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Sentenza

 La dissociazione non è in grado di superare la
presunzione di cui all'articolo 275, comma 3, allorquando si tratti di semplice
concorrente esterno dell'associazione mafiosa ovvero di soggetto che resta
estraneo all'organismo, per cui in relazione a tale tipo di partecipe ex art. 110
c.p. diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di
pericolosità.
La dissociazione non è in grado di superare la presunzione di cui all'articolo 275, comma 3, allorquando si tratti di semplice concorrente esterno dell'associazione mafiosa ovvero di soggetto che resta estraneo all'organismo, per cui in relazione a tale tipo di partecipe ex art. 110 c.p. diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità.
Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 28638 Anno 2025
Presidente: CATENA ROSSELLA
Relatore: SESSA RENATA
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.C.  nato a C.  il ......
avverso l'ordinanza del 01/04/2025 del Tribunale di Palermo
Udita la relazione svolta dal Consigliere Renata Sessa;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, LUIGI GIORDANO,
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso riportandosi alla requisitoria già
in atti;
udito il difensore, avv. Giovanni Castronovo, che si è riportato ai motivi di
ricorso, come ulteriormente illustrati ed integrati con le note in atti, ed ha
insistito per l'accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1.E' impugnata, con ricorso per cassazione, l'ordinanza emessa dal Tribunale
di Palermo, ex art. 310 c.p.p., con cui è stata rigettata la richiesta di sostituzione
della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domicillari, fondata
sull'affievolimento delle esigenze cautelari, avanzata nell'interesse di G.
C. all'esito della pronuncia dì condanna del predetto, in sede di giudizio
abbreviato, alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione per il reato di cui
agli artt. 110-416-bis c.p. (capo 1 in relazione all'associazione denominata 'Cosa
Nostra' operante nel territorio di Custonaci, Valderice, Trapani e altri territori
della provincia dì Trapani) e per il reato di cui all'art. 512-bis c.p. (esclusa
l'aggravante originariamente contestata dell'agevolazione mafiosa di cui all'art.
416-bis.1 c.p., capo 16).
2.11 ricorso, proposto dal G. tramite il difensore di fiducia, è articolato
in due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att,
cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione all'art. 274 del codice di rito. Il Tribunale, richiamando preliminarmente
il giudicato cautelare, e, in particolare, quanto già sostenuto con la precedente
ordinanza resa ex art. 310 c.p.p., ha confermato il giudizio di ineludibilità della
misura della custodia cautelare in carcere adottata con l'ordinanza genetica,
sostenendo che a fronte di tali pronunce del Tribunale, particolarmente specifico
avrebbe dovuto essere l'onere di allegazione di fatti nuovi idonei a mutare il
quadro cautelare. In buona sostanza, a parere dei giudici gli elementi di novità
rassegnati dalla difesa erano già stati valutati dal Tribunale e comunque risultano
inidonei ai fini di un affievolimento delle esigenze cautelari, posto che l'unico
elemento di novità posto a base dell'istanza è costituito dall'ulteriore decorso del
tempo e l'intervenuta sentenza di condanna, emessa all'esito del giudizio
abbreviato.
Ebbene, il provvedimento gravato non ha risposto in modo esauriente e con
motivazione logica ed immune da vizi a tutti gli elementi dedotti dalla difesa in
base ai quali è possibile poter ritenere che le residue esigenze di cautela possono
essere adeguatamente contemperate con la misura meno afflittiva degli arresti
domiciliari, anche con l'applicazione del dispositivo elettronico, in luogo assai
diverso e lontano rispetto a quello in cui ebbero a consumarsi gli illeciti per cui è
processo. Innanzitutto, l'art. 299, comma 1, c.p.p, impone di considerare
l'istanza difensiva come una sollecitazione a rimeditare gli elementi legittimanti il
provvedimento restrittivo sulla base delle osservazioni proposte dall'interessato,
cioè una diversa considerazione dell'esigenza stessa di persistenza di tale
misura. Di talché non può revocarsi in dubbio che non sussiste alcuna
preclusione, rectius onere particolare in capo alla difesa, rispetto a quanto
dedotto e deciso in precedenza anche perché, a ben vedere, il procedimento
cautelare, per sua natura incidentale in seno al processo, è necessariamente un
procedimento in fieri nell'ambito del quale ciascun elemento nel frattempo
maturato (e quindi incide significativamente l'emissione della sentenza di primo
grado) assume valenza pregnante ai fini della rivalutazione circa l'attuale
sussistenza delle originarie esigenze cautelari. D'altra parte, è anche vero che se
effettivamente l'istanza difensiva non fosse stata corroborata da elementi
ulteriori e diversi il G.u.p. avrebbe dovuto dichiararla inammissibile laddove ciò
non è avvenuto. E ciò evidentemente perché la sentenza di primo grado
costituisce un indubbio ed incisivo novum nella misura in cui è servito a
depotenziare e ridimensionare la portata della prospettazione accusatoria; ed
infatti, nonostante il G.i.p. nel corso dell'originario provvedimento genetico
avesse riqualificato sub art. 110-416-bis c.p. il delitto di cui al capo 1, la Procura
ha esercitato l'azione penale per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., sicché,
poiché l'odierno ricorrente ha riportato condanna per il reato di concorso esterno
in associazione mafiosa, è chiaro che il dato assume una sua valenza decisiva ai
fini del presente atto, anche perché la condotta delittuosa posta in essere si è
interrotta non solo per effetto della pronuncia della sentenza (trattandosi di reato
permanente), ma anche a seguito delle dichiarazioni rese nel corso del proprio
esame dallo stesso G. che si è di fatto dissociato rispetto a quel contesto
politico-mafioso del quale avrebbe fatto parte in passato.
Per tali ragioni non può revocarsi in dubbio che ad oggi il G. è
oggettivamente impossibilitato a porre in essere condotte di analogo tenore a
quelle per cui si procede, ed infatti lo stesso non ricopre alcun ruolo in seno
all'amministrazione del Comune di Custonaci, il precedente contesto politico è
totalmente mutato, prendendo altresì, come detto, le distanze da quel contesto
in cui si sarebbero verificati i fatti oggetto di contestazione. Se a ciò si aggiunge
il lungo periodo di carcerazione preventiva sofferta e la circostanza che i fatti per
cui è processo risalgono addirittura al 2021 appare evidente che l'esigenza di
cautela paventata dai giudici risulta essere quantomeno fortemente scemata e
meritevole di rivalutazione. Peraltro, non si comprende la logicità e la pertinenza
del riferimento all'intercettazione riportata a pagina 7 del provvedimento
gravato, la quale, al più, esprime un mero ed eventuale proposito manifestato
dal ricorrente in un momento di rabbia, ma mai effettivamente portato a
compimento.
In definitiva, contrariamente a quanto espresso dal Tribunale, si deve
ritenere che il tempus commissi delicti e la permanenza dello status detenzione
non possono costituire un tempo muto in quanto il passare del tempo incide
significativamente in termini di attualità delle esigenze cautelali, imponendo un
obbligo più stringente di motivazione e costituisce, per principio di diritto ormai
consolidato, elemento utile ai fini della verifica del quadro di esigenze cautelari
sul quale sì basa la misura in applicazione, specie se, come nel caso di specie, in
presenza dì ulteriori allegazioni che non sono state tenute in debita
considerazione. In particolare, si fa riferimento alla disponibilità dell'odierno
ricorrente di un immobile sito in provincia di Brescia, ove lo stesso potrebbe
essere posto agli arresti domiciliari.
2.2.Col secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione
in relazione alla ritenutala sussistenza della presunzione di cui all'articolo 275
comma 3 c.p.p. Com'è noto la dissociazione non è in grado di superare la
presunzione di cui all'articolo 275, comma 3, allorquando si tratti di semplice
concorrente esterno dell'associazione mafiosa ovvero di soggetto che resta
estraneo all'organismo, per cui in relazione a tale tipo di partecipe ex art. 110
c.p. diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di
pericolosità. In particolare, si tratterà di elementi diretti a sostenere
l'impossibilità o l'elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora
fornire un contributo alla cosca ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli
interessi comuni con l'associazione mafiosa o ancora la perdita di quegli
strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo
criminale. Il provvedimento impugnato, sulla scorta di tali principi, appare
carente poiché non supportato da un esauriente e logica motivazione sul punto.
In particolare, i giudici de libertate hanno ritenuto sussistente il pericolo di
reiterazione della condotta criminosa, così come originariamente contestata, non
spiegando le ragioni poste a fondamento della decisione assunta, omettendo
qualsivoglia tipo di valutazione in merito alla possibilità di porre il giudicabile agli
arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, e tutte le cautele del caso,
in provincia di Brescia, presso l'abitazione del figlio. Non è stato, cioè, spiegato,
sebbene sussista un obbligo in tal senso, perché tale regime detentivo auto
custodiale non assicuri il pericolo che il ricorrente possa concretamente
riallacciare i contatti con l'ambiente criminale in cui è maturato il delitto e
reiterare la condotta criminosa.
3. La difesa ha, poi, depositato, via p.e.c., due note difensive, con cui ha
ulteriormente illustrato ed integrato i motivi di ricorso (allegando, tra l'altro, una
pronuncia della Prima Sezione di questa Corte, emessa il 12.10.2023, in tema di
pericolosità ed adeguatezza della misura applicata), contro-deducendo ai rilievi
esposti dal Procuratore Generale nella requisitoria svolta anche per iscritto. In
particolare, ha ribadito che l'intervenuta condanna quale concorrente esterno,
unitamente agli ulteriori elementi di novità addotti dalla difesa, costituisce
elemento idoneo a mutare il quadro cautelare, non fosse altro per il diverso
regime dì presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui
all'art. 275 c.p.p. Sul punto, ritiene emblematico l'annullamento dì legittimità che
ha ribadito come per il titolo di reato di concorso esterno in associazione mafiosa
non operi la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui
all'art. 275, co. 3, c.p.p. riferita al delitto di associazione mafiosa, disponendo,
così, che spetta al Tribunale della Libertà: "...procedere a rinnovato
apprezzamento della sussistenza di attuali rapporti tra il ricorrente e componenti
del gruppo criminale di riferimento al fine di scrutinare, a consistente distanza di
tempo dalle condotte in addebito, l'eventuale sussistenza di un attuale pericolo di
recidiva nei reati, che non potrà prescindere dalla verifica di indici di un concreto
apporto che dall'esterno l'indagato è ancora in grado di fornire al sodalizio
criminale..." (Cass., Sez. VI, n. 31893 del 2020, Terranova, inedita),
4. Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato - ai sensi
dell'art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive
integrazioni e dell'art. 127 c.p.p. - su richiesta, con l'intervento delle parti che
hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è, nel suo complesso, infondato.
I due motivi articolati, che per essere, come prospetta lo stesso ricorso,
strettamente collegati tra loro verranno trattati congiuntamente, sono entrambi
infondati,
Con essi, in buona sostanza, il ricorrente, da un lato, assume che
erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto la ricorrenza del cd. giudicato
cautelare e la mancata allegazione di elementi nuovi ai fini di una rivalutazione
del quadro cautelare, da individuare, invece, quanto meno, nel tempo trascorso
dal fatto, risalente al 2021 (in esso compreso il periodo in restrizione carceraria
protrattosi dal 2023) e nella sentenza di condanna per il reato diversamente
qualificato, rispetto all'imputazione elevata dal P.m. in termini dì partecipazione
ad associazione mafiosa, in concorso esterno associativo; e, dall'altro, facendo
leva sui principi che governano la presunzione dì cui all'art. 275, comma 3, c.p.p.
in caso di soggetto concorrente esterno, assume che si sarebbero dovuti
considerare gli elementi allegati dalla difesa, diretti a sostenere l'impossibilità o
l'elevata improbabilità che il concorrente esterno potesse ancora fornire un
contributo alla cosca (ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi
comuni con l'associazione mafiosa o ancora la perdita di quegli strumenti che
assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale). E
adduce al riguardo, il ricorrente, la circostanza che il prevenuto non ricopre più
alcuna carica in seno all'amministrazione del Comune di Custonaci, ed il fatto che
il precedente contesto politico è totalmente mutato, avendo, peraltro, lo stesso
G. preso le distanze da quel contesto in cui si sarebbero verificati i fatti
oggetto di contestazione, concludendo, quindi, che le residue esigenze cautelari
ben potrebbero, ora, essere adeguatamente soddisfatte con la misura degli
arresti domiciliari in luogo distante da quello ove si collocano i fatti criminosi.
Ciò posto si impongono delle precisazioni riguardo ai temi che i motivi,
attraverso le deduzioni svolte, hanno posto.
Si deve innanzitutto ribadire che in materia di misure cautelari non opera il
limite del "ne bis in idem", e il sindacato giurisdizionale su di esse non è idoneo
alla formazione del giudicato, tant'è che le relative statuizioni sono ricorribili per
cessazione, ai sensi dell'art. 111, comma settimo, Cost., non per la natura
decisoria delle stesse ma perché si tratta di atti che incidono sulla libertà
personale (cfr., in tema, la recentissima sentenza di questa Corte Sez. 1, n.
15747 del 22/04/2025, Rv. 287838 - 01. Conf, Sez. 1 civ., n. 24721 del 2021,
Rv. 662478-01), e si deve, al più, parlare di efficacia preclusiva, "rebus sic
stantibus" (cfr, per tutte, Sez. 5, n. 12745 del 06/12/2023, dep. 27/03/2024,
Rv. 286199 - 01, che ha affermato che in tema di giudicato cautelare, la
preclusione processuale conseguente alle pronunce emesse, all'esito del
procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte di cessazione o dal
Tribunale in sede di riesame o di appello è di portata più ridotta rispetto a quella
determinata dalla cosa giudicata, sia perché limitata allo stato degli atti, sia
perché non copre le questioni deducibili, ma solo le questioni dedotte e decise,
ancorché implicitamente, nel procedimento di impugnazione avverso le ordinanze
in materia di misure cautelari personali).
E nel caso di specie il Tribunale non si è affatto trincerato dietro il cd.
giudicato cautelare - tant'è che come osserva la stessa difesa il suo epilogo
decisorio non è stato in termini di inammissibilità ma di rigetto - e, a differenza
di quanto si assume in ricorso, ha adeguatamente valutato gli elementi indicati
dalla difesa come nuovi, sebbene essi fossero stati in gran parte già oggetto di
vaglio - negativo - nei precedenti provvedimenti emessi dal medesimo Tribunale
in diversa composizione (sia in sede di riesame, che di appello avverso
precedente istanza di tenore analogo a quella che ha dato origine al
procedimento incidentale del presente giudizio cautelare).
Il Tribunale del riesame, dopo aver preso atto che il ricorrente è stato
condannato, in sede di abbreviato, per il reato di concorso esterno
all'associazione di stampo mafioso denominata 'Cosa Nostra', come già
riqualificato in sede genetica cautelare rispetto all'originaria imputazione di
partecipazione associativa, oltre che per il reato di cui agli artt. 110-512-bis c.p.,
non aggravato dall'agevolazione mafiosa, ha, innanzitutto, rilevato che con la
richiesta del 14 Febbraio 2025 la difesa aveva chiesto la sostituzione della
misura di massimo rigore con quella degli arresti domiciliari deducendo
l'affievolimento delle esigenze cautelari, avuto riguardo: alla definizione del
giudizio di primo grado ed all'intervenuta condanna per le ridimensionate
fattispecie criminose di concorso esterno in associazione mafiosa e di
trasferimento fraudolento di valore con esclusione della circostanza aggravante
dell'agevolazione mafiosa, alla natura relativa della presunzione operante in
relazione alla fattispecie di cui agli articoli 110-416-bis, allo stato di
incensuratezza del G. al venir meno del pericolo di inquinamento
probatorio, al tempo trascorso dai fatti, al corretto comportamento dell'imputato,
alla disponibilità dell'abitazione del figlio, sita in Brescia, ove eseguire l'eventuale
misura degli arresti domiciliari; e che tale richiesta era stata rigettata dal G.u.p.
per l'assenza di elementi sopravvenuti meritevoli di positiva valutazione
(evidentemente non ritenuti identificabili in quelli indicati dalla difesa).
Il Tribunale, ritenuto di poter integrare il provvedimento del G.u.p.,
conformemente all'orientamento consolidato di questa Corte, che, applicando le
regole generali delle impugnazioni di merito, attribuisce al Tribunale della cautela
il potere di ovviare ad eventuali carenze di motivazione, ha proceduto all'esame
degli elementi posti sul tappeto dalla difesa, non prima di porre, giustamente, in
evidenza come, in realtà, non potesse ritenersi elemento nuovo positivo di
valutazione la qualificazione, in sede di condanna, della condotta di cui al capo 1
ai sensi degli artt. 110-416-bis c.p. e l'esclusione della circostanza aggravante di
cui all'art. 416-bis.1 c.p., trattandosi, a ben vedere, di aspetti già considerati in
ambito cautelare ed, in parte, nello stesso momento genetico della misura
avendo il G.i.p. già all'atto dell'applicazione della custodia in carcere qualificato il
fatto della partecipazione come concorso esterno. E ha il Tribunale messo in
rilievo come la pronuncia di condanna, all'esito di giudizio abbreviato, alla pena
di anni 8 e mesi 4 di reclusione, più che risolversi in un elemento idoneo ad
indurre una rivalutazione del quadro cautelare - già valutato nella stessa
ordinanza genetica, come prospetta la medesima difesa, alla stregua della
fattispecie del concorso esterno e non di quella della partecipazione associativa -
stesse piuttosto a dimostrare la consistenza del materiale probatorio che è stato
raccolto nei confronti del G..
Giustamente il novum è stato escluso perché la condotta ravvisata nella
sentenza di condanna è perfettamente coincidente con quella già ritenuta
nell'ordinanza genetica, ritenendo che il confronto ai fini della valutazione del
novum, a differenza di quanto prospettato dalla difesa, non andasse effettuato
rispetto alla condotta replicata dal P.M. in termini di partecipazione associativa in
sede di esercizio dell'azione penale (nonostante la già intervenuta riqualificazione
da parte del giudice della cautela), ed è sulla base di tale diversa qualificazione
che è stata, comunque, effettuata la valutazione del caso.
Il Tribunale non si è sottratto alle valutazioni del caso, pur doverosamente
evidenziando che il precedente rigetto, confermato dal medesimo Tribunale, di
analoga istanza di sostituzione della misura con gli arresti domiciliari al nord
Italia, presentata nel 2024, aveva già posto in evidenza come tale misura
domiciliare non potesse essere ritenuta sufficiente, considerate la
spregiudicatezza del G. e la fitta rete di rapporti intessuta dallo stesso con
diversi esponenti mafiosi anche di famiglie diverse da quella di Custonaci. E,
sulla base di tale presupposto, il Tribunale ha osservato che, quindi,
particolarmente specifico avrebbe dovuto essere l'onere di allegazione di fatti
nuovi ovvero di elementi idonei a mutare il granitico quadro cautelare esistente.
E, quanto al decorso del tempo, pure addotto dalla difesa come novum, il
Tribunale, dopo aver puntualizzato che, a rigore, l'obbligo di considerazione di
tale elemento è collocato dall'art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
nella fase di applicazione della misura, mentre analoga valutazione non è
richiesta dall'art. 299 c.p.p. ai fini della revoca o sostituzione della misura, e
citato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in ogni caso, il tempo
trascorso non sarebbe di per sé fattore idoneo ad attenuare o elidere le esigenze
cautelari, ha concluso che, nel caso di specie, pur a voler tener conto del tempo
trascorso, esso non depone comunque a favore di un'attenuazione delle esigenze
cautelari, non potendosi, tra l'altro, ritenere il tempo trascorso in carcere senza
violazione delle prescrizioni un fattore sufficiente ai fini della valutazione in
argomento.
Nel provvedimento impugnato vi è, tra l'altro, il riferimento all'intercettazione
del 11 giugno 2023, dalla quale sono stati estrapolati aspetti allarmanti della
personalità del ricorrente, che secondo i giudici della cautela danno piuttosto
conto, in positivo, della concretezza ed attualità delle esigenze cautelari. Tali
conversazioni - non oggetto di specifica contestazione da parte della difesa che si
è limitata a sminuirne il pur eloquente significato ai fini cautelari - in particolare,
secondo quanto si legge nell'ordinanza del Tribunale, darebbero atto
dell'allarmante ritorsione programmata dal G. per la sua estromissione
dell'amministrazione comunale anche in occasione delle più recenti elezioni
dell'epoca, che non ebbero l'esito sperato dal G., e del fatto che
quest'ultimo non solo sarebbe stato ancora appoggiato da M. M., ma
insieme a questi si sarebbe rivolto al reggente della famiglia mafiosa di
Valderice, T. F., per ottenere il suo sostegno elettorale, come da
informativa del 15 giugno 2023 (che colloca i fatti nella fase antecedente
all'applicazione della misura cautelare in carcere, che secondo quanto riferisce la
stessa difesa nelle note conclusive è intervenuta dopo soli quattro mesi da tali
fatti).
Tale circostanza ha, in buona sostanza, indotto il Tribunale a concludere,
conformemente a quanto già osservato dai precedenti giudici della cautela, che
le relazioni intrattenute e mantenute, nel tempo, dal G. con soggetti
organici a 'Cosa Nostra', il contributo offerto in cambio dell'appoggio elettorale ai
sodali mafiosi, manifestato fino a poco tempo prima dell'applicazione della
misura custodiale, impongono - di là della intervenuta esclusione della sua
intraneità alla cosca - di formulare una prognosi di estremo sfavore e a ritenere
necessaria una restrizione assoluta della libertà di movimento e di relazione
dell'imputato, garantita soltanto dall'applicazione della custodia cautelare in
carcere, non emergendo, di contro, elementi specifici atti a far concludere per la
possibilità di un soddisfacimento delle esigenze cautelari mediante il ricorso a
misure diverse e meno afflittive, neppure a quella degli arresti domiciliari in
luogo distante - e con presidio elettronico. Ciò, considerate, in altri termini, da
un lato, la spregiudicatezza dimostrata dal G. nel tempo e la fitta rete di
rapporti intessuta dallo stesso con diversi esponenti mafiosi anche di famiglie
diverse da quella di Custonaci, e, dall'altro, la mancata emersione di elementi
effettivamente valutabili come positivi ai fini del superamento della presunzione
relativa di adeguatezza della misura cautelare in carcere, che - è il caso di
rammentare - comunque opera nel caso del concorrente esterno.
Rimane solo da precisare che è, peraltro, pacifico che per 'tempo silente'
secondo la giurisprudenza di questa Corte, conformemente al dettato di cui
all'art. 292 cod. proc. pen., deve intendersi il tempo trascorso dal fatto al
momento dell'applicazione della misura (cfr. tra tante, Sez. 6, Sentenza n. 2112
del 22/12/2023, dep. 17/01/2024, Rv. 285895 - 01). E non potrebbe essere
altrimenti perché il 'tempo silente' rilevante non può che riferirsi all'arco
temporale che intercorre tra i fatti contestati e l'applicazione della misura
cautelare, dal momento che, perché esso rilevi, si deve trattare di un arco
temporale - rilevante - privo di ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di
perdurante pericolosità, che in quanto tale non può che trovare la sua naturale
collocazione nel periodo antecedente all'applicazione della misura, ossia nel
periodo in cui l'imputato è libero e si trova quindi nella possibilità dì continuare a
delinquere (e ciò nonostante non delinque ulteriormente, o almeno non sono
rilevate ulteriori condotte illecite).
Tuttavia, nel caso di specie, non può dirsi rilevante il tempo trascorso tra le
condotte ascritte al ricorrente, risalenti al 2021, e la data di applicazione della
misura, risalente al 2023, soprattutto se si considera che il periodo di poco
antecedente all'applicazione della misura cautelare risulta connotato dalla
vicenda del 2023, di cui si è fatto sopra cenno, che è stata giustamente ritenuta
indicativa dei collegamenti mantenuti dal ricorrente nel tempo con i clan della
zona, fino a pochi mesi prima dell'applicazione della misura in carcere. E tale
valutazione, che fa leva proprio sulle cointeressenze mantenute dal ricorrente nel
tempo coi clan, di là della copertura, in atto, di cariche all'interno
dell'Amministrazione, da parte dello stesso, la difesa ha inteso superare
adducendo, in maniera evidentemente, inconducente, la circostanza che il
G. non ricopre più alcun ruolo nel Comune di Costunaci e che sarebbe
mutato il contesto politico di riferimento.
La stessa difesa ha, invero, per altro verso, inteso dare rilievo soprattutto al
tempus commissi delicti e al tempo trascorso in carcere, quale tempo 'non
muto', ossia al complessivo arco temporale decorso dalle condotte ascritte al
ricorrente, senza tuttavia indicare idonei elementi positivi di valutazione, che
potessero, cioè, dare corpo a quell' "eloquenza" del tempo trascorso, anche in
carcere, che la medesima adduce a sostegno della sua impostazione, e
consentire, quindi, di superare la presunzione relativa di adeguatezza della
misura custodiale.
In altri termini, l'esito della valutazione del profilo cautelare non cambia
anche ove lo si riguardi dal punto di vista del tempo complessivo decorso dal
fatto. Se non sì può dubitare, infatti, che, da un lato, il tempo trascorso in
carcere a seguito dell'applicazione della misura cautelare determini un
allontanamento soprattutto fisico del soggetto dal contesto associativo, che nel
caso di concorso esterno può assumere un rilievo diverso ai fini della valutazione
delle esigenze cautelari, si deve, tuttavia, considerare, dall'altro, che il punto non
è tanto il mero tempo trascorso in carcere ed il comportamento assunto dal
soggetto in restrizione carceraria in adempimento delle prescrizioni impostegli
dal regime carcerario, peraltro neppure specificamente addotto dal ricorrente,
quanto piuttosto il segnale positivo che può essere dato anche durante la
restrizione carceraria, non evidenziato, né in altro modo emerso, nel caso in
esame, trattandosi di superare una presunzione di adeguatezza della misura
cautelare in carcere attraverso una prognosi che proietti il comportamento della

persona al di fuori dal carcere, una volta che intervenga la revoca o sostituzione
della misura.
Di contro, ai finì di una prognosi negativa, ben possono essere presi in
considerazione, come fatto nella vicenda in scrutinio, anche elementi relativi al
comportamento, nel suo complesso, allarmante, assunto dal soggetto prima di
essere ristretto in carcere, che diventa, evidentemente, maggiormente indicativo
ove sia ascrivibile - come nel caso di specie alla stregua della citata informativa
del 11.6.2023 - al periodo di poco antecedente alla imposizione della misura e
non siano sopravvenuti, rispetto ad esso, elementi di segno positivo, che vieppiù
s'impongono quando si tratta di superare la presunzione relativa della necessità
della custodia in carcere (elementi di segno positivo che nel caso di specie, si
ribadisce, neppure la difesa ha saputo indicare).
Il ricorso, in definitiva, non ha rappresentato elementi idonei a dimostrare
che, a fronte della condotta assunta anche nella fase di poco antecedente alla
restrizione, il ricorrente abbia successivamente, durante la detenzione cautelare
in carcere, assunto comportamenti significativi di segno contrario, che, pur non
dovendo consistere, allorquando si versa nel caso del concorso esterno in
associazione di stampo mafioso, in segnali di rescissione, ben possono, e
devono, andare quanto meno oltre il mero rispetto delle prescrizioni carcerarie.
Non si può attribuire, come vorrebbe la difesa, alla detenzione carceraria
protrattasi sinora per circa due anni rilievo ex se, dal momento che il mero
decorso del tempo, per di più non particolarmente consistente, ha valore neutro
ove non sia accompagnato da altre circostanze suscettibili di incidere sulla
considerazione delle esigenze da salvaguardare, ove non emergano, cioè, altri
elementi idonei a suffragare la tesi dell'affievolimento delle esigenze cautelari, e
ciò a maggior ragione nell'ipotesi dell'operatività della presunzione relativa di cui
all'art. 275 comma 3 c.p.p.
Il tempo trascorso dall'applicazione o dall'esecuzione della misura cautelare,
nel caso in cui operi la presunzione relativa dì cui all'art. 275 c.p.p., è, infatti,
qualificabile come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno
ovvero l'attenuazione delle originarie esigenze cautelarí solo in presenza di
ulteriori elementi dì valutazione, e ciò vieppiù nel caso in cui il lasso di tempo
trascorso non sia, come nel caso di specie, particolarmente rilevante.
In definitiva, operando, nel caso in esame, la regola di giudizio che regge le
cautele personali che fondano l'adeguatezza della misura della custodia in
carcere sulla base di una presunzione relativa di sussistenza dell'esigenza
cautelare, che trova applicazione sia nella fase applicativa della misura che in
quella successiva, non occorre(va) alcun particolare rigore motivazionale al fine

di escludere la capacità dell'indagato di osservare disciplinatamente le
prescrizioni in caso di misura auto-custodiale, dovendo la capacità di
autocontrollo risultare dagli atti o essere desunta, anche sulla base di allegazioni
della parte, da elementi specifici che, in relazione al caso concreto, facciano
ritenere che le esigenze cautelari siano salvaguardabili con misure diverse dalla
custodia cautelare in carcere (sicché si appalesa, per altro verso, inappropriato il
riferimento alla sentenza della Prima Sezione di questa Corte, allegata alla nota
difensiva in atti, che, attenendo al diverso caso del reato di corruzione, ha dato
rilievo alla circostanza della sospensione della carica ed ha quindi annullato con
rinvio l'ordinanza dinanzi ad essa impugnata).
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue,
per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese di procedimento.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell'articolo 94, comma 1-ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che copia della stessa
sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato si trova
ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/6/2025.

Avv. Antonino Sugamele

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