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Sentenza

Minaccia a pubblico ufficiale. Il dolo specifico è compatibile con lo stato di ubriachezza?
Minaccia a pubblico ufficiale. Il dolo specifico è compatibile con lo stato di ubriachezza?
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-05-2021) 07-07-2021, n. 25758
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

Dott. PICARDI Francesca - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 28/01/2019 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCA PICARDI;

all'esito della trattazione ex D.L. n. 137 del 2020, art. 23.
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato A.A., per i reati commessi in data 27 luglio 2014, alla pena di mesi 6 di arresto ed Euro 1.500,00 di ammenda, con conseguente sospensione della patente di guida, per la contravvenzione di cui al capo a (ex art. 186 C.d.S., lett. c, - per aver guidato in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico 1,97 e 1,93 g/l) ed alla pena di anni 1 di reclusione per il reato di cui al capo b (ex artt. 336 e 99 c.p., per aver minacciato - di denuncia, di morte e violenza anche nei confronti della figlia di uno dei due operanti- i carabinieri che lo avevano fermato per eseguire il controllo, al fine di costringerli a omettere l'atto dovuto).

2. Avverso la sentenza di cui in epigrafe ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore, l'imputato, che ha dedotto la violazione dell'art. 92 c.p., in relazione agli artt. 85 e 91 c.p., e la mancanza di motivazione sul punto, non essendosi soffermati i giudici di merito sull'incidenza dell'ubriachezza sul dolo specifico del delitto di cui all'art. 336 c.p., contestato al capo b. In particolare i giudici di merito avrebbero dovuto verificare se, al momento in cui l'imputato si è ubriacato, sussisteva il dolo specifico richiesto dall'art. 336 c.p. e, comunque, accertare se le frasi pronunciate in occasione del controllo costituissero lo sproloquio di un ubriaco, più che delle vere e proprie minacce.

3. Il giudizio è stato trattato con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8. La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non può essere accolto.

2.In primo luogo va chiarito che la presunzione assoluta di imputabilità, posta dall'art. 92 c.p. nei confronti del reo ubriaco (nel caso di ubriachezza non accidentale), non esime il giudice dall'obbligo di accertare in concreto la sussistenza della colpevolezza, sia pure come mero atteggiamento psichico di una coscienza obnubilata e di una volizione affievolita naturalisticamente dall'ebbrezza, con riferimento al momento in cui il fatto è stato commesso (Sez. 2, n. 4935 del 21/11/1973 ud.- dep. 12/07/1974, Rv. 127539 - 01).

Invero, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la colpevolezza di una persona in stato di ubriachezza deve essere valutata secondo i normali criteri d'individuazione dell'elemento psicologico del reato, poichè l'art. 92 c.p., nel disciplinarne l'imputabilità, nulla dice in ordine alla sua colpevolezza, che va, pertanto, apprezzata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 c.p. (v., tra le tante, Sez. V, n. 45997, del 2/11/ 2016 ud. - 14/07/2016 dep., Rv. 268482 - 01, che ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva confermato la responsabilità a titolo di dolo eventuale, nonostante l'ubriachezza, dell'imputato che, dopo aver percorso per più chilometri un tratto di autostrada contromano, si era reso responsabile di omicidio plurimo e lesioni, valorizzando elementi quali il comportamento poco prima tenuto all'uscita da un locale, la corretta condotta di guida nella prima parte del percorso autostradale, il comportamento tenuto durante un diverbio occorso nella serata ed il fatto che, nell'immediatezza dell'incidente, l'imputato non era apparso affatto in stato confusionale agli automobilisti ed agenti intervenuti).

Da tali premesse deriva, dunque, che l'elemento soggettivo deve essere verificato contrariamente alla impostazione difensiva, che aderisce ad una ricostruzione ormai superata, proposta da una parte della dottrina - con riferimento al momento della commissione del fatto e non con riferimento a quello della procurata ubriachezza, posto che gli artt. 91, 92, 94 e 95 c.p. si limitano a disciplinare i limiti della compatibilità dell'ubriachezza con l'imputabilità, senza, tuttavia, introdurre alcuna deroga rispetto alla regola generale di cui all'art. 42 c.p., che esige la sussistenza del dolo o della colpa al momento della commissione del fatto e non in un lasso temporale anteriore. Tale conclusione è, peraltro, confermata dall'art. 91 c.p., comma 2, che, nel configurare l'ubriachezza, se preordinata al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa, come una mera circostanza aggravante, esclude che la rappresentazione e volizione della commissione del reato debba necessariamente sussistere all'epoca dell'ingerenza della bevanda alcolica.

Tale disciplina, sebbene abbia suscitato le perplessità della dottrina, che si interroga sulla effettiva possibilità di configurare il dolo o la colpa in capo a chi agisce in preda all'alcool e che evidenzia il pericolo di una responsabilità penale di tipo oggettivo, è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Consulta nella sentenza n. 33 del 1970. Ad avviso della Corte costituzionale, la differenza normativa tra ubriachezza derivata o ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore è giustificata dall'intenzione del legislatore di reprimere l'ubriachezza come male sociale, visto che, nella seconda ipotesi, l'ubriaco, che ha commesso un reato, si è posto volontariamente o colposamente in condizione di commetterlo e deve, dunque, rispondere di una condotta anti-doverosa. Si è, pertanto, esclusa l'irragionevolezza ed il conseguente contrasto con l'art. 3 Cost. dell'art. 92 c.p. in relazione al fine perseguito dal legislatore.

Parimenti si è negata la violazione dell'art. 27 Cost., sia perchè chi si ubriaca (per sua volontà o per sua colpa) e commette un reato, risponde del proprio comportamento, sia perchè la pena irrogata, oltre a non differire da quella a cui soggiace ogni autore di reato, non può ritenersi non emendativa, essendo diretta ad attivare, nel condannato, una controspinta all'abuso dell'alcool (ubriachezza volontaria) o a provocare un energico richiamo alla temperanza e alla moderazione (ubriachezza colposa).

3. In ordine al problema contenutistico dell'elemento soggettivo del reato commesso dall'ubriaco, deve aderirsi all'impostazione intermedia, già seguita dalla giurisprudenza di legittimità, che, proprio in considerazione dell'effettiva riduzione della capacità di intendere e volere procurata dall'ubriachezza, ammette una verifica del dolo in termini semplificati.

Si può, in proposito, rinviare a Sez. 6, n. 31749 del 09/06/2015 ud. - dep. 21/07/2015, Rv. 264428 - 01, secondo cui, per ritenere sussistente il dolo diretto in capo a persona ubriaca, non è richiesto che sia stata effettuata un'analisi lucida della realtà, essendo necessario soltanto che il soggetto sia stato in grado di attivarsi in modo razionalmente concatenato per realizzare l'evento ideato e voluto. Tale conclusione è, del resto, l'unica compatibile con l'art. 92 c.p., che impone che il giudice indaghi e valuti l'ideazione e la volizione dell'ubriaco, nonostante la perturbazione psichica e la riduzione del senso critico determinate dall'alcool (Sez. 1, n. 7157 del 30/04/1990 ud. - dep. 22/05/1990, Rv. 184360 - 01).

Il dolo specifico non può, dunque, ritenersi incompatibile con lo stato di ubriachezza, che ne consente, al contrario, una verifica semplificata, per cui, nella fattispecie di cui all'art. 336 c.p., occorrerà accertare che l'ubriaco, sebbene non lucidamente, abbia volontariamente orientato la sua condotta verso la specifica finalità di costringere il pubblico ufficiale a compiere l'atto contrario ai propri doveri o ad omettere l'atto dell'ufficio.

4.Alla luce di tali premesse, la sentenza impugnata non presenta alcun vizio di motivazione, atteso che, in modo esaustivo, non manifestamente illogico e privo di contraddizioni, ha riscontrato non solo la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo specifico, ma la sua piena compatibilità, nel caso di specie, con lo stato di confusione indotto dall'ingerenza dell'alcool. In particolare elementi probatori univoci in tale senso sono stati ragionevolmente desunti dalla coerenza delle frasi pronunciate rispetto alle finalità coercitive perseguite ed dalla precisione dei riferimenti a luoghi e persone ("il passaggio della deposizione M., letta integralmente, contiene la precisazione dei chiari riferimenti dell'imputato all'intento di coartare la volontà dei verbalizzanti al fine di evitare sequestro di patente e auto"; "la prospettazione di rivolgere false accuse ai militari di aver posto in essere abusi ai suoi danni e di comportamenti ritorsivi ai danni della figlia del militare").

5.In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, con la precisazione che non va dichiarata la prescrizione (maturata dopo la sentenza di appello) relativamente alla fattispecie contravvenzionale della guida in stato di ebbrezza, che non è oggetto del ricorso e rispetto a cui, pertanto, non si è instaurato alcun valido rapporto processuale che consenta l'applicazione dell'art. 129 c.p. (v., in questo senso, per tutte Sez. 3, n. 20899 del 25/01/2017 ud.-dep. 03/05/2017, Rv. 270130 - 01, secondo cui, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021
Avv. Antonino Sugamele

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