La violazione dell'obbligo di astensione del funzionario pubblico integra il reato di abuso di ufficio
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20/07/2022) 21-10-2022, n. 40035
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -
Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
Dott. VIGNA Maria S. - rel. Consigliere -
Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere -
Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 02/12/2021 della Corte di appello di Reggio Calabria;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VIGNA Maria Sabina;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lori Perla, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione e la salvezza delle statuizioni civili.
Udito il difensore, avvocato Giovanni Passalacqua sostituto processuale dell'avv. Luigi Bulzomì, in difesa della parte civile B.B., che si è riportato alla memoria depositata e ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito l'avvocato Rocco Domenico Ceravolo, in difesa di A.A., che si è riportato ai motivi di ricorso.
Udito l'avvocato Alessandro Diddi in difesa di A.A. che si è riportato ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa il 9 ottobre 2019 dal Tribunale di Palmi, che condannava A.A. alla pena di mesi dieci di reclusione in relazione al reato di abuso di ufficio.
Si contesta all'imputato, nella qualità di dipendente del Comune di Laureana di Borrello, responsabile dell'area vigilanza, nonchè responsabile del procedimento amministrativo avente ad oggetto il rilascio della autorizzazione petrolifera richiesta dalla Tamoil Italia Spa e finalizzata alla modifica dell'impianto di distribuzione carburanti Tamoil, sito in (Omissis), nella quale era previsto il potenziamento dell'impianto esistente e la installazione dell'impianto self service:
- di non essersi astenuto dal citato procedimento, pure in presenza di un interesse proprio e di un prossimo congiunto, essendo A.A. socio accomandante della società C.C. Sas di C.C. & C., nella quale il padre e il fratello erano soci accomandatari, avente ad oggetto, tra l'altro, la vendita e la distribuzione al pubblico di carburanti con un impianto proprio in (Omissis);
- di avere violato le norme contenute nei decreti L. n. 112 del 2008, n. 98 del 2011 e n. 1 del 2012 rifiutandosi di rilasciare, in data 30/08/2013, la richiesta autorizzazione, facendo riferimento al Piano comunale carburanti del 2004 che vietava la costruzione di self service nel centro storico della città, in quanto opera di potenziamento, violando una puntuale normativa primaria (D.L. n. 98 del 2011) che imponeva a tutti i distributori esistenti sul territorio nazionale di dotarsi di erogatore self service, violando la circolare della Regione Calabria del 2004 che puntualizzava che l'installazione di self service non era più da considerarsi potenziamento, ma modifica, nonchè la circolare della Regione Calabria del 2009 che sanciva espressamente che le disposizioni regionali degli enti locali, qualora contenenti vincoli e restrizioni all'accesso e all'esercizio per l'attività di distribuzione carburanti, dovevano essere disapplicate ove in contrasto con le disposizioni nazionali sopravvenute.
Tenendo tali condotte, l'imputato procurava a se stesso e ai congiunti un ingiusto vantaggio patrimoniale costituito da maggiori introiti economici per la società in accomandita semplice C.C. & C., derivanti dalla circostanza che la predetta si ritrovava ad esercitare l'attività di distribuzione dei carburanti nel territorio di (Omissis) a condizioni più favorevoli, potendo erogare carburante in via esclusiva, anche in orario di chiusura dell'impianto, essendo dotata di impianto self service, con correlativo danno ingiusto alla società Tamoil Italia Spa e a B.B..
I fatti sono contestati almeno fino al 30 giugno 2014, allorchè A.A. sebbene il 24 febbraio 2014 si fosse apparentemente spogliato "per opportunità" della procedura, rimettendo gli atti al Sindaco senza dichiarazione di astensione e dei relativi motivi - si esprimeva ancora, a seguito di un sollecito del Sindaco, sulla ostatività al rilascio della autorizzazione alla luce del Piano Carburanti comunale.
2. Avverso la sentenza, ricorre per Cassazione A.A., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:
2.1. Vizio di motivazione in ordine alla illegittimità degli atti posti in essere dall'imputato.
Non corrisponde al vero che A.A. si sia autodichiarato responsabile del procedimento, poichè nel corso del dibattimento è emerso che la richiesta della Tamoil era pervenuta all'ufficio tecnico del Comune, il cui responsabile disponeva la trasmissione per competenza al Comandante dei vigili urbani, e cioè a A.A..
La sentenza impugnata è, altresì, affetta da vizio di motivazione nella parte in cui ritiene che l'impianto Tamoil insistesse non nel centro storico, bensì nella c.d. "zona bianca". Sono molteplici i testimoni, specialistici nel settore e direttamente a conoscenza della situazione dei luoghi, che hanno espressamente negato tale circostanza.
2.2. Violazione di legge vizio di motivazione in relazione al reato di abuso d'ufficio.
Perchè sussista il reato e, in particolare, il richiesto dolo intenzionale, è necessaria la rappresentazione e la volizione dell'evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale proprio o altrui come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente. Ne consegue che, se l'evento tipico è una semplice conseguenza accessoria dell'operato dell'agente, diretto a perseguire, in via primaria, l'obiettivo di un interesse pubblico di preminente rilievo, non è configurabile il dolo intenzionale e, pertanto, il reato non sussiste.
Il fatto stesso che l'imputato si preoccupasse di profili di incompatibilità riconducibili alla collocazione dell'impianto nel centro storico e alla erogazione del gasolio sulla sede stradale è indicativo della correttezza delle indicazioni impartite dal predetto.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata dichiarazione di prescrizione.
La Corte d'appello ha erroneamente ritenuto che il tempo di commissione del reato vada fissato al 30 luglio 2014, data in cui A.A., quando si era già spogliato della pratica (il 24 febbraio 2014), su richiesta del Sindaco, inviava a questi una relazione sull'iter della pratica.
In realtà, agli effetti della prescrizione, è la data del 30 agosto 2013 che occorre tenere in considerazione, allorchè l'imputato espresse il proprio diniego ad emettere il provvedimento di autorizzazione petrolifera in favore dalla Tamoil Italia Spa .
3. La parte civile ha depositato memoria - a mezzo PEC - nella quale insiste per l'inammissibilità del ricorso, evidenziando che il decorso del termine di prescrizione inizia, per i reati consumati, dal giorno in cui si è esaurita la condotta illecita e non certamente dal giorno in cui è stato compiuto un atto che fa parte della più vasta condotta criminosa diluita in un arco temporale più o meno lungo: nel caso di specie, il diniego espresso da l'imputato ad agosto 2013 aveva natura interlocutoria, posto che l'imputato, nel negare l'autorizzazione, esprimeva, a torto, i motivi posti a base della decisione e riceveva subito dopo da Tamoil una risposta sugli errori di valutazione, che non andava a integrare una fattispecie qualificabile come nuova domanda, bensì come richiesta di riesame della vicenda alla luce degli argomenti addotti da Tamoil.
Il momento consumativo del reato di abuso d'ufficio, da cui decorre il termine prescrizionale, coincide, per sua natura di reato di evento, con la data di avvenuto conseguimento dell'ingiusto vantaggio patrimoniale o con la produzione ad altri del danno ingiusto danno.
Nel caso in esame, l'ultimo temine cui collegare effetti prescrittivi è quello coincidente con la data del rilascio dell'autorizzazione da parte del personale subentrato all'imputato, ovvero il 7 giugno 2016.
4. L'avv. Alessandro Diddi e l'avv. Rocco Domenico Ceravolo, hanno depositato - a mezzo PEC - motivi aggiunti, nei quali ribadiscono:
4.1. la violazione di legge in relazione all'art. 323 c.p..
Il D.L. n. 76 del 2020, art. 23, ha determinato la abolitio criminis delle condotte realizzate mediante violazione di norme generali ed astratte dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità.
A.A. applicava correttamente al caso di specie il Piano carburanti comunale in vigore dal 2004. Il D.L. n. 98 del 2011, per parte sua, aveva rimesso alle Regioni la possibilità di definire gli "indirizzi". In sostanza, il D.L. n. 98 del 2011, art. 28 non ha introdotto un diritto soggettivo, ma una situazione corrispondente a quella di interesse legittimo.
La sentenza impugnata ha ritenuto inapplicabile la cosiddetta lex specialis costituita dal piano carburanti poichè lo stesso rappresenterebbe uno strumento di natura necessariamente derivata in quanto adottato in attuazione di specifica normativa nazionale e regionale, con esplicita salvezza della norma statale. Occorre osservare tuttavia come la lex generalis non si applicava incondizionatamente ma conteneva limitazioni che non ne consentivano l'automatica applicazione. Ne è riprova il fatto che la Tamoil, per potere adeguare gli impianti, fu costretta a richiedere una autorizzazione, che costituisce il tipico atto introduttivo con il quale si attiva un procedimento che lascia alla P.A. suoi Spa zi discrezionali di operatività. In conclusione, le norme indicate nel capo di imputazione non impartiscono alcuna previsione in capo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio ma si occupano esclusivamente di regolare la concorrenza in tema di distribuzione di carburanti.
Dunque, la violazione di una norma contenente la previsione di un potere non vincolato e di conseguenza discrezionale non è idonea a integrare il reato di cui all'art. 323 c.p..
4.2. Quanto alla violazione dell'obbligo di astensione, la situazione di conflitto di interessi costituisce una classica quaestio facti, i cui elementi costitutivi avrebbero dovuto essere verificati in concreto. La situazione conflittuale, infatti, oltre che alla vincolabilità della disciplina, dipende dalla effettiva possibilità di incidere favorevolmente sulla situazione che si assume difesa dal pubblico ufficiale. Se l'atto è conforme al trattamento riservato a tutte le altre istanze di identico contenuto presentate dagli altri cittadini, non è idoneo a configurare l'illecito nonostante la violazione dell'obbligo di astensione. Di conseguenza non residuando alcun margine di discrezionalità circa l'applicabilità al caso concreto, nonchè a casi simili, della normativa prevista dal Piano carburanti comunali del 2004, risulta evidente che l'imputato avrebbe in qualsiasi condizione applicato le previsioni in esso contenute, a prescindere dall'esistenza o meno di un conflitto di interessi. Lo stesso ricorrente non ha dunque adottato un trattamento differente da quello dovuto e, pertanto, non ha tenuto una condotta idonea a configurare l'illecito di quell'art. 323 c.p..
4.3. Violazione di legge in relazione alla individuazione del momento in cui si sarebbe realizzato la violazione del dovere di astensione. Conseguente prescrizione del reato prima della sentenza di appello.
L'imputato - in quanto socio accomandante della società C.C. s.a.s, ritenuto portatore di interessi in conflitto - procedeva, seppur non immediatamente ad astenersi in data 24 febbraio 2014, allorchè, all'esito di una serie di contestazioni da parte della Tamoil, si spogliava della pratica restituendola al Sindaco; da detta data deve decorrere il termine prescrizionale. La sentenza impugnata, ritiene, invece, che non ci sia stata alcuna dichiarazione di astensione, posto che l'imputato il 30 giugno 2014, seguito del sollecito all'evasione della pratica da parte del Sindaco, emetteva un ulteriore atto.
L'art. 323 c.p., si occupa esclusivamente di prevedere un obbligo di astensione, senza però disciplinare alcunchè in merito alle modalità della astensione. Deve, quindi, ritenersi che l'astensione possa avvenire anche per fatti concludenti e che possa esplicarsi in forma libera. Pertanto, la trasmissione della pratica da parte di A.A. al Sindaco, affinchè questi la assegnasse ad altro settore, era idonea a integrare un'ipotesi di astensione, avendo l'odierno ricorrente espresso chiaramente la propria volontà per fatti concludenti; anche in tale ipotesi la prescrizione sarebbe oggi maturata.
4.4. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico. La disposizione applicata, infatti, prevede che l'agente abbia agito intenzionalmente e con lo scopo di arrecare un danno o vantaggio.
Secondo la casistica giurisprudenziale per poter configurare tale tipologia di elemento psicologico, occorre che si accerti che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbia agito con uno scopo diverso da quello consistente nel realizzare una finalità pubblica; ciò che può essere desunto anche da elementi sintomatici come la macroscopica illegittimità dell'atto compiuto.
La particolare complessità del quadro normativo per la contemporanea presenza e applicabilità di più fonti normative tra loro contrastanti che potevano giustificare l'atteggiamento di A.A., impedisce di ritenere i comportamenti del predetto come macroscopiche violazioni di legge e dunque come finalizzati a perseguire interessi egoistici.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non è fondato per le ragioni che saranno di seguito esposte; assume, però, valore assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, il rilievo della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione intervenuta prima della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, con conferma delle statuizioni civili.
2. Il primo e secondo motivo di ricorso e il primo e secondo motivo aggiunto possono essere trattati congiuntamente (paragrafi da 3 a 6), essendo tutti attinenti ai presupposti normativamente richiesti per configurare il reato di abuso di ufficio.
3. Va, preliminarmente, rilevato come nella vicenda oggetto del presente processo abbia effettivamente incidenza il fenomeno di abolitio criminis parziale in conseguenza delle modifiche all'art. 323 c.p. introdotte con il D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 23, convertito dalla L. 11 settembre 2020, n. 120 (modifiche alle quali la difesa della ricorrente ha fatto genericamente cenno nella parte iniziale dell'atto di impugnazione): disposizione con la quale le parole "di norme di legge o di regolamento" contenute nel predetto articolo codicistico sono state sostituite con quelle "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità".
Le novità di tale novella legislativa sono fondamentalmente tre.
Fermi restando l'immutato riferimento all'elemento psicologico del dolo intenzionale e l'immodificato richiamo alla fattispecie dell'abuso di ufficio per violazione, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, dell'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti (ipotesi di reato che non è variata nei suoi elementi costitutivi), il delitto de quo è ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell'agente pubblico abbia avuto ad oggetto "specifiche regole di condotta" e non anche regole di carattere generale; solo se tali specifiche regole sono dettate "da norme di legge o da atti aventi forza di legge", dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte secondaria o terziaria; e, in ogni caso, a condizione che quelle regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all'agente, restando perciò oggi escluse dalla applicabilità della norma incriminatrice quelle regole di condotta che rispondano, anche in misura marginale, all'esercizio di un potere discrezionale (in questo senso v. Sez. 6, n. 13136 del 17/02/2022, Puddu, Ud. (dep. 06/04/2022) Rv. 282945 - 01 Sez. F, n. 42640 del 17/08/2021, Rv. 282268 - 01; Sez. 6, n. 8057 del 28/01/2021, Asole, non massimata; Sez. 5, n. 37517 del 02/10/2020, Danzè e altri, non massimata).
4. Nel caso in esame sono contestate entrambe le condotte.
4.1. Per quanto concerne la violazione di legge, è di tutta evidenza che dalle norme che si suppone siano state violate dall'imputato, quali il D.L. n. 112 del 2008, art. 83-bis, il D.L. n. 98 del 2011, art. 28 e il D.L. n. 1 del 2012, art. 17, non sono ricavabili disposizioni specifiche ed espresse.
Il D.L. n. 112 del 2008, art. 83-bis sancisce che le disposizioni di cui al comma 17 costituiscono principi generali in materia di tutela della concorrenza e livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'art. 117 Cost., escludendo espressamente che le previsioni contenute al suo interno possano considerarsi specifiche ed espresse regole di condotta.
Il D.L. n. 98 del 2011, art. 28, prevede, al comma 5, che, al fine di incrementare l'efficienza del mercato, la qualità dei servizi, il corretto uniforme funzionamento della rete distributiva, gli impianti di distribuzione di carburanti devono essere dotati di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato. Apparentemente la disposizione imporrebbe comportamenti vincolanti. In realtà, il comma 6 stabilisce che l'obbligo di dotazione delle apparecchiature non è incondizionato perchè l'adeguamento di cui al comma 5 è consentito a condizione che l'impianto sia compatibile sulla base dei criteri di cui al comma 3. Il comma 3, a sua volta, stabilisce che l'adeguamento deve avvenire sulla base degli indirizzi che le Regioni devono emanare ai Comuni entro novanta giorni per determinare la chiusura degli impianti incompatibili oltre che con il decreto del Ministro delle attività produttive in data 31 ottobre 2012, "ai sensi dei criteri di incompatibilità successivamente individuati dalle normative di settore". Nessuna rilevanza ha, nella situazione in esame, il D.L. n. 1 del 2012 che ha apportato modifiche al D.L. n. 98 del 2011 senza incidere sulla portata precettiva delle disposizioni regolatrici le autorizzazioni in materia di distribuzione del carburante.
Quando, dunque, la sentenza afferma che le norme del D.L. n. 98 del 2011 avrebbero imposto alla compagnia l'apparecchiatura self service prepagata, introduce una interpretazione che, a ben vedere, si pone in contrasto con quanto stabilito dalla legge di riferimento, che fa salvi gli indirizzi che la Regione deve impartire ai Comuni.
La sentenza richiama la circolare della Regione Calabria del 1 aprile 2009, che sanciva la incompatibilità e la conseguente disapplicabilità di qualunque disposizione regionale e/o di produzione subordinata contenente vincoli e restrizioni all'accesso di esercizio per l'attività di distribuzione di carburanti.
E' del tutto ovvio come tale disposizione non incida sulla tematica in esame perchè essa fa riferimento a possibili vincoli della legislazione regionale e locale incompatibili con le leggi nazionali in tema di accesso all'esercizio per l'attività. Pare opportuno specificare come la circolare di cui si tratta non sia applicabile al caso di specie in quanto espressamente riferita alla installazione di nuovi impianti e non al mero potenziamento di quelli già insediati sul territorio.
Inoltre, la stessa, anche a voler concedere l'applicabilità della normativa in questione, prevede che l'installazione e l'esercizio di tali nuovi impianti sia, comunque, subordinato all'osservanza delle norme materia urbanistica e, di conseguenza, a quanto previsto dal Piano carburanti comunali.
Deve, quindi, ritenersi che A.A. abbia applicato al caso di specie il Piano Carburanti Comunale in vigore dal 2004, nell'ambito del proprio potere discrezionale, posto che il predetto, dovendo rilasciare una autorizzazione, aveva l'onere di valutare i profili di compatibilità riconducibili alla collocazione dell'impianto nel centro storico e alla erogazione del gasolio sulla sede stradale.
4.2. Discorso diverso, invece, deve essere fatto, in relazione alla violazione del dovere di astensione.
Come si è detto, la modifica legislativa, sebbene abbia notevolmente ristretto l'ambito di rilevanza penale del delitto di abuso d'ufficio con inevitabili effetti di favore applicabili retroattivamente ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 2, non esplica alcun effetto con riguardo al segmento di condotta che, in via alternativa rispetto al genus della violazione di legge, riguarda esclusivamente e più specificamente l'inosservanza dell'obbligo di astensione, rispetto al quale la fonte normativa della violazione è da individuarsi nella stessa norma penale salvo che per il rinvio agli altri casi prescritti, rispetto ai quali non è pertinente la limitazione alle fonti primarie di legge, trattandosi della violazione di un precetto vincolante già descritto dalla norma penale, sia pure attraverso il rinvio, ma solo per i casi diversi dalla presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ad altre fonti normative extra-penali che prescrivano lo stesso obbligo di astensione (Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 281158 - 03).
Pertanto, ove si ravvisi l'ipotesi di un abuso di ufficio riferito anche alla specifica violazione dell'obbligo di astensione, la modifica normativa non ha alcun effetto abrogativo, permanendo la rilevanza penale della condotta anche rispetto alla violazione dell'obbligo di astensione per come regolato dal D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, art. 7, relativo al Regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
L'art. 323 c.p., ha, infatti, introdotto nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l'inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove l'agente è chiamato ad operare, una specifica disciplina dell'astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero più ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente (Sez. 6, n. 14457 del 15/03/2013, De Martin Topranin, Rv. 255324 - 01); e ciò a prescindere dal fatto che il pubblico ufficiale sia chiamato o meno ad effettuare una scelta discrezionale, come, invece, sostenuto dalla difesa.
Nel caso di specie è stato correttamente ravvisato l'obbligo di astenersi dalla trattazione della pratica, trovandosi l'imputato in una posizione di conflitto di interessi, essendo socio accomandante della società di famiglia, che possedeva un distributore di carburante, nello stesso paese, dotato di self service.
5. Deve, inoltre, sottolinearsi che, ai fini dell'integrazione del reato di abuso di ufficio, anche nel caso di violazione dell'obbligo di astensione, è necessario che a tale omissione si aggiunga l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale deliberato, con conseguente duplice distinta valutazione da parte del giudice, che non può far discendere l'ingiustizia del vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato (Sez. 6, n. 12075 del 06/02/2020, Stefanelli, Rv. 278723 - 01).
L'art. 323 c.p., nella formulazione introdotta dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, innovando rispetto alla disciplina previgente, ha costruito il delitto di abuso d'ufficio come reato di evento a forma vincolata. La violazione delle norme di legge o di regolamento, oppure - per quel che qui interessa - l'inosservanza del dovere di astensione in presenza di un interesse proprio o di un familiare rappresentano le modalità attraverso le quali l'abuso del pubblico funzionario può realizzarsi: le forme di manifestazione, ossia, della condotta. Ma, perchè il reato possa ritenersi integrato, occorre, altresì, che, da quei comportamenti, derivi un ingiusto vantaggio patrimoniale per lo stesso agente o per altri, oppure un danno per questi ultimi, esso pure ingiusto e anche di natura non patrimoniale. In assenza di tale evento, le anzidette condotte, quantunque non consentite dalle norme extra-penali che regolano la funzione od il servizio pubblici, non rilevano agli effetti penali, quanto meno ai fini dell'art. 323 c.p..
Il principio, anche con specifico riferimento alla violazione del dovere di astensione, è stato più volte ribadito dal giudice di legittimità e non v'è ragione di discostarsene, in presenza di un testo normativo del tutto lineare (Sez. 6, n. 14457 del 15/03/2013, De Martin Topranin, Rv. 255324; Sez. 6, n. 47978 del 27/10/2009, Calzolari, Rv. 245447; Sez. 6, n. 26324 del 26/04/2007, Borrelli, Rv. 236857; Sez. 6, n. 11415 del 21/02/2003, Gianazza, Rv. 224070; Sez. 6, n. 17628 del 12/02/2003, Pinto, Rv. 224683).
Nel caso in esame, dalla condotta dell'imputato, che non si è immediatamente astenuto dal trattare la richiesta della Tamoil è derivato un danno ingiusto per tale società, che, per quattro anni, si è vista negare ciò di cui aveva diritto, ma anche un ingiusto vantaggio per il ricorrente che ha permesso alla società di famiglia di mantenere il monopolio nella distribuzione di carburante nel comune di (Omissis).
6. E' manifestamente infondato anche il motivo di ricorso che deduce l'insussistenza del dolo del reato.
6.1. L'elemento soggettivo dell'abuso di ufficio, partendo dalla inequivoca formulazione della norma, si atteggia in termini di dolo intenzionale, che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con uniforme e costante indirizzo, non richiede, sul piano probatorio, la dimostrazione dell'accordo collusivo concluso con la persona che si intende indebitamente preferire o favorire, ma può essere desunto anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assume rilievo, a titolo di esempio, il rapporto fra agente e soggetto favorito (cfr. Cass., Sez. 3, n. 35577 del 06/04/2016, Cella, Rv. 267633; Cass., Sez. 6, n. 52882 del 27/09/2018, Pastore, Rv. 274580; Cass., Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia, Rv. 270460). Ed invero l'intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perchè venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che l'agente persegua esclusivamente la finalità di realizzare un interesse pubblico ovvero che egli, pur nella consapevolezza di favorire un interesse privato, sia stato mosso esclusivamente dall'obiettivo di perseguire un interesse pubblico, con conseguente degradazione del dolo di procurare a terzi un vantaggio da dolo intenzionale a mero dolo diretto o eventuale e con esclusione, quindi, di ogni finalità di favoritismo privato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 10224 del 23/01/2019, De Marco, Rv. 276094).
Ebbene i giudici di merito hanno reso sul punto una decisione assolutamente conforme ai principi di diritto frutto di una elaborazione giurisprudenziale sedimentata nel tempo, valorizzando la circostanza che il A.A. non abbia immediatamente adempiuto al dovere, impostogli dalla previsione dell'art. 323 c.p., comma 1, di astenersi dall'istruire la pratica relativa alla richiesta della autorizzazione da parte di Tamoil, così permettendo, ingiustamente, alla società della quale era socio accomandante, di gestire per quattro anni, in regime di monopolio, la distribuzione del carburante.
La violazione del dovere di astensione, quindi, pur non bastando da sola ad integrare il delitto di abuso d'ufficio, essendo sempre necessario dimostrare l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale procurato o del danno arrecato (cfr. Cass., Sez. 6, n. 12075 del 06/02/2020, Stefanelli, Rv. 278723), rappresenta pur sempre uno degli elementi su cui fondare anche la prova dell'esistenza del dolo, soprattutto quando sia accompagnata da ulteriori elementi dotati di valore sintomatico sul punto, come nella vicenda in esame.
7. Per quanto concerne il terzo motivo di ricorso e il terzo motivo aggiunto, occorre premettere che il momento consumativo del reato di abuso di ufficio, da cui decorre il termine di prescrizione, coincide, per la sua natura di reato di evento, con la data di avvenuto conseguimento dell'ingiusto vantaggio patrimoniale o con la produzione ad altri di un danno ingiusto (Sez. 6, n. 28117 del 26/03/2015, Ricci, Rv. 263929 - 01).
Incorre in errore la Corte d'appello quando ritiene che il tempo di commissione del reato vada fissato al 30 luglio 2014, data in cui A.A., essendosi già spogliato della pratica il 24 febbraio 2014, inviava al Sindaco, su sua richiesta, una relazione sull'iter della pratica. In realtà, a fronte di una richiesta formale del Sindaco, la risposta di A.A. era doverosa.
Va osservato, però, che la missiva dell'imputato si chiude ribadendo che "la pratica è giacente presso il suo ufficio dal 24 febbraio 2014, in attesa di definizione e di opportuna assegnazione ad altro settore, così come già comunicato in data 28 aprile 2014".
Si tratta, con tutta evidenza, di un documento avente valenza interna e senza effetti nei confronti di terzi, consistendo in una comunicazione tra due organi dell'Ente, non vincolante per il Sindaco, nè per altri organi sulla decisione definitiva.
Dunque, l'ultimo atto avente efficace esterna e nei confronti della Tamoil è, senza alcun dubbio, rappresentato dal diniego del provvedimento di autorizzazione emesso il 30 agosto 2013. Tale provvedimento non è stato impugnato dalla Tamoil e la successiva nota dell'11 febbraio 2014 deve intendersi come nuova richiesta, che, però, A.A. non aveva alcun titolo per istruire, essendosi spogliato della pratica.
E', in altri termini, la data del 30 agosto 2013, che, agli effetti della prescrizione, occorre prendere in considerazione, di tal che, tenuto conto dei 218 giorni di sospensione dei termini di prescrizione, il reato si è estinto alla data del 9 ottobre 2021, quindi prima della pronuncia di appello (2 dicembre 2021).
8. Il ricorso, in conclusione, è infondato; tuttavia, come già detto, assume valore assorbente rispetto ad ogni altra considerazione il rilievo della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione.
Il tempo necessario a prescrivere, da determinarsi in anni sette e mesi sei, anche tenuto conto della sospensione dei termini di prescrizione, è maturato, invero, il 9 ottobre 2021, in epoca precedente alla impugnata sentenza della Corte di appello, pronunciata il 2 dicembre 2021.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, con conferma delle statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, B.B., che liquida in complessivi Euro 3.510,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2022 13
23-11-2022 14:27
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