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Sentenza

Il reato di dichiarazione infedele viene spesso “ sottovalutato ” dagli operatori e quindi è importante che si forniscano considerazioni al riguardo e con questa decisione (Cassazione 17708/2024) la Suprema Corte di Cassazione si occupa in modo specifico del reato di dichiarazione infedele.
Il reato di dichiarazione infedele viene spesso “ sottovalutato ” dagli operatori e quindi è importante che si forniscano considerazioni al riguardo e con questa decisione (Cassazione 17708/2024) la Suprema Corte di Cassazione si occupa in modo specifico del reato di dichiarazione infedele.
Corte di Cassazione, Sez. III Penale, Sentenza 6 maggio 2024, n. 17708
REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta da:

Dott. GALTERIO Donatella - Presidente

Dott. SEMERARO Luca - Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere

Dott. MAGRO Maria Beatrice - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ma.Ma. nato a P il (omissis)

avverso la sentenza del 15/12/2022 della Corte Appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Beatrice Magro;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Valentina Manuali

che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

Ricorso definito ex. art. 23 comma 8 D.L. 137/2020.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia resa di primo grado di giudizio, e dichiarato la penale responsabilità di Ma.Ma., condannandolo alla pena di quattro mesi di reclusione, in ordine al reato di cui all'art. 4 D.Lgs. 74/2000, per aver, nella qualità di rappresentante legale della società (...) Srl, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, indicato nella dichiarazione annuale relativa a detta imposta, per l'anno 2013, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, avendo annotato, tra le operazioni non imponibili ai fini dell'IVA, plurime fatture che invece erano soggette al pagamento di tale imposta, per un totale imponibile di Euro 802.448,00, superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, e per un totale di IVA evasa pari a Euro 170.970,00, superiore alla soglia di punibilità.

2. Avverso la suddetta pronuncia, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi.

2.1. Il ricorrente deduce, con un primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, vertendosi in ipotesi di dichiarazione erronea, certamente sbagliata, ma non di dichiarazione mendace. Il ricorrente, in proposito, evidenzia che le fatture sono state solo per mero errore contabile annotate tra le fatture non imponibili nella dichiarazione del 2013 e che tale inconsapevole svista è stata negligentemente riportata, di anno in anno, anche nelle dichiarazioni successive, anche a causa della informatizzazione della procedura dichiarativa. La Corte territoriale, con motivazione illogica, ha invece affermato che il ripetersi dell'errore negli anni successivi costituisce un chiaro indice di sussistenza anche del dolo specifico di evasione delle imposte, attribuendo tuttavia rilevanza probatoria a un elemento costituito da fatti successivi, ovvero la ripetizione dell'errore di annotazione negli anni successivi. Il ricorrente ribadisce che trattasi di errore di annotazione nella riga VE 30 inconsapevole, frutto di una mera svista e certamente scevro di finalità evasive e di qualsiasi valenza ingannatoria, in quanto palesemente riconoscibile dall'Agenzia delle Entrate, posto che sono state indicate come non imponibili ai fini dell'IVA operazioni documentate da fatture ove la stessa imposta è indicata.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente si duole in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art 131 bis cod. pen., così come modificata a seguito di D.Lgs. n 150 del 2022. La Corte territoriale non ha valutato la modesta offensività complessiva del fatto, né, tantomeno, la ridotta intensità del dolo. Inoltre, sotto il profilo del parametro della entità del danno, evidenzia il discostamento dalla soglia di rilevanza penale della condotta del solo 13%. Peraltro, assume rilievo la circostanza che tali importi sono stati pur sempre indicati in dichiarazione, sebbene come non imponibili ai fini dell'IVA, e che tale annotazione ha determinato per il contribuente un maggiore esborso a titolo di imposte dirette e di Irap, sebbene inferiore alt'IVA dovuta. In ragione di ciò, assume il ricorrente, il danno all'Erario avrebbe dovuto essere ridimensionato.

Sostiene, infine, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., che assume rilevanza la condotta susseguente al reato, quale elemento espressamente previsto nella nuova formulazione della norma. Il Ma.Ma. ha presentato una dichiarazione integrativa con la quale ha versato all'Erario la considerevole somma di Euro 186.073,00, pari all' intero ammontare dell'IVA che si contesta sia stata evasa. In proposito, a riprova dell'avvenuto pagamento, allega al ricorso 10 documenti, tra cui i modelli IVA attestanti l'avvenuto pagamento. Il ricorrente rappresenta la piena estinzione del debito tributario, peraltro attestata dalla sentenza di primo grado che ha riconosciuto l'attenuante di cui all'art. 13 bis di D.Lgs. n. 74 del 2000, tanto che ha escluso la confisca. Tuttavia, la Corte d'appello, errando nei calcoli e adagiandosi sull'annotazione dell'Agenzia delle Entrate, si è discostata in modo immotivato da quanto affermato dalla sentenza di primo grado, e ha ritenuto non completa ed irregolare l'estinzione del debito, avendo il Ma.Ma. versato soli 166.083,90 Euro. In ogni caso - evidenzia il ricorrente - il versamento integrale della somma costituisce comportamento susseguente di significativa rilevanza che avrebbe dovuto essere preso in considerazione ai fini dell'applicazione dell'istituto della tenuità del fatto.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. Il ricorrente ha depositato note conclusive con le quali insiste per l'accoglimento del ricorso e, in particolare, per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., come modificato con la riforma Cartabia, in relazione al comportamento processuale susseguente dell'imputato, che ha integralmente pagato il debito tributario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso esula dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428).

Nel caso in disamina il ricorrente, nella dichiarazione annuale IVA relativa al 2013, ha indicato elementi attivi, relativi a cessioni per l'esportazione di beni effettuate nei confronti di soggetti non residenti nell'Unione Europea, per l'ammontare di Euro 973.480. Dagli accertamenti effettuati dall' Agenzia delle Entrate e, successivamente, dal nucleo di Polizia tributaria, emergeva che tali operazioni, contabilizzate come non imponibili ai fini IVA, erano in realtà costituite da cessioni a soggetti nazionali appartenenti all'Unione Europea, quindi soggette a IVA. Emergeva inoltre, a seguito dell'acquisizione delle fatture che erano state contabilizzate erroneamente, che l'importo delle fatture per cessioni soggette ad IVA fosse sostanzialmente pari a quello indicato nella dichiarazione nella riga VE 30, relativo a cessioni non soggette all'IVA, ossia pari a Euro 973.418. Pertanto, è stata contestata la violazione dell'art. 4 D.Lgs. 74/2000, in quanto il ricorrente ha comunque indicato elementi attivi di ammontare inferiore a quelli che avrebbero dovuto essere sottoposti al calcolo dell'imposta IVA, sottraendo dal pagamento dell'IVA l'importo delle fatture per cessioni pari a Euro 973.418.

Tanto premesso, in ordine alle doglianze concernenti l'assenza dell'elemento soggettivo del reato, il giudice a quo, con motivazione congrua ed esente da vizi, ha affermato la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo specifico, desumendolo dall'utilizzo irrituale di tali documenti per svariati anni anche nelle dichiarazioni IVA relative a periodi di imposta diverse, escludendo così che l'errore di imputazione delle fatture denotasse l'involontarietà del fatto, considerato inoltre che tale indicazione erronea ha comportato un rilevante vantaggio per la società che, lungi dall'essere indice di involontarietà, conferma la sussistenza del dolo specifico del fine di evasione delle imposte, essendo stata evasa IVA per Euro 170.000,00. Infatti, qualora l'inesatta compilazione della dichiarazione fosse stata davvero imputabile a un errore inconsapevole, tale errore sarebbe stato immediatamente percepibile ed emendabile da parte del ricorrente all'atto della contabilizzazione e della registrazione nei registri IVA delle fatture, in quanto dalla contabilità sarebbe derivato un debito per l'Erario in misura pari all'IVA incassata. Ed invece l'inesatta compilazione non solo è stata reiterata per svariate annualità, ma si rileva anche all'interno della medesima annualità, considerato che la contabilizzazione delle fatture comporta nell'immediato obblighi di registrazione sia nei registri Iva (in particolare nel registro fatture vendite) sia nella contabilità generale che, se correttamente adempiuti, avrebbero lasciato emergere in modo evidente il debito verso l'Erario per l'IVA incassata, il cui importo corrisponde alle liquidazioni di cui ai registri Iva. Pertanto, l'errore sarebbe stato nell'immediatezza percepibile con cadenza persino mensile, oltre che ed emendabile.

Dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è dunque enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano della razionalità, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità (Sez. U, 25/11/1995, Facchini, Rv. 203767).

2. Neanche il secondo motivo di ricorso può essere accolto, collocandosi sul piano del merito. Il giudizio sulla tenuità, nella prospettiva delineata dall'art. 131-bis cod. pen., richiede, infatti, una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590, non essendo tuttavia necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti dal giudice rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 10/12/2018, Rv. 274647; Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Rv. 283044). Ne deriva che le determinazioni adottate dal giudice a quo in ordine alla ravvisabilità della particolare tenuità del fatto, sono insindacabili in sede di legittimità ove siano supportate da motivazione conforme alle indicazioni enucleabili dalla predetta pronuncia delle Sezioni unite ed esente da vizi logico-giuridici.

Con specifico riguardo alla materia penal-tributaria, si osserva che la causa di non punibilità è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata ad Euro 50.000,00 dall'art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020 Ud. (dep. 03/06/2020) Rv. 278946). Ne segue che solo il superamento in misura significativa di detta soglia preclude la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, laddove, invece, se tale superamento è di poco superiore, può procedersi a valutare i restanti parametri afferenti la condotta nella sua interezza (Sez.3, n. 15020 del 22/01/2019 Ud. (dep. 05/04/2019) Rv. 275931).

Nel caso in disamina, la Corte d'appello, con motivazione congrua ed esente da vizi, ha effettuato una valutazione negativa sotto il profilo della tenuità del fatto, facendo riferimento alle modalità della condotta e all'entità dell'imposta evasa, di gran lunga superiore alla soglia di punibilità, ammontando a ben Euro 170.970, con conseguente scarto superiore al 12% rispetto a quest'ultima.

In ordine al comportamento post factum, questo Collegio deve valutare l'incidenza sulla vicenda processuale in esame della novella introdotta con il D.Lgs. n. 150 del 2022 che medio tempore ha determinato la modifica della disciplina della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., che ha introdotto il riferimento alla condotta susseguente al reato quale ulteriore parametro da valutare per stabilire se l'offesa sia di particolare tenuità. Risulta infatti incontrastato che il ricorrente, a seguito dell'attività di indagine svolta dall'Agenzia delle Entrate, abbia presentato una dichiarazione integrativa e versato l'imposta evasa, interamente o in misura leggermente inferiore, poco importa ai nostri fini. Questa Sezione si è pronunciata sulla questione affermando il principio secondo cui, da un lato, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, acquista rilievo, per effetto della novellazione dell'art. 131-bis cod. pen. ad opera dell'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, anche la condotta dell'imputato successiva alla commissione del reato, dall'altra affermando che, tuttavia, tale parametro non potrà di per sé solo, rendere di particolare tenuità un'offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzato solo nell'ambito del giudizio complessivo sull'entità dell'offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen. (Sez. 3, n. 18029 del 2/05/2023, Rv. 284497 - 01), posto che la fattispecie concreta, all'esito di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza, deve essere caratterizzata da un'offensività minima (Sez. 6, n. 35195 del 03/05/2022 Ud. (dep. 21/09/2022) Rv. 283731).

Nel caso in disamina, dalla motivazione dei giudici di appello emerge che il successivo versamento del debito tributario, pur non essendo stato valutato in termini di condotta "susseguente" al reato, come richiesto dalla nuova previsione (e non poteva, del resto, esserlo, non essendo a tale data ancora entrata in vigore la novella dell'art. 131-bis, cod. pen.), è stato comunque tenuto in debito conto, su richiesta del ricorrente, anche se ai fini dell'applicazione della causa di estinzione del reato di cui all'art. 13 D.Lgs. n. 74/2000.

Inoltre, si osserva che la condotta dell'imputato successiva alla commissione del reato, non può giammai, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un'offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell'ambito del giudizio complessivo sull'entità dell'offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen. (Sez.3, n. 18029 del04/04/2023, Rv.284497).

Nel caso di specie, come detto, la Corte territoriale ha effettuato una valutazione negativa sotto il profilo della tenuità del fatto, facendo riferimento alle modalità della condotta e all'entità dell'imposta evasa, il cui importo, di gran lunga superiore alla soglia di punibilità, ammonta a Euro 170.970.

L'impianto argomentativo a sostegno della decisione è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, pienamente coerente con il dictum delle Sezioni unite e perciò del tutto idoneo a superare lo scrutinio di legittimità.

3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso all'udienza del 24 ottobre 2023.



Avv. Antonino Sugamele

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