Avvalersi di un minore per mendicare -pur essendo pratica degli appartenenti alla comunità rom- per l'elemosina, non determina alcuna "decriminalizzazione" di tale condotta.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-12-2021) 01-03-2022, n. 7140
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASA Filippo - Presidente -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. LIUNI Teresa - Consigliere -
Dott. TALERICO Palma - rel. Consigliere -
Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.V.C., (C.U.I. (OMISSIS)) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/10/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere TALERICO PALMA;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ZACCO FRANCA, ha concluso, per iscritto, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'applicazione dell'esimente di cui all'art. 54 c.p., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro;
l'avv. Achille Francesco Esposito, in difesa dell'imputato, ha concluso, per iscritto, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 28 ottobre 2019, la Corte di appello di Catanzaro - per quanto qui rileva - confermava la pronuncia del Tribunale di Cosenza in data 5.6.2017, con la quale A.V.C. era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 600 octies c.p. e, conseguentemente, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, la cui esecuzione era stata sospesa ai termini e condizioni di legge.
2. Avverso detta sentenza, l'avvocato Achille Francesco Esposito, difensore di fiducia dell'imputato, ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto "inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per violazione del combinato disposto di cui agli artt. 192 e 533 c.p.p.".
Secondo la difesa, la sentenza impugnata si fonderebbe su "una erronea ricostruzione dei fatti e, in ogni caso, su una erronea applicazione delle norme di diritto"; dalle testimonianze rese in sede di istruttoria non sarebbero emersi elementi che potessero far propendere per il riconoscimento di una penale responsabilità dell'imputato; l'assistente di polizia C. aveva dichiarato di avere visto una bambina chiedere l'elemosina e un uomo a cui consegnava il denaro ricevuto dai passanti, ma in nessun modo si sarebbe dimostrato che la bambina fosse stata sottoposta a sofferenze e mortificazioni; l'accattonaggio è usualmente praticato dagli zingari e, più in generale, in diverse comunità etniche, per le quali la richiesta di elemosina costituisce una condizione di vita tradizionale molto radicata nella mentalità delle stesse; sarebbe stato, quindi, "necessario riflettere sulle situazioni di fatto, piuttosto che sull'applicazione astratta di un principio giuridico, e non criminalizzare condotte che rientrano nella tradizione culturale di un popolo", tenuto anche conto della previsione di cui all'art. 2 Cost., che valorizza il pluralismo sociale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto "inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per mancanza degli elementi costitutivi dell'ipotesi di reato contestata ovvero per mancata applicazione dell'esimente dello stato di necessità ex art. 54 c.p.".
Secondo la difesa, l'imputato avrebbe commesso il reato in stato di necessità in ragione della profonda situazione di indigenza in cui versava, come sarebbe risultato dalle dichiarazioni del teste C., il quale aveva riferito in ordine alla povertà dell' A., costretto a vivere in una baracca, senza servizi igienici, e a usare vestiti di "recupero".
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto "inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla mancata applicazione dell'art. 131 -bis c.p., introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015".
Il ricorrente ha, in proposito, osservato che la Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta di applicazione della causa di non punibilità in parola facendo unicamente riferimento al "disvalore sociale della condotta".
3. Si è proceduto alla trattazione del processo con contraddittorio scritto, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 e successive proroghe, in mancanza di richiesta delle parti di discussione orale; il Procuratore generale di questa Corte, d.ssa ZACCO Franca, ha concluso, per iscritto, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'applicazione dell'esimente di cui all'art. 54 c.p., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio, nonchè l'inammissibilità del ricorso nel resto; l'avvocato Achille Francesco Esposito ha concluso, per iscritto, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esplicitate.
Quanto al primo motivo di impugnazione, la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestatogli è stata affermata - secondo la concorde ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito - sulla base delle precise dichiarazioni dell'assistente capo C.F., in servizio presso la Squadra Mobile di (OMISSIS), il quale aveva chiaramente riferito di avere notato dinnanzi al Tribunale della città una bambina chiedere l'elemosina ai passanti sotto la pioggia battente, nonchè a poca distanza un uomo - identificato, poi, nell'attuale imputato - al quale la predetta consegnava, via via, il denaro ricevuto.
Ebbene - posto che esula dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest'ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l'iter argomentativo seguito, delle ragioni che l'hanno indotto a emettere il provvedimento - ritiene il Collegio che le argomentazioni dell'impugnata sentenza non possono dirsi manifestamente illogiche, nè contraddittorie, nè parziali, nè, infine, in contrasto con i dati acquisiti.
Esse perciò, resistono alle censure con cui il ricorrente, in buona sostanza, ha riproposto la tesi difensiva già esposta nel corso dei giudizi di primo e di secondo grado, con cui sostiene che la condotta accertata è usualmente praticata dagli zingari e, in genere, in diverse comunità etniche per le quali la richiesta di elemosina costituirebbe una condizione di vita tradizionale molto radicata nella mentalità delle stesse.
La dedotta connotazione culturale della pratica di chiedere l'elemosina, però, non può certamente condurre - come evidenziato nell'impugnata sentenza - a "decriminalizzare" la condotta posta in essere dall'imputato; e in vero, i "valori" della cultura rom non rilevano quando - come nel caso di specie - contrastino con i beni fondamentali riconosciuti dall'ordinamento costituzionale, quali il rispetto dei diritti umani e la tutela dei minori.
Inoltre, per l'integrazione del reato contestato non è richiesto che il minore sia sottoposto a "sofferenze e/o mortificazioni", come risulta chiaramente dal tenore della norma incriminatrice, che punisce, "salvo che il fatto costituisca più graye reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici e, comunque, non imputabile".
2. Non merita accoglimento neppure il secondo motivo di ricorso.
La prospettazione difensiva, secondo cui l'imputato avrebbe commesso il fatto per esservi stato costretto dalla profonda situazione di indigenza in cui versava, non integra l'invocata ricorrenza della scriminante di cui all'art. 54 c.p..
E in vero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "l'esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l'atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora a esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti" (Cass. Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Rv. 267640 - 01; conformi, tra le tante: Cass. Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015, Rv. 265888, secondo cui "la situazione di indigenza non è di per sè idonea a integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale"; Cass. Sez. 1, n. 11863 del 12/10/1995, Rv. 203245, che ha affermato che "lo stato di necessità non può essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perchè la possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona").
3. Infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, nel rigettare la richiesta dell'imputato, tendente a ottenere l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 - bis c.p., ha affermato che essa non poteva "essere accolta stante il forte disvalore sociale della condotta posta in essere dall' A.V.C. in rapporto alla natura degli interessi protetti dalla disposizione incriminatrice, ovvero le esigenze di tutela dei soggetti di minore età"; tale giudizio va esaminato congiuntamente alla complessiva motivazione delle sentenze di merito, dalle quali emergono le modalità dell'accertata condotta dell'imputato e, in particolare, la circostanza che la bambina di soli sei anni rivolgeva ai passanti la richiesta di elemosina sotto una pioggia battente e, quindi, consegnava il denaro ricevuto all'imputato posizionato a pochi metri di distanza.
Posto che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha a oggetto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell'att. 133 c.p., cioè una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, la decisione adottata è esente da vizi giuridici di sorta perchè ha avuto riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento dell'imputato al fine di valutarne complessivamente la gravità e l'entità del contrasto rispetto alla legge.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5. In caso di diffusione del presente provvedimento, occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022
17-03-2022 05:22
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