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Sentenza

Stalking: è legittimo il divieto di avvicinare la vittima anche se impedisce di andare al lavoro?
Stalking: è legittimo il divieto di avvicinare la vittima anche se impedisce di andare al lavoro?
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-07-2020) 01-10-2020, n. 27271

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo - Presidente -

Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere -

Dott. ROMANO Michele - Consigliere -

Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere -

Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.G., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del Tribunale di Roma in funzione di riesame in data 4/03/2020;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere CALASELICE B.;

letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, PICARDI A., che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Roma in funzione di riesame, ha accolto l'appello del pubblico ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale in sede, avverso l'ordinanza reiettiva del Giudice per le indagini preliminari, applicando a S.G. la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi normalmente frequentati dalla parte lesa, indicati nel dispositivo, nonchè del divieto di avvicinamento e comunicazione con la persona offesa, in relazione al reato di cui all'art. 612-bis c.p..

2. Avverso il provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'indagato, per il tramite del difensore, il quale nei motivi di seguito riassunti, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., ha dedotto tre vizi.

2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza dell'art. 310 c.p.p. e art. 273 c.p.p., comma 1 e violazione del giudicato cautelare.

Si tratta di provvedimento che fonda sulle medesime argomentazioni di cui alla richiesta del pubblico ministero del 21 ottobre 2019, rigettata dal Giudice per le indagini preliminari in data 24 ottobre 2019, con ordinanza non impugnata. Il Tribunale ha, infatti, ignorato, secondo il ricorrente, la seconda richiesta del 21 novembre 2019, rigettata il 25 novembre successivo e ha fatto riferimento esclusivo alla prima istanza cautelare, ritenendo che l'appello interposto fosse relativo al primo diniego. Sicchè si rivaluterebbero, secondo il ricorrente, i medesimi argomenti e circostanze di fatto che avevano condotto al primo rigetto non impugnato (informative di polizia giudiziaria, denunce di V.M., dichiarazioni dei collaboratori scolastici). Nè la preclusione sarebbe superata dalla presentazione di elementi nuovi contenuti nella seconda richiesta cautelare.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà manifesta illogicità della motivazione. Si valuterebbe il comportamento, da un lato, evidenziandone le condotte persecutorie ed oggettive, dall'altro, quei comportamenti espressione di mera piaggeria e adulazione, non idonei ad integrare gli indizi gravi del reato contestato, quanto all'elemento oggettivo, residuando, comunque, dubbi circa la sussistenza dell'elemento soggettivo.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza dell'art. 282-ter c.p.p., comma 4, trattandosi, quanto al luogo per il quale è stato disposto il divieto, del luogo di lavoro dell'indagato, per il quale la frequentazione è necessaria, in assenza della previsione, nel provvedimento, di modalità che consentano l'espletamento dell'esercizio del diritto al lavoro costituzionalmente tutelato.

3. Il Procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

1. Va premesso che si è in presenza di ricorso con trattazione in camera di consiglio senza partecipazione delle parti (Procuratore generale e difensore del ricorrente), con contraddittorio scritto D.L. 17 marzo 2020, n. 18, ex art. 83, comma 12-ter, inserito dalla Legge di Conversione 24 aprile 2020, n. 27.

1.1. Ciò posto si rileva che il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è infondato.

Si lamenta, in sostanza, un'indebita sovrapposizione tra la prima richiesta di applicazione della misura cautelare e il secondo provvedimento di rigetto del Giudice per le indagini preliminari.

2.1. Sennonchè la lettura dell'ordinanza censurata consente agevolmente di rilevare che il ricorso per cassazione riguarda il provvedimento del Tribunale del riesame che accoglie l'appello avverso l'ordinanza di rigetto del 25 novembre 2019, unico provvedimento rispetto al quale, dunque, si deve valutare la sussistenza o meno del cd. giudicato cautelare. Oltre alla prima richiesta di misura cautelare, invero, risulta in atti una seconda richiesta, datata 21 novembre 2019, la quale pur richiamando elementi indiziari posti base di precedente istanza cautelare, indica elementi a carico nuovi, non conosciuti dal Giudice che aveva rigettato la prima richiesta di adozione di misura, debitamente valorizzati dal Tribunale in funzione di appello avverso il secondo diniego di adozione di misura cautelare.

Come correttamente precisato nella requisitoria scritta del Procuratore generale, detti elementi vanno individuati in una nota della persona offesa del 21 novembre 2019 (n.d.r.: dunque senz'altro successiva alla prima richiesta), nelle sommarie informazioni rese dal coniuge della parte lesa e da due testi, tutti elementi succintamente indicati nella richiesta ed ampiamente vagliati nell'ordinanza del Tribunale del riesame impugnata in questa sede.

La nuova richiesta fonda, dunque, su dichiarazioni del coniuge della parte lesa, reiterazione delle minacce nonostante la pendenza delle indagini, confermate da due testi (professori dell'istituto scolastico (OMISSIS), di cui la vittima è Preside), colleghi di lavoro dell'odierno indagato, elementi di novità idonei a superare la dedotta preclusione.

Tanto in linea con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, il delitto previsto dell'art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento in una sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio. Sicchè ciò che rileva, ai fini dell'elemento oggettivo del reato, non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento (fra molte nello stesso senso, Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, P., Rv. 275381; Sez. 5, n. 58718 del 5/11/2014, T., 262636).

2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, posto che si censura la decisione in fatto, assumendo che alcune condotte reputate persecutorie, si sarebbero sostanziate in meri atti di piaggeria ed adulazione verso il dirigente scolastico, così prospettando un'alternativa lettura del dato indiziario, non consentita a questa Corte di legittimità.

Si osserva, invero, che va condiviso l'approdo interpretativo al quale è giunta la costante giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, il sindacato del giudice di legittimità non possa estendersi alla revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi. Si tratta di apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura (in questo caso il Tribunale con funzione di appello). La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, dunque, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la logica seguita dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura, assoluta apparenza nemmeno dedotta per il caso di specie (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 1, n. 6972, del 7/12/1999, dep. 2000, Alberti, Rv. 215331).

2.3. Il terzo motivo è infondato.

Sussiste, invero, nel caso della misura del divieto di avvicinamento, la piena legittimità del provvedimento che obblighi il destinatario a mantenere una certa distanza dalla vittima, ovunque questa si trovi. Ciò nel caso, come quello al vaglio, in cui la condotta si connoti per una persistente ricerca di avvicinamento alla vittima. Tanto in ossequio all'indirizzo di questa Corte che va senz'altro condiviso, secondo cui è legittimo il provvedimento che, ex art. 282-ter c.p.p., obblighi il destinatario della misura a mantenere una certa distanza dalla persona offesa, ovunque questa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto, essendo tale provvedimento cautelare rivolto a tutelare il diritto della persona offesa ad esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza, a prescindere, quindi, dal luogo in cui questa venga a trovarsi (Sez. 3, n. 23472 del 27/03/2019, S., Rv. 275974 Sez. 5, n. 18139 del 26/03/2018, B., Rv. 273173).

Peraltro osserva la Corte che la concorrente necessità di frequentazione del luogo di lavoro da parte dell'indagato, è esigenza da rappresentare al giudice del merito cautelare, onde ottenere la specificazione di modalità di svolgimento che possano assicurare l'esercizio del diritto al lavoro, ove compatibile con la misura in atto e le esigenze cautelari sopra descritte, cui la stessa è preposta.

4. Alla luce dei suindicati argomenti consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna, ai sensi dell'art. 616 codice di rito, al pagamento delle spese processuali, nonchè, per la Cancelleria, l'espletamento degli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. c.p.p..

4.2. In caso di diffusione del presente provvedimento, sì dispone di omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. c.p.p..

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020
Avv. Antonino Sugamele

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