Messina. Sorpreso da un carabiniere (libero dal servizio) mentre con un accendino stava dando fuoco a sterpaglie a margine della strada, con il chiaro intento di provocare un incendio che si era rivelato di rilevante vastità, avendo coinvolto un territorio di circa mq. 2.000, caratterizzato dalla presenza di sterpaglie, canneti e alberi che avevano reso difficoltoso l'intervento di spegnimento dei Vigili del Fuoco, protrattosi per circa un'ora. Condannato.
Corte di cassazione penale, sez. IV, 25 settembre 2023 n. 38910
ud. del 22 giugno 2023
Presidente Ciampi Francesco Maria; Estensore Ranaldi Alessandro; Ricorrente Omissis
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Con sentenza in data 1 febbraio 2023, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.G. è stato dichiarato responsabile del reato di incendio boschivo di cui all'art. 423-bis c.p. (fatto del (Omissis)).
2. Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore dell'imputato, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173 comma 1, disp. att. c.p.p.) quanto segue.
I) Violazione di legge e vizio della motivazione, per avere erroneamente ravvisato l'ipotesi di incendio boschivo nonostante il fuoco abbia interessato un territorio non vasto di circa 2.000 mq. e senza verificare la sussistenza dell'elemento psicologico del commesso reato.
II) Violazione di legge, in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di cui all'art. 337 c.p., essendosi il ricorrente limitato ad esercitare una resistenza passiva.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5. Il motivo sub I) reitera una censura già proposta in appello e non si confronta con l'esauriente motivazione della sentenza impugnata, la quale ha ampiamente dato conto della condotta del prevenuto, il quale era stato sorpreso da un carabiniere (libero dal servizio) mentre con un accendino stava dando fuoco a sterpaglie a margine della strada, con il chiaro intento di provocare un incendio che si era rivelato di rilevante vastità, avendo coinvolto un territorio di circa mq. 2.000, caratterizzato dalla presenza di sterpaglie, canneti e alberi che avevano reso difficoltoso l'intervento di spegnimento dei Vigili del Fuoco, protrattosi per circa un'ora. Trattasi indubbiamente di fatto sussumibile nell'ipotesi di cui all'art. 423-bis c.p., la quale può riferirsi anche ad estensioni di terreno a "boscaglia", "sterpaglia" e "macchia mediterranea", atteso che l'intento del legislatore è quello di dare tutela a entità naturalistiche indispensabili alla vita (cfr. Sez. I, n. 23411 del 24 marzo 2015, Rv. 263897 - 01).
Anche in ordine alla configurabilità del dolo i giudici territoriali hanno logicamente e congruamente motivato, avendo riscontrato che il C. era ben consapevole che la sua condotta di appiccare il fuoco con un accendino, accendendo ripetutamente delle sterpaglie in una giornata particolarmente ventosa, potesse provocare un incendio di tale vastità, non desistendo dalla sua azione neanche a seguito dell'intervento del militare che cercava di fermarlo. Tale valutazione non contrasta con la riconosciuta parziale incapacità di intendere e di volere dell'imputato, che opera sul diverso piano della imputabilità, mentre la colpevolezza, sul piano della coscienza e volontà del fatto, appare fondata sull'esame di solidi elementi fattuali, in nessun modo contrastati dalla difesa del ricorrente.
6. Il motivo sub II) prospetta una non consentita censura di merito, a fronte della logica e congrua ricostruzione del fatto operata dalla Corte territoriale, la quale ha precisato che l'imputato non si era limitato ad una resistenza passiva, ma aveva aggredito con spintoni il carabiniere, tale qualificatosi, mentre questi stava tentando di bloccare il C. e di sottrargli di mano l'accendino per impedire il proseguimento della sua azione delittuosa.
7. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
29-10-2023 10:06
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