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Sentenza

Rometta. Genitori di due alunni, processati per diffamazione, per aver inviato al Preside dell'istituto ed al Provveditorato una lettera con cui chiedevano si intervenisse per porre fine alla situazione di offese e persecuzioni subite dai lori figli ad opera di una professoressa.
Rometta. Genitori di due alunni, processati per diffamazione, per aver inviato al Preside dell'istituto ed al Provveditorato una lettera con cui chiedevano si intervenisse per porre fine alla situazione di offese e persecuzioni subite dai lori figli ad opera di una professoressa.
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19/01/2023) 28-04-2023, n. 17813

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente -

Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Consigliere -

Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere -

Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere -

Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

dalla parte civile A.A., QUALE EREDE B.B. nato a (Omissis);

nel procedimento a carico di:

C.C., nata a (Omissis);

D.D., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 25/03/2022 del TRIBUNALE di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI DI LEO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Viene in esame la sentenza del Tribunale di Messina che ha confermato la decisione assolutoria del Giudice di Pace di Rometta del 10.9.2021 nei confronti di C.C. e D.D., genitori di due alunni dell'Istituto comprensivo di (Omissis), che erano stati tratti a giudizio per il reato di diffamazione ai danni di una professoressa - B.B. -, per aver inviato una missiva al Dirigente Scolastico della scuola citata, inoltrata poi anche al Provveditorato degli Studi di (Omissis), con cui si lamentavano del comportamento offensivo e quasi persecutorio che ella aveva nei confronti dei due alunni. I giudici di merito hanno riconosciuto la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, ancorchè nella forma putativa, in favore degli imputati, indotti a tutelare i propri figli dal comportamento della docente, risultato, dagli elementi in atti, verosimilmente quantomeno disdicevole e sovente offensivo in classe, nei confronti degli alunni.

2. Ha proposto ricorso, tramite il difensore di fiducia, la parte civile, A.A.;

- in qualità di erede, come marito della persona offesa, deceduta nelle more del processo;

- eccependo, con un primo motivo, la mancata prova della verità dei fatti al centro della missiva diffamatoria, che ha visto quale bersaglio B.B., desunta da elementi indiziari insufficienti ed inadeguati.

L'assenza di un accertamento sicuro riguardo alla verità dei fatti determinerebbe, secondo la giurisprudenza di legittimità che il ricorrente ripercorre, l'impossibilità di configurare la scriminante del diritto di critica, che presuppone la verità del fatto attribuito alla persona offesa.

In un secondo punto difensivo si è eccepito che il più importante degli indizi ritenuti idonei dalla Corte d'Appello a costituire prova della veridicità dei fatti, vale a dire la relazione del dirigente scolastico dell'Istituto teatro della vicenda, datata 17.3.2014, è irrilevante, poichè si tratta di una relazione ben successiva nel tempo ai fatti contestati nelle missive diffamatorie, oltre che generica nei suoi contenuti (non viene precisato quali docenti abbiano riferito al Preside di comportamenti offensivi della prof.ssa B.B. nei confronti di alunni, appresi da altrettanti studenti non meglio individuati nè indicati) Di qui, la denunciata violazione degli artt. 234, comma 3, e 195, comma 3, c.p.p. poichè l'utilizzazione di tale relazione si pone in contrasto con il divieto di acquisire documenti che contengano voci correnti nel pubblico intorno ai fatti del processo e finirebbe con il determinare l'assunzione di una testimonianza indiretta, con violazione della seconda delle due disposizioni richiamate.

Si chiede, quindi, l'annullamento con rinvio al giudice civile della sentenza impugnata e la condanna degli imputati al pagamento delle spese sostenute nel grado di giudizio e nelle precedenti fasi processuali dalla parte civile.

3. Il PG Giovanni Di Leo ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso della parte civile.

3.1. I difensori degli imputati hanno depositato conclusioni scritte con le quali si associano alle richieste del PG. 3.2. Il difensore della parte civile ha fatto pervenire una prima memoria difensiva con cui ribadisce le ragioni di ricorso (datata 3.1.2023) ed una seconda memoria (datata 13.1.2023) con cui, invece, contesta le conclusioni del Procuratore Generale, osservando in particolare che il mancato confronto degli imputati con la prof.ssa B.B. costituisce una circostanza neutra, inidonea a determinare l'automatica verità o veridicità degli addebiti a lei successivamente contestati nelle missive del 18.11.2013, nè integra i caratteri di configurabilità necessari ai fini di poter ritenere sussistente l'esimente putativa; tanto più che le dichiarazioni della persona offesa in udienza attestano che ella non fu mai cercata dai genitori per un chiarimento.

Inoltre, si contesta fermamente il fatto che si sia data credibilità alle dicerie degli alunni e alle loro lamentele senza acquisire conferme di sorta.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La giurisprudenza di questa Corte regolatrice, sul tema della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di critica, ha tracciato alcune linee direttrici specificamente dedicate al delitto di diffamazione e che è opportuno richiamare, quanto al rapporto con l'accertamento della veridicità del fatto alla base della dichiarazione ritenuta diffamatoria. In particolare, recentemente si è sostenuto, con affermazione che il Collegio condivide, che, in tema di diffamazione, è configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di critica nei confronti di chi abbia la ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell'altrui reputazione, anche se di essa non sussista certezza processuale (Sez. 5, n. 21145 del 18/4/2019, Olivieri, Rv. 275554; in tema di scriminante putativa, diffamazione a mezzo stampa e sufficienza dell'assolvimento dell'onere di controllo e verifica da parte del giornalista, cfr. Sez. 1, n. 40930 del 27/9/2013, Rv. 257795; Sez. 5, n. 14013 del 12/2/2020, Sas so, Rv. 278952).

2.1. Nel caso di specie, il ricorrente deduce la mancanza di prova del presupposto dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, vale a dire proprio la veridicità dei fatti ascritti alla persona offesa del reato di diffamazione, evidenziando, anche nelle memorie difensive successive alla proposizione del ricorso, come gli indizi di tale veridicità siano stati desunti, dai giudici d'appello, in modo illogico e insufficiente, valorizzando la circostanza che gli imputati non hanno potuto avere un contatto con l'insegnante per un chiarimento su quanto stava accadendo e che il procedimento disciplinare nei confronti della professoressa era stato archiviato per ragioni formali, vale a dire la mancata trasmissione, da parte del Preside, della relazione richiesta dall'Ufficio scolastico di (Omissis). Nè sarebbe idonea a fondare la prova della veridicità dei comportamenti sopra le righe ascritti alla vittima del reato la relazione redatta in ritardo, successivamente, dal dirigente, in cui si dava atto che diversi docenti avevano confermato in qualche modo le voci sulla professoressa, accusata di aver insultato un alunno diversamente abile, dandogli dell'handicappato.

Gli argomenti difensivi, tuttavia, si rivelano manifestamente infondati, oltre che volti ad una inammissibile rivalutazione alternativa del significato di elementi di prova che il giudice di secondo grado, in linea con la sentenza conforme di primo grado, ha ritenuto del tutto logicamente capaci di sostenere la tesi degli imputati e, di conseguenza, la decisione di loro assoluzione (per l'inammissibilità di simili ragioni di censura, cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

Si è, infatti, adeguatamente argomentato, nelle due pronunce di merito, della plausibilità della ricostruzione delle prove, utili a determinare l'applicabilità della scriminante putativa in relazione alla condotta diffamatoria contestata, nonchè della comprensibile necessità di porgere vibrate rimostranze al Preside dell'istituto scolastico, esternate nella missiva oggetto della contestazione, da parte dei genitori degli alunni coinvolti, in qualche modo, dai comportamenti disdicevoli, concordemente attribuiti alla prof.ssa B.B. da più fonti.

Gli indizi messi in fila logicamente dalla sentenza impugnata si rivelano, invero, plausibili, univoci, concordanti: primo fra tutti, il ricordo di colleghi - insegnanti nella stessa scuola della docente "offesa" - i quali hanno, appunto, confermato di aver ricevuto diffusamente confidenze dagli alunni circa i comportamenti poco commendevoli della prof.ssa B.B. nei loro confronti, per come ricostruito dal Preside in un atto pubblico quale è la relazione del 17.3.2014.

E non assume rilievo, per escludere l'affidabilità dei contenuti di tale relazione, la circostanza che il dirigente scolastico, per comprensibili ragioni di riservatezza, anche a tutela dei minorenni coinvolti, non abbia fornito dettagli specifici sulle persone e le circostanze dalle quali ha tratto le informazioni.

Neppure rileva che la redazione di tale atto sia avvenuta dopo l'invio delle missive diffamatorie, avendo comunque il dato in sè della sua esistenza un significato di conforto alla tesi della verosimiglianza estrema delle doglianze nei confronti della docente, da parte dei genitori degli alunni che lamentavano di ricevere un trattamento non in linea con la buona educazione e la correttezza pedagogica.

2.2. Correttamente, pertanto, i giudici di merito, sulla base di tale tessuto di prova, hanno ritenuto sussistente la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, quantomeno putativo, discendente anche dall'esercizio del diritto-dovere genitoriale, esaminato, altresì, il contenuto della missiva, non denigratorio di per sè, ma esplicativo-rappresentativo delle ragioni, ovviamente concrete e dettagliate, per le quali, a tutela dei propri figli minori, i genitori interessati rappresentavano al dirigente scolastico la situazione denunciata loro dai ragazzi.

Il giudice di pace, in particolare, ha osservato che le espressioni ed i comportamenti attribuiti alla persona offesa nella missiva non rivelavano neppure un dolo diffamatorio, oltre ogni ragionevole dubbio, da parte degli autori dello scritto, ma solo la volontà di tutelare gli interessi dei figli minori, alunni della prof.ssa B.B., rivolgendosi al Preside, affinchè si interes Sas se della questione e vi ponesse rimedio.

Del resto, questa Corte ha affermato che gli argomenti che attacchino una persona screditandola a livello individuale, con espressioni denigratorie "ad hominem", non possono fondare la scriminante del diritto di critica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Simeone, Rv. 249239; Sez. 5, n. 38448 del 25/09/2001, Uccellobruno, Rv. 219998); viceversa, configurano la scriminante espressioni funzionali alla critica, dirette a persone con specifici poteri funzionali di intervento: Sez. 5, n. 38962 del 04/06/2013, Di Michele, Rv. 257759; Sez. 5, n. 32180 del 12/06/2009, Dragone, Rv. 244495), come avvenuto nel caso di specie.

3. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonchè, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.

3.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2023
Avv. Antonino Sugamele

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