Art. 20 L. n. 110 del 1975
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE PENALE Composta da GIUSEPPE SANTALUCIA - Presidente - Sent. n. sez. 317/2025 FRANCESCO CENTOFANTI UP - 02/05/2025 GIORGIO POSCIA R.G.N. 8579/2025 PAOLO VALIANTE - Relatore - MARCO MARIA MONACO ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: C.M. , nato a T. il ..... avverso la sentenza del Tribunale di Trapani dell’8/7/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Valiante; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza in data 8.7.2024, il Tribunale di Trapani ha condannato M. C. alla pena di 400 euro di ammenda per il reato di cui all'art. 20 L. n. 110 del 1975, per non avere adoperato nella custodia di un fucile, rinvenuto appoggiato ad un muro della stanza da pranzo della abitazione a lui in uso, le cautele necessarie ad impedire che terzi potessero impossessarsene agevolmente. Il processo – secondo la ricostruzione del tribunale – trae origine da un controllo eseguito dai carabinieri nell'abitazione della madre dell'imputato, il quale, avvertito dalla donna dell’arrivo delle forze dell'ordine, sopraggiungeva poco dopo nell'abitazione, dove veniva rinvenuto un fucile, da lui legalmente detenuto, nella stanza da pranzo e non vigilato. È stata ritenuta provata la responsabilità dell’imputato, in particolare per essere stata valutata poco attendibile la giustificazione da lui offerta, secondo cui quel giorno era a caccia con il fucile ed era stato raggiunto da una telefonata della madre, la quale gli comunicava di stare poco bene e di avere bisogno di insulina. Di conseguenza, egli si era recato da lei e aveva lasciato il fucile nella stanza da pranzo per raggiungere subito la più vicina farmacia, sita a circa 10 chilometri di distanza. Il tribunale ha giudicato la versione poco plausibile, in quanto i carabinieri hanno dato atto che la madre, al momento del loro accesso in casa, non aveva alcun problema di salute; in ogni caso, la deposizione nella donna è stata sul punto assai generica, non avendo ella ricordato né il giorno, né il motivo dell'intervento dei carabinieri. Quanto al trattamento sanzionatorio, il tribunale ha negato la concessione delle attenuanti generiche, ritenendo che non fossero emersi elementi di segno favorevole in proposito, e, tenuto conto dei parametri dell’art. 133 cod. pen., ha stimato pena congrua eadeguata al concreto disvalore del fatto quella di 400 euro di ammenda. 2.Avverso la predetta ordinanza, il difensore di C. ha presentato atto di appello, riqualificato dalla Corte di Appello di Palermo come ricorso per cassazione. Nell’unico motivo in cui è articolato l’atto, si lamenta, in primo luogo, che il tribunale abbia travisato il concetto di corretta custodia dell'arma. L'art. 20 legge n. 110 del 1975 può dirsi violato solo quando l'arma venga lasciata in una casa dove nessuno sia presente: se invece è presente una persona capace, le armi sono ben custodite e non occorre alcuna particolare misura. Per come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, l'obbligo di diligenza nella custodia delle armi deve ritenersi adempiuto alla sola condizione che risultino adottate le cautele esigibili, nelle specifiche situazioni di fatto, da una persona che impieghi una normale prudenza: risponde a una massima di comune esperienza che la custodia all'interno di un luogo di privata dimora, e come tale non accessibile a soggetti estranei, valga a impedire la possibilità per i terzi di entrare nella disponibilità dell'arma. Di conseguenza, il fucile di C. non è mai stato incustodito e nessun rimprovero gli può essere mosso. In subordine, la difesa ha chiesto l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. 3.Con requisitoria scritta trasmessa il 10.4.2025, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, giacché infondato in relazione alla responsabilità dell’imputato, in quanto l'aver lasciato il fucile, funzionante, esposto in bella evidenza all’interno della propria abitazione, senza predisporre ulteriori accorgimenti e precauzioni, ha integrato gli estremi del reato contestato; a fronte di tali elementi, il ricorrente espone mere doglianze in punto di fatto che propongono una lettura alternativa delle risultanze processuali. Quanto alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., poi, il ricorso è inammissibile, in quanto il difensore non ha motivato alcunché al riguardo. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato. 1. Quanto alla doglianza relativa alla sussumibilità della condotta dell’imputato nella ipotesi di cui all’art. 20 L. n. 110 del 1975, deve ritenersi che la motivazione della sentenza impugnata sul punto sia adeguata e conforme alla costante giurisprudenza di legittimità sul contenuto dell’obbligo di diligenza nella custodia delle armi. È stato affermato, in proposito, che l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi previsto dall'art. 20 della legge n. 110 del 1975, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi, deve ritenersi adempiuto alla condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell'"id quod plerumque accidit” (Sez. 1, n. 35453 dell’11.5.2021, Sciortino, Rv. 281897 – 01; Sez. 1, n. 16609 dell’11/2/2013, Quaranta, Rv. 255682 – 01; Sez. 1, n. 8027 del 25/1/2011, Cavallaro, Rv. 249840 - 01). Il tribunale dà conto in modo congruo che nella vicenda di specie sono rimasti integrati gli elementi costitutivi del reato in questione, facendo riferimento al fatto che, per effetto della condotta attribuibile al ricorrente, il fucile è stato lasciato in evidenza nella stanza da pranzo dell’abitazione della madre, poggiato al muro e, pertanto, agevolmente raggiungibile da chiunque fosse entrato. Dal punto di vista fattuale, pertanto, l’arma era a immediata portata di mano di chi entrasse nell’abitazione, nella quale peraltro in quel momento era presente solo la madre dell’imputato; l'abitazione è del resto collocata in una area scarsamente urbanizzata e popolata, se è vero che la farmacia più vicina distava – per quanto riferito dallo stesso imputato – almeno dieci chilometri. Sotto questo profilo, non influisce sulla configurabilità del reato il rilievo difensivo secondo cui la norma consentirebbe di lasciare le armi alla portata di familiari o di altre persone ospitate, purché capaci. Invero, l’art. 20 L. n. 110 del 1975 prescrive, nel primo periodo del primo comma la cui violazione il Tribunale ha ritenuto di ravvisare nel caso di specie, che la custodia delle armi debba essere “assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”. Si tratta di previsione che non autorizza a distinguere, laddove non siano adottate le cautele imposte dalla normale prudenza, tra i soggetti che possono avere accesso al luogo in cui le armi sono detenute. Gli eventi che la norma precauzionale mira a prevenire sono anche quelli che riguardano persone che frequentano la casa con il consenso del proprietario e senza introdurvisi in modo clandestino, i quali non sono per ciò solo legittimati ad impossessarsi delle armi (Sez. 1, n. 47299 del 29/11/2011, Gennari, Rv. 251407 – 01, in motivazione). Compete, pertanto, al giudice di merito stabilire se, in rapporto alle contingenti situazioni, l’agente abbia custodito l’arma con la massima diligenza, in adempimento del relativo dovere che l’art. 20 L. n. 110 del 1975 indica senza specificare, in concreto, il suo contenuto (Sez. 1, n. 24271 del 13/5/2004, Cedro, Rv. 228904 - 01). Nel caso di specie, il Tribunale di Trapani ha ritenuto di ravvisare la violazione di tale obbligo con motivazione logica e congrua, che non è censurabile in questa sede. 2. Quanto, poi, alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, non risulta che fosse stata formulata in sede di conclusioni nel giudizio di primo grado. Di conseguenza, la questione, non specificamente proposta innanzi al tribunale, è stata introdotta per la prima volta in questa sede e, come tale, è inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. In ogni caso, si tratta di richiesta del tutto generica, perché non deduce alcuna critica rispetto alla motivazione del giudice di primo grado, su cui peraltro non gravava alcun obbligo di pronunciare sulla causa di esclusione della punibilità in difetto di una specifica richiesta (Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, dep. 2022, Polillo, Rv. 282773 – 01), e non indica in alcun modo gli elementi da cui dovrebbe ricavarsi un giudizio di particolare tenuità del fatto. 3. Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 02/05/2025 Il Consigliere estensore Il Presidente PAOLO VALIANTE GIUSEPPE SANTALUCIA
06-08-2025 15:38
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