Stalking condominiale. Molestie. Persecuzioni. Soggetto agente. Vicini di casa. Condominio. Effetti.-Vittima. Grave e perdurante stato di ansia. Frustrazione. Paura per sé o per i propri familiari. Modifica abitudini di vita. Dissidi. Conflitti verbali. Rumori molesti notturni. Gocciolamenti di acqua dal balcone - Getto di acqua sporca. Lancio di cicche di sigarette. Sottrazione posta cassetta lettere.
Tribunale Frosinone Penale Sentenza 11 luglio 2024 n. 735
Data udienza 21 maggio 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI FROSINONE
Il Tribunale di Frosinone, composizione monocratica, in persona della dott.ssa Fiammetta Palmieri, all'udienza del 21 maggio 2024 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
Nei confronti di:
Pr.Gi., nata a (...) elettivamente domiciliata al viale (...)
LIBERA-PRESENTE difesa di fiducia dall'avv. Ro.Ma. del foro di Frosinone - presente -
ELEMENTI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in data 09/06/2021, si procedeva nei confronti di Pr.Gi., in epigrafe generalizzata, chiamandola a rispondere del reato sopra rubricato. All'udienza del 09/11/2021, dichiarata l'assenza dell'imputata ed alla presenza del suo difensore e della già costituita parte civile Le.Lu., veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove come richieste dalle parti. All'udienza del 3/05/2022 venivano escussi Le.Lu. (p.o.) e Ma.Pi.; all'udienza del 29/11/2022 i testimoni Ma.Vi. e Le.Re. (testi comuni del P.M. e della difesa). All'udienza del 23/05/2023 veniva escusso Le.Da.. All'esito l'imputata si sottoponeva ad esame. Seguivano le escussioni dei testimoni della difesa De.Se. e Ca.Ba..
All'udienza del 12/12/2023 le parti chiedevano congiuntamente un rinvio per bonario componimento e la difesa chiedeva altresì in caso di esito negativo delle trattative di escutere ex art. 507 c.p.p. Gi.Ma. in grado di riferire sui fatti di cui all'imputazione in quanto condomina dell'imputata. Il giudice ammetteva il teste ex art. 507 c.p.p..
All'udienza odierna verificato l'esito negativo delle trattative per bonario componimento, veniva escussa la teste Ma.Gi. e, al termine, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti concludevano nei termini di cui in epigrafe ed il giudice emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale va affermata la penale responsabilità dell'imputata.
La persona offesa, Le.Lu., premetteva di aver abitato insieme alla nonna nello stesso condominio ATER dell'imputata sito in Frosinone, e precisamente esattamente sopra all'appartamento in cui viveva con la nonna At.Pi., assegnataria dell'appartamento e nel frattempo deceduta, da lei assistita.
La persona offesa spiegava di aver vissuto dal 2020 in una situazione di grande disagio per le continue, praticamente quotidiane, condotte perpetrate dalla Pr. ai suoi danni, condotte che così sintetizzava: "la signora, quando mia nonna riposava, sia il giorno che di notte, lei batteva ... faceva dispetti; mi buttava acqua per finestre, sia mia che di mia nonna. Quando nonna riposava ... lei faceva rumore, nonna si straniva e non riusciva né a riposò... né il pomeriggio e né la sera".
La persona offesa ricordava alcuni episodi specifici verificatesi nell'agosto del 2020: "questa dell'acqua con la varechina è stata che l'hanno data addosso a mia mamma; mia mamma stava vicino la finestra e lei al balcone; ha buttato un secchio d'acqua, con acqua e varechina, addosso a mia madre perle spalle... parecchie volte.... m'ha anche buttato l'acqua alla finestra mentre io dormivo; io ... all'una e mezza di notte, mi dovevo cambiare il letto perché mi buttava secchi d'acqua addosso alla finestra e mi bagnava finestra, pavimento e letto. Mi ha buttato delle volte acqua anche sul bucato che stendevo; annaffiavo le piante del balcone e mi buttava sui panni...". La teste precisava poi di aver chiesto alla Pr. spiegazioni sulle ragioni di tali comportamenti, ricevendo questa risposta: "io a casa mia faccio come cazzo mi pare!".
Ricordava un altro episodio quando la Pr. "mi ha visto che fumavo la sigaretta, tranquillamente con mio fratello, lei è andata dentro, ha preso un secchio d'acqua e me lo ha buttato addosso tutto sulla schiena".
La teste concludeva poi che a causa di tali comportamenti da parte dell'imputata era stata costretta, per la serenità della nonna, a trasferire la nonna in una casa di riposo "sono stata un po' di tempo con mio fratello, però dopo ho dovuto ... me ne sono dovuto andare perché era invivibile dentro quell'appartamento" ed aggiungeva di aver ricevuto anche minacce dalla Pr. del seguente tenore; "Ti ammazzo!" e "Se ti incontro per le scale ... fai fai. Se qualche volta ti incontro per le scale, ti succede qualcosa".
Tuttavia anche dopo il trasferimento della nonna in una casa di cura avvenuto nel maggio del 2021 erano proseguite le condotte "persecutorie" della Pr. sino al 4 ottobre 2021, quando aveva deciso di lasciare l'appartamento "perché era invivibile".
La teste Ma.Vi., madre di Le.Lu., premetteva che si alternava con la figlia nell'accudire la At..
Riferiva che la figlia le aveva raccontato le condotte della Pr. e che ad alcune di esse aveva assistito direttamente ed anzi ne era stata anche vittima: "stavo in cameretta, con mia madre; stavo alla finestra, perché faceva caldo e un attimo è stato che mi ha buttato tutta racqua addosso a me alle spalle"; inoltre ricordava di aver sentito rumori molesti diurni e notturni che impedivano loro di dormire e che a causa di tali comportamenti avevano deciso di portare la madre in una casa di cura.
Le.Re., padre della p.o., riferiva delle continue molestie e disturbi da parte della Pr. che si protraevano tutto il giorno "dalla mattina alla sera", consistenti nello buttare l'acqua sul pianerottolo della At. così bagnando la biancheria che si trovava stesa sul terrazzo, bagnando altresì le persone, come era accaduto alla moglie; riferiva poi che si trovava a casa della At. quando erano intervenuti i Carabinieri chiamati in seguito all'episodio accaduto ai danni della moglie e, in quell'occasione, la Pr. gli aveva detto che a casa sua poteva fare ciò che voleva "Io qua sto dentro casa e faccio i cazzi miei, dentro casa", ricordava anche le minacce che l'imputata aveva proferito nei confronti della figlia Lu.: "non tifa becca perle scale ..che te faccio ... t'ammazzo" e che in seguito ad esse la figlia si era spaventava e non voleva più rimanere a casa da sola, e quindi dopo di allora era stata sempre accompagnata dal fratello o da qualcuno della famiglia.
Il teste concludeva poi riferendo che in ragione delle condotte della Pr. e della sua ostinazione nel volerle proseguire senza alcun rispetto per gli abitanti dell'appartamento posto al piano inferiore, esasperato dalla situazione, ma anche allo scopo di trovare una soluzione, era andato dalla Pr. chiedendole di cessare i suoi comportamenti, ricevendo da lei la seguente risposta: nio dentro casa mia faccio come cazzo mi pare!".
Le.Da., fratello della p.o., riferiva che la sorella gli aveva raccontato di molteplici episodi molesti da parte della Pr.Gi.. In particolare aveva appreso dalla sorella che "questa signora giorno e notte si metteva con un metallo sopra al pavimento e faceva tic tic dalla mattina alla sera..poi niente, quando mia sorella stendeva il bucato fuori al balcone, la signora buttava l'acqua sporca sopra i panni, e doveva abbassare la tenda sempre, estate, inverno, sempre..questi tutti i giorni".
Ricorda di un episodio a cui era presente, accaduto il 5/6-agosto 2020: "una volta stavo pure io da mia nonna a dormire li e la signora Pr. ha buttato l'acqua dentro la camera da letto, che io stavo dormendo. Non potevo andare a fumare fuori al balcone perché lei mi buttava l'acqua. Cioè non potevamo fare più niente".
Aggiungeva che in un episodio era stata coinvolta anche la madre "mia madre stava in finestra e la signora Pr. dal balcone gli ha buttato l'acqua e l'ha bagnata tutta quanta".
Il teste confermava inoltre che a causa delle minacce ricevute dalla Pr., la sorella si era spaventava e non voleva più uscire di casa; per tale ragione anche lui spesso si recava presso l'abitazione della nonna.
Infine confermava che la situazione era diventata talmente insopportabile ("non ce la facevi a dormire") che erano stati costretti a trovare una nuova collocazione per la nonna.
L'imputata si sottoponeva ad esame e respingeva le accuse, anzi, asseriva di essere lei stessa vittima di atti persecutori da parte della Le.Lu., la quale le staccava la corrente, batteva con un bastone dal suo appartamento. Respingeva pertanto i fatti e gli episodi indicati nell'imputazione, affermando di essere lei la vittima di minacce ed insulti da parte della Le. e che per tali condotte era stata costretta a ricorrere a visite psicologiche.
De.Se. riferiva di essere amico della Pr. e che in varie occasioni si era recato presso l'abitazione della predetta per aiutarla con piccoli lavori "attaccare un quadro, piccola pavimentazione in legno, il lampadario". Riferiva che in queste occasioni aveva sentito la signora Le. lamentarsi "si sentiva dalla parte di sotto ingiuriare, bestemmiare, sbattere con il bastone sotto al pavimento, che non sopportava i rumori". Aggiungeva poi che la Pr. lo aveva incaricato di mettere un lucchetto al contatore, poiché, a suo dire, aveva subito un furto di energia elettrica.
In conclusione il teste, per quanto da lui percepito e per quanto raccontato dalla Pr. riferiva che predetta aveva iniziato ad aver problemi in seguito all'ingresso nell'appartamento posto piano inferiore di Le.Lu., che non tollerava alcun tipo di rumore o fastidio. Nelle occasioni in cui si era recato dalla Pr., aveva potuto constatare, che dopo qualsiasi movimento o rumore che faceva la Le. iniziava ad urlare e ad infastidirla. La situazione era poi cessata quando, la nonna della Le. aveva lasciato l'abitazione.
Ca.Ba., figlia dell'imputata, riferiva che era a conoscenza dei fatti, perché conosceva sia la At. che Le.Lu. già prima degli episodi di cui all'imputazione. Premetteva che abitando a pochi centinaia di metri dalla madre si recava da questa con frequenza "quasi tutti i giorni" e nelle varie occasioni incontrava la Le. che si lamentava con lei "che mamma le faceva i dispetti di ogni tipo. Urlava sempre". Riferiva che la Le. si era lamentata anche delle condotte di altri condomini e tuttavia in merito agli episodi specifici di cui all'imputazione nulla sapeva riferire.
Ma.Gi. riferiva di essersi trasferiva nel condominio per assistere la madre malata. Specificava di essere la dirimpettaia della Pr., di conoscere la At. e Le., che però abitavano in un'altra ala del palazzo "dall'altra parte, perché lo stabile è diviso da un pianerottolo, quindi io sono di qua e Gi. è di qua. È il secondo piano, dove stava la signora Pi., perché il nome è la signora Pi.. Io sto... Mia madre invece sta al terzo piano però all'altra ala".
Premetteva di non aver assistito ad alcun episodio, ma in occasioni confidenziali, avvenute circa sei/sette mesi prima dell'udienza, la Pr. "si lamentava che ogni tanto la signora di sotto batteva con la scopa .. Ogni movimento che faceva sembrava che dava fastidio... mi ha detto che una volta stava battendo la... Stava facendo la bistecca, battendo per ammorbidire la bistecca e la signora di sotto con la scopa ha cominciato a battere, questo; oppure mi ha detto che... Sono cose così, comunque, non... Che mi ha detto pure?! Che a volte non poteva sentire la televisione, che cominciava a battere".
Aveva visto in più occasioni la Pr. stendere i panni dal balcone ed innaffiare i fiori, ma non aveva avuto contezza diretta di situazioni di divergenza tra questa e gli inquilini del piano inferiore.
Così ricostruiti i fatti alla luce delle risultanze istruttorie acquisite, e, in particolare delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, confermate dai suoi familiari, ritiene il Giudice che le condotte ascritte all'odierna imputata debbano ritenersi provate.
In ordine alla valutazione delle dichiarazioni della denunciante occorre premettere quanto segue. Secondo l'orientamento, ormai costante, della Suprema Corte - dal quale questo Giudice non ritiene vi siano ragioni per di scostarsi - la deposizione della persona offesa dal reato, seppur non equiparabile a quella del testimone estraneo, può tuttavia èssere, anche da sola, assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva in considerazione degli interessi di cui tale soggetto è normalmente portatore, non richiedendosi necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (cfr. Cass. pen. S.U., 28.02.2006, n. 8285); nel ribadire tale orientamento e nel confermare che le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, la Suprema Corte ha poi precisato che nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno - ma non necessario - procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (cfr Cass. S.U. 19.7.2012 n. 41461).
Operato tale doveroso controllo, ritiene questo Giudice che la persona offesa sia testimone attendibile e degno di fede. Quanto alla sua attendibilità intrinseca, occorre rilevare che le sue dichiarazioni risultano, nel loro complesso, coerenti ed immuni da contraddizioni; esse inoltre trovano conferma nelle dichiarazioni degli altri testi escussi, i familiari della Le., testi indiretti di quanto dalla predetta riferito, ma anche testi oculari di alcuni degli episodi descritti nel capo di imputazione. La ricostruzione dei fatti appare dunque obiettivamente credibile. D'altra parte, non risultano sussistenti - e, per quanto si dirà in seguito, non sono state neppure prospettate dall'imputato e dal suo difensore - valide e plausibili ragioni per le quali la persona offesa si sarebbe dovuta determinare a dichiarare scientemente il falso e/o a muovere accuse calunniose nei confronti della Pr..
Non appaiono infatti condivisibili le dichiarazioni rese dall'imputata che fosse la Le. a recare alla Pr. molestia ogni qual volta che lei eseguiva piccoli "lavoretti" a casa, considerato che la Pr. nulla ha denunciato al riguardo, né ha documentato l'asserito ricorso ad un percorso psicologico.
A ciò si aggiunga che i testi della difesa pur raccontando di alcuni episodi molesti della Le. non hanno saputo circostanziare temporalmente tali condotte, il De. si è limitato a riferire di reazioni della Le. ai rumori causati dai lavori casalinghi che stava eseguendo, mentre la figlia dell'imputata nulla sapeva riferire in merito ai fatti contestati alla madre per gli episodi del 5, 6 ed 8 agosto del 2020, così come la teste Ma.Gi..
I su riportati elementi convergono nell'ascrivere alla Pr. il reato di cui all'art. 612 - bis c.p. a lei ascritto, di cui sussistono tutti gli elementi costitutivi legislativamente previsti e che ben può applicarsi anche nel caso dei conflitti condominiali (cfr. Cass. 28340/2019): il c.d. "stalking condominiale" si configura in particolare laddove le molestie e le "persecuzioni" siano state commesse dai vicini di casa all'interno di un condominio o nei confronti di un singolo condomino e siano state tali da ingenerare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia, frustrazione e paura per sé o per i propri familiari e da costringere loro a cambiare le proprie abitudini di vita; tali condotte possono consistere, ad esempio, in dissidi, conflitti verbali, rumore molesti notturni, gocciolamenti di acqua dal balcone del piano superiore a quello sottostante, getto di acqua sporca, lancio di cicche di sigarette, sottrazione della posta dalla cassetta delle lettere ecc.. In particolare, la S.C. nella sentenza n. 26878 del 30 giugno 2016 ha statuito che sussiste lo "stalking" se le azioni persecutorie causano nella vittima "grave e perdurante stato di ansia o di paura tale da comprometterne il normale svolgimento di azioni quotidiane, o un fondato timore per l'incolumità propria o di un proprio parente o congiunto, o un cambiamento delle proprie abitudini di vita".
Va poi ricordato, in via più generale, che il reato di "stalking" o di "atti persecutori" previsto dalla L. n. 38 del 2009, che ha introdotto nel tessuto codicistico l'art.612-bis c.p., è un reato abituale, caratterizzato dalla reiterazione di più condotte minacciose e moleste, tali da ingenerare nella vittima un perdurante stato di ansia e timore per sé o per le persone care o tale da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita. Perché sussista la fattispecie delittuosa è quindi necessario, in primo luogo, il ripetersi della condotta: gli atti e i comportamenti volti alla minaccia o alla molestia devono essere reiterati. Inoltre i comportamenti devono avere l'effetto di provocare in capo alla vittima disagi psichici o il timore per la propria incolumità e quella delle persone care, ovvero pregiudizi per le abitudini di vita: trattasi di reato di evento e di danno, a fattispecie alternative, ciascuna delle quali idonea ad integrarne gli estremi ( Cass. Pen. Sez. V 34015/10). Più in particolare, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di statuire al riguardo, che integrano il delitto di atti persecutori di cui all'art.612 bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (cfr. Cass. Sez. V n.6417/10).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche si reputa che le condotte della Pr., consistite nell'attuare nei confronti di Le.Lu. continue molestie (rumori sgraditi e getto di acqua sporca ) e minacce , siano state tali da ingenerare nella Le. uno stato perdurante di ansia e di paura che la ha indotta a modificare le proprie abitudini di vita, evitando di stare da sola a casa per il timore di subire aggressioni verbali e poi, addirittura, a trasferire la nonna in una casa di cura e, poi, a lasciare l'appartamento.
Tali reiterate condotte hanno infatti delineato una sequela di azioni disturbanti certamente sufficienti ad integrare l'abitualità necessaria alla configurazione dell'elemento oggettivo del reato ed infatti le ripetute condotte di molestia e minaccia riscontrate (alcune delle quali a pochi giorni di distanza una dall'altra), seppure esenti da connotati marcatamente aggressivi, appaiono idonee ad integrare la materialità del reato ascritto per la loro carica obiettivamente intrusiva e molesta e per la loro idoneità a suscitare il fondato timore di una perdurante possibilità di interferenza dell'imputata nella quotidianità della Le. ed a minare la serenità domestica, non solo della Le. ma anche dell'anziana nonna.
Infatti, il modus operandi dell'imputata, connotato da modalità pervicaci, completamente indifferenti alle esigenze di tranquillità e serenità della anziana condomina At. e della Le. ha indubbiamente interferito pesantemente sulla vita domestica delle predette, costringendo, infine, prima la At. e poi la Le. a lasciare l'appartamento.
Quanto all'elemento soggettivo, non sussistono margini di incertezza sulla consapevolezza in capo all'imputata del carattere molesto del proprio comportamento e della sua idoneità a suscitare un turbamento emotivo nella persona offesa. Trattasi infatti di condotte pervicacemente protrattisi nel tempo e nonostante sia la Le. che il padre di lei, avessero tentato in più occasioni di parlare con la Pr. chiedendo la cessazione delle sue condotte.
Per tali ragioni i fatti contestati all'imputata non possono essere riportati nell'alveo dell'art. 674 c.p., come richiesto dalla difesa in considerazione delle conseguenze che hanno determinato nei confronti delle destinatarie delle condotte.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve pervenirsi ad una sentenza di condanna in capo all'imputata Pr.Gi..
In ragione dell'assenza di qualsivoglia resipiscenza da parte dell'imputata si ritengono inadeguate eventuali pene sostitutive (art. 58 L. 689/81), peraltro non richieste né dall'imputata presente in udienza, né dal suo difensore, di tal che non sono stati formulati gli avvisi di cui all'art. 545 bis c.p.p.
Venendo al trattamento sanzionatorio, in assenza di alcun comportamento positivamente valutabile tenuto dall'imputata, la stessa non appare meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Giova in proposito ricordare che le circostanze attenuanti generiche sono state introdotte per consentire soltanto una migliore individualizzazione della pena al caso concreto e non devono trasformarsi in uno strumento improprio per mitigare il rigore delle sanzioni, tanto che è stato necessario un intervento del legislatore che ha imposto, per legge, dei limiti alla concessione delle stesse. Tali circostanze, invero, per la loro atipicità, possono soltanto consentire al giudice di valutare elementi di fatto particolarmente significativi, sia di natura oggettiva che soggettiva, capaci di far risaltare il valore positivo del fatto, elementi positivi che non sono assolutamente rilevabili nel presente processo.
Ne consegue che tenuto conto delle modalità della condotta e dell'intensità del dolo nonché della durata complessiva dell'azione, si reputa congrua la pena di mesi 12 coincidente con il minimo edittale, a cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
L'incensuratezza rende possibile la concessione della sospensione condizionale della pena, che può essere concessa anche alla luce della cessazione delle condotte.
L'ottenimento del beneficio deve essere subordinato, secondo la dell'art, 165, commi IV e V, c.p., alla partecipazione ad un corso di recupero presso ente o associazione specializzata nel recupero di soggetti condannati per il reato di atti persecutori con le modalità stabilite in sede di esecuzione, fissando in mesi sei dall'irrevocabilità della sentenza il termine per l'adesione al programma.
Avuto infine riguardo ai profili civilistici connessi alla richiesta di risarcimento del danno, si rileva che le condotte delittuose accertate hanno suscitato un danno patrimoniale e non alla persona offesa; risulta pertanto meritevole di accoglimento la domanda di risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, in difetto di più specifici elementi atti a consentire una pertinente ed esaustiva quantificazione del pregiudizio complessivamente cagionato dalle condotte delittuose accertate.
L'imputata infine, deve essere condannato a rifondere alla parte civile le spese di costituzione e di assistenza sostenute nel presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
Il concomitante carico di lavoro ha suggerito di riservare il deposito dei motivi.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
Dichiara Pr.Gi. responsabile del reato a lei ascritto e per l'effetto, la condanna alla pena di mesi 12 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali;
visti gli art. 163 e ss c.p.
concede alla Pr. il beneficio della sospensione condizionale della pena sopra indicata, subordinata alla partecipazione, con cadenza almeno bisettimanale, e al superamento con esito favorevole di specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, da avviarsi entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza;
visti gli artt. 538 e ss c.p.p.
condanna l'imputata al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile costituita Le.Lu., da liquidarsi in separato giudizio civile; visti gli artt. 541 c.p.p.
condanna l'imputata a rifondere alla predetta parte civile le spese di costituzione, assistenza e rappresentanza, che si liquidano, per la presente fase processuale in Euro 1.500,00 oltre spese forfettarie, IVA e CPA come per legge;
visto l'art. 544, comma 3, c.p.p,
indica in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Frosinone il 21 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2024.
18-03-2025 21:43
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