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Sentenza

Trapanese condannato a 3 anni e 2 mesi di reclusione. Detenzione di hashish. Sulla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali: la difesa sostiene che i decreti autorizzativi redatti nella forma della motivazione per relationem non lasciavano emergere, in difetto di argomenti e considerazioni proprie del giudice sul contenuto del provvedimento di riferimento, l'iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l'indispensabilità del mezzo di ricerca della prova.
Trapanese condannato a 3 anni e 2 mesi di reclusione. Detenzione di hashish. Sulla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali: la difesa sostiene che i decreti autorizzativi redatti nella forma della motivazione per relationem non lasciavano emergere, in difetto di argomenti e considerazioni proprie del giudice sul contenuto del provvedimento di riferimento, l'iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l'indispensabilità del mezzo di ricerca della prova.
Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 11266 Anno 2020 Presidente: SARNO GIULIO Relatore: GALTERIO DONATELLA Data Udienza: 06/03/2020
SENTENZA
sul ricorso proposto da
M.A. nato a T. ....
avverso la sentenza in data 16.5.2019 della Corte di Appello di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 16.5.2019 la Corte di Appello di Palermo ha
integralmente confermato la pronuncia resa dal Tribunale di Marsala, all'esito del
primo grado di giudizio svoltosi con le forme del rito abbreviato, nei confronti di
A.M. condannato alla pena di tre anni e due mesi di reclusione in
quanto responsabile del reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, quarto comma
d.P.R. 309/1990 in relazione a due episodi detenzione di hashish, in continuazione
con analogo reato accertato dal Tribunale di Trapani con sentenza divenuta
irrevocabile il 3.11.2015.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite
del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito
riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito agli artt. 267, primo comma e 271 cod. proc. pen., l'inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche ed ambientali, i cui decreti autorizzativi redatti nella
forma della motivazione per relationem non lasciavano affatto emergere, in difetto
di argomenti e considerazioni proprie del giudice sul contenuto del provvedimento
di riferimento, l'iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l'indispensabilità
del mezzo di ricerca della prova. Si duole altresì della mancanza di adeguata
motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza tali da giustificare il ricorso
alle intercettazioni che avrebbe richiesto, in luogo di una clausola di mero stile,
almeno l'indicazione degli elementi che consentissero di ritenere la cripticità del
linguaggio utilizzato.
2.2. Con il secondo motivo censura, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 d.P.R. 309/1990 e al vizio motivazionale,
la valutazione del materiale probatorio posto a fondamento dell'affermazione di
responsabilità evidenziando l'incongruenza, a fronte della mancanza di sequestro
della sostanza stupefacente, del ragionamento seguito dalla Corte di merito atteso
che la circostanza che il P.era stato tratto in arresto il 21 luglio 2014
ovverosia un mese prima dell'arresto dello stesso M. escludeva che il primo
potesse essere il fornitore dell'imputato in relazione ad un quantitativo di hashish
trovato in suo possesso il 21 agosto 2014. Eccepisce altresì l'incongruenza
dell'affermazione resa dalla Corte di Appello secondo cui la difesa non avrebbe
offerto versioni alternative rispetto alla ricostruzione effettuata dalla sentenza, in
palese contrasto con il principio immanente al processo penale in ordine all'onere
probatorio a carico dell'accusa
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La difesa, nell'operare un'indebita assimilazione tra la motivazione
apparente e quella per relationem, censura i provvedimenti autorizzativi resi dal
GIP in ordine alle acquisite intercettazioni telefoniche ed ambientali per aver fatto
ricorso a tale seconda tecnica motivazionale attraverso il mero richiamo, facendo
ad esso rinvio, le argomentazioni spese tanto dalla Questura di Trapani nella nota
specificamente menzionata quanto dal Pubblico Ministero nella relativa richiesta in
quanto ritenute "condivisibili", senza aver dato prova di aver preso contezza
effettiva del loro contenuto, né dell'iter valutativo e cognitivo seguito ai fini della
delibazione della richiesta.
Oltre al difetto di specificità che presenta, in assenza degli estremi
identificativi degli atti e della loro mancata allegazione al ricorso, (cfr. Sez. 2, n.
44221 del 18/10/2013 - dep. 29/10/2013, Capizzi, Rv. 257667 secondo cui
l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, può essere esaminata solo a
condizione che l'atto asseritamente inutilizzabile sia stato specificamente indicato
in ricorso e faccia parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità), il motivo
in esame è comunque manifestamente infondato. A differenza di quanto accade
con la motivazione apparente che si risolve nell'enunciazione di stilemi privi di
contenuto, deve ritenersi che il giudice abbia assolto agli oneri di motivazione a
suo carico, ritenendo congrue le giustificazioni rese sul punto dall'organo
dell'accusa e dall'autorità di polizia giudiziaria di cui ha mostrato con tale sintetica
formula di aver preso cognizione e di averle reputate, recependole integralmente,
conformi al proprio convincimento.
Va infatti rilevato che, muovendo dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 17/2000
- secondo la quale la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale
è da considerare legittima quando: 1)- faccia riferimento, recettizio o di semplice
rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua
rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
2)- fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto
sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e
ritenute coerenti con la sua decisione; 3)- l'atto di riferimento, quando non venga
allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato
o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio
della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e,
conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione
(Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 - dep. 21/09/2000, Primavera e altri, Rv. 216664)
-, la giurisprudenza di questa Corte si è unanimemente espressa sulla possibilità
di motivare "per relationem" il decreto autorizzativo emesso dal GIP ai sensi
dell'art. 267 cod. proc. pen. allorquando questi ritenga che la richiesta del PM sia
compiutamente motivata sotto il profilo indiziario e della necessità di procedere
alle operazioni di intercettazioni telefoniche ed ambientali (da ultimo cfr. Sez. 5,
n. 36913 del 05/06/2017 - dep. 25/07/2017, Pm in proc. Tipa, Rv. 270758; Sez.
6, n. 46056 del 14/11/2008 - dep. 12/12/2008, Mantella, Rv. 242233). Ciò che
rileva, in sostanza, è che dalle motivazioni richiamate possa dedursi l'iter cognitivo
e valutativo, seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati, i quali per il
loro utilizzo debbono profilarsi ed essere conformi alle prescrizioni della legge.
Premesso che solo alla motivazione assente o apparente consegue l'inutilizzabilità
dei risultati delle disposte intercettazioni (Sez.U. 23 novembre 2004, 45189/2004,
Rv. 229246, Esposito), non possono considerarsi motivazioni meramente
apparenti quelle contenute nei decreti autorizzativi emessi dal G.I.P. che,
analizzati in concreto e nella loro concreta successione procedimentale, trovano
supporto argomentativo sufficiente nel richiamo alle richieste del P.M. e alle
relazioni di servizio della polizia giudiziaria.
Avendo nella specie il GIP dato compiuta dimostrazione, attraverso il richiamo
"per relationem" alle richieste del pubblico ministero ed alle relazioni di servizio
della polizia giudiziaria, di averle prese in esame e condiviso gli assunti in relazione
alla concreta sussistenza dei presupposti necessari per disporre le intercettazioni,
gravava sul ricorrente l'onere di indirizzare le proprie contestazioni in punto di
congruità della motivazione nei confronti di tali ulteriori atti che in quanto
integralmente recepiti costituiscono un corpo unico con il decreto autorizzativo.
Nulla di tutto ciò emerge dal presente ricorso che si limita a contestare la
tecnica redazionale legittimamente adottata dal GIP, senza prendere alcuna
posizione sul contenuto dell'informativa di reato e sulla richiesta di emissione dei
decreti autorizzativi, del tutto tralasciate, lasciando così la doglianza priva di
sostanziale contenuto.
Del pari generiche devono ritenersi le ulteriori doglianze in ordine alla
sussistenza dei gravi indizi di reato di cui all'art. 267 cod. proc. pen., da cui la
difesa, contestando in termini meramente astratti la sussistenza del presupposto
legittimante l'autorizzazione delle intercettazioni, ritiene debba conseguire
l'inutilizzabilità. Se è vero che l'inutilizzabilità degli esiti delle operazioni di
captazione consegue alle sole ipotesi in cui i decreti siano stati adottati fuori dei
casi consentiti dalla legge o in violazione delle disposizioni previste dagli artt. 267
e 268, commi primo e terzo, cod. proc. pen., il ricorso non contiene tuttavia alcuna
indicazione specifica delle ragioni per le quali i fatti indicati nella notitia crinninis
non potessero assurgere a presupposto legittimante l'adozione di tale strumento
di ricerca della prova. La difesa si limita a sostenere la mancanza di adeguata
motivazione in ordine alla cripticità del linguaggio utilizzato, senza neppure
chiarire a quale linguaggio si riferisca, dando prova in tal modo comunque di
confondere il presupposto richiesto per disporre l'intercettazione, ovverosia la
necessità di specifiche esigenze investigative, con i gravi indizi di colpevolezza
previsti a livello indiziario in ordine alla consistenza dell'ipotesi accusatoria.
Va al riguardo chiarito che la sussistenza di gravi indizi di reato prevista
dall'art. 267 cod. proc. pen. non richiede affatto il contenuto di una valutazione
prognostica, seppure indiziaria, di colpevolezza, risolvendosi per contro nella
prefigurazione in chiave altamente probabilistica di un "fatto storico" integrante
una determinata ipotesi di reato, il cui accertamento imponga l'adozione del mezzo
di ricerca della prova, da circoscrivere di particolari garanzie in ragione della
peculiare invasività del mezzo rispetto all'area dei valori presidiati dall'art. 15
Cost.. Da ciò deriva che il legislatore, mirando a prevenire qualsiasi uso non
necessario di uno strumento tanto insidioso per la sfera della libertà e segretezza
delle comunicazioni, espressamente prescrive soltanto un controllo penetrante
circa l'esistenza delle esigenze investigative e la finalizzazione delle intercettazioni
al relativo soddisfacimento, senza, quindi, alcun riferimento alla delibazione, nel
merito, di una ipotesi accusatoria, che può ancora non avere trovato una sua
consistenza. In una tale prospettiva, la motivazione del decreto non deve
esprimere una valutazione sulla fondatezza dell'accusa, ma solo un vaglio di
effettiva serietà del progetto investigativo (Sez. 5, n. 41131 del 08/10/2003,
Liscai, Rv. 227053), atteso che la principale funzione di garanzia della motivazione
del decreto risiede nell'individuazione della specifica vicenda criminosa cui
l'autorizzazione stessa si riferisce, in modo da prevenire il rischio di autorizzazione
in bianco e di impedire altresì che l'intercettazione da mezzo di ricerca della prova
si trasformi in mezzo per la ricerca della notizia di reato (Sez. 3, n. 14954 del
02/12/2014 - dep. 13/04/2015, Carrara ed altri, Rv. 263044).
2. Il secondo motivo, compendiandosi nella riproduzione delle stesse censure
in punto di valutazione della prova articolate con l'atto di appello che la stessa
Corte palermitana ha qualificato inammissibili stante l'omesso confronto con
particolareggiata ricostruzione del fatto operata, attraverso la meticolosa disamina
del materiale captativo acquisito, dal giudice di prime cure non può neanch'esso
trovare ingresso innanzi a questa Corte. La genericità delle contestazioni difensive
già censurate dai giudici distrettuali non viene affatto superata dal presente ricorso
che reitera, amplificandone la portata stante la natura di legittimità del presente
giudizio, la stessa impostazione generica e meramente contestativa delle
doglianze devolute con la precedente impugnativa. Ancor prima di contestare nel
merito, peraltro anche in tal caso del tutto genericamente, l'affermazione di
responsabilità del prevenuto con riguardo al capo B) dell'imputazione, incombeva
necessariamente sulla difesa l'onere di confutare specificamente la genericità della
relativa doglianza articolata con il ricorso in appello, come tale ritenuta dalla Corte
territoriale, evidenziando quanto meno nelle linee essenziali la sussistenza di
puntuali ragioni volte a sollecitare una diversa risposta del giudice del gravame
rispetto alle valutazioni effettuate sul punto dal Tribunale. Rimanendo il presente
ricorso del tutto silente sul punto, il motivo in esame deve essere dichiarato
inammissibile
Segue all'esito del ricorso la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616
cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi,
alla luce della sentenza del 13 giugno 2000 n.186, per ritenere che abbia proposto
la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in
favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 6.3.2010
Avv. Antonino Sugamele

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