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Sentenza

In tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, è pacifico in giurisprudenza che si debba contemperare il parametro aritmetico, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen., espresso in giorni, moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni di ingiusta restrizione subita, con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, senza però mai superare il massimale normativamente stabilito. Pertanto, il meccanismo previsto offre solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto, restando ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell’istituto.
In tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, è pacifico in giurisprudenza che si debba contemperare il parametro aritmetico, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen., espresso in giorni, moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni di ingiusta restrizione subita, con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, senza però mai superare il massimale normativamente stabilito. Pertanto, il meccanismo previsto offre solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto, restando ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell’istituto.
Corte di Cassazione Sezione 4 Penale Sentenza 3 aprile 2024  n. 13411

Data udienza 27 febbraio 2024

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Za.En. nato a B il (Omissis)

avverso l'ordinanza del 07/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO

udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;

lette le conclusioni del PG.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 7 luglio 2023 la Corte d'appello di Milano ha parzialmente accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da Za.En. in relazione alla sofferta misura della custodia in carcere applicata dal 17/12/2016 al 23/12/2016 e poi degli arresti domiciliari da tale data fino al 30.12.2016 in forza dell'ordinanza del GIP del Tribunale di Monza datata 5.8.2010, in relazione ai reati di riciclaggio e di associazione per delinquere; imputazioni rispetto alle quali il Gip aveva disposto l'archiviazione del procedimento ed il Tribunale del riesame aveva disposto l'annullamento dell'ordinanza custodiale.

2. La Corte d'appello, quale giudice adito ai sensi dell'art. 315 cod. proc. pen., ha ritenuto che la domanda potesse essere accolta, osservando che non sussisteva il presupposto ostativo rappresentato dal dolo o dalla colpa grave del richiedente; ha, tuttavia, limitato l'importo richiesto alla somma derivante dal conteggio del parametro medio giornaliero ed i giorni di privazione della libertà personale, escludendo che l'istante avesse dimostrato l'asserita perdita patrimoniale non avendo provveduto a depositare la documentazione attestante l'assunto sostenuto e ritenendo privo di fondamento l'asserito danno psicologico.

3. Avverso detta ordinanza Za.En., a mezzo del difensore di fiducia nonché procuratore speciale, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Con il primo deduce la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all'inosservanza degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen.; violazione dell'art. 606 comma 1, lett. e) per mancanza ed illogicità della motivazione. Si assume che l'ordinanza impugnata, quanto ai danni patrimoniali, si è limitata a ritenere non sufficienti i documenti depositati dalla difesa relativi ai bilanci ed al rendiconto finanziario della società "(...) Ltd" con le dimissioni dalla carica di amministratore formalizzate in data 27.12.2016 durante il periodo della misura cautelare subita senza spiegarne le ragioni. Quanto ai danni non patrimoniali, la Corte d'appello ha omesso di valutare il contenuto della "valutazione clinica e medico legale relativa alle conseguenze psichiche degli eventi traumatici subiti dal sign. En.Ca." a firma del Dott. Fr.Ce., specialista in psichiatria e psicoterapeuta, neanche citata nell'iter motivazionale.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per il travisamento delle prove e la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione.

Si assume che l'ordinanza impugnata ha rilevato erroneamente che lo Za.En. nel corso del suo interrogatorio avrebbe ammesso di essere colpevole di illeciti fiscali tanto che il Gip avrebbe richiesto l'archiviazione in quanto prescritti. Infatti nel corso del suo interrogatorio di garanzia del 21.12.2016 dinanzi al Gip del Tribunale di Monza, lo Za.En. non ha mai ammesso di essere colpevole di alcun reato ed anzi ha ricostruito i suoi rapporti con il sign. Pr. ribadendo di non aver mai partecipato al meccanismo fraudolento descritto nell'indagine ed anzi di esserne stato una vittima.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

5. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

2. Va premesso che in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'affermare (cfr. per tutte Sez. U., n. 24287 del 9/5/2001, Rv. 218975) la necessità di contemperare il parametro aritmetico, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315, comma 2, cod. proc. pen., (euro 516.456,90) e il termine massimo della custodia cautelare di cui all'art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen., espresso in giorni (sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può però mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito (vedi, oltre alle citate Sez. U. n. 24287/2001 in senso conforme Sez. 3, n. 5657 del 13/12/2001 dep. 2002, Vittoriano, Rv. 221119; Sez. 4, n. 15463 del 20/3/2002, Pesacane, Rv. 221314; Sez. 3, n. 9056 del 22/1/2003, Criniti, Rv. 223614; Sez. 3, n. 28334 del 29/4/2003, Porfidia, Rv. 225963; Sez. 3, n. 45682 del 22/10/2003, Sirianni, Rv. 226555; Sez. 3, n. 29965 del 01/04/2014, Chaaij, Rv. 259940).

La norma prevede che, ricorrendone le condizioni di legge, sia corrisposta al soggetto, che dopo aver trascorso un periodo in stato di custodia cautelare venga assolto in via definitiva, una somma la cui entità massima prevista è quella di 516.456,90 euro. Si tratta della somma astrattamente idonea a coprire il massimo periodo di custodia cautelare fissato, in via ordinaria in sei anni; quindi, in linea generale si prevede che la somma spettante per ogni giorno di detenzione sia di 235,82 euro (risultante dalla divisione della somma massima di liquidazione indicata per il numero di giorni compresi nei sei anni) e della metà (117,91 euro) per ogni giorno trascorso agli arresti domiciliari. Nel liquidare l'indennità, dunque, va ribadito, il giudice è vincolato esclusivamente al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, ma non anche al parametro aritmetico fondato su tale limite, individuato dalla giurisprudenza per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto (cfr. Sez. 4, n. 23119 del 13/5/2008, Zaccagni, Rv. 240302; Sez. 4, n. 30317 del 21/6/2005, Bruzzano, Rv. 232025). Tale meccanismo offre, perciò, solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto, pur restando ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell'istituto.

3. Così tracciati i principi disciplinanti la materia, e venendo all'esame della prima censura, la stessa è parzialmente fondata nei limiti che di seguito verranno indicati.

Per i 13 giorni di ingiusta privazione della libertà personale patiti dallo Za.En. il giudice della riparazione ha ritenuto che gli andassero liquidati Euro 2240,29, ovvero quanto corrispondente al parametro aritmetico e che non vi fossero aumenti da dover operare all'esito della dovuta valutazione delle eventuali specificità del caso.

Quanto ai danni patrimoniali, il giudice della riparazione ha dato conto con motivazione logica che i documenti prodotti a sostegno dell'asserito ulteriore pregiudizio subito, ovvero i bilanci ed il riassunto economico, non appaiono sufficienti a provare quanto sostenuto in mancanza delle dichiarazioni dei redditi, che peraltro la difesa, pur avendone chiesto la produzione, non aveva depositato. Pertanto in relazione a tale profilo la censura è infondata.

Quanto ai danni non patrimoniali, invece, l'ordinanza impugnata ha tout court escluso che la paura della persecuzione giudiziaria derivante dalla vicenda che lo Za.En. aveva vissuto potesse essere invocata ai fini di una maggiorazione dell'indennizzo, senza tuttavia in alcun modo considerare la relazione tecnica "valutazione clinica e medico legale relativa alle conseguenze psichiche degli eventi traumatici subiti dal sign. Za.En." a firma del Dott. Fr.Ce., depositata dalla difesa dell'istante come allegato 10) all'istanza ex art. 314 cod. proc. pen. (ritenendosi che l'indicazione nel ricorso per cassazione della sede in cui tale atto è stato prodotto soddisfi comunque il requisito dell'autosufficienza del ricorso).

Con riguardo alla seconda censura, la stessa è infondata.

Ed invero dalla lettura dell'ordinanza impugnata, che valorizza tale elemento ai fini della quantificazione dell'indennizzo, risulta che lo Za.En. aveva ammesso la sua responsabilità in ordine ai reati fiscali tanto che il Gip nel suo provvedimento di archiviazione li aveva ritenuti prescritti.

4. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso nei limiti indicati, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Milano cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Milano, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 27 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2024.

Avv. Antonino Sugamele

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