Investimento pedone: il conducente può andare esente da responsabilità?
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21/04/2023) 27-09-2023, n. 39167
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -
Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -
Dott. NOCERA Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 12/07/2022 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA NOCERA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 12 luglio 2022 la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Sondrio, riduceva la pena irrogata a A.A. per il reato di cui all'art. 590-bis, comma 1, c.p. e la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.
1.1. Alla imputata era contestato di avere cagionato, in data (Omissis), lesioni personali gravi a B.B., per colpa, consistita in imprudenza, negligenza e imperizia e nella violazione delle norme sulla circolazione stradale, per avere alla guida dell'autovettura Subaru XV tg. (Omissis), investito il predetto B.B. mentre era intento ad attraversare la carreggiata sulle strisce pedonali, da destro verso sinistra, urtandolo con lo specchietto laterale sinistro e con il fianco del veicolo, così da provocarne la caduta al suolo.
2. Avverso la sentenza, propone ricorso la A.A., a mezzo del proprio difensore di fiducia, con un unico articolato motivo, con cui deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale della sentenza impugnata.
Evidenzia che la Corte d'appello di Milano ha espresso il giudizio di responsabilità a carico della A.A. senza indicare la norma cautelare violata, assumendo di contro la correttezza del comportamento tenuto alla guida del veicolo, e omettendo di considerare se la condotta tenuta dalla vittima fosse rispondenti: agli obblighi comportamentali previsti per i pedoni a norma dell'art. 190 C.d.S..
Sostiene la difesa che, con l'atto di appello, aveva censurato l'omessa valutazione da parte del Tribunale monocratico, della imprevedibilità della condotta della vittima, connotata da illegittimità per contrasto con le norme cogenti e, quindi, tale da elidere il nesso di causalità tra la condotta di guida della A.A. e l'investimento.
2.1. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Con l'unico motivo di ricorso proposto la difesa tende a sostenere una diversa lettura delle emergenze istruttorie e una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte distrettuale, operazione non è consentita in questa sede, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali.
Peraltro, la sentenza impugnata fa corretta applicazione dei principi di diritto applicabili in subiecta materia. Come è noto, le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell'art. 140 Cod. strada, che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle stabilite nell'art. 191 Cod. stradà, che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 Cod. strada, che, a sua volta, stabilisce le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.
In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell'"obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine di "avvistare" il pedone in modo tale da poter porre in essere i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali che consistono:
- nell'ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare;
- nel mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico;
- nel prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni). Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone dovuti ad imprudenza o alla violazione degli obblighi comportamentali specifici, dettati dal citato art. 190 Cod. strada.
Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, solo se la condotta di quest'ultimo si configuri come una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p. (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Rv. 255995-01). Ciò che può ritenersi, solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di "avvistare" il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l'incidente potrebbe ricondursi, eziologicamente, alla condotta del pedone, avulsa del tutto dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest'ultima.
Più di recente, in tema di circolazione stradale, si è affermato che il conducente di un veicolo è tenuto ad osservare, in prossimità degli attraversamenti pedonali, la massima prudenza e a mantenere una velocità particolarmente moderata, tale da consentire l'esercizio del diritto di precedenza, spettante in ogni caso al pedone che attraversi la carreggiata nella zona delle strisce zebrate, essendo al riguardo ininfluente che l'attraversamento avvenga sulle dette strisce o nelle vicinanze (Sez. 4, n. 47204 del 14/11/2019, Sapienza Francesca, Rv. 277703 - 01; Sez. 4, n. 4729 del 09/10/2014, S., Rv. 261073 - 01).
2.1. L'ipotesi di un comportamento avventato della persona offesa è stata ragionevolmente esclusa dalla Corte distrettuale, alla luce delle circostanze dell'investimento pedonale. Infatti, l'investimento pedonale è avvenuto in una via del centro cittadino e in orario lavorativo, presumibilmente dovuto alla presenza della vittima in una zona d'ombra e nel cd. angolo cieco al momento dell'impatto, nonchè all'ingombro della visuale dovuto alla presenza di un altro veicolo che si era opportunamente fermato per consentire l'attraversamento al pedone, circostanze sulle quali la Corte di merito ha fondato la dichiarazione di responsabilità dell'imputata, richiamando il particolare dovere di attenzione e cautela imposto al conducente in prossimità delle strisce zebrate.
2.2. Con tali elementi la difesa omette di confrontarsi, non indicando quale sia il possibile profilo di responsabilità del pedone o il comportamento anomalo causativo del sinistro, limitandosi a dedurre genericamente che l'imputata ha rispettato tutte le regole cautelari e le norme in tema di circolazione stradale imposte dalle circostanze concrete.
3. La manifesta infondatezza dell'unico motivo di ricorso rende irrilevante ne caso di specie, al circostanza che, all'epoca dei fatti, il reato di cui all'art. 590-bis c.p. era procedibile d'ufficio.
Infatti, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150 (come modificato dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199 di conversione del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162), quando - come nel caso di specie - non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall'art. 590-bis, commi 2 e ss., il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime è procedibile a querela, ma tale modifica normativa non rileva nel presente procedimento.
3.1. L'art. 85 del D.Lgs. n. 150/2022, nel dettare disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, ha stabilito che "per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato".
Ad avviso del Collegio, pur in assenza di querela della persona offesa, il ricorso può essere deciso senza aspettare che siano decorsi tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (30 dicembre 2022) e a prescindere dal fatto che vittima del sinistro formuli richiesta di punizione. Trova, infatti, applicazione il principio che fu affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del D.Lgs. n. 10 aprile 2018, n. 36. La disciplina transitoria prevedeva, in quel caso 4 (art. 12 comma 2 D.Lgs. n. 36/18), che dovesse essere dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e il Supremo collegio ritenne che questo avviso non dovesse essere dato, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, in casi di inammissibilità del ricorso (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551). Fu rilevato, facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni del supremo Collegio (in particolare Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819), "che l'art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, cioè, per quanto qui interessa, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione" (così testualmente pag. 15 della motivazione). L'argomentazione si attaglia perfettamente anche al caso in esame. Consente, infatti, di escludere che il procedimento sia "pendente" in presenza di un ricorso inammissibile.
Come sottolineato anche dalla sentenza n. 12602/2015, Ricci, tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU. E' onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l'equità o la razionalità del processo. La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dalla "abolitio criminis" e la giurisprudenza ha costantemente escluso che il giudice dell'esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità (in tal senso, da ultimo: Sez. 1, n. 1628 del 03/12/2019, dep. 2020, Cela, Rv. 277925; sull'argomento anche: Sez. 2, n. 14987 del 09/01/2020, Pravadelli, Rv. 279197).
Come opportunamente sottolineato dalla sentenza n. 40150/2018, Salatino, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (cfr. Sez. 6, n. 44774 del 08/10/2015, Raggi, Rv. 265343) e ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (cfr. Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, S., Rv. 248568), sicchè non può dirsi che la a declaratoria di inammissibilità sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (in tal senso Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551, pag. 16 della motivazione). Questa Corte di legittimità del resto ha già avuto modo di sottolineare, con riferimento alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150 in tema di procedibilità a querela di taluni reati, che nel giudizio di legittimità, l'inammissibilità del ricorso, impedendo la costituzione del rapporto processuale, preclude la considerazione della mancata proposizione della querela in relazione a reati per i quali sia stata introdotta, nelle more del ricorso, tale forma di procedibilità, sicchè non è necessario attendere il decorso del termine di tre mesi dall'entrata in vigore del citato D.Lgs. n. per l'eventuale esercizio dell'istanza punitiva (Sez. 4, n. 2658 del 11/01/2023, Saitta, Rv. 284155 - 01).
4. Il ricorso è, pertanto, inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma, equitativamente determinata in Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2023
07-10-2023 05:30
Richiedi una Consulenza