art. 388 cp - Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice
1. Profili generali
L'art. 388, nel testo originario, era composto da tre commi. Successivamente, l'art. 87, L. 24.11.1981, n. 689, aveva introdotto il 3°, 4° e 5° co., mentre l'art. 2, 1° co., L. 24.2. 2006, n. 52, aveva introdotto un ulteriore comma dopo il quinto (a decorrere dall'1.3.2006). Da ultimo, l'art. 3, 21° co., L. 15.7.2009, n. 94, ha sostituito l'intero art. 388, benché tale legge si sia limitata in realtà ad apportare limitate modifiche, lasciando anche la suddivisione nei preesistenti sette commi (Amato, Estesa la portata incriminatrice degli atti dei giudici, in Gdir, 2009, 33, 68). In particolare, le modifiche hanno interessato unicamente il 1° e 2° co., mentre gli altri commi sono identici a quelli precedentemente in vigore. Pertanto, come in passato, considerata la diversità di materia e la complessità delle questioni poste, è opportuno trattare separatamente i diversi profili delineati dall'art. 388. Del resto, nell'art. 388, possono in realtà rinvenirsi otto diverse ipotesi di reato, delle quali le prime tre sono riconducibili alla tradizionale disciplina della mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice civile, le ulteriori cinque disciplinano talune violazioni degli obblighi derivanti da pignoramento o da sequestro giudiziario o conservativo (Romano B., Delitti contro l'amministrazione della giustizia, 6a ed., Milano, 2016, 325).
L'art. 9, 1° co., lett. a, D.Lgs. 11.5.2018, n. 63, "Modifiche al codice penale in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e in materia di rivelazione di segreti scientifici o industriali", ha introdotto due nuove fattispecie agli attuali 3° e 4° co. dell'art. 388. Pertanto, tutti i riferimenti fino all'entrata in vigore della novella (22.6.2018) ai commi 3° e ss. dell'articolo in commento devono ora intendersi ai commi 5° e ss. dello stesso articolo. Restano, invece, invariati i riferimenti alla disciplina di cui al 1° e al 2° co.
2. Il bene tutelato nelle ipotesi di cui al 1° e 2° comma
Iniziando dunque dalle ipotesi di cui al 1° e 2° co. dell'articolo in commento, esse configurano in realtà tre diverse ipotesi, consistenti: nel compimento di atti simulati oppure di atti o fatti fraudolenti per sottrarsi all'adempimento degli obblighi (nella precedente versione: civili) nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria (prima della L. 15.7.2009, n. 94: da una sentenza di condanna), o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria, qualora non si ottemperi alla ingiunzione di eseguire il provvedimento (prima dell'ultima modifica legislativa: la sentenza); nell'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile ovvero (dopo la L. 15.7.2009, n. 94) amministrativo o contabile, che prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.
Circa il bene tutelato, sono state proposte numerose letture. In particolare, secondo alcuni oggetto della tutela sarebbe l'autorità delle decisioni giudiziarie (Vassalli, La mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, Torino, 1938, 6, 87).
In tal senso, espressamente, parte della giurisprudenza (C., Sez. VI, 27.2.1986).
Secondo altri, il delitto in esame tutelerebbe in primo luogo la forza obbligatoria di determinati provvedimenti del giudice ed in secondo luogo - ma in misura prevalente - l'interesse del privato creditore (Antolisei, PS, II, 590).
In giurisprudenza, si è notato che tale conclusione sarebbe anche confermata della procedibilità a querela di parte (C., Sez. III, 21.3.1997). Si è anche sostenuto che il soggetto che ha proposto la querela, in quanto persona offesa del reato, è legittimato a proporre opposizione all'eventuale richiesta di archiviazione e conseguentemente ha diritto di essere avvisato della sua presentazione (C., Sez. VI, 24.5.2011; C., Sez. VI, 15.10.2010).
Altro indirizzo ancora ritiene, più direttamente, che oggetto della tutela penale sia l'interesse del privato ad avere garantito il proprio credito e che solo indirettamente sia tutelato l'interesse dell'amministrazione della giustizia [in tal senso, pur con diverse sfumature: Romano M., Repressione della condotta antisindacale. Profili penali, Milano, 1974, 18; Ronco, Provvedimenti del giudice (violazione dei doveri inerenti ai), in NN.D.I., app., VI, Torino, 1986, 109; Pisa, Provvedimenti del giudice (mancata esecuzione dolosa di), in Digesto pen., X, Torino, 1995, 442; Pioletti U., Mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice, in Coppi (a cura di), I delitti contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 1996, 578].
Si è osservato come in realtà tutti i profili appena richiamati sono presenti e rilevanti e come pertanto lo studio del bene tutelato finisca in tal caso per non essere di particolare utilità nell'applicazione pratica del diritto (Pagliaro, PS, II, 213).
Occorre osservare che l'art. 2, 1° co., lett. b, D.Lgs. 1.3.2018, n. 21 ha modificato il testo dell'art. 388, 2° co., opportunamente inserendovi la previsione, contestualmente abrogata, di cui all'art. 6, L. 4.4.2001, n. 154 che già dava copertura penalistica alla mancata osservanza del c.d. ordine di protezione, vale a dire del decreto con cui il giudice, ai sensi dell'art. 342 ter, 1° co., c.c. «ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro».
Sebbene non si tratti di un'incriminazione nuova, posto che il precetto era già previsto dalla L. 4.4.2001, n. 154, risulta significativo lo spazio di tutela offerto dal'art. 388, 2° co., anche considerata l'ampiezza dei possibili contenuti dell'ordine di protezione, così come previsto dall'art. 342 ter c.c.
L'art. 6, L. 4.4.2001, n. 154 è stato abrogato dall'art. 7, 1° co., lett. r, D.Lgs. 1.3.2018, n. 21, fermo restando quanto previsto dal successivo art. 8, secondo cui «i richiami alle disposizioni abrogate dall'articolo presenti, ove presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale», secondo la corrispondenza indicata dalla Tabella A allegata al D.Lgs. 1.3.2018, n. 21.
3. L'ipotesi di cui al 1° comma: a) soggetto attivo
Benché l'art. 388, nel 1° co., si riferisca a "chiunque", in realtà siamo in presenza di un reato proprio, poiché lo stesso può essere commesso soltanto da colui il quale sia tenuto all'adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria stessa (Ronco, 109; Romano B., PS, 328; contra Pioletti U., 584, per il quale saremmo in presenza di reati comuni).
4. b) La condotta
Nell'ipotesi prevista dal 1° co., la condotta consiste nel compimento di atti simulati oppure di atti o fatti fraudolenti per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria stessa, qualora non si ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza. Per tentare di comprendere la norma in esame, è opportuno trattare separatamente i diversi profili emergenti.
Occorre, innanzitutto, che vi siano obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria stessa. La dottrina prevalente è dell'opinione che la condotta sia penalmente irrilevante se posta in essere prima dell'inizio del procedimento (Pisa, 443; Pagliaro, PS, II, 220; in senso opposto, invece, Pazienza, L'inosservanza dei provvedimenti giudiziari, Napoli, 1979, 129). Quanto all'inizio del procedimento, questo va fissato all'atto della notifica dell'atto di citazione a giudizio nel processo civile e nella costituzione di parte civile nel processo penale (cfr. Ronco, 110). Nel testo dovuto alla L. 15.7.2009, n. 94, il riferimento al "provvedimento dell'autorità" (invece della preesistente locuzione "sentenza di condanna"), si armonizza con l'orientamento della dottrina maggioritaria, che già interpretava in senso ampio il vecchio testo dell'art. 388, ricomprendendovi qualsiasi provvedimento che avesse il valore di una sentenza, essendo ad essa equiparato (Molari, La tutela penale della condanna civile, Padova, 1960, 361; Conti, Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, in ED, XXV, Milano, 1975, 298; Romano B., PS, 329), mentre altra dottrina manifestava maggiore prudenza [Manzini, V, 1084].
In giurisprudenza si era affermato che con l'espressione "sentenza di condanna", la legge avesse inteso comprendere tutti i provvedimenti che, a prescindere dalla loro denominazione o forma, rivestono la natura di decisioni giudiziarie con imposizione di obblighi di carattere civilistico; pertanto, integrava il reato di cui all'art. 388, 1° co., la condotta del coniuge che, attraverso la sostituzione della serratura della casa coniugale, si sottraesse al provvedimento con il quale il presidente del tribunale, nel corso della causa di separazione, assegnava la casa in uso esclusivo all'altro coniuge (C., Sez. VI, 17.11.1999), oppure attribuiva un assegno alimentare a favore della moglie e dei figli dell'obbligato (C., Sez. III, 12.11.1973). In tal senso, si era anche sostenuto che il provvedimento del giudice potesse essere costituito, oltre che da una sentenza di condanna, anche da un'ordinanza che sanciva l'adempimento di obblighi civili di cui era in corso l'accertamento davanti all'autorità giudiziaria (C., Sez. VI, 24.9.1993).
C., Sez. VI, 22.2-17.4.2019, n. 16857, chiarendo che ai fini della configurabilità del delitto non è sufficiente il compimento di atti finalizzati a sottrarsi agli adempimenti, ma è necessario il compimento di atti simulati o fraudolenti, ha ritenuto integrato il delitto per un soggetto che, per sottrarsi agli obblighi derivanti da una sentenza che lo condannava a versare alcune somme a favore dell'ex coniuge e dal successivo pignoramento immobiliare, stipulava un contratto di compravendita avente ad oggetto i medesimi immobili.
In ordine al decreto ingiuntivo, parte della dottrina ammetteva che lo stesso equivalesse a sentenza nel caso nel quale non fosse stata proposta opposizione nel termine stabilito (Pisa, 443; Antolisei, PS, II, 593), mentre altra dottrina negava tale conclusione (Ronco, 110; Manzini, V, 1084).
Un lontano precedente giurisprudenziale aveva ammesso la rilevanza del decreto ingiuntivo non opposto ai fini della norma in esame (C. 4.6.1936). Tale orientamento è stato di recente confermato da C., Sez. VI, 13.1.2016, n. 6358, secondo cui il compimento di atti simulati e fraudolenti finalizzati a sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili derivanti da un decreto ingiuntivo non opposto integra gli estremi del reato di cui all'art. 388, 1° co., che tutela l'autorità delle decisioni del giudice civile costitutive di obblighi civili ed assistite da forza esecutiva, anche se provvisoria.
In dottrina si è sostenuto che se non è necessario che il provvedimento sia passato in giudicato, ma è indispensabile che lo stesso sia eseguibile, almeno provvisoriamente (Ronco, 111; Pisa, 443; Romano B., 330).
In giurisprudenza si è affermato che presupposto del reato di cui all'art. 388 è che un provvedimento immediatamente esecutivo sia stato emesso dal giudice e che l'avente diritto abbia fatto ciò che occorre per l'esecuzione coattiva del provvedimento stesso. È, inoltre, necessario che il provvedimento sia tuttora eseguibile: perché, se il provvedimento già sia stato definitivamente eseguito, il reato non può essere concretato da fatti successivi ad esso contrari, a meno che il provvedimento stesso abbia carattere continuativo (C., Sez. III, 19.5.1967). Si era precisato che per sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 388, 1° co., pur interpretando tale espressione nella generale accezione di qualunque provvedimento emesso in sede giurisdizionale, dovesse intendersi una decisione di merito pronunciata in base ad una plena cognitio. Non può, invece, farsi rientrare in tale locuzione una decisione provvisoria applicativa semplicemente di una misura cautelare, tanto più che l'elusione dell'esecuzione di un tale provvedimento è prevista espressamente come elemento costitutivo di altra fattispecie criminosa, quella di cui all'art. 388, 2° co. (C., Sez. VI, 19.3.1997).
La sentenza di condanna (ed oggi il provvedimento dell'autorità giudiziaria) deve essere suscettibile di esecuzione forzata. In proposito, parte della dottrina riteneva che la sentenza dovesse appunto essere di condanna (Alessandri, Il problema delle misure coercitive e l'art. 388 cpv. c.p., in RIDPP, 1981, 167; Pagliaro, PS, II, 218), mentre altra dottrina reputava sufficiente la presenza di una sentenza di accertamento o costitutiva (Manzini, V, 1084; Antolisei, PS, II 593). Analogamente, vi è contrasto sulla possibilità che l'art. 388 si estenda a tutelare le obbligazioni ad un facere infungibile, a non facere o di pati (in senso negativo: Romano M., 20; Pazienza, L'inosservanza, 114; Pioletti U., 585. Per la inclusione nella previsione normativa, invece: Vassalli, 64; Manzini, V, 1086). Per quanto attiene specificamente all'obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato, la dottrina è orientata in senso contrario, perché la decisione concerne un facere infungibile, in quanto tale non suscettibile di esecuzione specifica (tra gli altri: Alessandri, 174; Padovani, Ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e art. 388 cpv. c.p., in DL, 1975, II, 58).
Di opinione contraria sembra essere la giurisprudenza, la quale ha ritenuto che nei casi di inadempimento del datore di lavoro all'ordine di reintegrazione del lavoratore, nascendo l'obbligo rimasto inadempiuto da una sentenza di condanna e non da una misura cautelare, si configura, sempre che sussistano gli elementi della condotta tipica, l'ipotesi di reato prevista dall'art. 388, 1° co. (C., Sez. VI, 3.4.1992; sul punto, cfr. altresì C., Sez. VI, 11.10.1983).
Recentemente, a questo riguardo, C., Sez. VI, 30.1-5.2.2020, n. 4945, ha evidenziato che non può considerarsi integrata l'ipotesi di cui all'art. 388, 1° co., nel caso di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice del lavoro che preveda il reintegro del lavoratore dal momento che quest'ultimo costituisce un ordine giudiziale insuscettibile di esecuzione forzata.
Il soggetto attivo deve poi compiere, al fine di sottrarsi all'adempimento degli obblighi sopra menzionati, atti simulati oppure atti o fatti fraudolenti. Al riguardo, con la dizione atti si allude ai negozi giuridici, mentre con fatti ci si riferisce a comportamenti che non siano negozi giuridici (per la negazione, ai fini penalistici, della contrapposizione tra atti e fatti: Pagliaro, PS, II, 216). Gli atti possono essere simulati, cioè caratterizzati da preordinata apparenza di un negozio in realtà inesistente (simulazione assoluta) oppure da differenza tra risultato evidente del negozio e risultato effettivo (simulazione relativa). Gli atti possono essere anche fraudolenti, quando consistono in negozi giuridici posti in essere per realizzare un ingiusto profitto a danno di chi ha interesse a far valere il provvedimento del giudice (Conti, 298).
In giurisprudenza si è affermato che per la configurabilità del delitto di cui all'art. 388 è sufficiente che l'agente abbia maliziosamente posto in essere atti simulati o fraudolenti per sottrarsi all'esecuzione del comando del giudice, come nel caso che il debitore abbia sottratto alla garanzia dei creditori ex sententia beni non pignorabili per espressa disposizione di legge (C., Sez. VI, 27.6.1972), oppure che abbia ceduto i beni ad un fondo fiduciario di cui è amministratore, il quale successivamente provvede alla loro vendita in favore di una società della quale l'agente risulta essere procuratore speciale (C., Sez. VI, 14.4.2010). Si è inoltre sostenuto che la iscrizione al pubblico registro automobilistico sotto nome altrui di un autoveicolo proprio è compresa tra gli atti contemplati dall'art. 388, in quanto atto idoneo al fine di sottrarsi agli adempimenti previsti nella stessa norma (C., Sez. III, 21.2.1969). Infine, si è ritenuto che anche un atto legittimo può rivelarsi simulato o fraudolento, quando è finalizzato all'inadempimento degli obblighi civili derivanti da una sentenza di condanna (nella specie l'atto di scioglimento di una società era stato determinato dall'intento di non adempiere all'ordine di reintegrazione di un lavoratore, contenuto nella sentenza del tribunale del lavoro) (C., Sez. VI, 27.1.1981). Recentemente, la giurisprudenza è tornata a ribadire che, ai fini dell'integrazione di questo delitto, è necessario che gli atti posti in essere dal soggetto siano connotati da una componente di artificio, che si qualifichi come un quid pluris rispetto alla mera sottrazione agli obblighi indicati nel provvedimento (C., Sez. VI, 25.2-22.7.2020, n. 21988).
Quanto agli altri fatti fraudolenti, si tratta di comportamenti che non consistano in negozi giuridici, ma siano comunque diretti a frustrare le aspettative di chi intende far valere i propri diritti riconosciuti dal provvedimento del giudice (Fiandaca, Musco, PS, I, 424). La norma non si riferisce anche a fatti simulati, perché la simulazione in senso civilistico richiederebbe il compimento di un negozio giuridico.
In giurisprudenza si è affermato che integra gli estremi del reato consumato di cui all'art. 388, 1° co., il comportamento dell'agente che nella procedura di conversione del pignoramento, ottenuto il provvedimento di conversione con l'obbligo di versare la somma residua fissata dal giudice, paghi un importo inferiore a quello determinato e depositi in cancelleria la ricevuta falsificata, dalla quale figuri il pagamento della intera somma prestabilita, perché l'apparente pagamento della somma costituisce un fatto fraudolento (C., Sez. VI, 13.1.2000). In passato, si era ravvisata l'ipotesi di fatti fraudolenti nella condotta dell'inquilino che, prima del pignoramento, aveva fatto sparire tutti i mobili che avrebbero costituito garanzia per il creditore per il pagamento dei fitti arretrati (C. 3.5.1935) o nel comportamento di chi aveva nascosto di esercitare il commercio in proprio, fingendo di esercitarlo in nome e per conto di altri (C., Sez. III, 15.12.1936). Integra il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice il compimento di un atto fraudolento o simulato che ostacoli o ritardi nell'azione l'avente diritto, a prescindere dalla effettiva realizzazione dello scopo perseguito (C., Sez. VI, 10.2.2016, n. 7525).
In merito al tempo di commissione degli atti simulati o fraudolenti, C., Sez. VI, 5.7.2016, n. 41118 ha affermato che qualora tali atti siano posti in essere successivamente alla formale intimazione ad adempiere e alla scadenza del relativo termine, il reato si consuma nel momento della loro commissione, essendo tali atti volti a sottrarre l'interessato agli obblighi derivanti dal provvedimento dell'Autorità giudiziaria.
In merito all'individuazione del momento consumativo si è anche espressa C., Sez. VI, 13.3-15.5.2018, n. 21534, precisando che la pluralità di condotte elusive della medesima decisione giudiziaria, siano esse precedenti, contestuali o successive all'inadempimento, integra un unico reato, e non una pluralità di reati declinabile nelle forme del reato continuato; con la conseguenza che il compimento di atti simulati o fraudolenti successivamente alla formale intimazione ad adempiere ed alla scadenza del relativo termine pospone la consumazione del reato al momento della loro commissione.
Gli atti ed i fatti simulati o fraudolenti possono essere posti in essere tanto con azione quanto mediante omissione (Pioletti U., 585; Romano B., PS, 333).
Oggetto degli atti simulati o fraudolenti possono essere beni propri o altrui. Da ciò si è tratta la convinzione che l'art. 388 rappresenti una sorta di bancarotta fraudolenta del non imprenditore (Pioletti U., 577), nella quale però i beni possono anche appartenere a terzi (Pagliaro, PS, II, 217).
Occorre, infine, che il soggetto attivo non ottemperi alla ingiunzione di eseguire il provvedimento. Parte, minoritaria, della dottrina ravvisa in tale requisito una condizione obiettiva di punibilità [Pioletti G., Provvedimento del giudice (mancata esecuzione dolosa di), in NN.D.I., XIV, Torino, 1967, 480; Manzini, V, 1090].
Tale opinione appare invece prevalente nella giurisprudenza ( C., Sez. VI, 19.3.1997; C., Sez. VI, 24.9.1993).
La dominante dottrina è invece dell'opinione che la non ottemperanza all'ingiunzione di eseguire il provvedimento non sia una condizione obiettiva di punibilità, ma invece sia elemento costitutivo del reato (Fiandaca, Musco, PS, I, 424; Antolisei, PS, II, 593), rappresentandone l'evento (Pioletti U., 579, nt. 10; Pagliaro, PS, II, 220).
Anche nella giurisprudenza si è talvolta ritenuto che la non ottemperanza all'ingiunzione di eseguire la sentenza (ed oggi il provvedimento), di cui all'art. 388, sia elemento costitutivo del reato e non condizione obiettiva di punibilità (C., Sez. III, 14.4.1972).
Quanto al significato da attribuire al termine ingiunzione, un orientamento ritiene necessario che l'ingiunzione rivesta i caratteri del precetto (Romano M., 20; Manzini, V, 1091).
In senso analogo, in giurisprudenza si è affermato che l'ingiunzione di eseguire la sentenza, di cui all'art. 388 (oggi leggasi 4° e 5° cpv.), consiste nella intimazione di eseguire la sentenza, effettuata in forma legalmente valida mediante la notifica della sentenza di condanna, in forma esecutiva, con pedissequo atto di precetto (C., Sez. III, 14.4.1972).
Altro indirizzo, invece, reputa sufficiente una intimazione di eseguire la decisione notificata o anche la mera notifica del provvedimento, con richiesta di ottemperarvi (Ronco, 113; Pagliaro, PS, II, 220).
In tal senso, in giurisprudenza si è ritenuto che ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 388, 1° co., l'ingiunzione di ottemperanza non deve necessariamente essere fatta valere coattivamente con le forme e con i mezzi previsti dal diritto processuale civile, essendo sufficiente anche un'informale messa in mora, purché si tratti di intimazione che sia precisa e non univoca, rigorosamente provata e non semplicemente supposta (C., Sez. VI, 24.9.1993). Più recentemente si è sostenuto che ai sensi dell'art. 388, 1° co., in relazione alla sospensione di lavori eseguiti in violazione delle distanze legali, non fosse necessaria la notificazione di copia autentica dell'ordinanza del giudice civile emessa in sede di procedimento per denuncia di nuova opera da parte dell'ufficiale giudiziario e che fosse sufficiente la consegna di copia informale del provvedimento, avvenuta a opera di personale dell'Arma dei carabinieri (C., Sez. VI, 11.3.1999).
C., Sez. VI, 1.7.2014, n. 51218, oltre a qualificare l'ingiunzione ad adempiere del creditore al debitore come una condizione di punibilità del reato, ha altresì affermato che essa può consistere anche in una richiesta di adempimento informale o addirittura implicita, purché inequivoca e non semplicemente supposta e purché la richiesta venga a conoscenza dello stesso debitore, essendo irrilevanti comunicazioni ai difensori o rappresentanti di costui. Nello stesso senso v. C., Sez. VI, 16.12.2015-11.1.2016, n. 578.
5. c) Il dolo
Parte della dottrina ritiene che il delitto de quo presenti un dolo specifico, individuato nel fine di sottrarsi all'adempimento degli obblighi (Fiandaca, Musco, PS, I, 424). Altra dottrina, invece, è dell'opinione che il delitto preveda solo un dolo generico, poiché gli obblighi devono essere, in tutto o in parte, elusi (Pioletti U., 589) o quantomeno occorre lo stesso grado di idoneità e di univocità della condotta che si richiederebbe per configurare un delitto tentato (Pagliaro, PS, II, 218).
In giurisprudenza si è affermato che nel delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, la coscienza, da parte dell'agente, di sottrarsi all'adempimento degli obblighi in via di accertamento, ovvero scaturenti da decisione di condanna, non implica che debba tendere a far mancare definitivamente al creditore le garanzie del credito, potendosi egli anche limitare intenzionalmente a non voler adempiere nel luogo, tempo e modo prescritti (C., Sez. III, 6.12.1971). In tal caso, infatti, sussiste il fine di defatigare comunque il creditore costringendolo all'esecuzione forzata e, contestualmente, d'omettere di uniformarsi alla pronuncia giudiziale (C., Sez. III, 6.12.1971). Secondo altra decisione, la prima parte dell'art. 388 richiede il compimento di atti fraudolenti, diretti ad eludere gli obblighi di cui trattasi: occorre, cioè, un comportamento attivo e commissivo, contrassegnato dal dolo specifico (C., Sez. VI, 19.9.1989).
6. d) Forme di manifestazione e concorso di reati
Per la prevalente dottrina, il delitto previsto nell'art. 388, 1° co. si consuma nel momento nel quale si verifica l'inottemperanza alla ingiunzione (Fiandaca, Musco, PS, I, 424; Pagliaro, PS, II, 224), mentre altra dottrina ritiene che il delitto si consumi al compimento degli atti simulati o fraudolenti (Ronco, 77).
In giurisprudenza si è sostenuto che il delitto di cui all'art. 388 è reato formale, o di mera condotta, perché a concretarlo è sufficiente l'azione (o l'omissione) del colpevole, senza che occorra il verificarsi d'un evento successivo. In particolare, nell'ipotesi prevista dalla prima parte esso è istantaneo e si consuma appena si è verificata la condizione di punibilità, consistente nel compimento di atti fraudolenti o simulati per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da una sentenza di condanna (ed oggi da un provvedimento dell'autorità giudiziaria) (C., Sez. III, 16.4.1971).
Circa la configurabilità del tentativo, parte della dottrina la ammette (Conti, 301), mentre altro orientamento conclude in senso negativo (Pagliaro, PS, II, 224).
Quanto ai rapporti dell'art. 388 con il delitto di favoreggiamento personale, v. sub art. 378.
7. Le ipotesi di cui al 2° comma: a) soggetti attivi
Benché l'art. 388, nel 2° co., si riferisca a "chi", in realtà siamo in presenza di reati propri, poiché gli stessi possono essere commessi soltanto da colui il quale sia tenuto all'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero (in séguito all'art. 3, 21° co., L. 15.7.2009, n. 94) amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci o all'esecuzione di un provvedimento del giudice, che prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito (Ronco, 109; Pagliaro, PS, II, 215; contra Pioletti U., 584, per il quale saremmo in presenza di reati comuni).
8. b) Le condotte
L'art. 388, 2° co. prevedeva, fino al D.Lgs. 1.3.2018, n. 21, due ipotesi, le quali si differenziano innanzitutto in base all'oggetto della condotta. Più precisamente, la prima condotta consiste nell'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, amministrativo o contabile che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci (Romano B., PS, 338).
Con l'entrata in vigore, al 6.4.2018, della disciplina sulla "riserva di codice", ad opera dell'art. 2, 1° co., lett. b, D.Lgs. 1.3.2018, n. 21 si è modificato il testo dell'art. 388, 2° co., opportunamente inserendovi la previsione, oggi abrogata, di cui all'art. 6, L. 4.4.2001, n. 154 che già dava copertura penalistica alla mancata osservanza del c.d. ordine di protezione, vale a dire del decreto con cui il giudice, ai sensi dell'art. 342 ter, 1° co., c.c.
Circa il significato della condotta di elusione, parte della dottrina reputa che basterebbe la mancata esecuzione del provvedimento, e dunque il delitto de quo potrebbe consistere anche in una mera omissione (Conti, 300).
In tal senso sembra orientata la giurisprudenza prevalente. Si è infatti affermato che, ai fini della sussistenza del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice concernente l'affidamento dei minori, il termine "elude" va inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi comportamento, positivo o negativo, senza che l'elusione dell'esecuzione del provvedimento debba essere necessariamente caratterizzata dall'uso di scaltrezza o da condotta subdola, onde anche la inazione dell'obbligato può assumere rilievo, ogni volta che l'esecuzione del provvedimento del giudice richieda la sua collaborazione ( C., Sez. VI, 11.5.2010; C., Sez. VI, 18.11.1999; C., Sez. VI, 8.5.1996). Così di recente anche C., Sez. VI, 26.6.2014, n. 31712, secondo la quale ai fini dell'integrazione del reato in commento è sufficiente la realizzazione di un'omissione contrastante con l'obbligo stabilito nel provvedimento giudiziale, rientrando tale comportamento omissivo antidoveroso nel concetto di "elusione" impiegato dal legislatore per la descrizione della ipotesi delittuosa. Per C., Sez. VI, 14.3.2017, n. 20801 la condotta di elusione deve sostanziarsi in qualunque comportamento che ponga nel nulla o aggiri le finalità del provvedimento giudiziale sui minori, il cui contenuto ed i relativi obblighi devono essere valutati non in termini letterali, ma alla luce dell'interesse del minore che vi è sotteso e che ne costituisce la ragion d'essere.
Altro orientamento ritiene, invece, che l'elusione richieda necessariamente forme di scaltrezza, sotterfugi, raggiri o espedienti per sfuggire alla esecuzione del provvedimento (Romano B., PS, 339).
Secondo C., Sez. II, 22.11.2019-4.3.2020, n. 8741, il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388, 2° co., non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l'obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile (in senso conforme, C., Sez. VI, 23.9-23.12.2020, n. 37433). Da ultimo, per C., Sez. VI, 19.2-27.4.2020, n. 12976, l'elusione non può tradursi nella mera inosservanza dell'obbligo, ma implica che il genitore si sottragga all'obbligo di consentire le visite dell'altro genitore con atti fraudolenti o simulati e, dunque, attraverso comportamenti riconducibili a un inadempimento in mala fede.
Poiché nell'art. 388, 2° co. (a differenza di quanto era originariamente previsto nel comma precedente) si fa generico riferimento ad un provvedimento del giudice civile, la dottrina interpreta la locuzione in senso ampio (Manzini, V, 1094). Quanto all'oggetto del provvedimento, è richiesto che esso concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, mentre restano esclusi i provvedimenti consequenziali in materia patrimoniale e quelli relativi agli aspetti burocratici dell'affidamento (Pagliaro, PS, II, 222).
In senso analogo si è pronunciata la giurisprudenza, per la quale poiché l'art. 388, 2° co. è diretto a sanzionare i comportamenti contrari agli interessi relativi alla educazione, alla cura ed alla custodia del minore, la tutela penale non può essere estesa ai provvedimenti patrimoniali consequenziali al provvedimento di affidamento, che non concernono l'affidamento in sé e le sue modalità stabilite dal giudice (C., Sez. VI, 20.10.1995). Da ultimo si è precisato che l'inosservanza dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento ai figli minori - statuito dal giudice nel corso del procedimento di separazione personale dei coniugi - non integra gli estremi del delitto di cui all'art. 388, 2° co., in quanto detta previsione attiene ai rapporti personali e non a quelli economici del provvedimento emesso in sede di separazione; ne consegue che solo gli obblighi relativi ai primi assumono rilevanza penale ove violati (C., Sez. VI, 2.5.2000). Il reato in parola è parimenti escluso quando le condotte possano essere imposte da concrete esigenze sopraggiunte, che non si pongano in contrasto con gli interessi del minore, atteso che l'elemento costitutivo di tale delitto sussiste solo quando i comportamenti illeciti siano finalizzati ad impedire di fatto l'esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole (C., Sez. VI, 16.12.2014, n. 1784). Con la precisazione che il motivo plausibile e giustificato che può escludere la colpevolezza è solo quello che, pur senza configurare l'esimente dello stato di necessità, sia stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell'interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l'eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla (C., Sez. VI, 22.1-21.6.2019, n. 27705).
Con riferimento ad una fattispecie in cui il genitore affidatario, dopo aver sistematicamente violato le disposizioni presidenziali sul diritto di visita del coniuge separato, si era trasferito con il minore a grandissima distanza, senza addurre nessuna spiegazione di tale scelta, la Suprema Corte confermando la rilevanza penale della condotta, ribadisce che l'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l'affidamento di minori può concretarsi in qualunque comportamento, anche omissivo, da cui derivi la "frustrazione" delle legittime pretese altrui (C., Sez. VI, 9.10.2013, n. 43292).
V., su un caso simile, C., Sez. VI, 11.6.2015, n. 33983, secondo cui elude un provvedimento giudiziale, così realizzando il reato di cui all'art. 388, 2° co., la donna affidataria dei figli minori che trasferisce all'estero la propria dimora senza avvertire e senza chiedere un adeguamento delle prescrizioni giudiziali, così gravemente ostacolando il diritto di visita dell'altro genitore, come definito dal giudice civile. Ancora con riferimento al diritto di visita dei figli minori da parte del genitore non affidatario, per C., Sez. VI, 18.3.2016, n. 12391, già integra una condotta rilevante ai sensi dell'art. 388, 2° co., il mero rifiuto di ottemperare al provvedimento del giudice da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l'attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione. C., Sez. VI, 4.4-14.8.2018, n. 38608, conferma che commette il delitto di cui all'art. 388, 2° co., il genitore che mediante condotte ostruzionistiche impedisce il diritto di visita dell'altro genitore. Conforme, più recentemente, anche C., Sez. VI, 23.1-13.5.2020, n. 14785.
Per C., Sez. VI, 12.11.2015, n. 47287 in tema di assistenza familiare la radicale inosservanza da parte del genitore del dovere di cura verso i figli, di cui risulti essersi disinteressato non integra il reato di cui all'art. 388, 1° e 2° co., bensì quello di cui all'art. 570, 1° co., nella parte in cui fa riferimento a comportamento contrario all'ordine delle famiglie con sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità (già potestà) genitoriale.
L'art. 6, L. 4.4.2001, n. 154, recante «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari», introduce quella che potremmo definire elusione dell'ordine di protezione in ambito familiare e che sembra assimilabile alla elusione appena studiata. In particolare, la disposizione citata stabilisce che: «chiunque elude l'ordine di protezione previsto dall'art. 342 ter c.c., ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è punito con la pena stabilita dall'art. 388, 1° co. Si applica altresì l'ult. co. del medesimo art. 388».
La seconda condotta prevista nell'art. 388, 2° co. si sostanzia nell'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero (dopo la L. 15.7.2009, n. 94) amministrativo o contabile che prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. Per quanto attiene alla condotta di elusione, per la dottrina può sostanzialmente rinviarsi a quanto detto in ordine alla prima delle due condotte contenute nell'art. 388, 2° co.
Per ciò che concerne la giurisprudenza, invece, si può indicare un più deciso orientamento a favore della necessaria presenza di un comportamento attivo diretto ad impedire l'esecuzione del provvedimento (C., S.U., 27.9.2007). Si è infatti osservato che ai fini della sussistenza del reato di elusione di un provvedimento del giudice di cui all'art. 388, 2° co., non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ma è necessario un comportamento attivo ovvero commissivo del soggetto diretto a frustare o quanto meno a rendere difficile l'esecuzione del provvedimento giudiziale (C., Sez. VI, 23.3.2000; C., Sez. VI, 19.3.1991). In termini non dissimili si è espressa C., Sez. VI, 14.9.2017-16.1.2018, n. 1748 ha affermato che in tema di affidamento dei figli minori, l'art. 388 punisce soltanto quelle condotte che costituiscano consapevole elusione del provvedimento del giudice, ovvero quei comportamenti che rendano vane le legittime pretese altrui. Ciò non si realizza necessariamente con ogni violazione formale delle prescrizioni poste dall'Autorità Giudiziaria.
Si è poi sostenuto che la nozione di "elusione" di cui all'art. 388, 2° co., ha valenza diversa a seconda della natura dell'obbligo imposto. In particolare, se si tratta di obbligo di fare, l'elusione si può realizzare solo con un comportamento volto a impedire il risultato concreto cui tende il comando giudiziale; con l'ulteriore corollario che se il conseguimento del risultato non dipende direttamente dal comportamento dell'obbligato, la mera inerzia di quest'ultimo non è di per sé atta a realizzare alcuna elusione, occorrendo, per questo, una condotta ulteriormente posta in essere (C., Sez. VI, 12.11.1998). In applicazione del principio per cui il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388, 2° co. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l'obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell'obbligato, si è esclusa la configurabilità del reato in un caso in cui gli inquilini di un appartamento non avevano consentito l'immediato accesso nell'unità abitativa al proprietario il quale era stato autorizzato ad entrare nell'immobile dal giudice civile, ex art. 700 c.p.c., anche forzando la porta e sostituendo la serratura (C., Sez. VI, 25.11.2014, n. 51668). In termini simili v. anche C., Sez. VI, 22.3.2016, n. 16398. C., Sez. VI, 1.2.2017, n. 11952, in base a detto principio, ha ritenuto integrato il delitto di cui all'art. 388, 2° co, nella mancata ottemperanza del provvedimento adottato ex art. 700 c.p.c. che obbligava l'imputato a dare esecuzione ai contratti conclusi con la persona offesa, secondo cui la società dell'imputato doveva esporre per la vendita presso il suo supermercato i prodotti forniti dalla controparte contrattuale.
Infine, per quanto attiene alla individuazione dei provvedimenti cautelari del giudice civile la cui inottemperanza dolosa dà luogo a responsabilità penale, si è rilevato che per tali devono intendersi tutti i provvedimenti cautelari previsti dal libro IV c.p.c. e non solamente quelli tipici predisposti a tutela della proprietà, del possesso e del credito (C., Sez. VI, 8.10.1987).
Per C., Sez. II, 16.4.2014, n. 31192, tra i provvedimenti del giudice civile che prescrivono misure cautelari, la cui inosservanza è penalmente sanzionata dall'art. 388, 2° co., rientrano anche i provvedimenti di urgenza emessi a norma dell'art. 700 c.p.c., ma a condizione che essi attengano alla difesa della proprietà, del possesso o del credito. Tuttavia il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388, 2° co. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l'obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell'obbligato, proprio perché l'interesse tutelato dall'art. 388, non è l'autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì, l'esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione.
Il provvedimento del giudice per la cessazione di attività di concorrenza sleale (art. 2598 c.c.) non rientra tra i provvedimenti del giudice civile a difesa della proprietà, possesso e credito (C., Sez. VI, 7.5.2009, n. 21305).
La fattispecie di cui all'art. 388, 2° co., non è, tuttavia, suscettibile di essere applicata alle decisioni rese in sede di applicazione della disciplina sulla concorrenza sleale non potendo ricondurre le stesse alle ipotesi tassative previste dalla norma, che sono la proprietà, il possesso e il credito (C., Sez. VI, 19.4.2012, n. 20179).
Integra il reato di cui all'art. 388, 2° co., la condotta dell'amministratore che, in violazione del provvedimento di sequestro giudiziario delle quote dei soci accomandanti di una società gestita dall'imputato, opponga al custode giudiziario una condotta ostruzionistica, in particolare omettendo di consegnare i documenti contabili ed amministrativi, e così impedisca la ricostruzione dell'entità del patrimonio sociale, trattandosi di un comportamento elusivo di un obbligo non coattivamente eseguibile (C., Sez. VI, 27.9-10.11.2016, n. 47307).
Oggetto materiale del delitto sono tutti i beni che possono essere sottoposti ad esecuzione forzata, compresi il danaro e i crediti del debitore pignorabili presso il terzo attraverso l'ingiunzione prevista dall'art. 492 c.p.c. (C., Sez. VI, 14.7.2009, n. 38128).
È questione particolarmente controversa quella concernente l'applicabilità dell'art. 388, 2° co., all'ipotesi dell'omessa reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato. In particolare, occorre considerare separatamente l'ipotesi nella quale il datore di lavoro non reintegri il lavoratore e non gli corrisponda neppure la retribuzione (ipotesi considerata anche supra, in relazione all'art. 388, 1° co.), dall'eventualità che il datore di lavoro corrisponda la retribuzione, ma non consenta al lavoratore l'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa. Nel primo caso, l'opinione prevalente nega la possibilità del ricorso all'art. 388, 2° co. (Alessandri, 154; Padovani, 41; in senso opposto, tuttavia, Culotta, Profili ricostruttivi del reato di cui all'art. 388 c.p. e sanzionabilità del rifiuto di ottemperare ai provvedimenti di reintegrazione del lavoratore, in RGL, 1983, IV, 41); come pure nella seconda eventualità (Padovani, 41; Rampioni, Ordine di reintegrazione nel posto ex art. 18 co. 1 st. lavor. ed art. 388, in MGL, 1981, 243).
In giurisprudenza si è affermato che l'inottemperanza da parte del datore di lavoro del decreto pretorile, emesso ex art. 700 c.p.c., di reintegrazione immediata del lavoratore nel rapporto di lavoro con l'obbligo di corresponsione della retribuzione (quest'ultima, nella specie, corrisposta) non integra ipotesi di reato previste dall'art. 388, né il reato di cui all'art. 650, né il reato previsto dall'art. 28 st. lav.: pertanto, il fatto non è previsto dalla legge come reato (C., Sez. III, 23.6.1975). Similmente, si è sostenuto che non costituisce reato di cui all'art. 388 il comportamento dell'imprenditore il quale, reintegrato il lavoratore a seguito di provvedimento del giudice, non lo adibisca al lavoro (C., Sez. VI, 16.4.1982).
Di diverso avviso la più recente giurisprudenza: per C., Sez. VI, 26.3.2014, n. 39075 integra, infatti, il reato previsto dall'art. 388, 2° co., la mancata ottemperanza all'ordine del giudice civile impartito ex art. 700 c.p.c. ed avente ad oggetto la reintegrazione di un dipendente nel pubblico ufficio ricoperto, quando allo stesso sono connessi precisi diritti patrimoniali, poiché, in tal caso, il provvedimento giudiziale rientra nel novero delle misure cautelari a difesa del credito tutelate dalla norma incriminatrice. (Fattispecie relativa alla mancata reintegra nel posto di comandante della Polizia municipale, al quale era collegata una specifica e consistente "indennità di posizione").
Si segnala, infine, che integra il reato previsto dall'art. 388, 2° co., l'inosservanza di un provvedimento di tipo interdittivo, che imponga al destinatario un obbligo di non facere, in quanto essa non si risolve in una mera inottemperanza all'ordine impartito, ma contraddice di per sé la decisione giudiziale e ne pregiudica l'eseguibilità (C., Sez. VI, 23.1-7.3.2019, n. 10099, e, più recentemente, C., Sez. VI, 24.2-28.4.2021, n. 16186).
9. c) Il dolo
In relazione alle condotte previste nell'art. 388, 2° co., il dolo generico consiste nella volontà consapevole di eludere la esecuzione di un provvedimento del giudice nelle materie sopra menzionate (Romano B., PS, 343).
In giurisprudenza si è affermato che il reato di cui all'art. 388, 2° co., è integrato dalla cosciente volontà di eludere il provvedimento, senza che sia richiesto alcun fine specifico (C., Sez. VI, 6.10.1998; similmente, C., Sez. VI, 19.9.1989).
Ai fini dell'esclusione del dolo, quale elemento soggettivo del reato di cui all'art. 388, 2° co. occorre dimostrare che il genitore affidatario, nell'impedire al genitore non affidatario il diritto di visita ricusato dal figlio minore, è stato concretamente mosso dalla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore stesso. (Nel caso concreto si è annullata la sentenza gravata avendo la stessa escluso la sussistenza del predetto elemento, sebbene lo stesso era, invero, ravvisabile, anche se in forma attenuata, dal momento che non vi era stata alcuna attiva e doverosa collaborazione da parte del genitore affidatario alla riuscita delle visite e degli incontri con l'altro genitore stabiliti con provvedimento del giudice civile) (C., Sez. VI, 7.4.2011, n. 26810).
Sulla base di tale ratio, è stata esclusa la configurabilità del reato nella condotta del genitore affidatario che aveva rifiutato di consegnare la figlia minore all'altro genitore, non presentatosi all'appuntamento concordato in un luogo ove non era possibile affidare il minore ad altre persone (C., Sez. VI, 28.2-8.3.2012, n. 9190).
10. d) Forme di manifestazione e concorso di reati
Il momento consumativo, nelle ipotesi contenute nell'art. 388, 2° co., si ravvisa nel momento in cui si realizza la condotta elusiva (Pisa, 447; Pagliaro, PS, II, 224).
In giurisprudenza si è affermato che il reato di cui all'art. 388, 2° co. è istantaneo e si consuma, pertanto, nel momento stesso in cui l'agente, dolosamente, non ottemperi ad un provvedimento del giudice emesso per la finalità in tale norma indicata, sia tenendo un comportamento omissivo con l'astenersi dal compiere atti che gli siano imposti, sia tenendo un comportamento positivo consistente nel compiere atti che gli siano vietati (C., Sez. VI, 12.4.2007; C., Sez. VI, 3.10.2005). Più recentemente, conforme C., Sez. VI, 29.1-8.5.2020, n. 14172.
La dottrina ritiene ammissibile il tentativo (Conti, 301; Ronco, 112), sebbene si siano manifestate perplessità nell'ipotesi di condotta omissiva (Pisa, 448).
Quanto al concorso di reati, si è posto innanzitutto il problema del rapporto tra la norma di cui all'art. 388 e quella di cui all'art. 574 (sottrazione di persona incapace). La dottrina che si è occupata specificamente della questione ritiene trattarsi di concorso formale di reati (Bacci, Elusione del provvedimento del giudice concernente l'affidamento dei minori e sottrazione di incapaci: concorso apparente di norme o concorso formale di reati?, in CP, 1988, 861).
In giurisprudenza, un orientamento sostiene che ricorre il reato di cui all'art. 388 e non quello di cui all'art. 574 nel fatto di un genitore che eluda la esecuzione del provvedimento del giudice civile di affidamento del minore in pregiudizio dell'altro coniuge (C., Sez. VI, 9.12.2003; C., Sez. VI, 25.5.1984). Per altro indirizzo, se l'agente non ottempera a particolari disposizioni del giudice civile - sulla quantità e durata delle visite consentite al genitore non affidatario, sulle modalità e condizioni in genere fissate nel provvedimento - deve configurarsi il delitto di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice; se, invece, la condotta di uno dei coniugi porta ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza del coniuge affidatario, così da impedirgli non solo la funzione educativa ed i poteri insiti nell'affidamento, ma da rendergli impossibile quell'ufficio che gli è stato conferito dall'ordinamento nell'interesse del minore e della società, in tal caso ricorre il reato di cui all'art. 574 (C., Sez. VI, 25.6.1986). Infine, per una ulteriore opinione, il reato di cui all'art. 388 è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre quello di cui all'art. 574 è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla patria potestà o ad altre situazioni particolari; pertanto, le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme (C., Sez. V, 2.10.1992).
Con riferimento al rapporto con l'art. 574, da ultimo si segnala C., Sez. VI, 19.2.2013, n. 22911, secondo cui la circostanza per cui una figlia minore sia stata trattenuta per circa due settimane dal padre presso la sua abitazione nonostante fosse stata affidata alla madre non è di per sé sufficiente ad integrare il delitto di sottrazione di minorenni, in assenza di ogni altro accertamento in ordine all'effettivo ostacolo che tale condotta abbia determinato sull'esercizio della potestà genitoriale da parte della madre. La Suprema Corte ha, pertanto, annullato con rinvio la sentenza impugnata non essendo stato accertato nel giudizio di merito se il "trattenimento" della minore avesse avuto come effetto una radicale interruzione del rapporto della madre con la figlia, impedendone l'esercizio della potestà, ovvero se tale condotta avesse integrato il delitto di inosservanza di provvedimenti del giudice concernenti l'affidamento dei minori ex art. 388, 2° co.
Da ultimo si segnala C., Sez. VI, 16.4.2015, n. 25386, secondo cui in tema di rapporti tra il reato di cui all'art. 574 e il reato di elusione di un provvedimento giudiziario, una volta esclusa la significatività di determinate condotte ai fini del delitto di cui all'art. 388, non vi è necessità che il giudice motivi sul non ricorrere della sottrazione di minorenne, ipotizzata quale conseguenza delle stesse condotte.
Nel convergere delle disposizioni contenute nell'art. 388 con quelle di cui all'art. 650, la dottrina ritiene prevalgano le prime (Pagliaro, PS, II, 225).
In giurisprudenza si è ritenuto che il comportamento diretto a eludere l'esecuzione di un provvedimento, adottato ai sensi dell'art. 700 c.p.c., di inibizione a un circolo ricreativo allo svolgimento di attività comportanti una rumorosità superiore ad una determinata soglia, integri il delitto previsto dall'art. 388, 2° co., e non la contravvenzione di cui all'art. 650 (C., Sez. I, 5.3.1998). V., di recente, anche C., Sez. VI, 28.3.2012, n. 13902, secondo cui vi è consumazione, ai sensi dell'art. 388, 2° co., nel caso di inosservanza di un provvedimento, adottato ai sensi dell'art. 700 c.p.c., di sospensione di un'attività produttiva (nella specie di birra), comportante emissioni gassose e propagazioni di rumore, in quanto trattasi di misura cautelare adottata a tutela della salute della parte istante, e del suo diritto, in qualità di proprietario e possessore di immobile contiguo, di escludere o limitare le immissioni (art. 844 c.c.). Più di recente, v. C., Sez. VI, 14.10-28.12.2016, n. 54974 in cui si precisa che il provvedimento cautelare adottato dal giudice civile di inibizione o limitazione dello svolgimento di attività comportanti una rumorosità superiore a una determinata soglia è da ritenere emesso a tutela sia del diritto alla salute sia del diritto del proprietario o del possessore di un immobile contiguo di escludere o limitare le immissioni eccedenti la normale tollerabilità, a norma dell'art. 844 c.c. Ne consegue che il comportamento diretto a eludere l'esecuzione del predetto provvedimento integra il delitto previsto dall'art. 388, 2° co.
Così pure integra gli estremi del delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giudiziale ex art. 388, 2° co., e non quelli della contravvenzione prevista dall'art. 650, che ha carattere residuale, la condotta di chi si avvicini al centro abitato nel quale hanno dimora il coniuge ed i figli, eludendo il provvedimento del giudice che aveva vietato tale avvicinamento (C., Sez. I, 1.2.2013, n. 9397).
Invece, non concernendo la tutela di un diritto di credito, non è ravvisabile il reato di cui all'art. 388, 2° co., nel caso di inottemperanza dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., riguardanti il reintegro e la prosecuzione in via provvisoria del rapporto di lavoro sino al raggiungimento del 70 anno di età del dipendente, il quale abbia continuato a percepire la retribuzione (C., Sez. VI, 19.6-6.9.2012, n. 33907).
Per C., Sez. VI, 9.4.2013, n. 39217 non integra il reato di elusione del provvedimento del giudice civile che ha disposto la nomina dell'amministratore di sostegno (art. 388, 2° co.) la condotta di chi, con il consenso del destinatario del provvedimento adottato a norma dell'art. 404 c.c., trasferisce quest'ultimo in altro luogo contro la volontà del titolare dell'incarico, in quanto l'istituto dell'amministrazione di sostegno costituisce uno strumento di assistenza tendente a sacrificare il meno possibile la capacità di agire dell'assistito.
Da ultimo si segnala C., Sez. VI, 17.2.2015, n. 15646, secondo cui integra il reato di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice, di cui all'art. 388, 2° co., la condotta di omesso rispetto di una inibitoria all'uso commerciale di un'invenzione brevettata, stabilita dal giudice civile con sentenza provvisoriamente esecutiva, costituendo il brevetto una forma di tutela della proprietà ed industriale, e, conseguentemente, l'inibitoria un provvedimento che prescrive misure cautelari a difesa della proprietà.
11. Le ipotesi dei commi 3° e 4°, introdotte ad opera del D.Lgs. 11.5.2018, n. 63
L'art. 9, 1° co., lett. a, D.Lgs. 11.5.2018, n. 63, "Modifiche al codice penale in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e in materia di rivelazione di segreti scientifici o industriali", ha introdotto due nuove fattispecie agli attuali 3° e 4° co. dell'art. 388. La novella dà attuazione alla Dir. 8.6.2016, n. 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti.
La fattispecie di cui all'attuale art. 388, 3° co., dà copertura penale al provvedimento giudiziale a contenuto inibitorio o correttivo emesso a tutela della proprietà industriale, prevedendo che, in caso di elusione dello stesso, il colpevole sia punito con la stessa pena prevista al 1° e al 2° co., vale a dire con la reclusione fino a 3 anni o, in alternativa, con la multa da euro 103 a euro 1.032.
La medesima pena si applica per l'altra fattispecie introdotta dal D.Lgs. 11.5.2018, n. 63, inserita all'attuale 4° co. ovi si prevede la punibilità di chi violi il provvedimento del giudice che fa obbligo di riservatezza, assunto nell'ambito di procedimenti inerenti la tutela dei diritti della proprietà industriale.
12. Le ipotesi di cui al 5° e 6° comma: a) profili generali e bene tutelato
Con le modifiche apposte all'art. 388 dal D.Lgs. 11.5.2018, n. 63 (in vigore dal 22.6.2018), che ha portato l'inserimento di due nuove fattispecie al 3° e 4° co., si è verificato uno slittamento in avanti di due commi delle disposizioni fino ad allora dettate dai commi 3° e 4°. Pertanto, ogni riferimento contenuto fino al 22.6.2018 ai commi 3° e 4° deve ora essere riferito rispettivamente ai commi 5° e 6°.
Gli attuali 5° e 6° co. dell'art. 388 sono stati introdotti dall'art. 87, L. 24.11.1981, n. 689. Tale legge, allo stesso tempo, con il suo art. 86, ha sostituito l'originario art. 334, lasciando a tale disposizione la disciplina della sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa e riservando all'art. 388, 5° e 6° co., la disciplina del fatto commesso su cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o amministrativo (in senso critico cfr.: Pazienza, Le più recenti modifiche al sistema penale e l'art. 388 c.p., in IP, 1981, 477; Venturati, Aspetti della tutela penale del processo nella nuova disciplina degli artt. 334 e 388, Padova, 1984, 153). La ratio di tale opzione legislativa può essere individuata nella prevalente dimensione privatistica delle offese provocate dai fatti illeciti inseriti nell'art. 388 (Pioletti U., 590; Romano B., PS, 343); e tale lettura sembra trovare conferme nella introdotta procedibilità a querela di parte, di cui al 9° co. (Ronco, 115).
In conseguenza di quanto sin qui osservato, l'interesse tutelato è rappresentato dall'interesse processuale del privato a favore del quale era stato disposto il pignoramento ovvero il sequestro giudiziario o conservativo, mentre l'offesa all'amministrazione della giustizia assume rilievo solo ove il privato chieda la tutela del proprio interesse processuale (Pagliaro, PS, II, 228. Sul punto, cfr. altresì Concas, La rilevanza penale della sottrazione di cose pignorate ad istanza dell'autorità amministrativa dopo la riforma degli artt. 334 e 388 c.p., in CP, 1982, 513).
13. b) Soggetti attivi
Benché l'art. 388, 5° co. inizi con il riferimento a "chiunque", siamo in presenza di un reato proprio, in quanto commissibile solo dal proprietario; e per tale si intende sia chi è proprietario o comproprietario in senso tecnico, sia chi è definito tale nell'atto di pignoramento o di sequestro (Pagliaro, PS, II, 228).
Anche il 6° co. delinea reati propri, commissibili solo dal proprietario nominato custode e dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa (Pioletti U., 590).
È da considerare proprietario-custode dei beni pignorati anche colui che vanti sui medesimi concreti poteri dispositivi e di gestione pur non essendo formalmente definibile come debitore dei soggetti procedenti in executivis (C., Sez. VI, 9.4.2009, n. 32832, con riferimento al legale rappresentante di una società di persone cui erano stati affidati in custodia i beni pignorati).
Ai fini della configurabilità del reato di sottrazione di cose pignorate o sottoposte a sequestro, la nozione di proprietario è più ampia di quella assunta in sede civilistica, includendo necessariamente la posizione del soggetto nei cui confronti è stato eseguito il pignoramento e che abbia interesse a non subirne gli effetti pregiudizievoli. (Fattispecie relativa a bene pignorato al socio di una società debitrice, che aveva acquistato il bene in regime di leasing) (C., Sez. VI, 10.11.2011-13.1.2012, n. 932). Conforme: C., Sez. VI, 12.2-8.7.2020, n. 20301.
14. c) Le condotte
Nell'art. 388, 5° e 6° co. sono descritte tre tipologie di condotte: la condotta di sottrazione, soppressione, distruzione, dispersione o deterioramento di cosa propria sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo (5° co.); il fatto commesso dal proprietario su una cosa affidata alla sua custodia ed il fatto commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa (6° co.). Poiché le stesse presentano peculiarità e differenze è opportuno esaminarle separatamente.
Iniziamo dalla condotta di cui al 5° co., che può realizzarsi mediante sottrazione, soppressione, distruzione, dispersione o deterioramento di cosa propria sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo. Qui occorre innanzitutto chiarire che per sottrazione si intende lo spostamento della cosa (c.d. amotio) da un luogo all'altro (Pagliaro, PS, II, 229) o anche qualsiasi comportamento che si traduca in una turbativa del vincolo imposto sul bene (Luccioli, A proposito di sottrazione di quote di società sottoposte a sequestro, in CP, 1985, 886).
In giurisprudenza si è ritenuto che ad integrare il concetto di "sottrazione" è sufficiente lo spostamento della cosa (c.d. amotio) da un luogo all'altro effettuato senza preavviso all'ufficiale giudiziario ed al giudice dell'esecuzione (C., Sez. VI, 13.7.1995; così anche C., Sez. VI, 27.2-9.5.2012, n. 17397). Si è però anche sostenuto che il reato di sottrazione di cose sequestrate o pignorate si ha ogni volta in cui si ponga in essere una azione diretta ad eludere il vincolo, cioè a rendere impossibile o difficile la realizzazione delle finalità cui la cosa, per effetto del vincolo stesso, è rivolta, e ciò anche senza una materiale amotio (C., Sez. VI, 7.2.1984. A tale indirizzo aderisce di recente C., Sez. VI, 17.4.2014, n. 32704, secondo cui la sottrazione di beni pignorati rileva ai sensi dell'art. 388, non solo quando la rimozione sia obiettivamente idonea ad impedire la vendita della cosa pignorata, ma anche quando crei per gli organi della procedura esecutiva ostacoli o ritardi nel reperimento del compendio esecutato, e ciò anche senza una materiale amotio).
Non integra tale ipotesi il semplice allontanamento del proprietario, alla cui custodia le cose sequestrate o pignorate sono state affidate, dal luogo ove i beni sono custoditi nel giorno in cui è stata fissata la consegna del compendio pignorato, potendosi, invece, configurare altre ipotesi di reato relative all'inosservanza dei doveri del custode (C., Sez. VI, 19.11.2019-7.2.2020, n. 5232).
Per soppressione si intende fare sparire la cosa, senza intaccarne la consistenza materiale e senza spostarla, mediante la perdita di identità della cosa od il suo occultamento (Romano B., PS, 348). Quanto ai concetti di distruzione, dispersione o deterioramento, questi richiamano alla mente il delitto di danneggiamento (v., allora, il commento all'art. 635) e possono sinteticamente tradursi con l'eliminazione della cosa, la sua frantumazione o la diminuzione della sua utilità (Venturati, 123; Ronco, 116).
Perché sussista il delitto occorre che la cosa propria (v. in relazione al soggetto attivo) sia sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo. Per quanto riguarda il pignoramento, che è disciplinato dagli artt. 491-497 e 513-524 c.p.c., la dottrina è dell'opinione che la norma riguardi anche l'ipotesi di pignoramento disposto ad istanza dell'autorità amministrativa (Concas, 513; Del Tufo, Sottrazione di cose sottoposte a pignoramento su istanza della pubblica amministrazione: quale la norma incriminatrice?, in AP, 1984, 583).
La giurisprudenza, in un primo tempo, ha ritenuto applicabile, all'ipotesi di pignoramento disposto ad istanza dell'autorità amministrativa, l'art. 334 ( C., Sez. VI, 2.10.1996; C., Sez. VI, 15.2.1995); mentre in tempi più recenti ha concluso per l'applicabilità dell'art. 388 ( C., Sez. VI, 10.4.1998; C., Sez. VI, 25.2.1997; C., Sez. VI, 12.2.1996).
Per quanto riguarda il sequestro, la dottrina prevalente è dell'opinione che la norma riguardi anche il sequestro conservativo disposto nel procedimento penale ai sensi degli artt. 316 ss. c.p.p. (Concas, 513; Patanè, Sottrazione, soppressione, distruzione, dispersione e deterioramento di cose pignorate o sequestrate fra l'art. 334 e l'art. 388 c.p., in GP, 1986, II, 70), anche se non manca chi ritiene in tal caso applicabile l'art. 334 (Maiello, Custodia, violazione della custodia delle cose sequestrate o pignorate, in EG, X, Roma, 1988, 3).
Quanto agli eventuali vizi degli atti di pignoramento o di sequestro, si distinguono: la nullità insanabile o l'inesistenza, capaci di escludere il reato (Venturati, 24); la nullità sanabile, nella quale l'obbligo penale si viene a costituire se si verifica la sanatoria; nonché l'annullabilità e la semplice irregolarità, nelle quali il reato si configura (Pagliaro, PS, II, 232).
In giurisprudenza si è affermato che il delitto di cui all'art. 388, 2° e 3° cpv., (oggi leggasi 4° e 5° cpv.) presuppone l'esistenza del vincolo giudiziale sulla cosa oggetto della condotta criminosa, non essendo consentito al privato di eluderlo se non quando il giudice civile ne abbia dichiarato l'inefficacia, accogliendo i rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento: ne consegue che tale delitto non è escluso dall'illegittimità del pignoramento (C., Sez. VI, 9.1-25.1.2008; C., Sez. VI, 17.1.2008).
Non è configurabile il delitto punito dall'art. 388, 3° co. (oggi leggasi 5° co.) in caso di vendita simulata di un bene immobile sottoposto a sequestro conservativo, effettuata dal proprietario dopo la trascrizione del vincolo reale (C., Sez. VI, 3.6.2015, n. 29154; C., Sez. VI, 5.7.2011, n. 27164).
Il reato di cui all'art. 388, 3° co., (oggi leggasi 5° co.) sussiste anche nel caso in cui il debitore, cui sono stati pignorati beni affidatigli in custodia, li sostituisca con altri, diversi da quelli originariamente pignorati, ancorché di valore pecuniario equivalente (C., Sez. VI, 31.1.2012, n. 5912).
Il reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro o pignorate, si realizza anche nella condotta del titolare di quote sociali, sottoposte a sequestro conservativo, che ceda le stesse con l'intento di vanificare l'esecuzione della misura, seppure tale cessione avvenga prima della formale notifica all'interessato del provvedimento cautelare (C., Sez. VI, 18.2.2015, n. 11302. Conf. C., Sez. VI, 3.3-6.7.2010, n. 25796). Diversamente non ha luogo l'elusione del provvedimento di sequestro delle quote societarie, disposto dal Giudice civile ex art. 669 sexies c.p.c., qualora l'amministratore, i cui poteri siano rimasti integri rispetto ai beni non oggetto di sequestro, provveda al trasferimento dell'azienda (C., Sez. VI, 9.2.2012, n. 19219). Integra il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, la condotta del debitore esecutato che, divenuto custode - ai sensi dell'art. 521 bis c.p.c. - dopo la notifica del pignoramento di un bene mobile registrato, omette di consegnare la cosa entro il termine di dieci giorni all'istituto vendite giudiziarie, continuando a trattenerla ed ad utilizzarla (C., Sez. VI, 22.4.2016, n. 19412).
Il reato di sottrazione di cose sottoposte a pignoramento, previsto dall'art. 388, 3° co., (oggi leggasi 5° co.) ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui viene posta in essere la violazione del vincolo di indisponibilità cui è soggetto il bene, cosicché, una volta constatato che lo stesso è stato distolto dalla procedura esecutiva, deve escludersi che un successivo accertamento della medesima condotta già compiuta integri un'ulteriore violazione della norma incriminatrice, trattandosi della mera ricognizione di effetti, ancora permanenti, di un delitto già perfezionatosi (C., Sez. VI, 27.9-15.11.2017, n. 52173).
Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, e non già il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (di cui all'art. 388, 3° co., oggi 5° co.), la condotta di occultamento di un bene sottoposto a sequestro giudiziario da parte di soggetto fallito (C., Sez. V, 13-28.9.2017, n. 44901). Di recente, la Suprema Corte ha affermato che l'unica omissione che può integrare il delitto di cui all'art. 388, 5° co., in caso di pignoramento di crediti del debitore esecutato verso terzi, è costituita dal mancato accantonamento, da parte del terzo, delle somme dovute al proprio creditore, in favore del creditore procedente, nel lasso di tempo intercorrente tra la notifica del pignoramento e l'emissione da parte del giudice dell'esecuzione dell'ordinanza di assegnazione del credito (C., Sez. VI, 9.4-4.6.2019, n. 24882).
Nel 6° co. sono previste in realtà due diverse condotte: il fatto commesso dal proprietario su una cosa affidata alla sua custodia ed il fatto commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa (cfr. Ronco, 116). Le due condotte sono valutate con severità crescente in ragione della violazione dei doveri pubblicistici (così, criticamente, Pioletti U., 591): rispettivamente, con la reclusione da due mesi a due anni e con la multa da euro trenta a euro trecentonove (lire sessantamila a seicentomila) oppure con la reclusione da quattro mesi e tre anni e la multa da euro cinquantuno a euro cinquecentosedici (lire centomila a un milione).
15. d) Il dolo
Nelle ipotesi di cui al 5° e 6° co. si richiede il dolo generico, che necessita della volontà di eludere il vincolo del pignoramento o del sequestro (Pagliaro, PS, II, 234). Tuttavia, nell'ipotesi di reato commesso dal custode non proprietario, occorre il dolo specifico: il fatto deve infatti essere commesso «al solo scopo di favorire il proprietario della cosa» (Maiello, 6).
In giurisprudenza si è affermato che per la configurazione del reato di sottrazione di cosa sottoposta a pignoramento da parte del proprietario-custode, previsto dall'art. 388 è richiesto il dolo generico che prescinde dal motivo a delinquere del reo e consiste nella coscienza e volontà da parte di costui di agire contrariamente ai suoi doveri di custode giudiziario ( C., Sez. VI, 17.1.2008; C., Sez. VI, 7.10.2003).
Più recentemente, anche C., Sez. VI, 4.2-5.3.2020, n. 9013, ha ricordato che, ai fini della configurazione di queste ipotesi, è sufficiente il dolo generico, che si ravvisa nella conoscenza del vincolo giudiziario e nella volontà dell'amotio, indipendentemente dallo scopo dell'agente.
16. e) Forme di manifestazione e concorso di reati
I reati di cui al 5° e 6° co. si consumano nel momento nel quale l'agente ottiene il risultato di rendere impossibile o più difficile il pignoramento o il sequestro (Romano B., PS, 351).
Nell'ipotesi di concorso di condotte delittuose tra il proprietario ed il custode della cosa, per una tesi ciascuno risponde della fattispecie soggettiva connessa alla propria qualifica (Ronco, 116; Pagliaro, PS, II, 236), altri ritiene che prevalga il reato più grave (Vinciguerra, Sulla partecipazione atipica mediante omissione a reato proprio, in RIDPP, 1967, 313), altri ancora distingue in ragione del soggetto che ha posto in essere la condotta materiale (Venturati, 183).
In ordine al concorso di reati, può affermarsi che le varie forme di condotte previste nell'art. 388, 5° e 6° co. costituiscono forme alternative e, dunque, al loro moltiplicarsi, il reato rimane unico (Pagliaro, PS, II, 236).
17. L'ipotesi di cui al 7° comma
L'attuale art. 388, 7° co. (fino all'entrata in vigore del D.Lgs. 11.5.2018, n. 63, 5° co.) corrisponde in toto al comma introdotto nel vecchio testo dell'art. 388 dall'art. 87, L. 24.11.1981, n. 689. Il delitto si configura allorché il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo indebitamente rifiuti, ometta o ritardi un atto dell'ufficio. Pertanto, il delitto de quo presenta numerosi punti di contatto con il delitto di cui all' art. 328 (v.: Rifiuto di atti di ufficio. Omissione) (Ronco, 117).
Si tratta di un reato proprio, poiché può essere commesso soltanto dal custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo (Romano B., PS, 353).
La condotta consiste nel rifiutare, omettere o ritardare indebitamente un atto dell'ufficio. Rifiutare un atto significa manifestare la volontà di non compiere l'atto; omettere un atto significa non compiere l'atto entro il previsto termine perentorio; ritardare l'atto significa rinviare il compimento dell'atto oltre il termine ordinatorio prescritto (Pagliaro, PS, II, 232). Le descritte condotte devono essere poste in essere indebitamente, cioè in modo contrario ai doveri di ufficio.
In giurisprudenza si è affermato che la mancata consegna, da parte del custode, di beni sottoposti a pignoramento è punibile ai sensi dell'art. 388, 5° co., (oggi 7° co.) dovendosi escludere, per converso, la inquadrabilità di detta condotta nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 328 (C., Sez. I, 19.1.1998). Si è poi precisato che il comportamento del proprietario custode dei beni pignorati che non si renda reperibile il giorno dell'accesso fissato dall'ufficiale giudiziario per la sostituzione del custode dei beni pignorati e l'asporto di essi, non integra gli estremi del reato di cui all'art. 388, 3° e 4° co., (oggi 5° e 6° co.) in quanto con esso non vengono sottratti i beni destinati a soddisfare le ragioni del creditore pignorante, bensì del delitto previsto dall'art. 388, 5° co., (oggi 7° co.) trattandosi di un omissione da parte del custode che si sottrae all'obbligo di mettere a disposizione del nuovo custode le cose pignorate (C., Sez. VI, 16.3.2001; C., Sez. VI, 22.10.1999). Invece, si è ritenuto che risponda del reato di sottrazione di beni pignorati, di cui all'art. 334, e non di quello, previsto dall'art. 388, 5° co., (oggi 7° co.) il custode il quale, invitato ad esibire i beni pignorati, non si faccia trovare né in ogni modo permetta il loro rinvenimento e prelievo (C., Sez. VI, 27.1.1989). Recentemente, inoltre, la Corte di Cassazione, oltre a ribadire che l'art. 388, 7° co., costituisce un'ipotesi speciale della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 328 per il fatto di potere realizzata dal solo custode, ha affermato che la violazione di questa disposizione ricorre unicamente in capo al legittimo proprietario di beni registrati pignorati che ne ometta la consegna all'I.V.G. nel termine prescritto (C., Sez. VI, 9.2-7.5.2021, n. 17895).
Il delitto è punibile a titolo di dolo (Pagliaro, PS, II, 235).
In giurisprudenza si è ritenuto che il custode che alleghi l'insussistenza del dolo generico per imputare a mera negligenza la violazione di un obbligo costituente omissione di un atto di ufficio diretta a ostacolare o impedire l'esecuzione, non può sottrarsi all'onere di indicare - quanto meno - gli elementi positivi idonei a suffragare la mancanza di coscienza e di volontà dello specifico inadempimento da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto (C., Sez. VI, 7.3.2005; C., Sez. VI, 17.4.1998).
18. L'ipotesi di cui al 8° comma
L'attuale art. 388, 8° co. (fino all'entrata in vigore del D.Lgs. 11.5.2018, n. 63, trattavasi del 6° co.) corrisponde del tutto al comma introdotto, nell'originario testo dell'art. 388, dall'art. 2, 1° co., L. 24.2. 2006, n. 52, recante «riforma delle esecuzioni mobiliari».
Il D.Lgs. 11.5.2018, n. 63 ha operato una modifica sull'8° co., sostituendo il richiamo al 5° co. con il richiamo al 7° co. Ciò, tuttavia, non ha portato ad una modifica di disciplina, ma ad un mero adattamento del testo, dal momento che l'introduzione delle nuove fattispecie al 3° ed al 4° co. ha portato uno slittamento in avanti di due commi dei previgenti 3° co. e ss. dell'art. 388. Questo il motivo per cui, laddove, ante novella, l'art. 388, 6° co., richiamava il 5° co., ora l'art. 388, 8° co., richiama il 7° co.
Si tratta di un reato proprio, poiché può essere commesso soltanto dal debitore o dall'amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice.
Presupposto necessario per la configurabilità del reato è l'invito dell'ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, ai sensi dell'art. 492 c.p.c.
La condotta può consistere o nella omessa risposta nel termine di quindici giorni oppure nella effettuazione di una falsa dichiarazione.
Il delitto è punibile a titolo di dolo.
Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 388, 6° co. (oggi 8° co.) non occorre che l'invito dell'ufficiale giudiziario sia consegnato personalmente al debitore, ma è necessario che esso contenga l'avvertimento della sanzione penale conseguente all'omessa o falsa dichiarazione (C., Sez. VI, 26.4.2012, n. 26060), come pure l'indicazione espressa del termine entro il quale questi deve dichiarare l'esistenza di cose o crediti pignorabili (C., Sez. VI, 30.4-1.7.2019, n. 28516).
Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 388, 6° co., (oggi 8° co.) è sufficiente l'omessa o falsa dichiarazione relativa ad un credito contestato (C., Sez. VI, 1.4.2015, n. 15915).
L'errore su legge diversa da quella penale di cui all'art. 47, 3° co., non rileva nel caso di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, fra le quali rientrano quelle che attribuiscono ad un bene il carattere della pignorabilità, trattandosi di disposizioni che, in quanto espressamente richiamate dall'art. 388, 6° co., (oggi 8° co.) attraverso lo specifico riferimento alle cose o ai crediti "pignorabili", ne costituiscono parte integrante. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna emessa in ordine al delitto di cui all'art. 388, 6° co., (oggi 8° co.) per avere l'imputato, in qualità di debitore sottoposto a pignoramento mobiliare, dichiarato falsamente di non possedere beni pignorabili, ritenendo erroneamente che la propria pensione fosse impignorabile) (C., Sez. VI, 31.5.2016, n. 27941).
L'omessa indicazione all'ufficiale giudiziario da parte del debitore esecutato della titolarità delle quote della s.a.s. non integra il reato di cui all'art. 388, 6° co., (oggi 8° co.) che ha ad oggetto l'omessa o falsa dichiarazione in ordine a beni pignorabili e non quelli impignorabili (come dette quote sociali), come tali, esclusi all'obbligo dichiarativo (C., Sez. VI, 6.7.2017, n. 36760).
19. La punibilità a querela della persona offesa
Ai sensi dell'art. 388, 9° co., (fino all'entrata in vigore del D.Lgs. 11.5.2018, n. 63, 7° co.) il colpevole è punito a querela della persona offesa. Tale dato, come anticipato, è stato ritenuto significativamente rilevante ai fini dell'individuazione del bene tutelato nelle diverse figure disciplinate nell'art. 388 ed a differenziarle soprattutto dai delitti di cui agli artt. 334 e 328.
Il termine per la querela decorre dalla data in cui l'inottemperanza pervenga a conoscenza del creditore (C., Sez. VI, 15.10.2010).
La legittimazione a proporre querela per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice riguardante l'affidamento dei figli, previsto dall'art. 388, 2° co. spetta al genitore interessato all'osservanza del provvedimento e non al minore, in quanto l'interesse tutelato è quello relativo all'esercizio delle prerogative genitoriali (C., Sez. VI, 25.7-10.10.2017, n. 46483). In senso conforme, più recentemente, anche C., Sez. VI, 23.1-4.3.2020, n. 8812.
11-07-2021 14:36
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