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Sentenza

Circo e maltrattamenti di animali
Circo e maltrattamenti di animali

REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da
Dott. RAMACCI Luca - Presidente
Dott. VERGINE Cinzia - Relatore
Dott. GIORGIANNI Giovanni - Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ma.Eu., nato a P il (Omissis) e
Ca.Ad., nato a V, il (Omissis)
avverso la sentenza del 17/10/2023 della Corte di appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Cinzia Vergine;
lette le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, Fulvio Baldi, che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni rassegnate dall'avv. C.Ti., per la parte civile costituita LA.Le. ONLUS, che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il suo rigetto in quanto infondato, con
conferma delle statuizioni civili e condanna degli imputati alle spese sostenute per il presente grado di
legittimità, come da conclusioni e nota spese;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 aprile 2022 il Tribunale di Tempio Pausania ha dichiarato Ma.Eu. e Ca.Ad., nella
loro qualità di titolari del circo "(Omissis)", colpevoli del reato a loro in concorso ascritto al capo a) di
imputazione, di cui agli artt. 100 e 533-ter (rectius 110 e 544-ter) cod. pen., contestato in A, il 28
agosto 2014, e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, li ha condannati, ciascuno, alla pena di
mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; li ha condannati, altresì, al
risarcimento, in solido, del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede,
assegnando alla stessa, a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva, la somma di Euro
5.000,00 da computarsi nella liquidazione definitiva, nonché al pagamento delle spese sostenute
dalla parte civile LA.Le. ONLUS, per la costituzione ed assistenza in giudizio; con confisca del denaro
corrisposto a seguito della alienazione degli animali originariamente sottoposti a sequestro giudiziale.
Ha dichiarato, invece, non doversi procedere nei loro confronti in ordine ad altro reato sempre loro in
concorso originariamente ascritto al capo b), di cui all'art. 727 comma 2, cod. pen., per essere lo
stesso estinto per intervenuta prescrizione.
2. Con la sentenza avverso cui è proposto ricorso, del 17 ottobre 2023, la Corte di appello di Cagliari,
Sezione Distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza del Tribunale, condannando gli imputati al
pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile LA.Le. ONLUS.
3. Gli imputati hanno proposto, a mezzo di difensore di fiducia, tempestivo ricorso per cassazione,
affidando la richiesta di annullamento della sentenza a tre motivi. 3.1. Col primo motivo, lamentano
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett b) cod. proc. pen.,
in relazione al reato di cui all'art. 544-ter cod. pen., per inesistenza dell'elemento soggettivo del reato,
e contestano specificamente l'affermazione dell'esistenza del dolo specifico in capo agli imputati, in
difetto della relativa mancata disamina e prova.
L'art. 544-ter cod. pen. punisce i comportamenti previsti dalla norma in quanto posti in essere per
crudeltà o senza necessità. Esiste, dunque, un'area, ampia, di non punibilità delle condotte ivi
previste relativa al possibile utilizzo degli animali connotato da "necessità".La giurisprudenza di legittimità, Sez. 3 n. 49672 del 2018, ha '... chiarito che nella nozione di
"necessità" degli artt. 544-bis e ter cod. pen. rientra anche lo stato di necessità previsto dall'art. 54
cod. pen., nonché ogni altra situazione che induca all'uccisione o al maltrattamento dell'animale per
evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni
ritenuto altrimenti inevitabile (Cass. Sez. 3, n. 44822/07, Borgia)'.
Ma, osserva la-difesa, ove si faccia coincidere l'area della 'liceità' dell'utilizzo degli animali con quella
delimitata dalla scriminante dell'art. 54 cod. pen., la lettura della Corte Suprema rischia di rendere
pleonastica la formulazione della norma, in quanto le ipotesi scriminate sarebbero quelle già previste
dall'art. 54 cod. pen. Esistono, invece, situazioni, altre, in cui "si può maltrattare o financo uccidere gli
animali", tra le quali la difesa esemplificativamente colloca l'agire dell'uomo per finalità alimentari, di
ausilio a soggetti disagiati o alle forze dell'ordine, e, in generale, tutti i casi scriminati dall'art. 19-ter
disp att cod. pen. che -introdotto dalla legge n. 189 del 2004- stabilisce, espressamente, che "le
disposizioni del titolo IX bis del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in
materia di (...) attività circense (...)", individuata la ratio della norma nella individuazione di una area,
delimitata, di comportamenti giustificati da ragioni di "necessità".
Ciò premesso -continua la difesa- nella sentenza impugnata non si individuano condotte di lesione,
sevizie, lavori insopportabili, bensì 'comportamenti', e si lascia sullo sfondo l'elemento psicologico,
laddove ci si limita ad affermare "gli animali detenuti nel circo e sottoposti a maltrattamenti sotto
l'aspetto delle molteplici violazioni del loro benessere etologico erano numerosi (...)", nulla
argomentando sul dolo degli imputati e sulla sua intensità, ciò nonostante l'affermazione della
necessaria sussistenza del dolo specifico per la configurabilità del reato ove le condotte siano poste
in essere con crudeltà, e della bastevolezza di quello generico, quando invece la condotta sia tenuta
senza necessità. 3.2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., per contraddittorietà della
motivazione nella parte in cui, da una parte riconosce che le presunte lesioni -rectius stereotipie-
debbano necessariamente derivare da reiterati comportamenti di maltrattamento perduranti nel
tempo e, dall'altra, ritiene che anche fatti episodici e limitati nel tempo abbiano la stessa efficacia
causale.
La critica è mossa con riferimento al passo della sentenza (pag 41) in cui si afferma essere del tutto
improbabile che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico -ritenute per l'asserito
insorgere di stereotipie- fossero indotte dalla 'estemporanea' attività di smontaggio del circo, dovendo
risalire ad un periodo di molto anteriore, affermazione asseritamente in contraddizione logica con
quella secondo cui le contrastanti attestate condizioni di benessere etologico degli animali, come
rilevate da consulente della difesa, avrebbero ragion d'essere per essere state eseguite in tempi diversi
rispetto a quelli delle verifiche eseguite dai consulenti dell'accusa; ciò in assenza di dati certi, nella
letteratura medicoscientifica veterinaria, circa i tempi di insorgenza di siffatte stereotipie. Da tanto,
non essendo sorretta la motivazione dal necessario rigoroso percorso inferenziale-induttivo, la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
3.3. Col terzo motivo lamentano, ex art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al criterio di valutazione della
attendibilità dei testimoni, a taluni dei quali, i consulenti dell'accusa, è stata riconosciuta patente di
attendibilità, a talaltri, i diciannove veterinari consulenti della difesa, negata.
Il motivo coi rubricato è svolto, poi, con riferimento alla individuazione dei principi fissati in tema di
ragionamento probatorio, il cui archetipo è fissato negli artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett e),
cod. proc. pen., per censurare, in sostanza, l'asserito difetto di motivazione a sostegno di una
giustificazione razionale della decisione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sentenza del 17 ottobre 2023 della Corte di appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, ha
confermato la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania di condanna di Ma.Eu. e Ca.Ad., nella
qualità di titolari del circo "(Omissis)", in quanto riconosciuti colpevoli del reato a loro in concorso
ascritto di cui agli artt. 100 e 544-ter cod. pen.
In motivazione la Corte territoriale ha dato atto degli snodi procedimentali del dibattimento innanzi al
Tribunale di Tempio Pausania, quindi della ricostruzione fattuale della vicenda operata dal Tribunale
sulla scorta della lettura delle deposizioni dei testi -sia della pubblica accusa che della difesa -
escussi in merito allo stato di salute e alle condizioni di benessere o meno di ciascuno degli animali di
proprietà del circo, dell'esame dell'imputato Ca.Ad., e delle produzioni documentali, fonti, tutte,
puntualmente indicate e sceverate nella sentenza del Tribunale, oggetto di valutazione da parte di
quel giudice come indicato alle pagine da 20 a 26 della sentenza della Corte sassarese.
Ha, poi, dedotto come il Tribunale ha ritenuto integrato il reato contestato, intanto sotto il profilo
dell'elemento oggettivo, coerentemente al dettato della norma ed alla sua interpretazione
giurisprudenziale, con riferimento ad una nozione di lesione comprensiva di "qualsiasi diminuzione
dell'originaria integrità dell'animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico
e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una
condotta volontaria commissiva ed omissiva (Cassaz. Sez. 3, 27.6.2013, n. 32837)".
Condizioni, quelle così delineate, ritenute in forza della osservazione dello stato in cui versavano gli
animali all'atto del loro sequestro, come risultanti dalla corposa istruttoria, dalla quale è risultato 'che
gli stessi fossero stati sottoposti a comportamenti contrari alla loro etologia che hanno comportato
anche l'insorgenza di malattie psico-fisiche, poi risolte o quanto meno alleviate, grazie all'intervento
dei medici incaricati dalla L.A. Tutti gli animali, invero, in conseguenza delle condizioni in cui erano
detenuti, della malnutrizione, delle carenze igienico-sanitarie, hanno manifestato disagi visibili,
nonché patologie particolarmente evidenti nei cavalli, il cui quadro salutare era caratterizzato da
ipotonia e ipotrofia muscolare (...), evidente denutrizione, ferite cicatrizzate, incuria della tavola
dentaria, degli zoccoli, degli arti e delle frange, nonché dermatiti. Gli altri animali (...) avevano
condizioni fisiche altrettanto gravi, manifestavano chiari segni di disagio sfociati in vere e proprie
patologie, incontrovertibilmente connessi all'ambiente in cui erano inseriti (privo dei necessari stimoli
anche legati all'interazione con i propri simili, sprovvisto di arricchimenti, di superfici idonee, di
adeguata ombreggiatura, di acqua e cibo liberamente a disposizione, in taluni casi senza un riparo
dalla costante vista degli umani, etc.) e che, in quanto pervicacemente inidoneo a soddisfare le
esigenze etologiche delle varie specie, deve ritenersi fonte di maltrattamento, quanto meno, per la
totalità degli animali sequestrati, sub specie di "comportamenti insopportabili" per le loro
"caratteristiche etologiche"' (il richiamo è svolto con riferimento a Cassaz. n.5979/2012). Laddove
talune oggettive evidenti lesioni psicofisiche sono state individuate come conseguenza della carenza
di assistenza e trattamenti sanitari adeguati che, una volta successivamente posti in essere, hanno
alleviato o addirittura risolto i problemi riscontrati, a riprova della previa sottoposizione a condotte
reiteratamente incompatibili con le peculiarità proprie della specie di appartenenza.
Comportamenti, tutti, perpetrati senza necessità, certamente evitabili pur avendo riguardo alle
peculiarità dell'attività circense (Cassaz. N. 15061/2007).
Condizioni, quelle dedotte, che il Tribunale ha ritenuto di escludere siano state determinate da
condotte temporanee e transeunti, legate all'imminente trasferimento dell'attendamento, in ragione
della impossibilità che sì gravi conseguenze potessero insorgere in tempi ristretti, e fermo restando
che, anche in fase di smobilitazione, avrebbero comunque dovuto garantirsi le necessarie condizioni
di benessere degli animali.
Si tratta di punto e relative argomentazioni della sentenza del Tribunale che, impugnati con specifici
motivi di appello (il primo) della difesa di Ca.Ad. e di Ma.Eu., sono stati confermati sulla scorta della
puntuale rilettura delle fonti probatorie disponibili da cui la conferma che "le circostanze in cui sono
stati effettuati i controlli di polizia giudiziaria non risultano di certo condizionate dal fatto che
l'attendamento di A era in fase di smantellamento. L'attività di smantellamento dura al massimo tre
ore, come emerge dalle dichiarazioni degli stessi imputati, e risulta pacifico. È assolutamente
improbabile ritenere che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico in cui versavano gli
animali fossero state indotte da una attività di smontaggio del circo, dovendo evidentemente risalire
ad un periodo di molto anteriore. Va rilevato che il circo si trovava attendato ad A da almeno due mesi
rispetto all'epoca della denuncia e del successivo accurato controllo effettuato dai Consulenti Tecnici
del P.M. e dalla P.G. delegata. Non poteva quindi trattarsi di una situazione contingente ma essa
perdurava da tempo". Si fa riferimento alla testimonianza di Tu., esperto di benessere animale, e dei
consulenti del pubblico ministero, in particolare di Mu., veterinaria ippiatra, come supportata dai
video al proposito effettuati, e Mo., proprio sulla sistemazione logistica verificata attestante che "la
condizione di (parziale) smobilitazione del circo sottoposto a sopralluogo non ha avuto alcun riflesso
sullo stato in cui si trovavano tutti gli animali, di particolare sofferenza etologica, dimostrata da una
fitta serie di acquisizioni probatorie delle quali il Tribunale di tempio Pausania ha dato esatto conto in
motivazione. Il vizio di insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione, pertanto, non sussiste
tanto più che lo stesso Tribunale monocratico ha dato atto del fatto che anche in fase di smontaggio
dell'attendamento le condizioni di benessere etologico alla quali fa riferimento la fattispecie
criminosa doveva essere garantite". Giova rilevare che già il Tribunale aveva indagato e risolto,
negativamente, la rilevanza al caso di specie del disposto dell'art. 19-terdisp. coord cod. pen. -come
introdotto dalla I. 189/2004- all'attività circense, concludendo per l'applicabilità, per il tenore letterale
della norma de qua e l'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza, nei soli casi in cui le attività
menzionate vengano svolte nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano, ricadendo invece
nella sfera del penalmente rilevante ogni condotta dalle stesse esulante. Conclusione avallata da
giurisprudenza di legittimità (Cassaz n. 11606/2012) che, individuata la normativa di riferimento della
attività circense -nella primigenia legge n. 337/1968, e, poi, nelle successive n. 375/1975, n. 390/1980,
n. 37/1982-, rilevato che tale normativa non considera i profili afferenti alla detenzione degli animali -
detenzione comunque espressamente consentita dalla legge n. 150/1992, dal regolamento CEE n.
3626/1982 e s.m.i. e dalle norme per la commercializzazione e detenzione di esemplari vivi di
mammiferi e rettili ai circhi (e alle mostre faunistiche permanenti o viaggianti) dichiarati idonei dalle
autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica sulla base dei criteri generali fissati
previamente dalla commissione scientifica competente (CITES) che ha enucleato le linee guida per il
mantenimento degli animali nei circhi e nelle mostre itineranti-ha affermato che "l'ambito di
operatività dell'art. 19-ter disp coord cod pen, nei termini come sopra individuati, risulta
particolarmente contenuto per quanto riguarda dette attività, lasciando così ampio spazio
all'applicazione delle disposizioni penali di cui agli artt. 544-bis e ss c.p.", e ha riconosciuto la valenza
delle dette linee guida quale "criterio di riferimento per eventuali valutazioni anche riguardanti il rilievo
penale di determinate modalità di detenzione". Rispetto a tali criteri direttivi molteplici sono state,
secondo il Tribunale, le violazioni riscontrate, da cui sono derivate patologie e conseguenze
psicofisiche a carico degli animali manifestate tra l'altro tramite forte apatia e stereotipia, tipiche
manifestazioni di stress.
Sicché, conclusivamente, si è ritenuto che "i titolari del circo, nella loro qualità di responsabili degli
animali, devono sempre garantire idenee condizioni di benessere degli animali in ogni singola fase,
eseguendo tutto ciò che hanno l'obbligo di fare nella loro posizione di garanzia e quindi garantendo,
anche qualora si versi nelle more della fase di smontaggio e delle delicate fasi di pre-spostamento da
un sito all'altro, condizioni idonee ed arricchimenti, proprio a tutela del benessere degli animali nella
loro diretta responsabilità".
Quanto, poi, all'elemento soggettivo, e premessa la differente prescrizione del dolo specifico per le
condotte realizzate con crudeltà, e del dolo generico, per i comportamenti tenuti senza necessità (cfr.
Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Rv 238455), configurabile anche nella forma del dolo eventuale, già il
Tribunale ha ritenuto che "la condotta degli imputati deve ritenersi cosciente e volontaria, anche in
considerazione dell'evidenza delle condizioni, ut supra riportate, in cui versavano gli animali stessi". La
Corte, rammentata la giurisprudenza al proposito (cfr. Sez. 3, n. 26368 del 2011, non massimata, Sez.
3, ri. 44822 del 24/10/2007 Ud. (dep. 30/11/2007) Rv. 238457 - 01, Sez. 3, n. 46784 del 05/12/2005 Ud.
(dep. 21/12/2005) Rv. 232658 - 0) e osservato che si è al cospetto di reato a forma libera (cfr. Sez. 3, n.
5979 del 07/02/2013), argomentando che "in caso di condotta omissiva, sia necessario accertare, in
ragione di quanto stabilito dall'art 40 cpv. c.p., che sull'agente incomba l'obbligo giuridico di impedire
l'evento e che il dolo, generico laddove la condotta sia caratterizzata dall'assenza di necessità, può
anche assumere la forma di dolo eventuale quando il soggetto agente, senza volerne direttamente la
produzione, accetti consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne l'esito, che attraverso
la propria programmata omissione si verifichi l'evento (conforme, Cassa. Ili sentenza 21 dicembre
2005, n. 46784)", ha ritenuto l'esistenza del dolo richiesto.
2. Può dunque passarsi alla discussione di ciascuno dei tre motivi di ricorso. 2.1. Col primo motivo,
lamentano inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett b) cod.
proc. pen., in relazione al reato di cui all'art. 544-ter cod. pen., per inesistenza dell'elemento
soggettivo del reato, e contestano specificamente l'affermazione dell'esistenza del dolo specifico in
capo agli imputati, in difetto della relativa mancata disamina e prova. Nulla secondo la difesa la Corte
territoriale avrebbe argomentato in merito al dolo degli imputati e alla sua intensità.
Va preliminarmente rilevato che l'affermazione della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato
contestato, resa dopo aver premesso la differente prescrizione del dolo specifico, per le condotte
realizzate con crudeltà, e del dolo generico, per i comportamenti tenuti senza necessità (cfr. Sez. 3, n.
44822 del 24/10/2007, Rv 238455), configurabile quest'ultimo anche nella forma del dolo eventuale,
sulla scorta di quanto già dal Tribunale ritenuto ("la condotta degli imputati deve ritenersi cosciente e
volontaria, anche in considerazione dell'evidenza delle condizioni, ut supra riportate, in cui versavano
gli animali stessi"), è stata confermata dalla Corte territoriale, la quale, rammentata la giurisprudenza
al proposito (cfr. Sez. 3, n. 26368 del 2011, non massimata, Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007 Ud. (dep.
30/11/2007) Rv. 238457 - 01, Sez. 3, n. 46784 del 05/12/2005 Ud. (dep. 21/12/2005) Rv. 232658 - 0) e
osservato che si è al cospetto di reato a forma libera (cfr. Sez. 3, n. 5979 del 07/02/2013), ha
argomentato che "in caso di condotta omissiva, sia necessario accertare, in ragione di quanto stabilito
dall'art 40 cpv. c.p., che sull'agente incomba l'obbligo giuridico di impedire l'evento e che il dolo,
generico laddove la condotta sia caratterizzata dall'assenza di necessità, può anche assumere la
forma di dolo eventuale quando il soggetto agente, senza volerne direttamente la produzione, accetti
consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne l'esito, che attraverso la propria
programmata omissione si verifichi l'evento (conforme, Cassa. Ili sentenza 21 dicembre 2005, n.
46784)", resa sinteticamente all'esito della rammentata ampia motivazione in ordine alla ricorrenza
dell'elemento oggettivo del reato contestato, e, evidentemente, svolta per completezza
argomentativa, ma non risultando essere stata proposto apposito motivo col ricorso in appello.
Si tratta di argomentazioni rese in coerenza con la giurisprudenza in materia di questa Corte di
legittimità.
Il motivo qui proposto per primo è inammissibile. Tanto sulla scorta della considerazione, preliminare,
del non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata, per cui i
ricorrenti, ove avessero formulato preciso motivo sul punto, avrebbero avuto il dovere processuale di
contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello,
se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25
febbraio 2014, CED Cass. n. 259066), e posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata,
deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la
prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (in tal senso, ex
multis, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Ud. (dep. 28/06/2017) Rv. 270627 - 01, Sez. V, n. 48703 del 24
settembre 2014, CED Cass. n. 261438). Non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione
questioni sulle, quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non
devolute alla sua cognizione (così sin da Sez. 2, n. 40240 del 22/11/2006 Ud. (dep. 06/12/2006) Rv.
235504 - 01) che ha sancito che "È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24 e Ili, comma settimo, Cost.,
nella parte in cui dispone che il ricorso per cassazione proposto per violazioni di legge non dedotte
con i motivi di appello è inammissibile, perché la disposizione appena richiamata detta una disciplina
ragionevole di regolazione del diritto di ricorrere per cassazione per violazione di legge contro le
sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, limitandolo, per ragioni di funzionalità
complessiva del sistema, soltanto per il caso in cui la parte abbia inteso adire tutti i tre gradi di
giudizio.", principio poi, con giurisprudenza costante e monolitica di questa Corte riaffermato (cfr. Sez.
5, Sentenza n. 28514 del 23/04/2013 Ud. (dep. 02/07/2013) Rv. 255577 - 01, Sez. 2, Sentenza n. 13826
del 17/02/2017 Ud. (dep. 21/03/2017) Rv. 269745 - 01 e Massime precedenti Conformi N. 22362 del
2013 Rv. 255940 - 01, N. 28514 del 2013 Rv. 255577 -01, N. 48416 del 2014 Rv. 261029 - 01, N. 6131
del 2016 Rv. 266202 - 01). 2.2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., per contraddittorietà
della motivazione nella parte in cui, da una parte riconosce che le presunte lesioni -rectius
stereotipie- debbano necessariamente derivare da reiterati comportamenti di maltrattamento
perduranti nel tempo e, dall'altra, ritiene che anche fatti episodici e limitati nel tempo abbiano la
stessa efficacia causale.
La critica è mossa con riferimento al passo della sentenza (pag. 41) in cui si afferma essere del tutto
improbabile che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico -ritenute per l'asserito
insorgere di stereotipie- fossero indotte dalla 'estemporanea' attività di smontaggio del circo, dovendo
risalire ad un periodo di molto anteriore, affermazione asseritamente in contraddizione logica con
quella secondo cui le contrastanti attestate condizioni di benessere etologico degli animali, come
rilevate da consulente della difesa, avrebbero ragion d'essere per essere state eseguite in tempi diversi
rispetto a quelli delle verifiche eseguite dai consulenti dell'accusa; ciò in assenza di dati certi, nella
letteratura medicoscientifica veterinaria, circa i tempi di insorgenza di siffatte stereotipie. Da tanto,
non essendo sorretta la motivazione dal necessario rigoroso percorso inferenziale-induttivo, la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si è detto di come sul punto le argomentazioni spese dalla Corte di appello sassarese, che devono
leggersi congiuntamente alla già esauriente motivazione del Tribunale, sono state particolarmente
dettagliate ed incisive nel confutare le argomentazioni svolte col relativo motivo di appello, il primo di
entrambe le difese. Tutt'altro che apodittica e intrinsecamente contraddittoria risulta la contestata
affermazione resa a pag. 41 della sentenza impugnata, resa proprio per rinnegare la censurata -con
l'appello- contraddittorietà al proposito di quella di primo grado circa la raggiunta prova -secondo
prospettazione difensiva in quella sede- della corretta alimentazione e nutrizione degli animali, della
sufficienza e del rispetto dei criteri CITES relativamente allo spazio a loro disposizione,
contraddittorietà sconfessata dalle acquisizioni dibattimentali sulla scorta delle quali la Corte
territoriale ha respinto la censura di omessa valutazione delle prove offerte dalla difesa (cfr, testi Co.,
Mu., Ni. e Be.).
Si è detto, pure, che le argomentazioni sul punto della sentenza del Tribunale, impugnate con specifici
motivi di appello (il primo) della difesa così di Ca.Ad. come di Ma.Eu., sono state confermate sulla
scorta della puntuale rilettura delle fonti probatorie disponibili, da cui la affermazione che "le
circostanze in cui sono stati effettuati i controlli di polizia giudiziaria non risultano di certo
condizionate dal fatto che l'attendamento di A era in fase di smantellamento. L'attività di
smantellamento dura al massimo tre ore, come emerge dalle dichiarazioni degli stessi imputati, e
risulta pacifico. È assolutamente improbabile ritenere che le condizioni di scarso o pessimo
benessere etologico in cui versavano gli animali fossero state indotte da una attività di smontaggio del
circo, dovendo evidentemente risalire ad un periodo di molto anteriore. Va rilevato che il circo si
trovava attendato ad A da almeno due mesi rispetto all'epoca della denuncia e del successivo
accurato controllo effettuato dai Consulenti Tecnici del P.M. e dalla P.G. delegata. Non poteva quindi
trattarsi di una situazione contingente ma essa perdurava da tempo". Si fa riferimento alla
testimonianza di Tu., esperto di benessere animale, e dei consulenti del pubblico ministero, in
particolare di Mu., veterinaria ippiatra, come supportata dai video al proposito effettuati, e Mo.,
proprio sulla sistemazione logistica verificata attestante che "la condizione di (parziale)
smobilitazione del circo sottoposto a sopralluogo non ha avuto alcun riflesso sullo stato in cui si
trovavano tutti gli animali, di particolare sofferenza etologica, dimostrata da una fitta serie di
acquisizioni probatorie delle quali il Tribunale di tempio Pausania ha dato esatto conto in motivazione.
Il vizio di insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione, pertanto, non sussiste tanto più che lo
stesso Tribunale monocratico ha dato atto del fatto che anche in fase di smontaggio
dell'attendamento le condizioni di benessere etologico alla quali fa riferimento la fattispecie
criminosa doveva essere garantite". La denunciata -in quella sede- contraddittorietà intrinseca alla
motivazione è stata dalla Corte di appello di Sassari superata con argomentazioni corpose, non
censurabili per inconciliabilità alcuna tra le ragioni giustificative addotte dai giudici di merito e le
risultanze probatorie, scevre da illogicità manifeste così nella giustificazione interna della decisione
per coerenza tra premesse e conclusioni -quanto alla risalenza nel tempo dell'attendamento del circo
in A (da almeno due mesi rispetto all'epoca della denuncia e del successivo accurato controllo
effettuato dai Consulenti Tecnici del P.M. e dalla P.G. delegata) e quanto alla testimonianza degli
esperti indicati sulla sistemazione logistica di sola parziale smobilitazione del circo sottoposto a
sopralluogo irrilevante ai fini dello stato in cui si trovavano gli animali- come per l'adozione di criteri di
inferenza assolutamente plausibili, relativamente al rapporto di causa-effetto tra le dette rilevate
condizioni e la accertata condizione di mancato benessere etologico degli animali. Con tali
argomentazioni -svolte si ribadisce da pagina 40 a pagina 44 della motivazione- il ricorso non si
confronta, sicché il motivo in discussione, solo assertivo, è inammissibile. Le Sezioni Unite della Corte
(Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 - 01; confrmi, ex multis, Sez. 2, n.
51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 - 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841 - 01)
hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da
genericità "estrinseca" quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a
fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico
dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state
esposte nel provvedimento impugnato), posto che l'atto di impugnazione "non può ignorare le ragioni
del provvedimento censurato" (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), e da genericità
"intrinseca" quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule
di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non
pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992,
Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l'entità della pena a fronte di sanzioni
sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, Raiani,
Rv. 261094).
2.3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al criterio di valutazione della
attendibilità dei testimoni, a taluni dei quali, i consulenti dell'accusa, è stata riconosciuta patente di
attendibilità, a talaltri, i diciannove veterinari consulenti della difesa, negata. Rilevato, innanzi tutto,
che in tema di valutazione della prova testimoniale, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a
valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, il giudice deve
presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva
conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il
teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di
eguale valenza (Sez. 6, n. 39312 del 01/07/2022, Mango, Rv. 283941 - 02Sez. 6, n. 27185 del
27/03/2014, P., Rv. 260064 - 01; Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830 - 01), si
osserva, intanto, che in nessun luogo della motivazione è dato individuare traccia di una ritenuta
inattendibilità di taluni testimoni a differenza di altri, siano essi espressione delle scelte processuali
della accusa o della difesa. In ogni caso, come per il primo motivo, si rileva l'inammissibilità della
censura in esame, per non essere stata proposta in appello (si richiamano, dunque, tutte le
argomentazioni svolte a proposito della inammissibilità del primo dei motivi di ricorso).
Tanto preliminarmente premesso si osserva, poi, che "Non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il
controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il
giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra
divergenti versioni e interpretazioni dei fatti", così, ex multis, Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 Ud. (dep.
25/05/2011) Rv. 250362 - 01.
Si rileva che la difesa, alfine, confonde i piani della attendibilità dei testimoni, pacificamente mai
messa in dubbio, con la valutazione delle testimonianze dagli stessi rese, dai giudici di merito vagliate
e valutate nella loro portata probatoria, nel che consiste l'in sé del giudizio, e che è, a ben vedere, il
vero oggetto di censura della difesa dei ricorrenti, che, come reso evidente dallo svolgimento del
motivo, argomentano poi, in realtà, con riferimento alla individuazione dei principi fissati in tema di
ragionamento probatorio, il cui archetipo è fissato negli artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett e),
cod. proc. pen., per censurare, in sostanza, l'asserito difetto di motivazione a sostegno di una
giustificazione razionale della decisione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma il
principio per il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna "al di là di ogni ragionevole dubbio"
non si riferisce alla necessità di considerare ovvero di confutare ogni possibile e diversa ricostruzione
fornita dalle parti (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Sandra, Rv. 270108). Il citato criterio di valutazione,
infatti, impone al giudice di procedere ad una valutazione complessiva nella quale siano considerate
in modo coerente e logico tutte le risultanze processuali e siano state considerate, anche
implicitamente, solo le ipotesi che non siano frutto di ragionamenti congetturarli (Sez. 2, n. 2548 del
19/12/2014 dep. 2015, Rv 262280). In tale contesto, pertanto, la violazione dell'"oltre ogni ragionevole
dubbio" è configurabile esclusivamente quando il giudice, ancorando la decisione ad elementi privi di
riscontro nelle emergenze processuali, non tenga in alcun conto della diversa e più coerente (in
quanto fondata su elementi concreti, emersi ed acquisiti nel processo) ricostruzione alternativa, solo
così idonea ad ingenerare un dubbio ragionevole. Non può, al contrario, tale principio essere dedotto
in sede di legittimità invocando una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero un'attività esclusa
dal perimetro della giurisdizione di legittimità, ma solo evidenziando vizi logici manifesti e decisivi del
tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito)
delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna. Non ogni "dubbio", infatti, sulla
ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito si traduce in una "illogicità manifesta",
essendo necessario che sia rilevato un vizio logico che incrini in modo severo la tenuta della
motivazione, evidenziando una frattura logica non solo manifesta, ma anche decisiva, in quanto
essenziale per la tenuta del ragionamento giudiziale giustificativo della condanna. Si ritiene, cioè, che
il parametro di valutazione indicato nell'art. 533 cod. proc. pen., che richiede che la condanna sia
pronunciata se è fugato ogni "dubbio ragionevole", opera in modo diverso nella fase di merito e in
quella di legittimità; in tale ultima sede, tale regola rileva solo nella misura in cui la sua inosservanza si
traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale (Sez. 2, n. 18313 del 09/01/2020, Curca,
n.m.) infatti, può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione,
ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte. In
sintesi la "regola B.A.R.D." (acronimo anglosassone per "beyond any reasonable doubt") in sede di
legittimità rileva solo se la sua violazione "precipita" in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto
motivazionale, l'unico ad essere sottoposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun
potere di valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle prove può,
invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell'"oltre ogni ragionevole
dubbio" non incontra il limite funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, n.
28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108). La violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole
dubbio di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., non può essere dedotta con ricorso per
Cassazione né quale violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai
sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non essendo prevista a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, ma può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati
dalla lett. e) della stessa norma, ossia esclusivamente ove la sua violazione si traduca nell'illogicità
manifesta e decisiva della motivazione della sentenza ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen. (Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021; Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017).
È quindi inammissibile il ricorso che censuri un vizio della motivazione, ma si risolva in
un'inammissibile sollecitazione alla rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie del giudizio, delle
quali i ricorrenti propongono una lettura alternativa (Sez. 6, n. 44148 del 10/10/2023, Cusenza, n.m.;
nel caso di specie, il ragionevole dubbio sarebbe stato immanente nella ricostruzione dei fatti operata
dalla sentenza impugnata, ma si doleva di un'errata valutazione delle prove testimoniali assunte nel
corso del giudizio dibattimentale).
È, esattamente, quanto occorso anche nel caso di specie, che deterimina l'inammissibilità del motivo.
3. Ne consegue la inammissibilità del ricorso nella sua interezza, con onere per il ricorrente, ai sensi
dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e
considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende. Consegue la
condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte
civile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre gli imputati alla
rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che
liquida in complessivi Euro 2.800,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2025.
Avv. Antonino Sugamele

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