Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Reati contro la persona - Delitti contro la libertà morale - Minaccia - Reato di pericolo - Configurabilità.
Reati contro la persona - Delitti contro la libertà morale - Minaccia - Reato di pericolo - Configurabilità.
Corte di Cassazione, Penale, Sezione 5, Sentenza del 30-01-2025, n. 3877
REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

composta da

Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna - Presidente

Dott. CAVALLONE Luciano - Relatore

Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere

Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere

Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Co.Sa. nato a C (T) il (Omissis)

avverso la sentenza del 14/05/2024 della Corte d'Appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Luciano Cavallone;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Simonetta Ciccarelli, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; letta la memoria depositata dal difensore dell'imputato, avv. Wl.La., che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Torino ha confermato la condanna di Co.Sa., emessa dal Tribunale di Torino per il reato di minaccia aggravata nei riguardi di Be.An.

In particolare, in risposta ad un video pubblicato sul profilo Facebook del Be.An. il 22/08/2018, con cui questi aveva rappresentato, lamentandosene, gli schiamazzi in ora notturna che solitamente vi erano nei pressi della sua abitazione, il Co.Sa. aveva scritto: "come ti sei permesso a pubblicare il video su Facebook? Ti aspetto giù".

2. Ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato, lamentando la violazione degli articoli 612 e 49, comma 2, cod. pen.

In particolare, sostiene l'inidoneità dell'azione a produrre il pericolo previsto dalla norma incriminatrice, in quanto la vittima, avendo il cellulare scarico, di fatto aveva letto il messaggio minatorio dopo che si era consumata ai suoi danni l'aggressione minacciata, sicché lo stesso non avrebbe più potuto avere alcuna carica intimidatoria. Era accaduto, infatti, che la persona offesa, scendendo da casa poco dopo l'invio del menzionato messaggio, era stato percosso da un gruppo di ragazzi di colore abituali frequentatori del locale da cui provenivano gli schiamazzi stigmatizzati dal Se. sul suo profilo Facebook.

Parte ricorrente censura il ragionamento della Corte d'Appello, secondo cui il detto messaggio, ben potendo riferirsi anche ad ulteriori eventi futuri, non aveva perso la sua carica minatoria e, anzi, aveva acquisito ancor maggiore valenza intimidatoria in considerazione proprio dell'aggressione subita dal Se.. Infatti, secondo la difesa dell'imputato la frase in questione - "ti aspetto giù" - si riferiva temporalmente al momento in cui era stata inviata ed in cui la vittima era uscita dalla sua abitazione ed aveva subito l'aggressione, non potendosi intendere correlata ad ulteriori ipotetici eventi futuri.

Inoltre, il ricorrente lamenta la contraddittorietà della sentenza laddove, da un lato, aveva ritenuto ininfluente l'aggressione al fine di escludere il carattere minatorio della detta frase, dall'altro lato, aveva poi comunque giudicato la stessa determinante per considerare concreto il suo effetto intimidatorio.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto, con la sua requisitoria, dichiararsi inammissibile il ricorso, mentre il difensore dell'imputato ha depositato memoria, insistendo nell'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Come noto, il delitto di minaccia costituisce reato di pericolo e non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima (Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Rv. 275819-02, Sez. 5, n. 6756 del 11/10/2019, dep. 2020, Rv. 278740-01).

Dunque, non è necessario accertare se il messaggio in questione sia stato percepito come minatorio dalla vittima, dovendosi semplicemente indagare se lo stesso fosse potenzialmente idoneo ad intimidirla.

Orbene, per la incontestata ricostruzione operata dalle sentenze di primo e secondo grado, l'aggressione ai danni del Se. era stata perpetrata da giovani di colore, verosimilmente nigeriani o senegalesi, senza l'emersione di un concorso, anche solo morale, del Co.Sa.: sicché, logicamente, i giudici del merito hanno concluso che il medesimo messaggio non avesse affatto perso la sua carica intimidatoria, non potendo la vittima dare per assodato che il male da esso annunciato si fosse oramai definitivamente realizzato.

Anzi, in modo niente affatto contraddittorio, si rimarca, da parte della Corte d'Appello, come la coeva aggressione subita dalla vittima non solo, e certamente, non depotenziasse la carica minatoria del medesimo messaggio, ma la rendesse persino ancor più concreta: ragionamento in relazione al quale non emerge alcuna contraddittorietà o illogicità, posto che l'affermata ininfluenza dell'aggressione al fine di escludere il carattere minatorio della detta frase non è affatto in contrasto col suo ritenuto effetto rafforzativo dell'effetto intimidatorio.

In definitiva, la sentenza d'appello è congruamente motivata e priva di vizi o illegittimità.

3. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

Così è deciso in Roma il 17 dicembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2025.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza