In tema di truffa, la prova dell'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, quali l'inganno, il profitto ed il danno, anche se preveduti come conseguenze possibili della propria condotta, di cui si sia assunto il rischio di verificazione». Ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo del reato di truffa, dunque, è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà dell'immutatio veri, mentre non sono richiesti né l’animus nocendi né l'animus decipiendi, con la conseguenza che il delitto - ordinario o militare - sussiste sia quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere, sia quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno.
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1305 Anno 2025
Presidente: DE MARZO GIUSEPPE
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO
Data Udienza: 13/12/2024
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da S. A., nato a S.L. d. S.- il Di G. C., nato a Roma il 30/05/1960 avverso la sentenza emessa il 10/04/2024 dalla Corte militare di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Alessandro Centonze;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale militare Roberto Bellelli, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 28 settembre 2022 il Tribunale militare di Roma giudicava C. Di G. e A. S. colpevoli del reato loro ascritto al capo A (artt. 47, primo comma, n. 2, c.p.m.p., 3 legge 9 dicembre 1941, n. 1383), per il quale gli imputati venivano condannati, il primo, alla pena di tre anni di reclusione militare, il secondo, alla pena di due anni e otto mesi di reclusione militare. Gli imputati C. Di G. e A. S., inoltre, venivano assolti dai reato loro ascritti ai capi B (artt. 47, primo comma, n. 2, c.p.m.p., 3 legge n. 1383 del 1941), C (artt. 110 cod. pen., 47, primo comma, n. 2, 58, 212 c.p.m.p., in relazione all'art. 127 c.p.m.p.), D (artt. 110 cod. pen., 47, primo comma, n. 2, 58, 127, secondo comma, c.p.m.p.), E (artt. 61, primo comma, n. 7, 81, secondo comma, cod. pen., 47, primo comma n. 2, 234, primo e secondo comma, c.p.m.p.), perché il fatto non sussiste. Gli imputati, infine, venivano condannati alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali. 2. Con sentenza emessa il 10 aprile 2024 la Corte militare di appello di Roma, pronunciandosi sulle impugnazioni del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale militare di Roma e degli imputati, assolveva C. Di G. e A. S. dal reato di cui al capo B, il solo S. dal reato di cui al capo A e condannava gli appellanti per il reato di cui al capo E, commesso il 9 febbraio 2017. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata. Conseguiva tali statuizioni la condanna di C. Di G. alla pena di due anni e cinque mesi di reclusione militare e di A. S. alla pena di sei mesi di reclusione militare. 3. Dalle sentenze di merito, che divergevano nei termini di cui si è detto, emergeva che gli imputati a C. Di G. e ad A. S. erano stati riconosciuti colpevoli della truffa militare contestata al capo E; mentre, il solo Di G. era stato riconosciuto colpevole della collusione del militare della Guardia di Finanza contestata al capo A. Tanto premesso, occorre passare a considerare le singole ipotesi delittuose, prendendo le mosse dal reato ascritto al solo C. Di G. al capo A, riguardante la collusione del militare della Guardia di Finanza, posta in essere quando l'ufficiale, all'epoca dei fatti in servizio presso il Reparto Tecnico Logistico Abruzzo della Guardia di Finanza, con il grado di colonnello, poneva in essere o. condotte collusive nei confronti di V. L. che era il titolare della società "Eurocar s.a.s." dell'Aquila, che operava nel settore della commercializzazione di autovetture, con cui era legato da rapporti di amicizia. La condotta collusiva contestata al capo A si concretizzava quando C. Di G., nel corso di un colloquio svoltosi il 20 ottobre 2016, aveva rassicurato M.G. D'A. sulla legittimità della compravendita di un'autovettura Audi Q5, acquistata presso la società "Eurocar s.a.s." dell'Aquila, nonostante il ricorrente fosse a conoscenza del fatto che il venditore, V. L., all'epoca dei fatti, fosse sottoposto a indagine per la commercializzazione di autovetture, acquistate all'estero e rivendute in Italia. Questa ipotesi delittuosa si riteneva dimostrata sulla base della testimonianza resa da M.G. D'A., che, sentita in dibattimento, chiariva quale fosse l'oggetto del colloquio intrattenuto con C. Di G. il 20 ottobre 2016, alla presenza di V. L., nel corso del quale l'imputato aveva rassicurato la testimone sull'acquisto dell'autovettura di cui si è detto, dopo che la acquirente che si era lamentata con il venditore per le difficoltà di immatricolazione del veicolo incontrate l'Ufficio della Motorizzazione Civile dell'Aquila. La testimonianza di M. G. D’A. si riteneva corroborata dalle intercettazioni registrate il 20 ottobre 2016, alle ore 11.15 e alle ore 11.26, tra C. Di G. e V. L., che concordavano di incontrarsi di lì a breve, allo scopo di fornire le rassicurazioni richieste dalla teste al venditore del veicolo controverso. L'appuntamento, infatti, aveva luogo nel corso della stessa mattinata, come riferito dal mar. G. N., che, in quel periodo, seguiva le indagini attivate in un diverso procedimento, attivato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dell'Aquila nei confronti di V. L., per le presunte irregolarità commesse nella commercializzazione delle autovetture acquistate all'estero. Passando, invece, a considerare l'ipotesi delittuosa di cui al capo E, contestato a entrambi gli odierni ricorrenti, deve rilevarsi che la truffa militare in questione riguardava l'indebita percezione della retribuzione per il servizio prestato durante l'ora in cui, il 9 febbraio 2017, i due militari si erano recati, assieme, nei locali dell'autosalone "Eurocar s.a.s." di V. L., allo scopo di incontrarlo. In quell'occasione, C. Di G. e ad A. S. incontravano due finanzieri, il mar. G. N. e il brig. S. De ., che erano posizionati all'esterno dei locali dell'autosalone "Eurocar s.a.s.", per svolgere le attività d'indagine sui presunti illeciti posti in essere da V. L., di cui si è detto, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dell'Aquila. Deve, inoltre, precisarsi che il mar. N. e il brig. De Z., esaminati nel giudizio di primo grado, celebrato davanti al Tribunale militare di Roma, confermavano la presenza degli imputati nei locali dell'autosalone "Eurocar s.a.s.", nella data oggetto di contestazione, precisando che, il col. Di G., accortosi della presenza dei colleghi, si fermava a parlare con loro. Deve precisarsi ulteriormente che le deposizioni dei testi N. e Di Z. si ritenevano riscontrate dalle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari del procedimento attivato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dell'Aquila, che imponevano di affermare la natura esclusivamente privata della visita effettuata dagli imputati a V. L. la mattina del 9 febbraio 2017. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi gli imputati C. Di G. e A. S. venivano condannati alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello gli imputati C. Di G. e A. S. proponevano ricorso per cassazione, con atti di impugnazione di cui occorre dare partitamente conto. 4.1. L'imputato A. S., a mezzo dell'avv. Cristiana Valentini, proponeva ricorso per cassazione, articolando sei censure difensive, che venivano integrate dai motivi nuovi, datati 26 novembre 2024, presentati dallo stesso difensore. Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di appello di Roma dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell'ipotesi delittuosa di cui al capo E, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dalle connotazioni oggettive - rappresentate dall'arco temporale limitato, contenuto in un'ora, e dal valore economico modesto, quantificato in 23,24 euro -, che caratterizzavano l'attività, asseritamente, fraudolenta posta in essere da A. S.. Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte militare di merito, nel formulare il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti di A. S., tenuto conto della sua assoluzione dai reati ascrittigli ai capi A e B, che andavano correlati alla fattispecie di cui al capo E, riguardando la truffa militare e le condotte collusive i rapporti illeciti esistenti tra l'imputato e V. L., sconfessati dal compendio probatorio. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte territoriale dato opportuno conto delle ragioni che consentivano di ritenere sussistente l'elemento soggettivo della truffa militare di cui al capo E, non essendosi acquisita la prova che S., al momento della redazione del consuntivo delle attività professionali svolte nella giornata controversa, fosse consapevole di avere posto in essere la condotta illecita ascrittagli per ragioni esclusivamente private. Con il quinto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di merito dato adeguato conto degli elementi probatori addotti dalla difesa del ricorrente, tra i quali doveva attribuirsi rilievo decisivo alla consulenza tecnica, redatta da G. A., da cui si evinceva che l'imputato non era coinvolto nel colloquio intrattenuto dal coimputato con il mar. N. e il brig. De Z., essendo, in quel momento, impegnato in una conversazione telefonica; il che rendeva evidente che il ricorrente non era a conoscenza delle ragioni che avevano indotto Di G. a intrattenersi con i due colleghi posizionati all'esterno dei locali dell'autosalone "Eurocar s.a.s." Con il sesto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere i comportamenti criminosi ascritti ad A. S. al capo E connotati da particolare tenuità, rilevante ex art. 131-bis cod. pen.; connotazione, questa, che, al contrario, si riteneva dimostrata dall'utilità economica estremamente modesta, ammontante a soli 23,34 euro, che l'attività fraudolenta contestata al ricorrente aveva comportato. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata, in accoglimento dei motivi di ricorso proposti dall'avv. Cristiana Valentini, nell'interesse di A. S., così come integrati dai motivi nuovi, datati 26 novembre 2024, presentati dallo stesso difensore. 4.2. L'imputato C. Di G., a mezzo dell'avv. Massimo Manieri, proponeva ricorso per cassazione, articolando sei censure difensive, che venivano integrate dai motivi nuovi, datati 22 novembre 2024, depositati dallo stesso difensore. Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di merito dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dei reati di cui ai capi A ed E, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dall'assoluzione di C. Di G. dalle residue vicende criminose, che, secondo l'originario assunto accusatorio, costituivano l'espressione di un progetto unitario. Con il secondo e il terzo motivo di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere dimostrata la sussistenza dell'ipotesi delittuosa di cui al capo A, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dalla natura occasionale dell'incontro avvenuto tra C. Di G. e M. G. D’A., che imponeva di negare le connotazioni collusive del comportamento dell'imputato e non consentiva la formulazione del giudizio di colpevolezza censurato. Con il quarto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di merito, relativamente all'ipotesi delittuosa di cui al capo A, dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere C. Di G. consapevole dell'illeceità delle attività imprenditoriali svolte da V. L., finalizzate a commercializzare le autovetture acquistate all'estero e rivendute in Italia presso il suo autosalone. Con il quinto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato opportuno conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi del reato di cui al capo A, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dal fatto che delle settanta ipotesi di collusione, originariamente contestate al ricorrente, era residuata solo quella relativa all'acquisto dell'autovettura di M. G. D’A., con cui l'imputato aveva avuto un solo colloquio, incentrato su un controllo di polizia, effettuato, con modalità particolarmente severe, nei suoi confronti. Con il sesto motivo di ricorso si deducevano promiscuamente la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento a tre distinti profili censori. Si deduceva, innanzitutto, che la Corte militare di merito non aveva dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere le ipotesi di reato di cui ai capi A ed E corroborate dalle testimonianze degli ufficiali di polizia giudiziaria escussi nel giudizio di primo grado, che, nel corso del dibattimento, avevano manifestato ripetutannente sentimenti di prevenzione e di inimicizia nei confronti del ricorrente.Si deduceva, inoltre, relativamente alla sola ipotesi delittuosa di cui al capo E, che la Corte militare di merito non aveva dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistente l'elemento soggettivo della truffa militare oggetto di contestazione, non essendosi acquisita la prova che Di G. fosse consapevole di avere posto in essere la condotta illecita ascrittagli per ragioni private. Si deduceva, infine, che la decisione in esame non aveva dato opportuno conto delle ragioni che non consentivano di riconoscere all'imputato l'esimente di cui all'art. 131-bis cod. pen., la cui concessione si imponeva alla luce del modesto disvalore e all'episodicità delle ipotesi delittuose ascritte al ricorrente ai capi A ed E. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata, in accoglimento dei motivi di ricorso proposti dall'avv. Massimo Ranieri, nell'interesse di C. Di G., così come integrati dai motivi nuovi, datati 22 novembre 2024, presentati dallo stesso difensore. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti da A. S. e C. Di G. devono essere esaminati separatamente. 2. Occorre, innanzitutto, prendere in considerazione l'atto di impugnazione presentato dall'imputato A. S., a mezzo dell'avv. Cristiana Valentini, articolato in sei censure difensive, integrate dai motivi nuovi, datati 26 novembre 2024, presentati dallo stesso difensore. 2.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di appello di Roma dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell'ipotesi delittuosa di cui al capo E, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dalle connotazioni oggettive, rilevanti sia sul piano economico sia sul piano temporale, che caratterizzavano l'attività, asseritsmernte, fraudolenta posta in essere da A. S.. Osserva il Collegio che la Corte di merito esaminava analiticamente tutti gli elementi probatori acquisiti nel giudizio di merito, dai quali emergeva che A. S. e C. Di G., il 9 febbraio 2017, nelle circostanze di tempo e di luogo contestate al capo E, si recavano presso l'autosalone "Eurocar s.a.s." di V. L., per ragioni che non potevano essere ricondotte, né direttamente né indirettamente, all'attività professionale svolta dai due militari presso il Reparto Tecnico Logistico Abruzzo della Guardia di Finanza. Né sulla dinamica degli accadimenti criminosi è possibile nutrire dubbi di sorta, atteso il contenuto univoco delle dichiarazioni rese dai militari G. N. e S. De Z., che erano posizionati all'esterno dell'esercizio commerciale - per svolgere le indagini coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di L'Aquila in un altro procedimento, relative ai presunti illeciti posti in essere da V. L. -, che smentivano l'assunto difensivo, dimostrando, al contrario, che i ricorrenti si erano recati presso l'autosalone "Eurocar s.a.s." per ragioni estranee alla loro attività professionale. Sul punto, è sufficiente rinviare alle testimonianze rese dal mar. N. e dall'app. De Z. all'udienza del 29 gennaio 2020, celebrata davanti al Tribunale militare di Roma, nel corso delle quali venivano chiarite le modalità con cui si svolgeva l'incontro tra i militari e gli imputati il 9 febbraio 2017. Non si può, in proposito, non richiamare il passaggio motivazionale, esplicitato a pagina 55 della sentenza impugnata, in cui si evidenziava che la ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di cui al capo E è dimostrato dalla circostanza che i ricorrenti avvicinavano «i colleghi appostati in modo del tutto arbitrario e inusuale, con atteggiamento provocatore, per capire da un lato le ragioni dell'appostamento e dall'altro per giustificare la loro presenza in quei luoghi [...]». Risulta, pertanto, dimostrato che Di G. e S. provvedevano a compilare il modello IP1, riguardante il consuntivo delle attività professionali svolte nel mese di febbraio del 2017, attestando falsamente di essere stati in servizio nella frazione temporale in cui erano andati a trovare L. nel suo autosalone, pur essendo incontroverso che i ricorrenti si erano recati presso l'esercizio commerciale controverso per ragioni private,, estranee alla loro attività di servizio. In questa, univoca, cornice probatoria, non è dubitabile che A. S. e C. Di G. traevano consapevolmente in inganno l'amministrazione militare di appartenenza, annotando falsamente di avere svolto, nella giornata del 9 febbraio 2017, l'attività lavorativa per la quale ricevevano il compenso prescritto, pur essendosi recati a trovare V. L., presso il suo autosalone, per ragioni esclusivamente private. Queste conclusioni, al contempo, impongono di ritenere irrilevante, ai fini della configurazione della fattispecie contestata ad A. S. al capo E, l'importo di 23,24 euro, costituente l'oggetto del profitto illecito, pur modesto, conseguito dall'imputato.Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 2.2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte militare di merito, nel formulare il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti di A. S., tenuto conto della sua assoluzione dai delitti ascrittigli ai capi A e B, che andavano correlati al reato di cui al capo E, riguardando la truffa militare e le condotte collusive i rapporti illeciti esistenti tra l'imputato e V. L., che erano stati sconfessati dal compendio probatorio. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo è smentito dalle emergenze probatorie, atteso che il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di A. S. per il reato di cui al capo E non è incentrato sui comportamenti professionali inadeguati o collusivi posti in essere dal ricorrente nell'arco temporale oggetto di indagine, ma sulla condotta fraudolenta relativa alla compilazione del consuntivo delle attività professionali svolte dall'imputato nel mese di febbraio del 2017, che, per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, non può essere messa in dubbio. Non si può, in proposito, non ribadire che il compendio probatorio acquisito nel giudizio di merito impone di ritenere dimostrato che A. S. annotava falsamente di avere svolto, nella giornata del 9 febbraio 2017, l'attività lavorativa per la quale riceveva il compenso prescritto, pur essendosi recato a trovare V. L. presso il suo esercizio commerciale, in compagnia di C. Di G., per ragioni estranee all'attività di servizio svolta presso il Reparto Tecnico Logistico Abruzzo della Guardia di Finanza. Queste ragioni inducono a ritenere infondato il secondo motivo di ricorso. 2.3. Dall'infondatezza dei primi due motivi discende l'infondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, con cui si si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte territoriale dato opportuno conto delle ragioni che consentivano di ritenere sussistente l'elemento soggettivo del reato di cui al capo E, non essendosi acquisita la prova che S., al momento della redazione del consuntivo delle attività professionali svolte il 9 febbraio 2017, fosse consapevole di avere posto in essere la condotta ascrittagli per "ragioni private e non giustificabili". Non può, invero, non rilevarsi che la censura difensiva in esame postula una rivalutazione complessiva degli accadimenti criminosi incompatibile con le emergenze probatorie richiamare nei paragrafi 2.1 e 2.2, che convergono univocamente su A. S., imponendo di escludere la plausibilità delle sue giustificazioni, che appaiono smentite dalle dichiarazioni rese dal mar. G. N. e dall'app. S. De Z., che erano posizionati all'esterno dell'esercizio commerciale, per il compimento di attività investigative, svolte in un altro procedimento, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di L'Aquila. A opinare diversamente, si disattenderebbero gli elementi probatori, pur univoci, su cui ci si è già soffermati e si trascurerebbe quanto, da ultimo, affermato da Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01, secondo cui: «In terna di truffa, la prova dell'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, quali l'inganno, il profitto ed il danno, anche se preveduti come conseguenze possibili della propria condotta, di cui si sia assunto il rischio di verificazione». Ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo del reato di truffa, dunque, è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà dell'immutatio veri, mentre non sono richiesti né l’animus nocendi né lìanimus decipiendi, con la conseguenza che il delitto - ordinario o militare - sussiste sia quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere, sia quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno, come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 5, n. 17929 del 20/01/2020, Belfanti, Rv. 279214 - 01; Cass., Sez. 5, n. 35548 del 21/05/2013, Ferraiuolo, Rv. 257040 - 01; Cass., Sez. 5, n. 41172 del 09/07/2014, Dell'Orto, Rv. 260683 - 01). In questa cornice, la Corte militare di merito desumeva la sussistenza del dolo generico dell'ipotesi di truffa militare contestata a S. e Di G. al capo E dalle circostanze del caso concreto, valutando il comportamento posto in essere dagli imputati in occasione della visita effettuata presso l'autosalone "Eurocar s.a.s." L. il 9 febbraio 2017, sulla quale le testimonianze del mar. N. e del brig. Z. - alle quali ci si è riferiti nel paragrafo 2.1, cui si rinvia - non consentivano di prefigurare una ricostruzione alternativa degli eventi criminosi. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente. 2.4. Parimenti infondato deve ritenersi il quinto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di merito dato adeguato conto degli elementi probatori addotti dalla difesa del ricorrente, tra i quali doveva attribuirsi rilievo decisivo alla consulenza tecnica, redatta da G. A., da cui si evinceva che l'imputato non era coinvolto nel colloquio intrattenuto dal coimputato con il mar. N. e il brig. De Z., essendo, in quel momento, impegnato in una conversazione telefonica. Osserva il Collegio che, anche in questo caso, l'assunto difensivo è smentito dalle emergenze probatorie, atteso che il contenuto della registrazione del 9 febbraio 2017 non consente di affermare che, in quella occasione, A. S. e C. Di G. si trovassero all'interno dell'esercizio commerciale di V. L. per ragioni, direttamente o indirettamente, collegate alla loro attività professionale, svolta presso il Reparto Tecnico Logistico Abruzzo della Guardia di Finanza. Né la consulenza tecnica richiamata dalla difesa del ricorrente vale a smentire l'assunto accusatorio, dimostrando unicamente che, al momento dell'incontro con il mar. N. e l'app. De Z., era stato Di G. e non S. a conversare con i colleghi. Ne consegue che questo dato circostanziale è irrilevante rispetto alla configurazione della truffa militare contestata agli imputati al capo E, non assumendo rilievo le modalità con cui si svolgeva il colloquio del 9 febbraio 2017, ma la circostanza che gli imputati, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui aveva luogo la conversazione, svolgevano delle attività riconducibili allo loro attività professionale. Non è, per altro verso, possibile reinterpretare la captazione controversa nella direzione invocata dal suo difensore, in ragione del fatto che, attraverso tale richiesta, ci si limita a proporre, peraltro in termini generici e contrastanti con le emergenze probatorie, un'operazione di ermeneutica processuale non consentita in sede di legittimità. Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, da ultimo ribadita dalle Sezioni Unite, secondo cui: «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01). Queste ragioni inducono a ritenere infondato il secondo motivo di ricorso. 2.5. Deve, infine, ritenersi fondato il sesto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di appello di Roma dato esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere il comportamento criminoso ascritto ad A. S. al capo E connotato da particolare tenuità, rilevante ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. Osserva il Collegio che, ferma restando l'ineccepibile ricostruzione della sequenza degli acculimenti criminosi compiuta dalla Corte territoriale, il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di A. S., relativamente alla truffa militare di cui al capo E, non corrisponde all'effettivo disvalore dei fatti di reato, che, sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo, imponevano il riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 131-bis cod. pen. invocata nel giudizio di merito. Occorre, in proposito, considerare che, per valutare la concedibilità dell'esimente invocata dalla difesa del ricorrente, ex art. 131-bis cod. pen., come affermato da Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, Rv. 266590 - 01, occorre effettuare una ponderazione della colpevolezza dell'imputato in termini di esiguità comportamentale, con la conseguenza che il giudice è chiamato a un apprezzamento di tutte le contingenze che caratterizzano la vicenda criminosa, con particolare riferimento a quelle afferenti alla condotta illecita. A sostegno queste conclusioni non si possono che richiamare tre, convergenti, argomenti sistematici, che si muovono in una direzione differente da quella posta dalla Corte militare di appello di Roma a fondamento del diniego dell'esimente invocata da A. S.. Occorre, innanzitutto, osservare che il legislatore italiano, introducendo la fattispecie dell'art. 131-bis cod. pen., ha compiuto una graduazione qualitativa del comportamento criminoso, basata sull'entità e sulla natura della pena edittale, aggiungendovi una connotazione personale, anch'essa tipizzata, relativa all'abitualità del comportamento del soggetto attivo del reato. Occorre, inoltre, sottolineare che il legislatore ha demandato al giudice una ponderazione quantitativa della condotta illecita, che deve essere desunta dal disvalore dell'azione criminosa, dalle conseguenze prodotte e dal grado della colpevolezza. Occorre, infine, rilevare che il legislatore ha limitato la discrezionalità del giudizio, escludendo alcune contingenze ritenute incompatibili con l'idea di speciale tenuità del reato, rappresentate dalle ipotesi in cui si imponga l'applicazione delle aggravanti dei motivi abietti o futili, della crudeltà, della minorata difesa della vittima. Da tale connotazione della fattispecie introdotta dall'art. 131-bis cod. pen. emerge che «l'esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. E potrà ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente [...]» (Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, cit.). In questa, incontroversa, cornice, la Corte militare di merito, nel valutare la concedibilità dell'esimente di cui all'alt. 131-bis cod. pen., avrebbe dovuto tenere conto del fatto che il comportamento posto in essere da A. S. riguardava la frazione temporale di un'ora; che tale condotta illecita era connotata da episodicità, essendo stato l'imputato scagionato da tutte le altre accuse originariamente ascrittegli ai capi A, B, C e D; che la falsificazione del consuntivo delle attività professionali svolte dall'imputato nel mese di febbraio del 2017 comportava un danno economico per l'amministrazione militare del ricorrente dell'importo, obiettivamente esiguo, di 23,34 euro. Né potrebbe essere diversamente, essendo evidente che il legislatore italiano ha posto a fondamento dell'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen. la concezione gradualistica del reato, secondo cui, nel compimento della verifica sul grado di colpevolezza dell'imputato, occorre esaminare il fatto illecito nelle connotazioni attraverso le quali il comportamento criminoso si estrinseca. Tale giudizio, naturalmente, non può che essere effettuato nel rispetto del rispetto del principio di offensività, che non può essere disatteso, sic et simplicter, per il solo fatto che il reato sia stata commesso da un militare, atteso che, se così fosse, si sancirebbe l'inapplicabilità dell'esimente in questione alle fattispecie sanzionate dal Codice penale militare di pace. Ne discende conclusivamente che il percorso argomentativo seguito dalla Corte militare di merito non appare rispettoso delle risultanze processuali e impone, in sede di legittimità, senza il compimento di alcuna ulteriore valutazione dei profili fattuali degli eventi criminosi, la concessione dell'esimente invocata nell'interesse di A. S., ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. A conferma di quanto si afferma non si può che richiamare il principio di diritto, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui: «Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo» (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Tushaj, cit.). Queste ragioni inducono a ritenere fondato il sesto motivo di ricorso. 2.6. Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del ricorso proposto nell'Interesse dell'imputato A. S., limitatamente alla configurazione del delitto di cui al capo E), per essere il reato contestato non punibile, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.Nel resto, il ricorso proposto da deve essere rigettato. 3. Deve, invece, ritenersi infondato il ricorso proposto da C. Di G., a mezzo dell'avv. Massimo Ranieri, articolato in sei censure difensive, integrate dai motivi nuovi, datati 22 novembre 2024, presentati dallo stesso difensore. 3.1. Deve, innanzitutto, ritenersi inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di appello di Roma dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi delle ipotesi delittuose di cui ai capi A ed E, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dall'assoluzione di C. Di G. dalle residue vicende criminose, che, secondo l'originario assunto accusatorio, costituivano l'espressione di un originario progetto. La declaratoria di inammissibilità discende dal fatto che la doglianza in esame non critica la violazione di specifiche regole inferenziali, preposte alla formazione del convincimento del giudice, ma, postulando assertivamente le carenze motivazionali della sentenza impugnata, relative ai reati di cui ai capi A ed E, chiede un riesame complessivo del merito della vicenda processuale, senza dare conto dei passaggi argomentativi della decisione censurata inficiati da violazioni di legge o vizio di motivazione. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del primo motivo di ricorso. 3.2. Devono, invece, ritenersi infondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte militare di merito dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere dimostrata la sussistenza del reato di cui al capo A, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dall'occasionalità e dall'unicità dell'incontro avvenuto tra C. Di G. e M. G. D’A. il 9 febbraio 2017. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo è smentito dalle emergenze probatorie, che impongono di ritenere dimostrato il rapporto collusivo contestato al capo A sulla base della testimonianza resa da M. G. D’A., che chiariva le ragioni del colloquio intrattenuto con C. Di G., svoltosi alla presenza di V. L., riguardante le difficoltà di immatricolare l'autovettura acquistata presso l'autosalone "Eurocar s.a.s." prospettategli dall'Ufficio della Motorizzazione Civile dell'Aquila. Sentita in dibattimento, M. G. D’A. precisava che, a seguito dei problemi di immatricolazione dell'autovettura Audi QS, acquistata presso l'autosalone "Eurocar s.a.s.", dopo avere contattato telefonicamente da V. L., per ottenere dei chiarimenti sulle difficoltà burocratiche insorte, veniva invitata dal venditore a recarsi presso il suo esercizio commerciale, dove arrivava nella mattinata del 20 ottobre 2016. Durante la sua permanenza nei locali dell'autosalone, giungeva C. Di G., che veniva riconosciuto dalla testimone - che lo indicava come "un finanziere" -, che aveva iniziato a conversare con lei e con V. L., raccontandole, mentre consumavano un caffè, che era sposato con una donna di origini sudamericane, alla quale aveva regalato un'autovettura acquistata da L., rassicurandola sulla regolarità sua della compravendita. La testimonianza di M. G. D’A., invero, è corroborata dalle intercettazioni telefoniche registrate il 20 ottobre 2016, alle ore 11.15 e alle ore 11.26, tra l'imputato e V. L., che concordavano un appuntamento, che aveva luogo nella stessa mattinata. Su questo, decisivo, passaggio della vicenda criminosa riferiva il mar. G. N., che seguiva le indagini attivate in un diverso procedimento dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dell'Aquila, per le presunte irregolarità commesse da V. L. nella commercializzazione delle autovetture acquistate all'estero. Rispetto a questa ricostruzione dell'incontro svoltosi la mattina del 20 ottobre 2016, non appare credibile la versione fornita da C. Di G. nel corso del suo esame, secondo cui M. G. D’A. gli aveva parlato di un controllo al quale era stata sottoposta da parte di alcuni finanzieri, essendo incontroverso, alla luce degli elementi probatori richiamati, che l'imputato era stato contattato da V. L. al solo scopo di rassicurare l'acquirente sulla legittimità dell'acquisto dell'autovettura. Non può, in proposito, non rilevarsi che, a seguito delle due telefonate registrate il 20 ottobre 2016, alle ore 11.15 e alle ore 11.26, Di G., senza alcuna esitazione, si recava immediatamente presso l'autosalone, piegando il suo ruolo di alto ufficiale della Guardia di Finanza alle contingenti esigenze dell'amico e rassicurando M. G. D’A. sulla legittimità dell'acquisito effettuato, pur non avendo alcuna effettiva contezza delle modalità con cui la compravendita si era perfezionata. Tali condotte, peraltro, assumono un rilievo sintomatico ancora più significativo alla luce del fatto che le problematiche burocratiche segnalate dall'ing. D’A. erano state fonte di grande agitazione per L., che, evidentemente, temendo che le irregolarità connesse alla sua attività di commercializzazione di veicoli potessero essere scoperte, si rivolgeva all'imputato per chiedergli un suo intervento nei confronti della acquirente del mezzo controverso.Non assume, infine, un rilevo decisivo l'esito delle condotte collusive poste in essere dal ricorrente, nell'ambito della compravendita effettuata da M. G. D’A., attesa la natura del reato a consumazione anticipata della fattispecie di cui al capo A, da ultimo affermata da Sez. 1, n. 14146 del 19/02/2020, Caracciolo, Rv. 279050 - 01, secondo cui: «Ai fini dell'integrazione del reato di collusione, previsto dall'art. 3, legge 9 dicembre 1941 n. 1383, tra l'appartenente alla Guardia di finanza e l'estraneo occorre un accordo avente ad oggetto "la frode alla finanza", la quale può consistere nell'indicazione o nell'apprestamento di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialità lesiva dell'interesse alla percezione dell'entrata tributaria». Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente. 3.3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte militare di merito, relativamente all'ipotesi delittuosa di cui al capo A, dato esaustivo conto dell'assenza di consapevolezza da parte di C. Di G. delle natura illecita delle attività svolte da V. L., finalizzate a commercializzare delle autovetture acquistate all'estero e rivendute in Italia. Occorre, in proposito, precisare che . costituisce un dato processuale incontroverso, attestato da una pluralità di convergenti intercettazioni, quello secondo cui Di G. intratteneva rapporti di amicizia con L., nel cui contesto, come evidenziato nel paragrafo precedente, si inseriva il rapporto instauratosi tra M. G. D’A. e il ricorrente, compulsato dallo stesso L. per rassicurare l'acquirente in ordine all'acquisto di un'autovettura. Risulta, al contempo, dimostrata la conoscenza che Di G. aveva delle modalità con cui L. commercializzava, presso il suo autosalone, le autovetture acquistate all'estero, come dimostrato dal contenuto delle intercettazioni telefoniche richiamate nel paragrafo 10 della sentenza impugnata, da cui emergeva la piena consapevolezza del ricorrente delle attività di compravendita svolte dall'amico. Il ricorrente, infatti, era a conoscenza delle modalità con cui V. L. acquistava all'estero i veicoli rivenduti in Italia e dei controlli di polizia ai quali la sua attività imprenditoriale, in quel periodo, era sottoposta; conoscenza attestata dai riferimenti espliciti effettuati dai due soggetti alle attività di indagini che avrebbero portato alla confisca di una parte delle autovetture commercializzate dalla società "Eurocar s.a.s.", disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dell'Aquila.In questa direzione probatoria, si muovono i colloqui in cui i due soggetti facevano espressamente riferimento alle modalità con cui L. intendeva occultare la provenienza estera di una parte dei veicoli commercializzati, di cui è espressione sintomatica la conversazione registrata il 20 gennaio 2017, citata a pagina 22 della decisione censurata. La consapevolezza di Di G., peraltro, assume un rilievo probatorio ancora più stringente, alla luce del fatto che da tali captazioni emergeva l'interesse del ricorrente, che, forte dei suoi rapporti personali consolidati con L., a ottenere condizioni economiche particolarmente vantaggiose per l'acquisto imminente di un'autovettura, al quale si fa espressamente riferimento nella conversazione registrata il 27 gennaio 20217, richiamata a pagina 23 della decisione censurata. 3.3.1. Né è possibile reinterpretare le captazioni acquisite nei confronti di C. Di G., nella direzione invocata dal suo difensore, in ragione del fatto che, attraverso tale richiesta, ci si limita a proporre, peraltro in termini generici e contrastanti con le emergenze probatorie, un'operazione di ermeneutica processuale non consentita in sede di legittimità. Deve, in proposito, evidenziarsi che, nel giudizio di legittimità, è consentita la deduzione del vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito fondi il proprio convincimento giurisdizionale su una prova che non esiste o su un risultato probatorio diverso da quello reale, atteso che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se tali elementi sussistano (tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli, Rv. 236893 - 01). Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui non è possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto delle intercettazioni in sede di legittimità, essendo una tale operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente al seguente principio di diritto: «In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 - 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01). 3.3.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del quarto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente.3.4. Deve ritenersi infondato anche il quinto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato opportuno conto delle ragioni che imponevano di ritenere dimostrati gli elementi costitutivi del reato di cui al capo A, la cui ricorrenza doveva essere esclusa dal fatto che delle settanta ipotesi di collusione, originariamente contestate al ricorrente, era residuata solo quella relativa all'acquisto dell'autovettura dell'ing. D’A., i cui contatti erano giustificati dalle ragioni del colloquio tra l'imputato e la stessa D’A., incentrato su un controllo di polizia subito da quest'ultima. Si tratta, a ben vedere, di una doglianza che, presupponendo la rivalutazione complessiva del compendio probatorio - con particolare riferimento alle finalità collusive del colloquio tra Di G. e D’A. il 20 ottobre 2016 -, veniva prospettata in termini riconducibili alle doglianze prospettate con il terzo e con il quarto motivo dell'atto di impugnazione in esame, passati in rassegna nei paragrafi 3.2, 3.3 e 3.3.1, ai quali occorre rinviare per la compiuta disamina delle ragioni che impongono di ritenerla infondata. A tali, pur dirimenti, considerazioni deve aggiungersi che l'ipotesi alternativa, prospettata in termini congetturali dalla difesa del ricorrente, finalizzata a prefigurare l'interessamento di M. G. D’A. per un'altra vicenda, collegata al controllo di polizia di cui si è detto, oltre che smentita dalle evidenze probatorie che si sono già richiamate, si sarebbe inevitabilmente posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare inSieMe con gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Brancucci, Rv. 252066 - 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Mazzeo, Rv. 272995 - 01). Questo orientamento, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che si attaglia perfettamente al caso di specie, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: «Nella valutazione probatoria giudiziaria - così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) - è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di' esperienza, ma, affinché il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, Rv. 230873 - 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220 - 01). Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del quinto motivo di ricorso. 3.5. Deve, infine, ritenersi infondato il sesto motivo di ricorso, con cui si deducevano promiscuamente la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento a tre distinti profili censori, che appare opportuno esaminare separatamente. 3.5.1. Deve, innanzitutto, ritenersi infondato il primo di tali profili censori, secondo cui la Corte militare di merito non aveva dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere le ipotesi di reato di cui ai capi A ed E corroborate dalle testimonianze degli ufficiali di polizia giudiziaria escussi nel giudizio di primo grado, che avevano manifestato ripetutamente sentimenti di prevenzione e di inimicizia nei confronti del ricorrente. Osserva, in proposito, il Collegio che l'assunto difensivo è smentito dalle emergenze probatorie, atteso che il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di C. Di G., per i reati di cui ai capi A ed E, non traeva il proprio, esclusivo, fondamento dalle deposizioni rese dagli ufficiali di polizia giudiziaria escussi nel giudizio di primo grado, ma dal complesso degli elementi probatori, testimoniali e captativi, acquisiti nel corso delle indagini preliminari. A tali, pur dirimenti considerazioni deve aggiungersi che la doglianza in questione, così come prospettata dalla difesa del ricorrente, appare priva dei connotati di specificità' necessari al suo accoglimento, non risultando indicati, neppure per relationem, i segmenti dichiarativi delle testimonianze rese dagli ufficiali di polizia giudiziaria, inficiate da pregiudizio o inimicizia, indispensabili per disarticolare il percorso argomentativo posto a fondamento del giudizio di colpevolezza formulato dalla Corte militare di appello di Roma nei confronti di C. Di G. per i reati di cui ai capi A ed E. Sul punto, non si può non richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui il ricorso per cassazione con cui si censura la legittimità di un atto istruttorio - al quale devono essere ricondotte le dichiarazioni rese dagli ufficiali di polizia giudiziaria - non può «limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035 - 01). 3.5.2. Quanto, invece, alla doglianza relativa all'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui al capo E, deve evidenziarsi che si tratta di una censura prospettata in termini assimilabili a quelle proposte nell'interesse di A. S. con il terzo motivo del suo ricorso, su cui ci si è soffermati nel paragrafo 2.3, al quale occorre rinviare per la ricognizione delle ragioni che impongono di ritenerla destituita di fondamento. 3.5.3. Quanto, infine, alla residua doglianza, relativa al diniego dell'esimente di cui all'art. 131-bis cod. pen., non può non rilevarsi che ostava al riconoscimento della causa di esclusione della punibilità invocata la ricostruzione degli eventi criminosi, sulla quale ci si è riferiti nei paragrafi 3.2, 3.3, 3.3.1 e 3.4, cui occorre rinviare, che impongono di escludere il modesto disvalore delle condotte illecite contestate a C. Di G. ai capi A ed E. Non può, al contempo, non rilevarsi, in linea con quanto evidenziato nel paragrafo 2.5, che l'obiettivo di politica criminale perseguito dall'art. 131-bis cod. pen., infatti, è «quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo» [...]» (Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, cit.). Il dato normativo, del resto, conduce univocamente a tale esito ermeneutico, atteso che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha per oggetto le modalità di estrinsecazione della condotta illecita e l'esiguità del danno o del pericolo, che, nel caso di specie, non consentivano il riconoscimento dell'esimente invocata, essendo l'imputato un alto ufficiale della Guardia di Finanza che aveva mostrato di non tenere conto nel dovuto rispetto il prestigio che deve ricoprire un militare. Il diniego dell'esimente di cui l'art. 131-bis cod. pen., quindi, è il frutto di un'equilibrata ponderazione delle peculiarità dei reati contestato a Di G. ai capi A ed E, che non veniva limitata dalla Corte territoriale ai soli profili attinenti all'entità dell'aggressione dei beni giuridici protetti dalle due fattispecie, venendo correlata alla condizione professionale dell'imputato.Né potrebbe essere diversamente, atteso che non esiste un'offesa tenue o grave in senso assoluto, assumendo rilievo decisivo la concreta manifestazione del reato che ne connota il disvalore. 3.5.4. Queste ragioni impongono di ritenere infondato il sesto motivo di ricorso. 3.6. Le argomentazioni esaminate impongono di ritenere infondato il ricorso proposto il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato C. Di G., così come integrato dai motivi nuovi datati 22 novembre 2024.
4. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti dell'imputato A. S., limitatamente al delitto di cui al capo E, per essere il reato non punibile ai sensi dell'art. 131-bis c bis c.p.
Rigetta nel resto il ricorso.
Rigetta il ricorso proposto nell'interesse di Di G.C. e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 dicembre 2024
19-01-2025 12:46
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