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Sentenza

Sussiste, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen. l'obbligo di traduzione del decreto di citazione in appello in favore dell'imputato alloglotta, non irreperibile né latitante. La mancata traduzione nella lingua dell'imputato del decreto di citazione nel giudizio di appello, tempestivamente dedotta dai difensore nella prima udienza di celebrazione del giudizio in sede dibattimentale, non può dunque che determinare la nullità del decreto medesimo.
Sussiste, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen. l'obbligo di traduzione del decreto di citazione in appello in favore dell'imputato alloglotta, non irreperibile né latitante. La mancata traduzione nella lingua dell'imputato del decreto di citazione nel giudizio di appello, tempestivamente dedotta dai difensore nella prima udienza di celebrazione del giudizio in sede dibattimentale, non può dunque che determinare la nullità del decreto medesimo.
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15/06/2023) 07-08-2023, n. 34533


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

Dott. MICCICHE' Loredana - rel. Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A. nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 17/01/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE';

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore.
Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza emessa il 17 febbraio 2022, confermava la pronuncia del Tribunale di Forlì che aveva condannato A.A. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.032 di multa per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente (marijuana del peso di gr. 12,78 suddivisa in sei dosi).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, per due motivi. Con il primo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett c) cod proc pen in relazione all'art. 143 cod proc pen, la violazione di norme processuali previste a pena di nullità per l'omessa traduzione in lingua inglese del decreto di citazione nel giudizio di appello e della sentenza di primo grado all'imputato alloglotta, eccezione tempestivamente sollevata alla prima udienza utile tenutasi davanti alla Corte d'Appello di Bologna. Con il secondo motivo deduce vizio di mancanza di motivazione, poichè la sentenza impugnata non si era pronunciata in ordine alla ec:cezione di nullità sopra illustrata.

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, non essendo stato specificato a quali atti fosse riferita l'eccezione di nullità.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo è fondato.

2. Va premesso che l'impugnata sentenza dà atto che non è in contestazione la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato, risultante documentalmente. Ciò posto, quanto alla eccezione di nullità riguardante la mancata traduzione degli atti di primo grado, la decisione impugnata è rispettosa dei principi più volte affermati da questa Corte di legittimità, secondo cui si tratta di una nullità a regime intermedio. La relativa eccezione avrebbe dunque dovuto essere sollevata prima della definizione del giudizio di primo grado e, conseguentemente, la deduzione del vizio nel corso della prima udienza celebrata in grado di appello è senz'altro tardiva.

3. In ordine alla omessa traduzione nella lingua dell'imputato della sentenza di primo grado, va rammentato che, quando sia stata proposta impugnazione, deve essere dedotto (e nella specie così non è) il concreto pregiudizio subito a causa dell'omessa traduzione del provvedimento decisorio (Sez. 6, n. 25276 del 06/04/2017, Rv. 270491 - 01). Non essendo stato prospettato alcun pregiudizio sofferto in conseguenza della omessa traduzione della sentenza impugnata, nessuna conseguenza può ricollegarsi al vizio larnentato.

4. Differenti considerazioni si impongono invece quanto alla dedotta nullità per omessa traduzione del decreto di citazione nel giudizio di appello, svoltosi con rito dibattimentale. Deve invero ritenersi, quanto alla tempestività dell'eccezione, che la dedotta nullità per omessa traduzione all'imputato che non conosce la lingua italiana "degli atti del procedimento", avanzata dal difensore alla prima udienza celebratasi davanti alla Corte bolognese, non può che ricomprendere il riferimento al decreto di citazione nel giudizio di appello. Sul punto, va rilevato che l'art. 143 cod proc pen menziona esplicitamente, tra gli atti per i quali deve disporsi la traduzione nella lingua dell'imputato, del " decreto di citazione", senza differenziare tra i gradi del giudizio nè per tipologia di processo (giudizio di primo grado o di appello; rito a citazione diretta o meno). Orbene, questa Corte ha ripetutamente affermato che sussiste, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen l'obbligo di traduzione del decreto di citazione in appello in favore dell'imputato alloglotta, non irreperibile nè latitante (Sez. 5, n. 20035 del 01/03/2023, Rv. 284515 - 01; Sez. 1, n. 28562 del 08/03/2022, Rv. 283355 - 01; Sez. 6 - n. 30143 del 07/07/2021, Rv. 281705 01). La mancata traduzione nella lingua dell'imputato del decreto di citazione nel giudizio di appello, tempestivamente dedotta dal difensore nella prima udienza di celebrazione del giudizio in sede dibattimentale, non può dunque che determinare la nullità del decreto medesimo.

5. Dette conclusioni sono rafforzate dalla considerazione che, mentre riguardo alla omessa traduzione della sentenza, come detto, può essere comunque verificata la concreta esplicazione del diritto di difesa, avvenuta tramite la rituale impugnazione del provvedimento decisorio (e dunque è necessario rappresentare ed allegare quale sia il concreto pregiudizio subito in conseguenza della mancata traduzione nella lingua dell'imputato), il decreto di citazione a giudizio attiene invece alla regolarità della vocatio in jus, e quindi alla garanzia assoluta del diritto di partecipazione dell'imputato al processo, come tratteggiata e sancita anche nel quadro sovranazionale. Invero, il diritto dell'imputato di partecipare personalmente al proprio processo costituisce, come noto, un corollario del diritto ad un equo processo, che si fonda sul principio del contraddittorio. Alle radici dell'elaborazione della Corte Edu vi è infatti la considerazione che solo la presenza fisica del diretto interessato all'andamento del processo garantisce la piena attuazione del diritto all'autodifesa ai sensi dell'art. 6, par. 3, lett. c), d) e) C.E.D.U.; allo stesso tempo, la sola assistenza del difensore non potrà di regola considerarsi equivalente alla diretta partecipazione dell'interessato (cfr. proprio in merito al diritto alla traduzione degli atti e all'interprete, Corte Edu, II sez., 18.5. 2004, Somogyi c. Italia, ric. n. 67972/01, p. 65; Corte Edu, I sezione, L.9. 2016, ric. 36043/2008, Huzuneanu c. Italia, p. 47).

6.Segue a quanto esposto l'annullamento della sentenza impugnata e la restituzione degli atti alla Corte d'Appello di Bologna per l'ulteriore corso.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Bologna per nuovo giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2023
Avv. Antonino Sugamele

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