Obbliga la consorte a indossare il velo islamico: è maltrattamento
Tribunale Lecce Sez. II, Sent., 23-02-2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI LECCE
Seconda Sezione Penale
Il Giudice Dott.ssa Mariano Malia Francesca alla pubblica udienza del 23/02/2022 ha pronunciato con la sentenza
SENTENZA
MOTIVAZIONE CONTESTUALE
Nei confronti di
E.A. , nato in X , il /(...), residente a X Vic X libero presente.
Difeso di fiducia dall' Avv. Simone Viva presente del foro di Lecce P.C Haidine Sanaa assente, difeso dall' Avv. Anna Schiavano presente
IMPUTATO
VEDI ALLEGATO
IMPUTATO
per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, aggravato, p. e p. dall'art. 572 comma i e 2 c.p., perché, versando in uno stato di dipendenza da sostanze alcoliche ovvero stupefacenti, con condotte vessatorie, violente ed aggressive, ed anche lesive dell'integrità psichica e morale, maltrattava in maniera periodica e continuativa la moglie convivente H.S. , anche durante il periodo di gravidanza, così da creare un clima di ansia e sgomento fra le mura domestiche incompatibile con le normali condizioni di tranquillità. La ingiuriava e la percuotevo frequentemente con schiaffi, calci e pugni, procurandole ematomi anche sul volto e sulle braccia, le faceva mancare i mezzi minimali di sussistenza, lu umiliava in presenza di altre persone. Inoltre il (...) e (...) settembre 2019, nonostante la donna si trovasse in stato ti gravidanza, la percuoteva al punto di costringerla a sottoporsi alle cure del pronto soccorso a causa delle lesioni riportate e del rischio di aborto che le aveva provocato con siffatte condotte violente. In una circostanza dell'autunno 2019, la minacciava persino con un coltello che le puntava alla pancia dicendole "te lo infilo nella pancia ... ti uccido... uccido te e il tuo bambino... " per poi afferrarla violentemente per la gola e trascinarla sul pavimento fino a provocane una sensazione di svenimento.
Con l'aggravante di aver commesso il fatto contro donna in stato di gravidanza.
Commesso in x .fino al x 2019
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con decreto del 28 gennaio 2021 E.N. veniva rinviato a giudizio davanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato ascrittogli.
Il processo veniva trattato nelle udienze del 9/4/2021, del 16/4/2021, 15/10/2021 da altro Giudice.
Assegnato tabellarmente a questo Giudice, all'udienza del 22 novembre 2021, in presenza dell'imputato, assistito dal Difensore di fiducia, ed in presenza della Parte Civile H.S. , rappresentata dal suo
Difensore, venivano invitate le Parti a formulare le rispettive richieste di prova e il Tribunale ammetteva le stesse come da relativa ordinanza, richiamando quella già resa da altro Giudice all'udienza del 16/4/2021 attesa l'identità delle stesse.
Quindi, essendo presenti venivano esaminate la persona offesa ed i testi E.N. e L.V..
All'udienza del 22 dicembre 2021 l'imputato si sottoponeva ad esame.
All'udienza del 23 febbraio 2022 quindi veniva esaminato il teste della Difesa H.H. e l'imputtao chiedeva di rendere spontanee dichiarazioni.
All'esito, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, il Tribunale si ritirava in camera di consiglio pronunciando la seguente sentenza.
H.S. ha dichiarato quanto segue.
La giovane donna marocchina, nata in Italia con cittadinanza italiana, aveva conosciuto l'imputato tre anni prima ed aveva contratto con lui matrimonio il 15 giugno 2019. Quando i due si erano incontrati l'imputato camminava con le stampelle, poiché aveva avuto un incidente stradale in quanto guidava ubriaco. Tuttavia l'aveva rassicurata dicendole che aveva smesso di assumere alcolici. La persona offesa si è espressa in questi termini: " io mi sono affidata a lui da...cioè con ingenuità, perché io comunque devo ricordare che ho solo 20 anni e lui ne ha 30, quindi io sono molto ingenua ed anche sensibile e lui ne ha approfittato assai di questa situazione. Mi ha veramente...psicologicamente mi ha devastata, io per riprendermi dopo ci ho messo veramente tanto". Dall'unione era nato un bambino. La signora lavorava come cameriera in un locale e l'imputato attualmente lavora in fabbrica. All'inizio del matrimonio la coppia abitava con i genitori di lei ed in quel periodo il marito di comportava bene. Lui stesso aveva insistito per avere un figlio. E lei era rimasta incinta prima del matrimonio. Ma quando la gravidanza era giunta intorno al sesto mese egli aveva iniziato a bere "si è rivelata un'altra persona", aveva cominciato a picchiare la moglie, assumendo comportamenti devastanti sul piano fisico e su quello psicologico. La persona offesa ha precisato che la situazione peggiorò dal terzo, quarto mese di gravidanza, quando la coppia lasciò la casa dei suoi genitori per vivere da sola in un appartamento a X in provincia di X.
La teste ha spiegato che il marito prima beveva fuori casa, poi aveva iniziato a bere anche in casa e quando lei gli chiedeva perché lo facesse "si incazzava, alzava le mani, era diventata veramente una situazione incontrollabile, anche davanti alla madre, che non diceva niente, pensa un po'". L'imputato proibiva anche alla moglie di uscire da casa da sola in sua assenza, altrimenti si arrabbiava. Durante la gravidanza le aveva puntato contro un coltello che avevano in cucina. Alla domanda del Tribunale perché il marito le avesse puntato il coltello la persona offesa ha risposto così; "Lui era ubriaco -innanzitutto questo era l'ultimo episodio- mi ha sbattuta fuori, togliendomi la maglietta, che si era arrabbiato così tanto che mi tirava i vestiti, mi ha sbattuto a terra, mi ha presa a calci, con le mani sulla gola, mi ha dato ano schiaffo dove ho sentito il timpano che ha fatto un suono che veramente non glielo dico neanche, cioè glielo sto raccontando, veramente, e solo che glielo dico mi viene la pelle d'oca! Mi ha puntato il coltello e ha detto: 'Uccido a te e al bambino Poi io non so questo che padre vuole essere per un bambino! Io ho vent'anni, però non vorrei mai che mio figlio vedesse una scena del genere, non vorrei mai che mio figlio conoscesse la cattiveria che ho visto io, non lo permetterei mai! Infatti io mi impunto perché lui non deve vedere mio figlio assolutamente! Io mi sbatto, lavoro dalla mattina alla sera, l'asilo lo pago Euro 500 per dargli un'educazione, per dargli i giusti principi e valori che deve avere un essere umano e non un animale, veramente!".
La persona offesa ha riferito che mentre lei era cittadina italiana il marito era marocchino venuto in Italia solo per lavoro e destinatario di un foglio di via "che poteva essere sbloccato solo col matrimonio". La teste ha aggiunto "io mi sono sentita così usata in quel momento che non glielo dico neanche".
Ha poi aggiunto circa il divieto di uscire da casa: "...mi diceva che non pulivo mai casa, che non facevo mai niente, però, io le chiedo, una donna incinta, che ogni passo vomitava, perché stava malissimo, come fa a fare dei servizi". La persona offesa ha raccontato l'episodio in cui aveva chiesto al marito di comprarle delle patatine, le aveva prese, gettate per terra e schiacciate davanti a tutta la piazza con i piedi trascinandola a casa. La signora ha detto: "Io non sono mai stata umiliata in giro, i miei genitori sono delle persone che non mi hanno mai alzato le mani, non ho mai conosciuto la violenza e subire tutto ciò è stata una cosa che ci sono voluti due anni per sorpassarla!". Ha aggiunto che l'uomo l'aveva obbligata ad indossare il velo islamico, ed al suo rifiuto, glielo aveva strappato di dosso per strada, le aveva tolto i vestiti e sempre per strada la prendeva a schiaffi.
A causa delle continue percosse più volte si era recata in ospedale ed era stata refertata.
Quando arrivò il tempo di partorire chiese di andare a casa dei suoi genitori di nuovo. Il cognato e la suocera l'accompagnarono a prendere il pullman per X (città in cui vivevano i suoi) ed anche il marito era presente. Non aveva preso alcun vestito. Giunta a casa dei genitori per la prima volta aveva confidato loro quale fosse stata la sua vita coniugale con il marito nella loro casa leccese e i genitori le avevano detto di non tornare più da lui. I suoi genitori già avevano visto il marito ubriaco in occasione di un episodio verificatosi nel mese di ottobre del 2019, dopo il loro matrimonio. Tramite un amico di suo padre, il marito era stato assunto in prova presso un forno a X . Ma alle due di notte il titolare telefonò a suo padre dicendogli di andare a prendere il genero che era incosciente, casomai si faceva del male. Infatti il marito stava malissimo, aveva dormito molto tempo ed in tasca gli avevano trovato l'erba per fare le canne. Quando si era svegliato aveva chiesto il certificato di nascita del figlio per regolarizzare la sua posizione in Italia. La persona offesa ha sottolineato come lui non avesse mai detto che ci teneva al figlio, che gli voleva bene, né le aveva mai dato del denaro per il suo mantenimento. Gli servivano solo i documenti: il certificato di nascita e lo stato di famiglia.
E.N. , madre di S , ha dichiarato che all'inizio del rapporto tra sua figlia e il genero era tutto normale, e nulla c'era che potesse destare il suo allarme. In una sola occasione aveva visto l'uomo sputare in faccia e sua figlia ed aveva chiesto il motivo, sebbene dopo fossero "usciti altri problemi". Gli altri problemi sorsero quando il datore di lavoro dell'uomo chiamò suo marito perché lo andasse a prendere e i suoceri videro il giovane in uno stato di grande compromissione fisica. Lo pollarono in un altro alloggio perché la figlia non vedesse in che condizioni versasse e rimase in quello stato tre giorni. Il tribunale ha chiesto alla teste cosa avesse reso incosciente l'imputato per ben tre giorni, tempo troppo lungo per smaltire una sbornia; ma la teste ha risposto che non sapeva cosa egli avesse assunto. A quel punto lei stessa aveva detto alla figlia che se intendeva restare con quell'uomo dovevano andare ad abitare per conto loro perché lei non intendeva tenerlo in casa con sé. In seguito, quando la coppia si era trasferita a X , in provincia di X , aveva appreso dei maltrattamenti, cioè che il genero picchiava con calci e pugni sua figlia, che la strattonava per strada strappandole i giubbotti e che per le sue percosse era finita più volte in ospedale in stato di incoscienza. Sul piano economico fu lei ad inviare tremite postepay alla figlia 100 Euro per la visita ginecologica ed ogni tanto 20 Euro perché facesse la spesa. Per alcuni giorni la coppia tornò a X in casa loro ed in un'occasione lei vide il genero sputare la figlia e lei con lividi sul collo e sul braccio. Ma in quell'occasione la figlia le aveva riferito di essersi alzata così dal sonno.
L'appuntato scelto L.V. in servizio presso il Nucleo radiomobile di X , ha dichiarato di essere intervenuto in ospedale il X 2019 su richiesta della dottoressa del reparto di Ginecologia perché era giunta una ragazza con presunte minacce d'aborto, che presentava macchie di sangue sui pantaloni e lividi sugli avambracci. La ragazza, stesa sul lettino, aveva detto loro che prima a casa si era sentita male in bagno e la suocera per sorreggerla le aveva procurato quei lividi. Ha aggiunto che le era uscito sangue dal naso che aveva prodotto quelle macchie. La dottoressa B aveva assicurato che quel sangue non derivava dalla visita effettuata. La ragazza aveva dichiarato di non essere stata picchiata da nessuno. Ma erano presenti la suocera e il cognato se ne era appena andato via.
Veniva acquisita l'annotazione di P.G. a firma del teste, con rinuncia all'esame del collega appuntato C.R. e revoca dell'ordinanza ammissiva delle prove sul punto. Nell'annotazione resa il X 2019 attestante i fatti accaduti giorno 29 la situazione descritta è quella di cui alla testimonianza in oggetto.
Ciò posto la parola della persona offesa deve essere ritenuta assolutamente credibile.
S ha parlato in aula fronteggiando l'imputato che la fissava negli occhi in piedi di fronte a lei dalla parte del pubblico, senza retrocedere mai.
Ha esposto i fatti in modo accorato, con un dire talmente pulito ed efficace che in taluni tratti è stato virgolettato perché nel riassumere poteva perdere di incisività e vividezza. Non ha nascosto di aver sposato l'imputato per amore e di essere restata incinta prima del matrimonio, circostanza disdicevole nella cultura musulmana. Ma ha riferito di essere cittadina italiana, figlia di marocchini emigrati cd è comparsa vestita in pantaloni con i capelli sciolti, mentre la madre portava il velo sulla testa. Aveva studiato in Italia ed era stata educata secondo i principi democratici del paese ospitante, che ormai è il suo Paese, coniugando la fede islamica della famiglia con la cultura occidentale in un equilibrio fatto di dignità e rispetto dell'altro, aiutata da genitori saggi ed avveduti. Su tale struttura personologica si è imbattuto l'imputato, marocchino giunto in Italia solo per lavoro, che aveva sposato la giovanissima donna, di dieci anni più giovane, ragionevolmente a fini di cittadinanza. Ciò spiega la fretta di avere un figlio e così di sposarsi, nella certezza di un assenso da parte della ragazza rimasta incinta che gli garantiva il lasciapassare europeo. Ciò spiega anche la buona condotta assunta nel periodo in cui la coppia abitava in casa dei suoceri, dove c'era il controllo e la supervisione di genitori adulti ben inseriti nella società civile e che gli avevano anche procurato un lavoro onesto in un forno. Possibilità bruciata dal prevenuto con l'episodio dell'ubriacatura che lo ridusse inerme per tre giorni, ragionevolmente affiancata all'assunzione di stupefacenti trovati in tasca. Circostanza che indusse quei genitori a chiedere l'allontanamento della coppia da casa, lasciando la figlia libera di scegliere cosa fare, figlia che, però, portava in grembo un bambino di quell'uomo che seguì a X dove c'era il lavoro in fabbrica. E la persona offesa ha raccontato come quel marito perfetto si fosse completamente trasformato in un uomo che beveva, dentro e fuori casa, nell'indifferenza della sua famiglia d'origine che non interveniva in nessun modo; e che la picchiava in privato e in pubblico, umiliandola perfino per strada, che la chiudeva; che tentò di imporle il velo islamico; e che fini con il puntarle un coltello in pancia mentre era gravida.
Tale narrato, intrinsecamente attendibile perché descritto con verità, emotività ed enorme dolore, trova sostegno in quanto riferito dalla madre della vittima. Costei, lungi dal rendere dichiarazioni adesive alla figlia aprioristicamente, ha prima parlato di un matrimonio normale, poi di come piano piano fosse emersa la verità sulla condotta dell'uomo, prima allontanato dopo l'episodio del forno, poi ripreso per qualche giorno in casa fino a scoprile cosa facesse alla giovanissima figlia, raccolta al termine della gravidanza in condizioni pessime.
Ed è sostenuta anche dalla parola dei militari intervenuti in ospedale. L'affermazione della vittima di non essere stata picchiata nonostante le perplessità della dottoressa che chiamò i carabinieri, si spiega per la presenza della suocera e del cognato e per l'assenza colpevole del marito: tutti chiari indici di come fosse stata costretta al mendacio per le circostanze.
E' sostenuta ancora dai referti medici: quello del X /2019 tracce di sangue su mani e pantaloni non appartenenti alla paziente, nonché di lividi ed ecchimosi sulle braccia, collo e viso; quello del X /2019 in cui si attesta episodio lipotimico con cardiopalmo riferite algie pelviche in paziente gravida al quarto mese, tutti dell'ospedale X.
La tesi difensiva per la quale il primo certificato attenesse a lesioni occasionali causate dalla suocera nel soccorrere la nuora e il secondo a problematiche da gravidanza, non rende onore al vero, poiché tali situazioni cliniche vanno rapportate al contesto in cui si svolgeva la vita coniugale, reso doloroso ad asfissiante dalla violenza dell'uomo e non possono essere valutali isolatamente offrendo a quanto in esso attestato a tutti i costi una lettura difensiva.
Ciò posto va premesso che il reato di maltrattamenti in famiglia, in quanto reato abituale proprio sorretto da dolo generico, è integrato da continue vessazioni, reiterate nel tempo e con nesso di abitualità, tali da impone un vero e proprio sistema di sofferenze. In particolare lo straniero imputato di un delitto contro la persona o la famiglia non potrà invocare le differenze culturali e religiose per scriminare comportamenti compatibili con il diritto italiano perché ha scelto di vivere in Italia, dove assume centralità il rispetto della persona umana ai sensi dell'art. 3 Cost, affinchè sia consentita l'instaurazione di una società civile multietnica. In particolare il reato in esame non può essere escluso dalla circostanza che il reo sia di religione musulmana e rivendichi, per ciò, particolari potestà quale capo del proprio nucleo familiare, in quanto trattasi di concezioni che si pongono in assoluto contrasto con le norme cardine che informano e stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano e della regolamentazione concreta dei rapporti interpersonali. In sostanza chi trasferisce la propria residenza in un Paese estero con pretese di cittadinanza, magari per affrancarsi da condizioni originarie di povertà o persecuzione, deve sapere che dovrà rispettare la legge del popolo di arrivo e non potrà in nessun modo ipotizzare di comportarsi come le leggi o gli usi e le consuetudini dello Stato di origine consentivano, tantomeno per ragioni religiose in un luogo dove è riconosciuta la libertà di culto. Pertanto l'imposizione del velo islamico ad una sposa nata e cresciuta in un Paese democratico è maltrattamento; strattonare la donna per strada, colpirla con calci e pugni fuori e dentro l'abitazione, umiliarla calpestando le patatine comprate, è maltrattamento; tentare di colpirla con il pugnale è maltrattamento. Insomma ogni condotta di predominio violento, fisico e morale sulla propria moglie, persona libera ed uguale nei diritto italiano, costituisce reato indipendentemente da quale sia il credo personale o religioso del marito. E se questa condotta viene tenuta con armi verso una moglie incinta, il reato di maltrattamento è aggravato senza dubbio. Perché la vittima è soggetto vulnerabile per la condizione fisica delicatissima in cui verte, ed è sovraesposta essendo disarmata davanti ad un'arma di punta e taglio idonea a ledere ed anche ad uccidere. Non c'è dubbio che S sia stata gravemente vessata dall'uomo che ha sposato, sia sul piano fisico, sia su quello psicologico, in forma continua e grave, in un'età di inesperienza della durezza della vita, come unica risorsa per reagire la propria intelligenza e la robusta struttura morale di cui è risultata dotata. Reazione pervenuta in tempo prima che la vicenda prendesse pieghe peggiorative.
Rispetto a tali valutazioni le dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame assurgono a mero contenuto difensivo.
Egli, in sostanza, ha affermato che tutto ciò che ha dichiarato la moglie era falso, adducendo come prova di ciò il fatto che esisteva un provvedimento del Presidente del Tribunale di Matera che autorizzava i coniugi a vivere separati (prodotto dalla Parte Civile) con condanna del marito a versare mensilmente Euro 350 per il mantenimento di moglie e figlio, sicchè falsamente la signora avrebbe negato di essere mantenuta da lui. Ancora ha spiegato i lividi della moglie il giorno del suo ricovero a causa dell'aiuto prestatogli dalla madre in bagno che involontariamente le aveva fatto male e di averla accompagnata lui stesso dopo a prendere l'autobus per andare dai suoi. In sintesi ha attribuito le dichiarazioni della moglie al fatto che la stessa era scappata da casa con un giovane marocchino prima del loro fidanzamento, poi quel rapporto si era interrotto e si era fidanzata con lui che era cugino della stessa famiglia, e non un estraneo conosciuto su Facebook. Ha aggiunto che il figlio non era suo e che quel primo fidanzato gli aveva detto di esserne il padre e che la moglie aveva avviato il processo penale perché voleva tomaie con l'altro.
Trattasi di un susseguirsi di illogicità. Va in primo luogo osservato che nella cultura di provenienza di imputato e persona offesa non sono inconsueti matrimoni tra consanguinei, sicché, ammesso che sussista tale parentela, non è neppure strano che la conoscenza tra i due sia avvenuta su facebook posto che la ragazza era nata e cresciuta in Italia e l'imputato in Marocco, al di là della parentela. Quindi la censura difensiva di inattendibilità della persona offesa per aver dichiarato di aver conosciuto il marito due anni prima del matrimonio su facebook omettendo di indicare la parentela è priva di fondamento. Infatti anche la madre dell'imputato ha affermato che la famiglia della nuora viveva in Italia mentre loro vi erano giunti da cinque anni (rispetto alla data dell'udienza in cui ha deposto ovvero il 23/2/2022). Nulla di strano che la ragazza nata a X il X /2001 e cresciuta in Italia avesse conosciuto solo su facebook il marito con cui aveva un lontano rapporto di parentela.
In secondo luogo in tale cultura una donna fuggita con un uomo non avrebbe facilmente potuto avere un diverso marito e avrebbe dovuto necessariamente unirsi all'uomo con cui era fuggita; figuriamoci ritornare con lui dopo le nozze con un secondo uomo. Ma ammesso così fosse, una ragazza emancipata e che aveva studiato, sostenuta dai suoi genitori, avrebbe potuto divorziare, e non certo avviare un processo penale nel quale lei stessa avrebbe dovuto testimoniare esponendosi a conseguenze legali in caso di mendacio. Infine vi è una fortissima contraddizione tra l'affermazione dell'imputato di voler vedere un figlio di cui sapeva il nome solo perché gli era stato riferito, che gli era impedito di conoscere e frequentare, affermando, poi, che quello stesso figlio era di un altro uomo, cosa che avrebbe dovuto indurlo a disinteressarsi del bambino. Ed ancora che la statuizione in sede civile dell'obbligo di mantenimento non significa versamento reale e concreto dell'importo ivi stabilito.
Pertanto la censura difensiva in merito all'inattendibilità della persona offesa perché mossa da astio verso un uomo di cui si voleva liberare è del tutto priva di fondamento.
Allo stesso modo non è aderente al vero la contraddizione evidenziata dalla Difesa circa il momento in cui iniziarono i maltrattamenti, collocati in tre momenti diversi dalla vittima. Al di là del dato cronologico stringente, resta il fatto che furono plurimi gli episodi gravi in cui in un lasso di tempo apprezzabile il maltrattamento si manifestò, tanto da indurre i suoceri a chiedere alla figlia di andare via da casa con il marito se intendeva restale con lui, cosa che la coppia fece, nella speranza di un cambiamento da parte della moglie gravida di un bambino. Sul punto l'insistenza, poco elegante, circa una diversa paternità di quel figlio non sposta comunque in nulla l'esistenza degli estremi del reato per cui si procede, da parte di una ragazza che soggiogata era, tanto da aver subito fin troppo prima di determinarsi a sporgere denuncia.
In questo scenario processuale che ha visto fronteggiarsi la persona offesa con la madre da un lato e l'imputato con sua madre dall'altro, si pone la testimonianza di quest'ultima H.H. , che ha cercato di rendere dichiarazioni favorevoli al figlio, presentato come un uomo che mai aveva nuociuto a sua moglie, figlia di un nipote della teste; cui lei stessa aveva procurato dei lividi per soccorrerla in bagno e che aveva sporcato di sangue che le usciva dal naso soffrendo di pressione alta. Ma proprio H.H.
ha precisato che la sua famiglia era da poco in Italia mentre quella della nuora era stabilmente in Italia da sempre, e dunque a creare quel divario di distanza tale da rendere il parente un estraneo passibile di conoscenza online più che personale. In ogni caso la donna ha parlato in modo accorato nell'ovvio atteggiamento di una madre che cerca di scagionare il figlio, in un contesto culturale in cui la sposa è oggetto di proprietà della famiglia del marito, cui tutto è consentito, che mal si addiceva ad una donna nata e cresciuta nel diverso contesto occidentale.
Pertanto il prevenuto deve essere ritenuto responsabile del reato ascrittogli oltre ogni ragionevole dubbio.
Tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p. si può determinare la pena da infliggere all'imputato.
L'intensità del dolo che ha sorretto la condotta è notevole, avendo il prevenuto per un notevole lasso di tempo vessato la vittima sia sul piano psichico che su quello fisico in modo spregevole, anche mentre attendeva suo figlio.
Dunque il Tribunale stima pena congrua quella di anni cinque di reclusione (anni tre mesi sei di reclusione, partendo la pena base da un minimo di sei mesi superiore a quello edittale per la brutalità della condotta in esame, aumentata del doppio per le aggravanti elevate).
La condanna al pagamento delle spese processuali segue come per legge.
Il prevenuto non può usufruire delle circostanze attenuanti generiche.
L'orientamento nomofilattico ha di recente ribadito come la valutazione riguardo alla concessione delle generiche esprima un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, purchè il Tribunale motivi riguardo agli elementi di cui all'art. 133 c.p. ritenuti preponderanti; in particolare non può essere apprezzato esclusivamente lo stato di totale incensuratezza che di per sè solo non rileva e comunque retrocede rispetto ad ulteriori elementi di valutazione, quale le modalità della condotta criminosa. Di recente la Suprema Corte ha precisato che le circostanze attenuanti generiche non si possono presumere e devono essere giustificate da elementi positivi (Sez. III n. 2207/2020).
II prevenuto non può usufruire delle circostanze attenuanti generiche atteso il comportamento tenuto privo di qualsiasi profilo di meritevolezza.
Ai sensi degli artt. 29 e 32 c.p., in ragione dell'entità della pena, il prevenuto deve essere dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale per la durata della pena.
Essendo intervenuta condanna consegue anche il risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in Euro 50.000,00 oltre interessi legali fino al soddisfo, con rifusione delle spese dalla stessa sostenute di costituzione ed assistenza liquidate come da dispositivo. L'ammontare del risarcimento tiene conto del disagio materiale sopportato dalla vittima nell'essere costretta a mantenere da sola, con il proprio lavoro di cameriera un piccolo bambino bisognoso di tutto, voluto dal coniuge maltrattatore; nonché delle gravi sofferenze fisiche subite a causa delle percosse con continui ricorsi alle cure ospedaliere e minaccia di aborto; ed anche della devastazione psicologica sopportata alla sola età di venti anni per vedersi così vessata ed umiliata da un uomo che avrebbe dovuto rispettarla e proteggerla, recuperando a fatica l'equilibrio emotivo compromesso a causa della condotta illecita altrui.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533-535 c.p.p;
dichiara E.N. colpevole del reato ascritto e lo condanna alla pena di anni cinque di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 29 e 32 c.p.;
dichiara l'imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale per la durata della pena.
Visti gli artt. 538 e seg. cp.p.;
condanna l'imputato al risarcimento dei danni sofferti dalla Parte Civile H.S. , che liquida in Euro 50.000,00, nonché alla rifusione delle spese di costituzione ed assistenza dalla stessa sostenute che si liquidano in Euro 960.00 oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Lecce, il 23 febbraio 2022.
Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2022.
08-04-2022 03:16
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