Reati contro l’ordine pubblico - Scambio elettorale politico-mafioso - Elementi costitutivi post modifiche recate dalla legge n. 43 del 2019.
Corte di Cassazione, Sezione 5, Penale, Sentenza del 21-11-2024, n. 42651
Voto di scambio politico-mafioso - L. n. 43/2019 - Ampliamento del campo applicativo
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta da:
Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente
Dott. SCARLINI Enrico Vittorio Stanislao - Consigliere
Dott. OCCHIPINTI Andreina Maria Angela - Consigliere
Dott. MELE Maria Elena - Relatore
Dott. CUOCO Michele - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Po.An., nato a N il (omissis);
avverso l'ordinanza del 24/05/2024 del TRIB. LIBERTÀ di NAPOLI;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA ELENA MELE;
sentite le conclusioni del P.G., GIUSEPPE SASSONE, che si riporta alla requisitoria depositata e conclude per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avvocato PI.PA. del foro di NOLA, che si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 24 maggio 2024, il Tribunale del riesame di Napoli ha parzialmente confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli aveva disposto l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere (poi sostituita con quella degli arresti domiciliari) nei confronti, tra gli altri, di Po.An. per il reato di cui all'art. 416-ter cod. pen. (capo A dell'incolpazione provvisoria). Ha invece annullato il provvedimento con riferimento al reato di cui all'art. 416 cod. pen. (capo B dell'incolpazione provvisoria).
1.1. Secondo la prospettazione accusatoria cristallizzata nel capo di incolpazione provvisoria, Po.An., legata al sodalizio camorristico denominato clan Fu. - Po., in quanto figlia di Gi., boss del clan Fu. - Po., detenuto all'ergastolo e anche la condannata per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.(si era accordata (per il tramite di De.Sa.) con Si.An. - candidato a sindaco in occasione delle consultazioni elettorali amministrative del 14 e 15 maggio 2023 (prima tornata) e 25 e 26 maggio 2023 (ballottaggio) per il rinnovo del consiglio comunale di C - e con De.Gi. - candidata al consiglio comunale - per procurare a costoro voti mediante le modalità di cui all'art. 416-bis, comma 3, cod. pen., al fine di soddisfare gli interessi dell'associazione camorristica di riferimento.
1.2. Il compendio indiziario posto a fondamento della misura cautelare è costituito dalle annotazioni di P.G. da cui era emerso che l'11 maggio 2023 l'indagata si era presentata presso il Comune di C a ritirare un numero considerevole di schede elettorali per conto di soggetti che l'avrebbero a ciò delegata, nonché da talune conversazioni captate nel corso delle quali, gli interlocutori, tra cui la Po.An. e Fi.Ca., anch'egli già condannato per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., faceva riferimento alla collaborazione con De.Sa., all'intervenuto accordo con il medesimo, alla organizzazione di una squadra per raggiungere l'obiettivo, coinvolgendo il marito De.Ro., nonché alla necessità della elezione di De.Gi. per il loro "lavoro", in tal modo riferendosi alla necessità di avere una copertura politica per gestione del malaffare. L'indagata aveva inoltre consentito all'apposizione della sua immagine sul volantino che riproduceva il fac-simile della scheda elettorale.
2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione la Po.An., articolando quattro motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 273, 309, 521 cod. pen. per avere il Tribunale confermato l'ordinanza cautelare sulla base di un fatto storico diverso da quello oggetto di contestazione, in ordine al quale l'indagata non ha potuto esercitare il diritto di difesa.
La ricorrente sostiene che nell'ordinanza cautelare genetica, in conformità alla richiesta del P.M., era stata contestata l'esistenza di un accordo tra De.Sa., materiale finanziatore, e De.Gi. con De.Gi. e De.Gi., Po.An. e altri soggetti, tutti legati ai clan camorristici Fu. - Po. e De. - De. Con tale accordo De.Sa. e De.Gi. promettevano ed erogavano agli altri soggetti la somma complessiva di 1.800 Euro al fine di procurare voti per la prima tornata e per il ballottaggio delle elezioni amministrative del maggio 2023 presso il Comune di C.
A fronte di tale contestazione, il Tribunale del riesame avrebbe ricostruito il fatto in termini diversi, ipotizzando la conclusione, da parte di De.Sa. e De.Gi. di un distinto, duplice accordo: uno con la Po.An., gravitante nell'ambito della criminalità organizzata di stampo camorristico e l'altro con De.Gi. e De.Gi. Mentre questo secondo accordo avrebbe avuto ad oggetto la compravendita di voti a mezzo di costoro, il primo accordo, avrebbe avuto ad oggetto la promessa di favori da parte del futuro consiglio comunale, in cambio del procacciamento di voti. Questo accordo non avrebbe previsto l'erogazione di denaro, dal momento che la Po.An. non avrebbe avuto bisogno di comprare i voti, potendo fare affidamento sulla sua caratura criminale, nota a tutti, essendo stata condannata per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.
Lamenta la difesa che l'individuazione di tale accordo costituirebbe un fatto nuovo e diverso rispetto a quello contestato al capo A) dell'incolpazione provvisoria. Ciò determinerebbe la nullità dell'ordinanza impugnata, atteso che il giudice della cautela rimane vincolato alla richiesta del pubblico ministero in ordine agli elementi di fatto che integrano la contestazione, nel rispetto del principio di correlazione tra accusa e decisione sancito dall'art. 521 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'esistenza di una promessa di procacciamento di voti con l'utilizzo di modalità mafiose, avendo la Po.An. agito uti singulus laddove la norma incriminatrice prevede un accordo tra il politico e l'associazione mafiosa.
Rileva la difesa che nel corso della tornata elettorale la Po.An. avrebbe operato uti singulus, e non in nome e per conto del clan Po. - Fu., mancando elementi da cui emergesse la mobilitazione di tale clan, difettando la commissione di atti intimidatori sugli elettori da parte di soggetti appartenenti alla consorteria criminosa, e tenuto conto del fatto che la condanna riportata dall'indagata per la partecipazione all'associazione camorristica risaliva al 2007 e che nel 2014 era stata dichiarata la cessazione della sua pericolosità con revoca della misura di prevenzione della libertà vigilata. Il Tribunale del riesame avrebbe omesso di considerare che, nel caso in cui il soggetto anche intraneo all'associazione di tipo mafioso agisca uti singulus, è necessario che siano individuati elementi da cui desumere che la promessa di reclutamento dei voti avvenga, e di fatto sia avvenuta, mediante l'utilizzo delle modalità mafiose, ovvero attraverso l'utilizzo della forza intimidatrice del vincolo associativo, al fine di ostacolare il libero esercizio del voto. Nella specie l'ordinanza impugnata avrebbe omesso di individuare i fattori da cui desumere tali elementi, tenuto conto che non vi sarebbe la prova che la Po.An. abbia operato per conto del clan Po. - Fu. e che dalle conversazioni captate non emergerebbe che l'accordo intercorso tra l'indagata e i De. avesse ad oggetto l'utilizzo di modalità mafiose per il procacciamento dei voti. Del pari non avrebbe motivato in ordine alla attuale intraneità al clan Fu. - Po. della ricorrente, né alla esistenza ed operatività di detto clan alla data della tornata elettorale del 2023.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla esistenza di un accordo elettorale politico mafioso con De.Sa. e De.Gi. Il Tribunale avrebbe omesso di indicare le circostanze da cui emergeva l'esistenza di un tale accordo e la promessa di futuri favori da parte della candidata, non emergendo dalle intercettazioni alcunché al riguardo. Non potrebbe riconoscersi alcun valore in tal senso al riferimento fatto dagli interlocutori, nella conversazione n. 472, al "lavoro", dal momento che l'interpretazione del medesimo come sinonimo di "malaffare" sarebbe del tutto infondato. Invero, tale riferimento sarebbe da intendersi operato all'attività lavorativa svolta dalla Po.An. e dal marito nel CAF di De.Sa.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. Il Tribunale avrebbe ravvisato tale aggravante nella mera appartenenza della Po.An. all'associazione camorristica, ritenendola sufficiente ad indurre la consapevolezza nella comunità di trovarsi di fronte ad un'azione proveniente da organizzazioni criminali, omettendo di individuare in cosa siano consistite le concrete azioni violente e minatorie tipicamente mafiose ai fine del reclutamento dei voti, tali non potendosi considerare il ritiro delle schede elettorali dal comune di C, l'organizzazione di una squadra per raccogliere voti, né la riproduzione della sua immagine in un volantino.
In relazione al carattere soggettivo dell'aggravante contestata, l'ordinanza impugnata avrebbe omesso di fornire la prova dell'esistenza e operatività del clan Fu. - Po., nonché di specificare quali fossero i favori oggetto dello scambio politico-elettorale.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve pertanto essere rigettato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. La ricorrente lamenta che il fatto ritenuto dal Tribunale del riesame nell'ordinanza impugnata sia diverso rispetto a quello contestato nel capo di incolpazione e riconosciuto nell'ordinanza con cui il GIP aveva applicato la misura cautelare. Secondo la prospettazione difensiva, mentre oggetto della contestazione originaria era l'esistenza di un accordo stipulato da De.Si. e la candidata consigliera De.Gi. con le associazioni criminali operanti nel Comune di C nella persona di De.Gi., De.Gi. e Po.An., il Tribunale del riesame avrebbe ravvisato due distinti accordi: un primo accordo concluso da De.Si. e De.Gi. con De.Gi. e De.Gi. avente ad oggetto la compravendita di voti, attraverso l'erogazione di un finanziamento di 1.800 Euro; un secondo e distinto accordo concluso con la Po.An., nonché altri soggetti gravitanti nell'ambito della criminalità organizzata, avente ad oggetto la promessa di favori nel futuro consiglio comunale di C in cambio del procacciamento di voti avvalendosi della forza intimidatrice della loro caratura criminale.
2.2. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità in tema di violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa contestata, sancito dall'art. 521 cod. proc. pen., detta violazione deve essere esclusa quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d'effettiva difesa (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 35120 del 13/06/2003, Conversano, Rv. 226654; Sez. 6, n. 17799 del 06/02/2014, M., Rv. 260156).
Si è pertanto ritenuta ravvisabile la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza nel caso in cui il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, ovvero ancora, quando ricorra tra i due episodi un rapporto di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d'effettiva difesa. Si è, inoltre, precisato che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio in esame "non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846 - 04).
In applicazione di tali principi, la decisione da ultimo richiamata ha escluso la violazione del principio sancito dall'art. 521 cod. proc. pen. in un caso nel quale, a fronte della contestazione del delitto di utilizzo di fatture inesistenti autoprodotte, si era affermata la penale responsabilità dell'imputato per aver utilizzato fatture soggettivamente inesistenti, chiarendo che la non riferibilità soggettiva delle prestazioni alle imprese che le avevano fatturate aveva costituito il nocciolo della contestazione, sulla quale il predetto aveva avuto la possibilità di difendersi e si era effettivamente difeso.
Del pari si è esclusa la violazione di detto principio nell'ipotesi dell'imputato che era stato condannato per avere fornito la base logistica in un tentativo di rapina ai danni di un istituto di vigilanza, a fronte della contestata partecipazione attiva all'azione predatoria, sul rilievo che già in fase cautelare e poi in sede di giudizio abbreviato il predetto avesse avuto piena conoscenza delle risultanze probatorie, da cui emergevano in maniera chiara e circostanziata le effettive modalità della partecipazione concorsuale (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Saracino, Rv. 284713 - 02), nonché nell'ipotesi in cui nel capo di imputazione era contestato il reato di rapina commesso da un imputato con volto travisato da passamontagna e dal correo con sciarpa e cappellino, e la sentenza aveva condannato i correi per aver agito entrambi con volto travisato da passamontagna (Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, Pagano, Rv. 284427 - 01).
2.3. Ritiene il Collegio che - alla luce delle coordinate ermeneutiche sopra richiamate - nella specie non ricorra la violazione dedotta. Invero, l'incolpazione provvisoria conteneva già tutti gli elementi costitutivi del fatto ascritto alla ricorrente e ritenuto dal Tribunale del riesame, posto che si contestava alla Po.An., quale membro del clan camorristico Fu. - Po., la partecipazione ad un accordo con i candidati alle elezioni amministrative del Comune di C avente ad oggetto la promessa di procacciare a costoro, con modalità mafiose, dei voti in cambio del soddisfacimento degli interessi dell'associazione criminosa, una volta eletti; sicché, la diversa articolazione di tale accordo configurata dall'ordinanza impugnata, la quale ha ritenuto sussistente una distinta pattuizione dei candidati con De.Gi. e De.Gi., da un lato e con la Po.An. dall'altro, costituisce al più una specificazione del fatto, ma non già una sua trasformazione radicale e che pertanto non ha determinato alcuna lesione del diritto di difesa della ricorrente.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. L'art. 416-ter cod. pen., nella sua nuova formulazione derivante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 43 del 2019, punisce "chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all'articolo 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa è punito con la pena stabilita nel primo comma dell'articolo 416-bis". Allo stesso modo è punito "chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma".
La nuova formulazione dell'art. 416-ter ne ha ampliato il campo applicativo sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. Sotto il primo profilo, è previsto che la promessa di procacciare voti può essere ricevuta sia dall'uomo politico sia da intermediari e può provenire tanto da soggetti estranei alla consorteria criminosa, quanto da esponenti del sodalizio mafioso. Sotto il secondo profilo, la controprestazione della promessa non è più limitata al denaro e alle altre utilità ma comprende anche la disponibilità "a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa".
Questa Corte regolatrice ha ritenuto che sussiste "perfetta continuità tra il vecchio e il nuovo testo dell'art. 416-ter c.p., dal momento che, ribadita la punibilità dell'accordo che contempli l'utilizzo del metodo mafioso, vi sono state aggiunte parole volte ad ampliare il campo d'applicazione della norma, con una previsione riferita ai soggetti dell'accordo illecito e ai contenuti dello scambio" (Sez. 5, n. 42227 del 03/09/2021, Galletta, Rv. 282041 - 01).
3.2. La ricorrente deduce che l'ordinanza impugnata avrebbe omesso di motivare in ordine alla sussistenza di una promessa di procacciamento dei voti con modalità mafiose, ciò rendendosi necessario in quanto l'indagata avrebbe agito uti sirigula, non essendovi elementi da cui dedurre il coinvolgimento del clan camorristico di riferimento, "difettando la perpetrazione di atti intimidatori sull'elettorato da parte di soggetti notoriamente gravitanti nella citata consorteria". A fondamento di tale censura si è richiamata la giurisprudenza dì legittimità che distingue l'ipotesi in cui l'accordo politico-mafioso sia stipulato con un soggetto intraneo alla consorteria mafiosa, da quella in cui il promittente sia estraneo ad essa, ovvero operi utili singulus, richiedendosi nei due ultimi casi la prova di un esplicito accordo sulle modalità di procacciamento del consenso elettorale.
La censura è destituita di fondamento.
Il Tribunale del riesame ha chiaramente ricondotto l'attività dell'indagata al clan camorristico Fu. - Po. al quale essa è intranea, valorizzando, innanzitutto, la sua appartenenza qualificata a detta associazione, resa evidente sia dal fatto che ella è figlia del boss del clan, sia dalla circostanza che la stessa è stata condannata per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.
L'ordinanza impugnata, inoltre, ha messo in luce come la Po.An. abbia agito unitamente ad altri soggetti della criminalizzata organizzata, tra cui Fi.Ca., coindagato nel medesimo procedimento per lo stesso reato e anch'egli appartenente al clan Fu. - Po.
Tale dato è stato ritenuto comprovato dalle conversazioni captate, e specificamente dalla conversazione n. 472 del 31 maggio 2023, nel corso della quale il Fi.Ca., parlando con la Po.An. e con il compagno di questa, De.Ro., afferma la necessità della elezione della De.Gi. per il loro "lavoro", interpretandosi tale espressione come riferita al malaffare, posto che i conversanti non avevano un lavoro in comune.
In ogni caso, l'esistenza di un accordo politico-mafioso per il procacciamento di consensi elettorali, secondo la giurisprudenza di legittimità, può desumersi anche in via indiziaria, mediante la valorizzazione di indici fattuali sintomatici della natura dell'accordo, quali la fama criminale del procacciatore, l'assoggettamento alla forza intimidatrice promanante dagli affiliati ad associazione di tipo mafioso e l'utilità del loro apporto per il reclutamento elettorale nella zona d'influenza, risultando, per converso, irrilevante il post factum costituito dal mancato incremento delle preferenze (Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, Zullo, Rv. 275157 - 01; Sez. 5, n. 26426 del 07/05/2019, Merola, Rv. 275638 - 01, nella quale la Corte ha affermato il principio in un'ipotesi in cui il procacciatore dei voti era stato consapevolmente individuato dal candidato in ragione della sua "prossimità" al clan camorristico operante sul territorio e si era avvalso della collaborazione di soggetti coindagati per il delitto di estorsione commesso in danno di altri candidati).
Nella specie, l'ordinanza impugnata, così come l'ordinanza genetica emessa dal GIP, ha specificamente motivato sul punto evidenziando come, proprio la caratura criminale della Po.An., resa evidente dai suoi precedenti penali e dalla sua notoria appartenenza al clan camorristico operante nel territorio del Comune di C erano gli elementi su cui De.Sa. e la candidata De.Gi. confidavano, ai fini dell'incremento del consenso elettorale, e come la costante presenza ai seggi elettorali dell'indagata e del Fi.Ca., la riproduzione dell'immagine della Po.An. sul fac-simile della scheda elettorale, l'organizzazione di una "squadra" per procacciare i voti dovessero ritenersi sintomatici della consapevolezza della forza intimidatrice che il clan di appartenenza esercitava sul territorio.
3.3. Con riguardo alla censura con cui si deduce l'omessa motivazione in ordine alla estensione dell'accordo si rileva che - come già in precedenza illustrato - per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 43 del 2019, l'art. 416-ter punisce puramente e semplicemente l'accordo stipulato con l'appartenente ad un'associazione mafiosa. Quanto poi all'ipotesi in cui l'intesa che contempli l'utilizzo delle modalità mafiose, occorre ancora una volta richiamare l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui tali modalità "ricorrono anche quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisce per conto e nell'interesse di quest'ultima, sicché non è necessario che l'accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l'attuazione, o l'esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all'art. 416-bis c.p., comma 3, può dirsi immanente all'illecita pattuizione" (Sez. 5, n. 42227 del 03/09/2021, Galletta, Rv. 282041 - 01; Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015, P., Rv. 263845 - 01).
4. Manifestamente infondato è il terzo motivo con il quale la ricorrente deduce l'ininfluenza delle conversazioni intercettate ai fini della prova dell'esistenza dell'accordo politico-mafioso e della promessa di favori da parte del consiglio comunale.
L'interpretazione che del contenuto delle conversazioni captate è stata data dal Tribunale si sottrae in questa sede alle censure prospettate dalla ricorrente, posto che essa costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389; Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715), che nella specie non emerge.
Invero, con motivazione non manifestamente illogica, l'ordinanza impugnata ha dato puntualmente conto delle ragioni dell'interpretazione adottata, nonché del fatto che le affermazioni contenute nelle conversazioni captate facevano riferimento all'esistenza di un accordo di scambio tra i voti e l'elargizione di favori da parte dei candidati una volta eletti in consiglio comunale.
Di tale interpretazione la ricorrente ha proposto una mera rivisitazione, richiedendone una diversa valutazione sul piano del merito, cioè del significato da attribuire al contenuto delle conversazioni, non consentita, in presenza di motivazione idonea e immune da vizi, nel giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità della censura.
5. Il quarto motivo, concernente la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen., è infondato.
Il Tribunale, con argomentazione logica e congrua, ha ravvisato la sussistenza di tale circostanza aggravante nella egemonia esercitata nel territorio del Comune di C del clan Fu. - Po. cui appartiene l'indagata, egemonia cui consegue la consapevolezza della comunità che vive in quel territorio di trovarsi di fronte a comportamenti provenienti da soggetti appartenenti ad organizzazioni mafiose. Si tratta di motivazione corretta, non essendo necessari, al fine della configurabilità della circostanza aggravante del metodo mafioso, richiami espliciti alla capacità di intimidazione dell'associazione mafiosa, atteso che essa - secondo l'insegnamento di questa Corte - ricorre anche nel caso dell'utilizzo di un messaggio intimidatorio "silente", cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, Di Caprio, Rv. 277182 - 01).
Analogamente, con riguardo al profilo soggettivo dell'aggravante in parola, l'ordinanza impugnata, in modo non manifestamente illogico, ne ha rinvenuto i presupposti nella pattuizione, quale corrispettivo del procacciamento di voti, della promessa da parte di De.Gi., una volta eletta nel consiglio comunale, di elargire favori a vantaggio dell'associazione camorristica Fu. - Po.
A tal fine è irrilevante che il Tribunale abbia omesso di specificare il contenuto di tali favori, posto che l'art. 416-bis 1 cod. pen. fa riferimento alla finalità agevolatrice dell'attività del consorzio criminoso, non richiedendo affatto la preventiva e puntuale individuazione di detti favori, anche considerato che l'attività agevolatrice ben può realizzarsi con la generica disponibilità a sostenere le esigenze e gli interessi dell'associazione. D'altra parte, l'esistenza ed operatività sul territorio del Comune dì C del clan Fu. - Po., la quale ha fatto da sfondo all'accordo politico-mafioso, era stata acclarata dall'ordinanza del GIP, puntualmente richiamata dal Tribunale del riesame.
Pertanto, anche sotto tale profilo, le censure svolte dalla ricorrente risultano prive di pregio.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2024.
02-12-2024 20:34
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