivato la
sua insistenza, affermando che il suo unico intento fosse quello di informarsi sul figlio, l'analisi
contestuale e quantitativa dei messaggi inviati evidenzia come le sue richieste fossero
sproporzionate rispetto ad una legittima preoccupazione genitoriale, assumendo piuttosto i contorni
di un controllo costante e opprimente sulla vita privata della p.c.
L'interesse per il benessere del figlio, in altre parole, costituiva in realtà lo strumento per mantenere
un controllo indiretto sulla V.: un atteggiamento volto più (o, comunque, soprattutto) al controllo
che alla sola cura o preoccupazione genitoriale ed espressivo di pretese che vanno ben oltre le
normali e quotidiane esigenze comunicative.
A riscontro di siffatte condotte intrusive del L., possono invocarsi le osservazioni già esposte in
ordine alle conversazioni WhatsApp del 20.10.2023 e del 25.10.2023, dalle quali emerge il tenore che
ripercorre l'intera chat tra il prevenuto e la p.c. (integralmente riportata nel file contenuto nel CD, in
atti, cui si rinvia).
A ciò si aggiunga che le emergenze processuali hanno dimostrato il contegno ingiurioso ed
intimidatorio del prevenuto.
A tal proposito, occorre richiamare, in primo luogo, le conferenti dichiarazioni dibattimentali della
V. e, a loro riscontro, quelle dei testi di parte civile (di cui si è già detto). Esse consentono di ritenere
provate le minacce, profferite dall'imputato all'indirizzo dell'ex compagna e, indirettamente, della
di lei famiglia., consistenti in frasi del tipo: "v' vott' 'a casa 'nderr" o "v'appicc' a casa" ("vi butto la
casa a terra"; "vi brucio la casa").
In secondo luogo, l'atteggiamento minaccioso, nonché offensivo, del L. vede sicuro riscontro nei
messaggi WhatsApp da lui stesso inviati alla p.c..
Si rammentino, esemplificativamente, quelli datati 25.10.2023 (tra i quali: "Non farmi arrivare al
punto.di fare questioni"; "A. scendi perché sta volta veramenre m fac arrsta (veramente mi faccio
arrestare)"; "ricordati tutto sto male ca' t fac pava (te la faccio pagare)/ A. non finisce qui/ ti trov
avvisat, mo è guerr (ti avviso, adesso è guerra)/ ta piaciut a romp o cazz/ mo è guerr (ti è piaciuto a
rompere il cazzo, ora è guerra)"; "sei una puttana/ questa sei sempre stata e questo sarai/ a vita/ tu
mammt e t a raza toj (tu, tua mamma e tutta la tua razza)/ sit fallut (siete falliti)").
Basti considerare, poi, sul punto, il verbale di arresto del 5.01.2024, dal quale risulta solidamente
dimostrato che, nonostante la presenza dei CC, il L. si poneva con atteggiamento ingiurioso e
minaccioso nei confronti della p.c., profferendo al suo indirizzo frasi dal seguente tenore: "sei na
sporca, te la fai con altre persone, mio figlio non deve stare con te!"; "ti devo spaccare la testa, se
affondo io vi affondo pure a voi".
In ultimo, al di là dei riscontri dichiarativi, documentali ed investigativi descritti, i fatti contestati al
prevenuto al capo 1) dell'imputazione trovano conferma nelle stesse ammissioni del L..
Quest'ultimo, infatti, pur tentando di giustificare le proprie condotte, invocando lo stato di
esasperazione derivante dalla complessa situazione relazionale e dall'atteggiamento ondivago,
nonché spesso sminuente, tenuto dalla p.c. nei suoi confronti, ha comunque riconosciuto la
fondatezza degli addebiti mossi a suo carico.
Nel corso delle dichiarazioni rese, egli ha più volte chiesto scusa per il proprio comportamento,
senza disconoscere le proprie responsabilità ed ammettendo di aver sbagliato (fatta eccezione per le
intimidazioni di morte e la minaccia di sfregiare la p.c. con l'acido; condotte che venivano rinnegate
dal prevenuto).
Quanto all'evento integrante il delitto previsto e punito dall'art. 612 bis c.p., le dinamiche sin qui
descritte non potevano che originare un clima di insicurezza, ansia e timore, negativamente
incidente sulla sfera emotiva e sociale della V..
Dalle sue dichiarazioni, nonché dalle testimonianze rese dalla sorella e dai genitori, si evince che le
condotte tenute dall'imputato hanno determinato un cambiamento delle abitudini di vita della p.c.
Nel periodo intercorso tra ottobre 2023 e gennaio 2024, infatti, temendo di incontrare l'ex compagno,
ella si faceva accompagnare, dai suoi familiari, nelle uscite ovvero per andare e tornare da lavoro
(ciò che non accadeva prima che gli atti persecutori qui in oggetto prendessero avvio, essendo
abituata la p.c. ad uscire da sola).
Il forte turbamento vissuto dalla V., a causa delle condotte, sin qui descritte, tenute dal prevenuto,
trova ulteriore conferma nelle circostanze riportate nel verbale di arresto del 5.01.2024. Qui, infatti, i
CC operanti riferivano che, al momento del loro intervento, la p.c. si presentava terrorizzata e
tremante, e che, appena il L. tentava di avvicinarsi a lei, ella indietreggiava, riparandosi dietro gli
agenti intervenuti. Simili reazioni costituiscono chiara espressione dello stato di forte paura
radicatosi in A., avvalorando come la presenza dell'ex compagno fosse percepita come una minaccia
concreta ed immediata.
La teste V.C., inoltre, evidenziava come, per affrontare tale stato d'ansia, la sorella avesse richiesto
supporto psicologico, rivolgendosi sia ad un centro antiviolenza che all'A.
Con riferimento, infine, all'elemento soggettivo del reato di cui si tratta, le modalità ripetute ed
insistenti della condotta, sostenuta dalle ammissioni dell'imputato, rivelano la piena e costante
consapevolezza da parte sua della idoneità dei singoli atti di minaccia o molestia a realizzare uno
degli eventi alternativamente previsti dalla norma, unitamente agli atti già compiuti o da compiere,
secondo, dunque, quella forma di gradualità del dolo che caratterizza i reati abituali (cfr. Cass., Sez.
V, n. 35765/2015).
Sicché, conclusivamente sul punto, appaiono pienamente integrati i requisiti di struttura, oggettivi
e soggettivi, del reato in addebito all'imputato al capo 1) della rubrica, con conseguente pronuncia
di condanna nella formula di cui al dispositivo.
Non vi sono, d'altronde, emergenze istruttorie che consentano di dubitare della penale
responsabilità del L., dal momento che questi si limitava, complessivamente ammessi gli addebiti, a
giustificare la propria condotta, nei termini sopra esposti, contestualizzandola in un clima di astio,
incomprensioni e gelosia bidirezionali.
La responsabilità del L., poi, non appare sconfessata da riscontri esterni.
La testimonianza della D.P. (madre del prevenuto), infatti, si è soffermata, più che altro, sulla
condotta parimenti assillante di A. verso M. e sulle ritrosie della famiglia N.-V. nei confronti dello
stesso.
Non valgono a smentire le accuse mosse contro l'imputato neppure le dichiarazioni dibattimentali
rese da S.M., la cui testimonianza appare piuttosto frammentata, superficiale e priva di precisi
riferimenti circostanziali (se non per quanto concerne le vicende del 5.01.2024, alle quali comunque
affermava di non aver assistito).
È integrata, infine, la circostanza aggravante relativa all'essere stata la condotta persecutoria posta
in essere nei confronti di persona che è stata legata all'imputato da relazione affettiva (come
pacificamente emerso dall'istruttoria).
Venendo al capo 2) della rubrica, le risultanze istruttorie provano, senza alcun dubbio, le lesioni
personali, seppur lievi, dolosamente cagionate dal L. all'ex compagna, in occasione dell'episodio
avvenuto il 5.01.2024.
Delle stesse forniscono sicuro riscontro il verbale di arresto ad opera dei CC di San Paolo Bel Sito (in
atti, attestante l'arrossamento dello zigomo destro della p.c., notato dagli agenti intervenuti), nonché
il referto medico A.S. (anch'esso in atti, a dimostrazione del fatto che alla p.c. veniva diagnosticata,
la stessa sera del 5.01.2024, una contusione alla regione zigomatica destra, guaribile in giorni due).
Sottopostosi ad esame, poi, il L. ammetteva di aver colpito la p.c. con uno schiaffo (sebbene
asserendo, eufemisticamente, di averle soltanto "appoggiato una mano sul viso").
Si ricordi, sul punto, che la Suprema Corte ha più volte affermato che anche alterazioni anatomiche
di minima rilevanza, quali gli ematomi, le ecchimosi o le contusioni, vanno ricompresi nel novero
delle "malattie" e, dunque, sussunte nella previsione dell'art. 582 c.p. (cfr., Cass. pen., sez. I, 3.3.1976,
n. 9480 e, tra le più recenti, Cass. pen., sez. IV, 19.12.2005, n. 2433).
Risulta configurata, nei fatti de quibus, anche la componente soggettiva del delitto in esame, posto
che per la sussistenza del dolo nel delitto di lesioni personali non occorre che la volontà dell'agente
sia diretta alla produzione delle conseguenze lesive, essendo sufficiente l'intenzione di infliggere
all'altrui persona una violenza fisica, vale a dire il dolo generico, anche, se del caso, nella forma del
dolo eventuale (cfr., tra le altre, Cass. pen, 9.1.2009, n. 17985 e Sez. 6, Sentenza n. 7389 del 17/02/2014).
Va, in ultimo, rilevato che, sulla base dei rilievi probatori sin qui richiamati, risulta provata
l'aggravante di cui all'art. 585 c.p. in relazione all'art. 576 n. 5.1) c.p., poiché il delitto ex art. 582 c.p.
veniva realizzato dall'imputato nei confronti della persona offesa dal delitto di cui all'art. 612 bis c.p.
Affermata, dunque, la penale responsabilità dell'odierno giudicabile per i reati di cui ad entrambi i
capi di imputazione e riconosciute, altresì, le contestate aggravanti, può passarsi alle valutazioni in
punto di trattamento sanzionatorio.
Questo Giudice ritiene concedibili all'imputato le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi in
misura equivalente alle contestate aggravanti, in ragione della necessità di meglio adeguare la pena
alla gravità del caso concreto, nonché del positivo comportamento processuale tenuto dal prevenuto
(il quale ha sempre partecipato alle udienze ed ha collaborativamente contribuito alla ricostruzione
dei fatti di causa, fornendo la propria versione e riconoscendo gli errori commessi).
Va, inoltre, evidenziato che i delitti posti in essere dal L. devono ritenersi avvinti dal vincolo della
continuazione, data l'identità del disegno criminoso.
Questa va valutata, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, sulla base degli elementi
costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità della condotta, dalla tipologia dei reati,
dal bene tutelato, dalla omogeneità delle violazioni, dalle condizioni di tempo e di luogo, anche
(soltanto) attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti elementi, purché significativi (Cass.
pen Sez. I, sent. 5 novembre 2008 n. 44861; Cassazione penale, sez. I, 05 novembre 2008, n. 44862).
Nel caso di cui si tratta, l'esistenza di un unico programma criminoso si evince, oltre che
dall'omogeneità del bene tutelato dalle disposizioni contestate (l'integrità della persona, sia essa
psichica o fisica), dall'unicità del contesto relazionale in cui le stesse sono state poste in essere e dalla
pertinenza delle lesioni di cui al capo 2) agli atti persecutori di cui al capo 1) dell'imputazione.
Ne consegue che, in applicazione dei criteri di cui agli artt. 133 c.p., pare congruo condannare L.M.
alla pena di anno uno e mesi otto di reclusione, pena così calcolata:
- pena base, ritenuto più grave il reato di cui all'art. 612 bis c.p.: anno uno e mesi sei di reclusione
(pena attestata sui minimi edittali, in considerazione dei seguenti fattori: la giovane età e
l'incensuratezza dell'imputato; i segni di pentimento e ravvedimento dimostrati dallo stesso, tanto
in sede di esame che nelle spontanee dichiarazioni; la lieve entità delle lesioni di cui al capo 2) della
rubrica);
- aumentata alla pena inflitta ex art. 81 cpv. per la continuazione con il delitto di cui al capo 2).
Alla condanna nel merito segue, per legge, quella al pagamento delle spese processuali.
Può, conclusivamente, concedersi all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della
pena, non ostandovi precedenti penali a suo carico ed apparendo presumibile che lo stesso si asterrà,
per il futuro, dal commettere ulteriori reati.
Ne consegue, ai sensi dell'art. 300 comma III c.p.p., la declaratoria di inefficacia della misura
cautelare degli arresti domiciliari applicata con ordinanza del Tribunale di Nola in data 10.07.2024.
Riguardo alla domanda di natura civilistica formulata nel presente giudizio, va osservato che la
realizzazione dei reati per cui è processo da parte dell'imputato ha indubbiamente provocato un
pregiudizio alla persona offesa, sia di carattere fisico che morale.
Tuttavia, le prove acquisite non consentono di quantificare l'entità di tale danno neppure in via
provvisoria e, pertanto, l'imputato va condannato al risarcimento del danno in favore della costituita
parte civile, da liquidarsi in un separato giudizio.
Infine, l'imputato, soccombente nel giudizio civile instaurato nell'ambito del processo penale, va
condannato al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza affrontate dalla parte civile
costituita, che si liquidano in favore dello Stato, essendo intervenuta ammissione della parte civile
al gratuito patrocinio nella misura di Euro 1.800, oltre IVA e CPA e rimborso spese generali nella
misura del 15%, come per legge.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara L.M. responsabile dei reati a lui ascritti in rubrica e, riconosciute
le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti, unificati i reati
sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anno uno, mesi otto di reclusione, oltre
al pagamento delle spese di giudizio e di custodia cautelare sofferta.
Pena sospesa
Letti gli artt. 538, 539 e 541 c.p.p., condanna L.M. al risarcimento dei danni nei confronti della
costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla refusione in favore dello Stato
- essendovi stata ammissione al gratuito patrocinio - delle spese sostenute per la costituzione e difesa
della parte civile, che liquida nella misura di Euro 1.800,00, il tutto oltre Iva, Cpa come per legge e
spese al 15%.
Rigetta la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale avanzata dalla costituita parte
civile.
Letto l'art. 300 comma 3 c.p.p. dichiara l'inefficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari
applicata con ordinanza del Tribunale di Nola in data 10.07.2024.
Ordina l'immediata liberazione dell'imputato se non detenuto per altra causa.
Conclusione
Così deciso in Nola, il 15 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2025
15-03-2025 20:09
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