La famiglia mafiosa trapanese.
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 35512 Anno 2024
Presidente: SANTALUCIA GIUSEPPE
Relatore: RUSSO CARMINE
Data Udienza: 15/07/2024 SENTENZA
sul ricorso proposto da:
O.F. nato a T. il.......
avverso l'ordinanza del 06/05/2024 del GIP TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO;
lette le conclusioni del PG, Assunta Cocomello, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 6 maggio 2024 il Tribunale di Palermo, in funzione di
giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza del condannato F.O. di
rideterminazione della pena da espiare indicata nell'ordine di esecuzione emesso
dalla Procura generale di Palermo il 21 luglio 2023.
In particolare, il condannato aveva chiesto che fosse detratto il presofferto
scontato tra il 20 dicembre 2000 ed il 29 giugno 2003; il giudice dell'esecuzione
ha respinto l'istanza rilevando che non è possibile detrarre tale periodo in quanto
antecedente alla data di commissione del reato in espiazione, che è quello di cui
all'art. 416-bis cod. pen., per cui Orlando è stato condannato con sentenza della
Corte d'appello di Palermo del 19 settembre 2022, e che è stato commesso tra il
mese di agosto 2016 ed il mese di novembre 2017.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per
il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deduce violazione di legge perché, pur riconoscendo che
il provvedimento del giudice dell'esecuzione rispetta la lettera dell'art. 657, comma
4, cod. pen., pur tuttavia tale norma non dovrebbe essere applicata al caso in
esame che è caratterizzato da un reato che è stato riconosciuto esser stato
commesso in continuazione con un precedente reato di cui all'art. 416-bis cod.
pen. per cui il ricorrente è stato condannato con sentenza emessa dalla Corte di
assise di Palermo del 28 novembre 2000, commesso tra il 1995 e 1996; la
circostanza che i due reati siano stati posti in continuazione tra loro comporta che,
agli effetti di cui all'art. 657 cod. pen., il reato debba essere considerato unico
altrimenti la continuazione si applicherebbe a sfavore del reo; l'unicità del reato
comporta, a sua volta, come conseguenza la retrodatazione della data di
commissione del secondo reato che deve ritenersi a questo punto commesso nel
momento in cui è iniziata l'esecuzione del primo reato; il concetto di commissione
del reato è diverso da quello di consumazione del reato, essendo meno specifico
e più ampio rispetto ad esso, ne consegue che il reato continuato deve considerarsi
commesso quando la programmazione ideativa cessa di restare un fatto
meramente ideologico e comincia a realizzarsi con l'esecuzione della prima azione.
Con il secondo motivo propone eccezione di legittimità costituzionale dell'art
657, comma 4, cod. pen. per violazione degli artt. 3 e 25 Cost. in quanto, qualora
si ritenesse applicabile tale norma anche al reato continuato, si genererebbe una
disparità di trattamento tra il soggetto che ottempera all'esecuzione della prima
condanna e quello che si sottragga all'esecuzione della stessa, il quale avrebbe la
possibilità di espiare soltanto la pena conseguente al riconoscimento della
continuazione mentre il primo dovrebbe espiare una pena maggiore; finirebbe, in
definitiva, per esser premiato il comportamento deteriore di chi si sottrae
all'esecuzione.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, Assunta Cocomello, ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Si premette in fatto che O. è stato condannato due volte per il reato
di cui all'art. 416-bis cod. pen.; una prima volta, con sentenza della Corte di assise
di appello di Palermo del 28 novembre 2000, alla pena di anni 8 di reclusione per
fatto commesso tra il 1995 ed il 1996; una seconda volta, con sentenza emessa
dalla Corte d'appello di Palermo del 19 settembre 2022, con cui, riconosciuta la
continuazione con la prima sentenza, è stato condannato alla pena complessiva di
12 anni ed 8 mesi di reclusione, di cui 8 anni e 8 mesi di reclusione per il reato
oggetto della seconda condanna commesso tra il 2016 ed il 2017, e 4 anni di
reclusione quale aumento per continuazione con il reato già giudicato, commesso
tra il 1995 ed il 1996.
In occasione del primo processo O. aveva sofferto detenzione, anche a
titolo cautelare, tra il 20 dicembre 1996 ed il 20 giugno 2003.
Nel provvedimento della Procura generale di Palermo, con cui è stata messa
in esecuzione la seconda condanna, il periodo dal 20 dicembre 1996 al 20 dicembre
2000 era stato computato come presofferto ed attribuito al reato commesso tra il
1995 ed il 1996, mentre il periodo tra il 20 dicembre 2000 ed il 29 giugno 2003
non è stato computato, in quanto da attribuire a quel punto al reato commesso
tra il 2016 ed il 2017.
2. Ciò posto, il primo motivo deduce che il riconoscimento della continuazione
tra i due reati dovrebbe comportare, attesa la unicità del reato continuato, la
retrodatazione dell'inizio della commissione del secondo reato alla data di inizio
della commissione del primo.
Il motivo è infondato.
Si tratta di una questione portata già diverse volte all'attenzione del giudice
di legittimità e risolta in modo univoco con orientamento, cui il collegio ritiene di
dare continuità, in cui si afferma che la circostanza che due reati siano posti in
continuazione tra loro non permette la retrodatazione della data di commissione
del secondo reato, agli effetti di cui all'art. 657, comma 4, cod pen. (Sez. 1,
Sentenza n. 17531 del 22/02/2023, Marando, Rv. 284435: il riconoscimento del
vincolo della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente
determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo
materiale, non comporta che la differenza formatasi possa essere
automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, ostando a una tale
eventualità il disposto dell'art. 657, comma 4, cod. proc. pen., che consente di
computare «soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la
commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire»).
Come rilevato, infatti, da Sez. 1, n. 27149 del 31/05/2024, D'Agostino, n.m.,
"il reato continuato crea una unicità giuridica fittizia, mentre deve riprendere la
considerazione parcellizzata degli episodi che lo compongono nei casi in cui il dato
temporale di consumazione diviene dirimente; è quanto si verifica nella specie,
posto che la limitazione normativa dettata in tema di fungibilità non consente di
valutare come espiata una pena sofferta in epoca pregressa alla data di
consumazione del reato".
Agli effetti di cui all'art. 657, comma 4, cod. proc. pen., pertanto, occorre
comunque scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono»
(Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, dep. 2018, Di Perna, Rv. 272101; Sez. 1, n.
25186 del 17/02/2009, Bernardo, Rv. 243809; Sez. 1, n. 1680 del 06/03/2000,
Palomba, Rv. 216418).
Il motivo è, pertanto, infondato.
2. E' infondato anche il secondo motivo, che affronta la stessa questione sotto
il profilo della compatibilità con la Costituzione del sistema processuale dell'art.
657, comma 4, cod. proc. pen., come ricostruito dalla giurisprudenza di legittimità
citata al punto 1 di questa sentenza, ed in cui si chiede di sollevare questione di
costituzionalità della norma per violazione degli artt. 3 e 25 Cost.
Il motivo è infondato.
La compatibilità con la Costituzione del sistema processuale dell'art. 657,
comma 4, cod. proc. pen. , è stata già scrutinata dalla stessa Corte costituzionale,
che, con sentenza n. 198 del 7 luglio 2014, ha chiarito che «non è fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 657, comma 4, cod. proc. pen.,
impugnato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo comma, Cost.,
in quanto prevede che, nella determinazione della pena detentiva da eseguire, si
tiene conto soltanto della custodia cautelare subita o delle pene espiate senza
titolo dopo la commissione del reato per il quale la pena che deve essere eseguita
è stata inflitta. Lo sbarramento temporale fissato dalla norma censurata è imposto
dall'esigenza di evitare che l'istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo a
commettere reati, trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una
"riserva di impunità"; esso risponde inoltre, prima ancora, alla fondamentale
esigenza logico-giuridica che la pena segua, e non già preceda, il reato, essendo
questa la condizione indispensabile affinché la pena possa esplicare le funzioni sue
proprie, e particolarmente quelle di prevenzione speciale e rieducativa. Non
sussiste, pertanto, la violazione degli invocati parametri e, in particolare, dei
principi di eguaglianza e di ragionevolezza".
Pertanto, la disparità di trattamento normativo in materia di
fungibilità della pena che si viene a verificare in concreto tra coloro che hanno
sofferto la detenzione dopo la commissione di altro reato e coloro che la hanno
subita prima trova la sua giustificazione nella rilevanza giuridica delle ragioni che
hanno indotto il legislatore ad adottare una disciplina differenziata (Sez. 1,
Sentenza n. 20332 del 11/05/2006, Marando, Rv. 234444).
Il motivo è, pertanto, infondato.
2. Ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 15 luglio 2024
Il consigliere estensore Il presidente
19-10-2024 15:40
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