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Sentenza

Agrigentino condannato in 1° grado, assolto in 2° per omicidio e rapina. Il processo va rifatto per la assazione.
Agrigentino condannato in 1° grado, assolto in 2° per omicidio e rapina. Il processo va rifatto per la assazione.
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 24117 Anno 2024
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: APRILE STEFANO
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI PALERMO
parte civile M.I.  nato a C. E. il .....
parte civile S. V.  nata a C. E. il .....
nel procedimento a carico di:
S.G. nato a A. il .....
avverso la sentenza del 22/06/2023 della CORTE d'ASSISE d'APPELLO di PALERMO
Fissata la trattazione con il rito cartolare non partecipato;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
Lette le conclusioni scritte:
- del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIO BALSAMO, che
ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
- del difensore avv. A. GAZIANO, per le parti civili M.I. e
S.V. , che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della
sentenza impugnata;
- dei difensori avv. Lucia SANTO e avv. Giovanna MORELLO, per l'imputato
S.G., che hanno concluso per il rigetto dei ricorsi;
Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 24117 Anno 2024
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: APRILE STEFANO
Data Udienza: 19/04/2024
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di Assise di appello di Palermo,
in totale riforma della sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Agrigento in
data 21 gennaio 2022, ha assolto Gaetano S.G.  dai reati di omicidio
aggravato di G.M.  (artt. 575 e 577, primo comma, 61 n. 1, cod. pen.)
e di rapina aggravata ai danni dello stesso (art. 628, primo e terzo comma, n. 1,
n. 3-bis e n. 3-quinquies, cod. pen.), rispettivamente per non avere commesso il
fatto e perché il fatto non sussiste, revocando conseguentemente le statuizioni
civili.
1.1. Il giudizio riguarda l'omicidio, determinato da plurime lesioni cranio
encefaliche inferte mediante armi improprie alla vittima che si trovava all'interno
del proprio laboratorio - abitazione, per impossessarsi di una imprecisata somma
di denaro contante sottraendola dalle tasche dei pantaloni e dalla cassettiera
dell'ufficio della vittima.
L'omicidio è stato consumato nel tardo pomeriggio del 6 dicembre 2015 da
un soggetto che, introdottosi senza effrazione nei locali della vittima, la
aggrediva e colpiva ripetutamente con oggetti casualmente rinvenuti sul posto,
lasciando evidenti tracce della suola della scarpa indossata con la quale
calpestava le macchie di sangue presenti sulla scena del delitto.
Le indagini, svolte in numerose direzioni anche mediante l'esame delle
videoregistrazioni delle telecamere di sorveglianza di alcuni esercizi commerciali
posti nelle vicinanze, consentivano di acquisire indizi a carico dell'imputato,
amico della vittima, che nella mattinata aveva pedinato M. per poi transitare,
in serata, nuovamente nei pressi dell'abitazione della vittima senza alcun motivo
e, anzi, negando la circostanza.
1.2. Tali elementi indiziari sono stati posti in relazione, dal primo giudice,
con l'accertata sottrazione, avvenuta nella mattinata del 6 dicembre 2015, di
alcuni attrezzi da lavoro della vittima che, dopo l'addensarsi dei sospetti a carico
dell'imputato, i suoi figli hanno tentato maldestramente di eliminare il 4 agosto
2016.
1.2.1. Ad avviso del giudice di secondo grado, invece, la sottrazione degli
attrezzi, verosimilmente avvenuta nei termini descritti dal giudice di prima
istanza, non può essere posta in relazione con l'omicidio e la rapina perché
avvenuta diverse ore prima di essi.
1.3. Affianco a tali elementi indiziari il primo giudice ha evidenziato il
rinvenimento in data 7 ottobre 2016 da parte del RIS della scarpa impiegata
dall'assassino che si trovava abbandonata in una discarica abusiva; le dimensioni 
della calzatura sono state giudicate compatibili con la calzata dell'imputato che, il
giorno 2 ottobre 2016 (prima del rinvenimento), si era recato, con
comportamenti giudicati altamente sospetti, proprio nelle vicinanze della
discarica al paventato fine di asportare le tracce in precedenza lasciate; tale
imprudente comportamento dell'imputato sarebbe spiegabile, ad avviso del
primo giudice, sulla base della specifica circostanza che, nei giorni precedenti, la
famiglia di S. era stata ripetutamente interrogata e che, in particolare,
il 20 settembre 2016, la polizia giudiziaria aveva eseguito una perquisizione
dell'abitazione di S. proprio alla ricerca di scarpe, sequestrandone
alcune.
1.3.1. Il giudice dì appello ha, anzitutto, ritenuta giustificata (raccolta delle
lumache) la presenza dell'imputato nei pressi della discarica (erano giorni
piovosi, idonei alla raccolta delle lumache che l'imputato canticchiava di voler
effettuare proprio mentre si recava nei pressi della discarica), ha, quindi, escluso
qualunque relazione tra la presenza dell'imputato in quei luoghi e il rinvenimento
della scarpa dell'assassino nella vicina discarica, e ha comunque escluso che la
calzatura (lunga cm. 27, pari alla taglia 7 UK, equivalente a 40,5-41 EU-IT)
potesse essere indossata dall'imputato perché di dimensione troppo grande (egli
indossa scarpe taglia 38 EU-IT, avendo una lunghezza del piede di soli cm. 24).
1.4. Circa la rapina, mentre il primo giudice ha ritenuto che la vittima avesse
seco la disponibilità di, pur modeste, somme di denaro, il giudice di appello ha
escluso che, in ragione delle condizioni di indigenza di M., questi potesse
detenere alcunché, sicché nulla poteva essere stato sottratto.
2. Ricorrono il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo e le
parti civili I.M. e V.S. .
3. Il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo sviluppa
quattro motivi di ricorso.
3.1. Il primo e il terzo motivo possono essere illustrati unitariamente.
Il primo motivo denuncia la violazione della legge processuale, in riferimento
all'art. 526 cod. proc. pen. e al principio del contraddittorio, con riguardo
all'utilizzazione di informazioni tratte in camera di consiglio da un non meglio
specificato sito climatologico relativo ai dati meteo storici del Comune di
Cattolica Eraclea agli inizi del mese di ottobre del 2016, e il vizio della
motivazione con riguardo alla affermata piovosità delle giornate del 10 e del 2
ottobre 2016, tramite i quali, senza redigere una motivazione rafforzata e
travisando la prova anche per omissione, il giudice di secondo grado è
immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
Il terzo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla affermata
abitudine dell'imputato di raccogliere lumache e, in particolare, alla battuta di
caccia del 2 ottobre 2016 nonché in merito al presunto malfunzionamento del
veicolo dell'imputato in detta giornata, tramite i quali, senza redigere una
motivazione rafforzata e travisando il dato probatorio, il giudice di secondo grado
è immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
3.1.1. Il ricorso ricorda che, nelle valutazioni del giudice di primo grado, il
più rilevante elemento a carico dell'imputato è costituito dalla circostanza che
S., in data 2 ottobre 2016, si è recato in auto nella contrada Giaimo di
Cattolica Eraclea per tentare di recuperare da una discarica abusiva le scarpe
indossate in occasione dell'omicidio, non riuscendo però nel suo intento per il
sopraggiungere di un conoscente; a distanza di qualche giorno la polizia
giudiziaria, all'esito di un sopralluogo nel punto esatto dove erano state
registrate le anomali soste e le incomprensibili retromarce eseguite
dall'imputato, rinveniva una scarpa da ginnastica che è, poi, risultata essere
quella utilizzata in occasione dell'omicidio.
La Corte di Assise ha ritenuto che l'imputato, consapevole di essere
intercettato (ma ignaro che l'auto sulla quale viaggiava era monitorata dalla
polizia giudiziaria attraverso la trasmissione e successiva registrazione degli
spostamenti rilevati tramite GPS), parlando da solo a voce alta (circostanza mai
verificatasi fino ad allora nel corso delle indagini) aveva più volte fatto
riferimento alla circostanza che quella domenica mattina aveva deciso di andare
a raccogliere lumache, ma che doveva rinunciarvi perché il motore dell'auto dava
segnali di malfunzionamento.
A giudizio del primo giudice, tuttavia, si tratta di commenti solitari molto
sospetti, oltre che del tutto anomali, soprattutto in considerazione della
circostanza che in quei giorni non aveva piovuto e, pertanto, era inutile andare a
raccogliere lumache, perché non risultava che S. fosse ghiotto di tali
frutti animali della terra e, in terzo luogo, perché l'auto non presentava affatto
problemi al motore così significativi da imporre un immediato rientro in paese.
3.1.2. Nella decisione della Corte di Assise di Appello, invece, si afferma in
modo perentorio, con riferimento al clima asciutto di quei giorni e ai gusti
culinari di S. che entrambe le asserzioni sono completamente
destituite di fondamento.
La Corte di Assise di appello documenta la circostanza climatica riportando in
sentenza una "foto tratta da uno di questi portali con l'indicazione della città
interessata (Cattolica Eraclea) e del periodo monitorato (ottobre 2016)".
Il ricorso eccepisce anzitutto l'inutilizzabilità di tale "prova" perché acquisita
al di fuori del giudizio e senza contraddittorio, richiamando giurisprudenza
ritenuta pertinente (Sez. 1, n. 36315 del 20/05/2016, Palumbo, Rv. 268262).
Nel merito della "prova" in discorso, il ricorso deduce che, non essendo nota
la fonte, il dato è privo di rilievo, dovendosi fare riferimento ai dati storici ufficiali
certificati dagli enti preposti (ad es. Aeronautica militare italiana) e non alle
informazioni reperibili sul web, senza neppure che sia possibile accertare se si
tratta dei dati storici delle condizioni climatiche o delle storicizzazioni delle
previsioni meteorologiche, non necessariamente coincidenti con quanto poi
verificatosi.
Il giudice di secondo grado ha anche travisato, per omissione, la prova delle
condizioni climatiche che risulta non solo dalle dichiarazioni del maresciallo Riggi,
che la Corte di secondo grado ha liquidato ascrivendogli "un cattivo ricordo", ma
anche dalle dichiarazioni del maresciallo Chirico e dalle produzioni fotografiche
della zona di reperimento della scarpa dalle quali risulta, in piena evidenza, il
quadro di una campagna totalmente arsa dal sole.
3.1.3. Con riguardo al terzo motivo, il ricorso ricorda che la Corte di Assise
di appello ha affermato che l'asserzione del giudice di primo grado sulla
mancanza di elementi per affermare la passione dell'imputato per le lumache,
era anch'essa completamente destituita di fondamento.
La motivazione rende, tuttavia, evidente il travisamento di innumerevoli
prove acquisite nel corso del dibattimento di primo grado.
In relazione alla pretesa abitudine di S. di andare in campagna per
raccogliere lumache, il ricorso sottolinea che ciò che realmente conta non è tanto
se S. e/o i suoi familiari fossero dediti alla raccolta e alla degustazione
di lumache, piuttosto è decisivo stabilire se la mattina del 2 ottobre 2016
S.si recò effettivamente in auto in contrada Giaimo per raccogliere
lumache, ovvero se si tratta, come ha affermato il giudice di merito, di uno
stratagemma impiegato per celare agli inquirenti in ascolto le proprie vere
intenzioni (tentativo di recupero delle scarpe indossate durante l'omicidio).
È un dato pacifico che, alla data del 2 ottobre 2016, già da molti mesi tutta
la famiglia S. era costantemente intercettata e monitorata dalla polizia
giudiziaria: nel corso di quel lungo periodo di osservazione mai, prima di quella
domenica mattina, alcuno dei componenti di quel nucleo familiare aveva fatto
cenno alla raccolta di lumache; la prima captazione avente ad oggetto la raccolta
di lumache si riscontra soltanto in occasione della escursione del 2 ottobre 2016,
quando S. canticchia a voce alta che sta andando a raccogliere lumache
(il primo giudice afferma che il canto era finalizzato a trarre in inganno gli
investigatori).
È, del pari, pacifico che la famiglia S.fosse consapevole di essere
intercettata e che, in particolare, erano state installate delle microspie sulla
vettura: dalla captazione del 20 settembre 2016 (ore 12:03:34 n. 1152) risulta
che M. S.  figlio dell'imputato, ha esclamato in presenza della
madre che "nella macchina c'è la cimice".
Ciò rende palese il travisamento della prova compiuto dal giudice di appello
secondo il quale il 22 novembre 2016 la moglie dell'imputato parlava "senza
immaginare di essere intercettata a bordo della propria auto".
Affermare, come fa il giudice di appello in modo travisato, che la moglie
dell'imputato, alla data del 22 novembre 2016, parlava in auto senza
immaginare di essere intercettata significa disconoscere che già dal 20
settembre 2016 tutti i componenti del nucleo familiare erano in grande allarme
per essere venuti a conoscenza di importanti e compromettenti attività
investigative a carico del capo famiglia e, in particolare, dell'avvenuto ascolto in
diretta, nell'agosto precedente, da parte della polizia giudiziaria, del tentativo di
distruzione ad opera dei figli dell'imputato del martello demolitore sottratto alla
vittima. Significa disconoscere, altresì, che un tale disvelarnento degli elementi
acquisiti da parte della polizia giudiziaria ha inevitabilmente suggerito a tutti i
componenti della famiglia di smettere di parlare liberamente della vicenda; ciò
ha inevitabilmente suggerito alla famiglia di agire in modo meno impulsivo in
caso di insorgenza di nuove esigenze di occultamento delle prove, per non
incorrere nello stesso errore commesso quando maturò in famiglia la decisione di
distruggere il martello demolitore sottratto alla vittima la mattina dell'omicidio.
E così, quando, dopo il sequestro delle calzature del 20 settembre 2016,
l'imputato maturò l'esigenza di distruggere le scarpe utilizzate il giorno
dell'omicidio e già abbandonate in contrada Giainno, memore del pasticcio
combinato dai figli nel tentativo di distruggere il martello demolitore, decise di
non agire d'impulso, circostanza ignorata dalla Corte di Assise di appello. Si
trattava, infatti, di una sortita che andava pianificata con ogni cura, soprattutto
nelle motivazioni (è per questo che canticchiava che quella mattina stava
andando a raccogliere le lumache), ma anche nella scelta del giorno e dell'orario,
ad evitare di essere notato, trattandosi di una strada che funge da collegamento
fra Cattolica Eraclea ed Agrigento e, che quindi era particolarmente trafficata
anche di buon mattino; tant'è che quando S. venne avvicinato da un
conoscente si comportò in modo affatto naturale e, anzi, fece immediato ritorno
in paese.
Quanto, poi, al presunto malfunzionamento dell'auto in occasione dell'uscita
del 2 ottobre 2016, che avrebbe indotto S. a rinunciare alla raccolta di
lumache e rientrare in paese (malfunzionamento escluso dal giudice di primo
grado), le considerazioni sviluppate dalla Corte di Assise di appello sono
generiche e ignorano talune specifiche circostanze, valorizzate dalla Corte di
Assise (pp. 90-94), con evidente violazione del principio della motivazione
rafforzata.
Il ricorso si riferisce:
a) alla circostanza che l'auto in questione, monitorata da mesi e per mesi
dalla polizia giudiziaria, era usata giornalmente da S.M. per
recarsi al lavoro ad una distanza di sei chilometri da Cattolica Eraclea ed aveva
sempre funzionato regolarmente;
b) alla circostanza che la mattina del 2 ottobre 2016 S. G.,
oltre a canticchiare, aveva cominciato a lamentarsi ad alta voce di non meglio
specificati problemi al motore, per nulla percepibili all'ascolto degli operatori di
polizia giudiziaria (per come era stato possibile riscontrare nel corso del pubblico
dibattimento di primo grado quando la registrazione in questione è stata
ascoltata in aula - udienza del 21 giugno 2019 p. 66 della trascrizione);
c) alla circostanza che S. fermava l'auto all'altezza di un tornante
molto accentuato a facilmente individuabile, per parcheggiare il veicolo e
ritornarvi dopo qualche decina di secondi; e che tre soste e tre anomali lunghe
marce indietro avevano caratterizzato l'andamento dell'auto non appena giunta
nei pressi del luogo della discarica abusiva, dove poi i Carabinieri a distanza di
pochi giorni hanno rinvenuto la scarpa;
d) alla circostanza che al conoscente che si era fermato, interrompendo ciò
che S. stava facendo quella mattina in contrada Giaimo nei pressi della
piccola discarica abusiva, l'imputato aveva detto che cercava qualcosa per
"sturare il coso, perché la macchina non va bene"; frase del tutto
incomprensibile, posto che non è stato mai specificato cosa esattamente cercava
e cosa esattamente doveva sturare; si tratta di una frase che denota piuttosto
l'imbarazzo di S., sorpreso dal conoscente a ridosso della discarica alla
ricerca di qualcosa;
e) alla circostanza che solo in presenza di questo conoscente S.
procedeva per la prima volta ad azionare ripetutamente l'acceleratore dell'auto,
ciò con l'intento di rendersi credibile con il suo interlocutore che lo aveva
sorpreso non certo a raccogliere lumache, ma fermo sul ciglio della strada a
ridosso di una discarica abusiva intento alla ricerca di qualcosa;
f) alla circostanza che, a seguito di tale incontro, S., piuttosto che
continuare a cercare qualcosa "per sturare il coso", faceva subito rientro in paese
lamentandosi (sempre da solo e ad alta voce) di non poter continuare nella
ricerca di lumache, ma senza rilevare ulteriori malfunzionamenti dell'autovettura
e, soprattutto, senza ricoverare il veicolo da un meccanico; cosa cui provvedeva
soltanto quasi quattro mesi più tardi e a causa di un diverso guasto avvertito dal
figlio;
g) alla circostanza che la stessa sera del 2 ottobre 2016 il figlio S.
M. ha utilizzato la medesima auto, senza alcun problema e senza alcuna
lamentazione, per andare a lavorare a circa 6 Km dalla propria abitazione;
Sono, del pari, illogiche le ragioni sviluppate dalla Corte di Assise di appello
in relazione al lungo tempo trascorso (quasi quattro mesi) fra il presunto
rilevamento del guasto all'autovettura, che avrebbe indotto S. a
rientrare anticipatamente a casa rinunciando alla raccolta di lumache, e
l'effettivo ricovero dell'auto presso un'officina meccanica.
Non corrisponde alla verità, infatti, l'affermazione che gli S.
avrebbero ritardato a fare riparare l'autovettura perché disponevano di ben tre
autoveicoli: alla data del 2 ottobre 2016 la terza autovettura era stata già
restituita alla concessionaria (dichiarazioni Triolo e Greco, acquisite agli atti e
allegate al ricorso).
3.2. Anche il secondo e il quarto motivo possono essere illustrati
unitariamente.
Il secondo motivo denuncia la violazione della legge processuale, in
riferimento all'art. 526 cod. proc. pen. e al principio del contraddittorio, con
riguardo all'utilizzazione di informazioni tratte in camera di consiglio da una non
meglio specificata tabella di conversione delle misure europee e anglosassoni
delle calzature, e il vizio della motivazione con riguardo alla misura della calzata
dell'imputato e all'incompatibilità di essa con la scarpa utilizzata dall'assassino,
tramite i quali, senza redigere una motivazione rafforzata e compiendo un
travisamento anche per omissione, il giudice di secondo grado è
immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
Il quarto motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla decisiva
circostanza che l'imputato si è recato nella discarica ove è stata successivamente
rinvenuta la scarpa utilizzata dall'assassino, tramite il quale, senza redigere una
motivazione rafforzata, il giudice di secondo grado è immotivatamente giunto
all'assoluzione dell'imputato.
3.2.1. A pagina 44 della sentenza impugnata è riportata una tabella di
conversione delle taglie EU, US Uomo e UK Uomo, tabella che non si rinviene fra
gli atti processuali: si tratta di una "prova" estranea al giudizio e al
contraddittorio e, dunque, inutilizzabile.
D'altra parte, sulla base del tenore delle espressioni utilizzate ("applicando le
medesime tabelle di conversione") parrebbe che la Corte di secondo grado abbia
fatto riferimento alla (porzione di) tabella utilizzata dal RIS dei Carabinieri
(pagina 8 della annotazione del 31 gennaio 2017); tuttavia, se si confrontano i
dati della tabella dì conversione utilizzata in camera di consiglio dal giudice e,
poi, riportata in motivazione con i dati indicati dal RIS si deve prendere atto che
si tratta di dati non corrispondenti.
Secondo le indicazioni della annotazione del RIS "il rilevamento metrico della
calzata eseguito nella parte interna della scarpa (rinvenuta in contrada Giaimo)
ha indicato la lunghezza circa di centimetri 27"; misura questa che "in taglia UK
è attribuita ad una scarpa n. 7, corrispondente al numero 40,5-41 della taglia
europea".
La tabella riportata, invece, nella impugnata decisione propone dati diversi,
posto che alla misura 7 UK è associata la taglia europea 40, per un piede di 25,4
cm; mentre, per un piede di 27,1 cm è associata una scarpa EU 42, ovvero 9 UK.
L'illegittimo uso di prove formate al di fuori del dibattimento e il
travisamento di quelle acquisite all'interno di esso hanno condotto la Corte di
Assise di appello ad affermare che S. calza scarpe di taglia 38, così
escludendo erroneamente che fosse compatibile la scarpa rinvenuta dai
Carabinieri in contrada Giaimo il 7 ottobre 2016.
3.2.2. Peraltro, al (tranciante) rilievo di carattere formale, si accompagnano
vizi motivazionali che attengono alla completezza ed alla coerenza del costrutto
argomentativo.
Se pure è vero che il teste Di Marco ha riferito che il piede di S.
misura 24 cm., è altrettanto vero che lo stesso teste, alla stessa udienza, ha
riferito che l'imputato "usava delle calzature 41"; circostanza confermata anche
dal maresciallo Chirico (pp. 59-60 delle trascrizioni dell'udienza del 21 giugno
2019), che ha riferito che le scarpe sequestrate a S. G. erano di
misura 41 e che l'imputato, al momento del rilievo antropometrico indossava un
paio di scarponi di taglia 42 ("abbiamo misurato il piede del signor S.
che in quel momento indossava fra l'altro un paio di scarponi ... di numero 42"),
scarponi di misura più grande che lo stesso era solito portare con due paia di
calzettoni.
La taglia 41 indossata dall'imputato è ben distante dalla taglia 38 che, dai
calcoli effettuati in assoluta autonomia dalla Corte di Assise di appello, sarebbe
quella delle scarpe calzate dall'imputato, ma assai più prossima alla taglia 41 che
corrisponde alla scarpa usata per l'omicidio.
Il ragionamento della Corte di Assise di appello, sull'incompatibilità della
scarpa rinvenuta dai Carabinieri in contrada Giaimo e il piede dell'imputato, è
viziato dunque non soltanto dalla anonima tabella di conversione utilizzata in
camera di consiglio, in spregio del principio del contraddittorio, ma anche da
travisamento della prova per omissione di elementi essenziali.
4. I. M. e V. S., con il difensore di fiducia e
procuratore speciale avv. Antonino Gaziano, sviluppano tre motivi di ricorso che,
sostanzialmente coincidenti con quelli formulati dal Procuratore generale,
sottolineano, in particolare, le seguenti violazioni di legge e vizi motivazionali:
4.1. - mancanza di una motivazione rafforzata e travisamento per omissione
delle prove con riguardo agli accertamenti di polizia sulle video riprese e sulle
captazioni telefoniche e ambientali.
In particolare, il giorno immediatamente precedente al ritrovamento della
vittima il veicolo di proprietà dell'imputato è stato ripreso per ben tre ore mentre
pedinava la vittima nelle vie del paese, effettuando dei veri e propri
appostamenti con pedinamento; alle 12:00 della stessa giornata l'imputato si è
impossessato di una valigia, che conteneva un martello demolitore di proprietà
della vittima; ciò è accaduto poche ore prima dell'omicidio che risulta commesso,
secondo le concordi valutazioni dei medici legali, tre alle 19:30 alle 21:30 dello
stesso giorno.
Il monitoraggio della famiglia dell'imputato e dei veicoli in uso agli stessi ha
consentito di accertare, tra l'altro, anche il tentativo compiuto dai figli
dell'imputato di sbarazzarsi della valigia contenente il martello demolitore
sottratto alla vittima poche ore prima dell'omicidio.
È ulteriormente significativo quanto accertato il 20 settembre 2016
allorquando la polizia giudiziaria, prima di assumere informazioni dalla moglie
dell'imputato mostrandole le prove del coinvolgimento del coniuge e dei figli
nella vicenda, effettuava delle captazioni ambientali dei colloqui tra i familiari,
per poi procedere alla perquisizione dell'abitazione e alla ricerca delle scarpe
dell'imputato: in detta circostanza i familiari, resi edotti degli elementi di accusa
acquisiti, concordavano le versioni da rendere alla polizia.
Altro grave travisamento è quello che riguarda il sequestro delle calzature
presso l'abitazione dell'imputato che il giudice di secondo grado qualifica come
un'attività di polizia giudiziaria eseguita malamente mentre dalle risultanze
dibattimentali, in particolare dall'esame condotto all'udienza del 21 giugno 2019,
emerge chiaramente che erano state sottoposte a sequestro varie calzature, tra
le quali, ben identificate, quelle dell'imputato.
La motivazione, estesa dal giudice di secondo grado per escludere la
rilevanza indiziaria del comportamento tenuto dall'imputato il 2 ottobre 2016, è
del tutto ipotetica nella parte in cui ritiene illogica la spiegazione fornita dal
primo giudice circa la distanza temporale tra le audizioni del 20 settembre, che
avevano messo in allarme l'imputato e tutta la famiglia, e quanto accertato la
domenica 2 ottobre 2016: mentre il primo giudice aveva posto in collegamento i
due fatti, spiegando perché l'imputato non aveva fatto accesso alla discarica
durante la settimana (pericolo di essere individuato a causa dell'alta
frequentazione della strada), il giudice di appello si è limitato a non condividere
tale logico ragionamento, così omettendo di stendere una motivazione rafforzata
idonea a superare le logiche argomentazioni sviluppate dal primo giudice, senza,
peraltro, considerare le condotte di occultamento delle prove già poste in essere
dall'imputato e dai suoi familiari alla luce della crescente preoccupazione degli
stessi che si desume dalle intercettazioni.
Per quanto riguarda le specifiche attività poste in essere dall'imputato il 2
ottobre 2016, che gli hanno verosimilmente consentito di recuperare una delle
due scarpe indossate in occasione dell'omicidio (la seconda sarà rinvenuta dai
carabinieri il 7 ottobre 2016 proprio nel luogo dove si era recato l'imputato), il
giudice di secondo grado omette di considerare l'intercettazione ambientale del 2
ottobre 2016, ore 07:00, progressivo n. 1772, nel corso della quale l'imputato,
che stava rientrando in paese, commentava stizzito di "non avercela fatta", non
certo di andare a raccogliere le lumache;
4.2. - con riguardo alla presunta esistenza di un valido alibi per il giorno
dell'omicidio che il giudice di secondo grado attribuisce alla credibilità delle
dichiarazioni della moglie secondo la quale il marito sarebbe rincasato nel
pomeriggio senza essere mai più uscito di casa, perché non si confrontano colle
risultanze dibattimentali dalle quali emerge che l'imputato e la moglie hanno
varie volte mentito e si sono anche accordati sulle versioni da rendere agli
investigatori.
In particolare, l'intercettazione delle conversazioni ambientali a bordo
dell'autovettura BMW eseguita il 3 agosto 2016, quando erano appena terminate
le escussioni presso i carabinieri, riporta la domanda fatta dalla moglie
dell'imputato circa cosa avesse fatto il giorno 6 dicembre 2015 e, in particolare,
se fosse uscito la mattina o il pomeriggio, così dimostrando di avere palesemente
mentitoi2Ia polizia giudiziaria quando, nel corso del verbale del 26 luglio 2016,
aveva riferito che la mattina del 6 dicembre 2015 il marito non era uscito di casa
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ed era rimasto in pigiama, come pure che, contrariamente al vero, lo stesso non
era dedito al gioco in quanto ella gli metteva a disposizione unicamente la
somma di euro 20 alla settimana.
Queste captazioni dimostrano, come aveva correttamente ritenuto il primo
giudice, la falsità dell'alibi offerto dal coniuge in favore dell'imputato, falsità che
deve essere considerata come un indizio a carico in quanto sintomatico del
tentativo dell'imputato di sottrarsi all'accertamento della verità.
Analoghe menzogne e preventivi accordi per mentire alla polizia giudiziaria
sono emersi dalle captazioni del 25 luglio 2016, ore 19:00, con riguardoll'utilizzo
della Fiat Punto nonché con riferimento alla valigetta degli attrezzi sottratta a
M. che, di lì a poco, i figli dell'imputato avrebbero cercato di sopprimere.
È palese, infine, la falsità dell'alibi e il previo accordo tra l'imputato e i
familiari circa le versioni dichiarazioni da rendere alla polizia giudiziaria sulla
base della intercettazione del 20 settembre 2016, ore 13:00, dalla quale emerge
chiaramente che la moglie dell'imputato non sapeva realmente se il marito si
fosse allontanato il giorno dell'omicidio tant'è vero che la donna, nel domandare
suggestivamente al marito "non sei più uscito quella sera ... giusto è?", ha
ottenuto la risposta "No!";
4.3. - il vizio della motivazione, anche per travisamento, con riguardo al
movente dell'omicidio da individuarsi, come aveva correttamente fatto il primo
giudice, nella rapina consumata ai danni di M..
Lo stato di indigenza, sulla quale si fonda la decisione di appello per
escludere la rapina, costituisce una pura illazione perché non tiene in
considerazione le risultanze investigative sulla ricostruzione delle somme
disponibili alla luce delle dichiarazioni dei testimoni e dell'esame della
documentazione bancaria, sul corretto pagamento dei piccoli debiti contratti dalla
vittima e sulla esistenza di palesi segni di sottrazione del denaro dal cassetto
dell'ufficio, rappresentati dalla presenza di macchie di sangue della vittima
proprio sul tiretto all'interno del quale M. era solito custodire le somme di
denaro.
Sotto altro profilo, il giudice di secondo grado ha completamente trascurato
e travisato per omissione le risultanze delle captazioni dalle quali risulta, invece,
che l'imputato era vittima del gioco e sperperava ingenti quantità di denaro,
sicché era nelle condizioni di doversi procurare, con urgenza, del denaro per
saldare i propri debiti di gioco, ciò in contrasto con la dichiarazione, risultata
palesemente falsa alla stregua dell'esame di altre captazioni, secondo la quale la
moglie dell'imputato gli consegnava soltanto euro 20 alla settimana.
4.4. Il difensore di fiducia e procuratore speciale avv. Antonino Gaziano ha,
poi, depositato una memoria conclusionale e conclusioni scritte con la nota
spese.
5. Il difensore dell'imputato ha presentato memoria con la quale ha,
anzitutto, rilevato la non decisività dei motivi di ricorso sulle presunte violazioni
processuali, soggiungendo che, in ogni caso, i ricorsi non sono idonei a superare
le logiche conclusioni cui è giunto il giudice di secondo grado.
5.1. Il difensore dell'imputato ha poi presentato memoria di replica alle
conclusioni scritte del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati.
1.1. Il primo giudice ha basato la responsabilità dell'imputato sui seguenti
elementi:
- il fatto, ritenuto certo e univoco, che S. G. la mattina del 6
dicembre 2015 ha pedinato e controllato M. G, circa tre ore,
seguendolo in ogni suo minimo spostamento: circostanza questa che denota,
secondo il primo giudice, un interessamento illecito verso M. poiché se
l'imputato (che ben conosceva M. e con il quale aveva un qualche rapporto di
confidenza) intendeva solo chiedergli del denaro o degli strumenti in prestito non
si comprende per quale motivo avrebbe dovuto seguire minuziosamente la sua
vittima per circa tre ore, cercando di non farsi notare;
- il contestuale impossessamento da parte dell'imputato, intorno alle ore
12:30, di alcuni attrezzi di lavoro di M.; ciò ha indotto il primo giudice ad
affermare che nelle suddette circostanze di tempo e luogo sarebbe avvenuto un
incontro tra S. e M. nel corso del quale, verosimilmente, il primo
avrebbe chiesto al secondo del denaro in prestito, utilizzando la richiesta degli
attrezzi come pretesto (S. in quel momento era preda del vizio del
gioco ma, contrariamente alle sue abitudini, non si trovava a giocare alle slot
machines per mancanza di denaro: il coniuge, conscio del problema, gli
concedeva solo 20 euro a settimana); alternativamente, secondo il primo
giudice, deve ritenersi che S. si sia introdotto nell'ufficio della vittima in
assenza del proprietario e che abbia approfittato della sua assenza per rovistare
all'interno dell'ufficio di M. in cerca di soldi e poi abbia portato via solo il
martello demolitore; in entrambe le ipotesi, secondo il primo giudice, appare
evidente che la visita mattutina non sarebbe stata risolutiva e definitiva
(nonostante S. abbia asportato gli attrezzi) ed appare propedeutica alla
seconda visita serale;
- il decesso di M. tra le ore 19:30 e le ore 24:00 all'interno del proprio
studio;
- la rilevata presenza, tra le ore 20:43 e le ore 20:58 del 6 dicembre 2015,
di un veicolo simile alla Fiat Punto in uso a S. proprio nella strada ove
si trovava M.; il veicolo compiva movimenti di "appostamento e controllo" del
territorio, per arrestarsi nei pressi dello studio di M.. In contemporanea, la
moglie di S. si intratteneva al telefono lungamente con un'amica,
sicché, in disparte la falsità delle dichiarazioni dalla stessa resa circa la certezza
che il marito non sarebbe uscito di casa quella sera (come emerge dalle
captazioni del 20 settembre 2016), è ben possibile che di ciò non si sia accorta;
- il tentativo maldestro, compiuto diversi mesi dopo, di dispersione degli
attrezzi, sottratti nella mattinata dell'omicidio, al fine di allontanare i sospetti
dall'imputato;
- l'esistenza di un movente per avvicinare M., individuato dal primo
giudice nella disperata ricerca di soldi, anche in quantità modesta, da dedicare al
vizio del gioco;
- la ulteriore maldestra ricerca da parte dell'imputato della scarpa indossata
dall'assassino di M., successivamente rivenuta dalla polizia giudiziaria proprio
nei luoghi dove l'imputato aveva cercato di recarsi, venendo indotto a desistere
dalle ricerche per il fortuito incontro con un conoscente. Ad avviso del primo
giudice si tratta di una circostanza di fatto, quella del tentativo di recuperare la
scarpa insanguinata, che costituisce un legame diretto ed univoco tra l'imputato
e la suddetta scarpa che, del resto, è proprio della misura dell'imputato. Secondo
il primo giudice l'indizio, che emerge dalle circostanze relative al rinvenimento
della scarpa, è di particolare gravità considerato che pertiene al ritrovamento
della scarpa in uso all'assassino nel momento della commissione dell'omicidio.
L'indizio è considerato univoco atteso che la scarpa in questione è stata
rinvenuta esclusivamente grazie al comportamento maldestro ma, al contempo,
necessitato di S., il quale non aveva altro motivo per recarsi in quel
luogo periferico se non per ritrovare e occultare definitivamente le scarpe
indossate il giorno dell'omicidio. Diversamente ragionando, chiosa il primo
giudice, dovrebbe ritenersi che, solo per mera casualità, la polizia giudiziaria
avrebbe rinvenuto tale scarpa in quel posto e, per di più, proprio a pochi metri
dal sito esatto ove l'imputato aveva più volte sostato.
Secondo il primo giudice, quindi, se non è dato sapere con certezza come
materialmente si siano verificati i fatti, sarebbe certo però che S. era
presente sul posto mentre M. è stato mortalmente aggredito, tanto che la
sua scarpa si imprime del relativo sangue lasciando una traccia indelebile sul
pavimento; ciò dopo che la stessa mattina S. aveva insistentemente
pedinato M. e si era appropriato dei suoi attrezzi.
In ultimo, secondo il primo giudice, non può non rilevarsi come ulteriori
elementi indiziari nei confronti dell'imputato possono trarsi anche dalla accertata
falsità di gran parte delle circostanze riferite da S. anche ai propri
familiari, ciò perché "la comprovata falsità delle difese approntate dall'imputato
può essere apprezzata dal giudice ai fini della formazione del proprio
convincimento, costituendo essa, al pari della inverosimiglianza delle risposte,
delle reticenze, delle digressioni, delle stridenti contraddizioni e delle asserzioni
fatte in modo da non consentire riscontri, valido indizio di mala fede e possibile
indice di colpevolezza" (Sez. 1, n. 11159 del 23 novembre 1982).
Sul punto, il giudice di primo grado, sottolinea, tra l'altro, gli accordi di
S. e della moglie sulle versioni di volta in volta da rendere agli
investigatori; l'avere negato nelle intercettazioni l'evidente pedinamento di M.
con scuse smentite oggettivamente dai fatti; la condotta di
occultamento/distruzione degli attrezzi sottratti a M. attuata dai figli di
S. il 4 agosto 2016 e quella poi tentata dallo stesso imputato il 2
ottobre 2016 per recuperare la scarpa nella discarica.
La Corte di prima istanza ha giudicato provata la responsabilità penale anche
con riferimento ai fatti di rapina aggravata, ritenuta connessa e collegata
all'omicidio. È stata, in particolare, ritenuta provata la circostanza oggettiva nel
mancato ritrovamento addosso a M. G. e nel suo magazzino di alcuna
somma di denaro, in contrasto con le abitudini consolidate della vittima, ma,
soprattutto, con gli accertamenti patrimoniali effettuati che orientano
univocamente per il possesso da parte della stessa di almeno qualche centinaio
di euro in contanti al momento del fatto. Tale elemento, unitamente al fatto che
il cassetto ove solitamente venivano custodite le somme di denaro da parte di
M. è stato rinvenuto aperto e sporco di sangue, porta a confermare, secondo
il primo giudice, che l'aggressione dell'imputato in danno della vittima fosse
collegata proprio alle somme di denaro già nella disponibilità della vittima e,
quindi, che risulti pienamente integrato anche il delitto di rapina.
1.2. La Corte di secondo grado ha invece affermato che, a partire dalla
struttura dei capi d'imputazione, ove l'omicidio è legato alla consumazione di una
rapina rivelatasi congetturale e dai contorni vaghissimi, l'ipotesi accusatoria
formulata a carico dell'imputato è rimasta pressoché integralmente sguarnita di
basi solide. In particolare, lungi dal potersi parlare di gravità, precisione e
concordanza indiziarie, si è rimasti al cospetto di una buona base di partenza
investigativa, mai sfociata in una confortevole piattaforma accusatoria capace di
superare il vaglio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Nessun elemento specifico e rilevante ha messo in relazione diretta l'azione
complessiva di S. G. con l'omicidio.
L'impossessamento della valigia, sicuramente contenente il martello
demolitore di proprietà della vittima, è un fatto del tutto diverso dalla rapina
contestata al capo 2), e per il quale non risulta mai elevata alcuna imputazione;
tale fatto, del resto, risulta accertato intorno alle 12:00-12:30 del 6 dicembre
2015, mentre è certo che fino alle 21:00 circa M. fosse ancora vivo, in giro
sul suo pick-up che risulta parcheggiato nei pressi della ditta circa nove ore dopo
(intorno alle ore 21:00 di quel giorno).
All'interno dei locali della piccola azienda di marmi di M. G,
all’esito dei rilievi dattilo-biologici, non è stata mai trovata alcuna traccia capace
di far risalire all'imputato che per di più, per la plausibile ora del delitto, aveva
l'alibi offerto dal coniuge e troppo sbrigativamente superato dalla sentenza di
primo grado.
Il collegamento tra l'impronta, esaltata sul sangue della vittima, di una suola
della scarpa sinistra, poi rinvenuta nella discarica, e la persona di S.
G., lungi dall'essere univoco, come ha sostenuto la decisione di primo
grado, appare piuttosto una vera e propria forzatura, tenuto conto che le
captazioni confermano il dichiarato scopo della gita del 2 ottobre 2016 che risulta
pure riscontrato dalle condizioni meteorologiche, mentre le dimensioni della
calzatura sono incompatibili con il piede dell'imputato.
Secondo il giudice di appello, quindi, non è possibile trarre alcun personale
addebito di responsabilità a carico dell'imputato dal contesto delle captazioni cui
per mesi il prevenuto e i suoi familiari sono stati assoggettati. Anzi, ad avviso
della Corte di secondo grado, alcuni passaggi ritenuti essenziali da parte della
sentenza di primo grado, come ad esempio quelli relativi alla captazione del 2
ottobre 2016 all'interno della vettura con la quale S. si sarebbe recato
a cercare di recuperare in una discarica la scarpa sporca di sangue, piuttosto che
fornire elementi di natura indiziaria, si sono rivelati elementi a discarico.
2. Prima di affrontare i motivi processuali è utile ricordare le linee guida
giurisprudenziali che governano il metro di giudizio in caso di riforma in senso
assolutorio della sentenza di condanna.
2.1. Nel caso che, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle
parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga
di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado,
non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo
nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente
richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio
di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario
che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice
di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e
quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza
non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione
delle difformi conclusioni (cfr. Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Rv. 191229).
Tali principi sono stati anche successivamente approfonditi, essendosi
affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice
dell'appello ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo,
ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti
della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa
18Corte di Cassazione - copia non ufficiale
incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento
impugnato (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), e
dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale
che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sez. 6 n. 1253 del 28/11/2013,
dep. 14/01/2014, Rv. 258005; n. 46742 del 08/10/2013, Rv.257332; Sez. 4 n.
35922 del 11/07/2012, Rv. 254617).
Si è poi specificato che il giudice d'appello, in caso di riforma, in senso
assolutorio idella sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa
valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla
rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la
motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale
ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Rv.
281404).
2.2. Ciò premesso, deve osservarsi, ancora prima di rilevare dei gravi vizi
processuali, che la Corte di Assise di appello ha riformato in senso assolutorio la
sentenza di condanna di primo grado senza un adeguato percorso logico
motivazionale.
Mentre la sentenza di primo grado si fondava su un esame globale di un
insieme di elementi indiziari ritenuti certi e significativi, coordinati in una visione
unitaria, la sentenza di appello si limita ad una valutazione atomistica e
parcellizzata degli indizi, la valenza dimostrativa dei quali viene svalutata sulla
base di congetture contraddette da precisi dati probatori, oltre che estranee
all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.
Un metodo di valutazione, questo, che si pone in netto contrasto con i
principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova indiziaria
(cfr. Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 04/03/2021, Rv. 280605 - 02): ma di
ciò si dirà dettagliatamente in seguito.
3. Sono fondati i motivi processuali, concernenti l'utilizzo di prove non
acquisite in contraddittorio, ma piuttosto basate sulla cd. "scienza" del giudice,
nonché i connessi denunciati vizi motivazionali sulla diversa ricostruzione di
alcuni elementi decisivi del ragionamento probatorio del primo giudice che
palesano anche il denunciato travisamento, oltre all'assenza di una motivazione
rafforzata.
3.1. La sentenza impugnata ha effettivamente utilizzato materiale
proveniente da internet (previsioni meteorologiche) che non risulta acquisito agli
atti, in violazione dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di
legittimità.
Si è, infatti, chiarito che «Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione
informazioni tratte in camera di consiglio dal sito internet google maps, in
quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina
l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in
dibattimento nel contraddittorio tra le parti» (Sez. 1, n. 36315 del 20/05/2016,
Palumbo, Rv. 268262).
Tale principio va convintamente riaffermato, essendo stato ribadito anche
nel campo delle valutazioni scientifiche di risultante tecniche: Sez. 1, n. 19822
del 23/03/2021, Faina, Rv. 281223, ha chiarito che «Il giudice, quando sia
necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono
specifiche competenze tecniche, non può prescindere dall'apporto della perizia
per avvalersi direttamente di proprie, personali, competenze scientifiche e
tecniche, perché l'impiego della scienza privata costituisce una violazione del
principio del contraddittorio nell'iter di acquisizione della prova e del diritto delle
parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello
stesso».
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: «Non sono utilizzabili ai
fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio da siti intemet
di meteorologia o climatologia, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di
elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da
quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti».
Si tratta, quindi, di documentazione illegittimamente impiegata per la
decisione cui, oltre tutto, è stata attribuita valenza decisiva per scardinare il
ragionamento del primo giudice, in contrasto con quanto affermato dalla
giurisprudenza di legittimità: «in tema di prova, le c.d. "fonti aperte", reperibili
anche tramite la rete Internet", possono costituire solo un parametro con cui
valutare l'impiego di massime di esperienza o profili attinenti a fatti notori non
oggetto di contestazione e, comunque, non riguardanti l'imputazione» (Sez. 4, n.
21310 del 26/04/2022, Rv. 283314).
2.1.1. È, del pari, certo che il documento acquisito dalla Corte nel segreto
della camera di consiglio non è dotato di alcuna attendibilità perché non è stato
rilasciato dalle competenti autorità pubbliche di certificazione delle condizioni
climatiche e meteorologiche.
Deve, infatti, essere rimarcato che il giudice può porre a fondamento della
propria decisione unicamente materiale probatorio, acquisito in contraddittorio,
del quale sia accertata la provenienza e che, quando contiene dati scientifici o
elementi tecnici, promani da fonti autorevoli, certificate e comunque sottoposte
al necessario vaglio di affidabilità che si ottiene mediante il metodo dialettico
processuale del contraddittorio che deve trovare puntuale riscontro nei passaggi
logici della motivazione del provvedimento giudiziario.
È, in effetti, indispensabile che il giudice di merito proceda alla verifica critica
in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del
fatto, pena il venire meno della correttezza metodologica dell'approccio del
giudice di merito al dato tecnico o al sapere scientifico utilizzato, che sfocia nella
illegittimità della decisione sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, n. 58465 del
10/10/2018, T., Rv. 276151).
3.1.2. Oltre al denunciato vulnus processuale, sussiste pure un vizio
motivazionale, anche sotto il profilo della motivazione rafforzata, circa le effettive
condizioni climatiche e meteorologiche della zona per come riferite da numerosi
testimoni (vari operatori di polizia giudiziaria) e ritratte nelle fotografie acquisite
agli atti.
La Corte di secondo grado, omettendo di valutare la prova già acquisita e
valorizzata dal primo giudice, si è limitato a disconoscerla e a tacerne l'esistenza,
così stendendo una motivazione basata sul travisamento e inidonea a superare la
valutazione compiuta dal primo giudice.
3.2. Analogo vizio riguarda la tabella di conversione delle taglie delle
calzature che non risulta essere quella versata dal RIS negli atti acquisiti nel
contraddittorio, unico documento di tale contenuto che è stato acquisito al
dibattimento.
La Corte ha, anche in questo caso, impiegato un elemento di prova, senza
neppure indicarne la provenienza, che è estraneo al processo, sicché
inutilizzabile alla stregua dei principi prima affermati.
Peraltro, come correttamente evidenzia il Procuratore generale ricorrente, la
tabella utilizzata evidenzia palesi errori di conversione che, dunque, hanno
comunque inficiato il ragionamento del giudice di secondo grado.
3.2.1. In ultimo, va sottolineato che, su tale illegittima acquisizione, la Corte
di appello ha incentrato un'erronea motivazione con riferimento alle calzature
dell'imputato e, in particolare, sulla circostanza che questi fosse solito calzare il
n. 38, del tutto diverso rispetto a quello della scarpa rinvenuta nella discarica
(taglia n. 40,5-41).
In particolare, come fondatamente denuncia il Procuratore generale
ricorrente, gli elementi di prova posti a base di tale radicale asserzione del
giudice di appello, risultano travisati dalla Corte dì secondo grado che, facendo
riferimento alla propria erronea conclusione basata sul ridetto errato documento
acquisito extra processualmente, ha omesso di considerare le dichiarazioni
testimoniali e le acquisizioni processuali (sequestri), che sono puntualmente
indicati dal Procuratore ricorrente con specifico richiamo e allegazione delle fonti
di prova, dalle quali invece emerge, come aveva concluso il giudice di primo
grado, che l'imputato calza il n. 41, non risultando, per contro, che nella sua
abitazione siano state rinvenute calzature di taglia n. 38 allo stesso riferibili.
Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza impugnata presenta vizi di
violazione della legge processuale e vizi della motivazione, anche per
travisamento, mancando, in ogni caso, una motivazione rafforzata a sostegno
del ribaltamento del giudizio.
4. Risultano, quindi, venuti meno due fondamentali elementi probatori sui
quali il giudice di appello ha fondato la decisione di riforma; ciò consentirebbe già
di ritenere fallace il ragionamento del giudice di merito.
Ciò non di meno, è necessario esaminare le ulteriori censure dei ricorrenti
onde vagliare la decisività dei sopra rilevati errori alla stregua del ragionevole
dubbio che impronta la decisione impugnata.
4.1. Anzitutto, va ricordato che il ragionamento indiziario, sul quale si fonda
la decisione del primo giudice, poggia su diversi e concorrenti elementi, nessuno
di per sé idoneo ad affermare la responsabilità dell'imputato, ma tutti, nella
prospettiva seguita dalla Corte d'Assise, convergenti a carico dell'imputato.
Tali elementi sono stati ricordati nel primo paragrafo di questa sentenza,
sicché, anche alla luce della decisione di secondo grado, non risultano
controverse le seguenti circostanze:
- il decesso di M. tra le ore 19:30 e le ore 24:00 del 6 dicembre 2015
all'interno del proprio studio;
- la conoscenza e frequentazione tra S. e M.;
- il fatto che S. G., la mattina del 6 dicembre 2015, ha
pedinato e controllato M. Giuseppe per circa tre ore, seguendolo in ogni suo
minimo spostamento;
- l'impossessamento da parte dell'imputato, intorno alle ore 12:30 del 6
dicembre 2015, di alcuni attrezzi di lavoro di M.;
- la rilevata presenza, tra le ore 20:43 e le ore 20:58 del 6 dicembre 2015,
di un veicolo simile alla Fiat Punto in uso a S. proprio nella strada ove
si trovava M.; il veicolo compiva movimenti di "appostamento e controllo" del
territorio, per arrestarsi nei pressi dello studio di M.;
- il tentativo maldestro, compiuto diversi mesi dopo, di dispersione degli
attrezzi, sottratti nella mattinata dell'omicidio, compiuto al fine di allontanare i
sospetti dall'imputato;
- la dedizione dell'imputato al gioco d'azzardo, con conseguenti necessità
economiche, non soddisfatte dalle somme assegnategli settimanalmente dal
coniuge;
- il ritrovamento di una delle scarpe, taglia 40,5-41, indossate dall'assassino
nella discarica di rifiuti nei pressi della quale è transitato e si è fermato
l'imputato, pochi giorni prima del rinvenimento.
4.2. Se i sopra richiamati elementi non sono controversi e, come anche
riconosce il giudice di appello, alcuni sono fortemente indicativi di un sospetto a
carico di S., è utile rimarcare che l'esistenza del movente, individuato
dal primo giudice nella disperata ricerca di soldi, anche in quantità modesta, da
dedicare al vizio del gioco, non è specificamente negata dal giudice di appello.
Il movente, del resto, pur non costituendo uno specifico elemento indiziario,
funge da catalizzatore dei vari indizi raccolti (Sez. 1, n. 813 del 19/10/2016 —
dep. 2017, P.G. in proc. Lin, Rv. 269287, ha chiarito che «In tema di prova, la
causale in tanto può fungere da fatto catalizzatore e rafforzativo della valenza
degli indizi posti a fondamento di un giudizio di responsabilità, in quanto essi,
all'esito dell'apprezzamento analitico e nel quadro di una valutazione globale di
insieme, si presentino, anche in virtù della chiave di lettura offerta dal movente,
chiari, precisi e convergenti per la loro univoca significazione. Ne consegue che il
movente non può costituire elemento che consenta di superare le discrasie di un
quadro probatorio ritenuto, con motivazione immune da censure, di per sé non
convincente»; in generale: Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv.
226094 - 01), sicché non poteva essere del tutto trascurato dal giudice di
secondo grado.
4.3. Il giudice di appello ha, invece, escluso le seguenti circostanze, ma sulla
base di un ragionamento fallace e comunque inidoneo a superare le motivazioni
del giudice di prima istanza:
4.3.1. - la presenza, caratterizzata da soste e brevi allontanamenti dal
veicolo, di S. nei pressi della discarica ove poi venne rinvenuta la
calzatura usata dall'assassino.
Secondo il primo giudice l'indizio, che emerge dalle circostanze relative al
rinvenimento della scarpa, è di particolare gravità considerato che pertiene al
ritrovamento della scarpa in uso all'assassino nel momento della commissione
dell'omicidio. L'indizio è considerato univoco atteso che la scarpa in questione è
stata rinvenuta esclusivamente grazie al comportamento maldestro ma, al
contempo, necessitato di S., il quale non aveva altro motivo per recarsi
in quel luogo periferico se non per ritrovare e occultare definitivamente le scarpe
indossate il giorno dell'omicidio.
L'irrilevanza dell'indizio e, anzi, l'impossibilità di ricondurlo a S.
risultano, secondo il giudice di appello da alcuni elementi che, tuttavia, sono
travisati o erronei:
a) della corrispondenza della calzata n. 41 della scarpa rinvenuta con quella
indossata dall'imputato, già si è detto al paragrafo n. 3, sicché non può che
concludersi circa l'affidabilità e convergenza dell'indizio che era stata affermata
dal primo giudice;
b) dell'inaffidabilità della giustificazione sbandierata dall'imputato (ricerca di
lumache) nel corso delle intercettazioni già in parte si è detto con riguardo alle
condizioni meteorologiche e climatiche che sono state travisate dal giudice di
appello (par. n. 3); a ciò si deve aggiungere, come fondatamente denunciato dal
Procuratore generale ricorrente e dalle parti civili, che il giudice di appello ha
superficialmente trascurato, così non adempiendo al dovere di stendere una
motivazione rafforzata, che l'impeto raccoglitore, oltre a essere inconciliabile con
le condizioni meteorologiche del momento, risulta del tutto estraneo alle
abitudini dell'imputato, tanto che lo stesso lo abbandona subitaneamente quando
si imbatte, in modo imprevisto, in un conoscente che gli domanda cosa facesse
in quei luoghi; l'imputato, lungi dal riferire la lecita causale canticchiata nelle
intercettazioni, sciorina una diversa spiegazione che è volta a giustificare, questo
sì elemento particolarmente significativo, il suo comportamento di ricerca,
evidentemente colto dal passante, con la necessità di reperire "un cosa" per
aggiustare il veicolo, veicolo che, improvvisamente, cessa di non funzionare
tanto da ricondurre frettolosamente S. in paese.
4.3.2. - il presunto malfunzionamento del veicolo.
È sufficiente evidenziare che tale evenienza risulta contraddetta dalle
captazioni puntualmente citate dal primo giudice e dal pubblico ministero e dalla
decisiva circostanza che il mezzo fu utilizzato tranquillamente tutti i giorni
seguenti e per diversi mesi senza necessità di alcuna riparazione.
Sul punto, la sentenza di appello omette di valutare le prove acquisite, che
travisa per omissione, e non è idonea a superare le logiche conclusioni cui era
giunto il primo giudice.
4.4. Da ciò, quindi, non esce affatto indebolita la ricostruzione dell'episodio
compiuta dal primo giudice, il quale ha evidenziato, sulla base dei ricordati
elementi, che la escursione di S. alla discarica non risulta aderente alla
giustificazione canticchiata dall'imputato, sicché essa, contrariamente a quanto
ritiene la Corte di secondo grado e in difetto di una diversa causale indicata
dall'imputato, non può non essere logicamente ascritta al tentativo (non si sa se
in parte riuscito) di sopprimere le calzature, come già era stato fatto per gli
attrezzi sottratti alla vittima la mattina dell'omicidio.
Il giudice di appello, oltre alle rilevate violazioni della legge processuale e ai
vizi logici del ragionamento, non ha comunque steso una motivazione rafforzata
in grado di superare le conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado sulla
connessione qualificata esistente tra la calzatura, rinvenuta nei pressi del luogo
ove l'imputato si era ripetutamente recato e per ben tre volte intrattenuto senza
una lecita e nota causale, e l'imputato il piede del quale ha una misura
corrispondente a quella utilizzata dall'assassino.
5. Affianco a tali elementi, il primo giudice pone come ulteriori elementi
indiziari quelli che possono trarsi dalla accertata falsità di gran parte delle
circostanze riferite da S., anche ai suoi familiari: gli accordi intercorsi
tra S. e la moglie sulle versioni di volta in volta da rendere agli
investigatori, per come risultano dalle captazioni dei dialoghi; l'avere negato
nelle intercettazioni l'evidente pedinamento di M. con scuse tutte smentite
oggettivamente; la condotta di occultamento/distruzione del trapano attuata dai
figli di S. G. il 4 agosto 2016; la fallacia o falsità dell'alibi fornito
dal coniuge per la sera del delitto.
5.1. Su tale ultimo aspetto, tuttavia, è il caso di soffermarsi in quanto il
giudice di merito deve chiarire se si tratta di alibi falso o fallito e il valore da
attribuire alla circostanza in esame.
La motivazione del giudice di appello sembra escludere anche soltanto la
fallacia dell'alibi, attribuendo al primo giudice una ricostruzione congetturale:
secondo la Corte di secondo grado, il primo giudice si sarebbe limitato a
ipotizzare che il coniuge avrebbe potuto non accorgersi, a causa di una lunga
conversazione telefonica che la impegnava, che S. era uscito di casa
proprio nel frangente nel quale un veicolo simile a quello dell'imputato circolava
e stazionava nei pressi dell'abitazione della vittima.
Tuttavia, in alcuni passi della sentenza di primo grado (p. 89), che il giudice
di appello omette di esaminare, si afferma che, sulla base delle captazioni in
data 20 settembre 2016, il coniuge non sapesse se S. fosse stato in
casa la sera dell'omicidio; in altre parti della medesima sentenza si afferma,
addirittura, che il coniuge fosse certo del contrario ed abbia fin da subito mentito
alla polizia giudiziaria in accordo con il marito.
Ciò, in particolare, è stato desunto dall'intercettazione delle conversazioni
ambientali a bordo dell'autovettura BMW eseguita il 3 agosto 2016, quando
erano appena terminate le escussioni presso i carabinieri; in detta captazione si
riporta la domanda fatta dalla moglie all'imputato circa cosa avesse fatto il
giorno 6 dicembre 2015 e, in particolare, se fosse uscito la mattina o il
pomeriggio, così dimostrando di avere palesemente mentitola polizia giudiziaria
quando, nel corso del verbale del 26 luglio 2016, aveva riferito che la mattina del
6 dicembre 2015 il marito non era uscito di casa ed era rimasto in pigiama.
Analogamente, secondo il primo giudice sarebbe palese la falsità dell'alibi e il
previo accordo tra l'imputato e i familiari circa le dichiarazioni da rendere alla
polizia giudiziaria sulla base della intercettazione del 20 settembre 2016, ore
13:00, dalla quale emerge che la moglie dell'imputato non sapeva realmente se
il marito si fosse allontanato il giorno dell'omicidio tant'è vero che la donna, nel
domandare suggestivamente al marito "non sei più uscito quella sera ... giusto
è?", ha ottenuto la risposta "No!".
Ebbene, la natura (falso\fallito) e la valenza dell'alibi deve essere oggetto di
approfondito esame in considerazione della peculiare rilevanza che la
giurisprudenza vi annette, ponendo anche in luce la provenienza della fallace o
falsa dichiarazione.
6. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio per nuovo
giudizio nel quale, dopo avere sanato i vizi processuali sopra rilevati ed
eventualmente espunto il materiale probatorio illegittimamente introdotto, si
procederà, nella piena libertà delle valutazioni di merito, a sanare i vizi
motivazionali di omissione e travisamento, nonché ad approfondire l'esistenza,
valenza e significato dell'alibi offerto dal coniuge circa la sera del delitto.
6.1. Le spese del presente giudizio vanno rimesse all'esito del giudizio di
merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra
Sezione della Corte d'Assise d'appello di Palermo.
Così deciso il 19 aprile 2024.

Avv. Antonino Sugamele

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