Il porto, in luogo pubblico o aperto al pubblico, di un'arma comune da sparo da parte di persona munita di licenza di caccia scaduta, revocata o non rinnovata per decisione dell'autorità amministrativa, integra il delitto previsto dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 4 in relazione all'art. 7 della stessa legge
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-09-2020) 06-10-2020, n. 27707
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo - Presidente -
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Consigliere -
Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio - Consigliere -
Dott. APRILE Stefano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/04/2019 della CORTE d'APPELLO di CAGLIARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PINELLI MARIO MARIA STEFANO, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
dato atto dell'assenza del difensore.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Cagliari ha confermato la sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Oristano in data 21 febbraio 2017 con la quale M.M. è stato giudicato responsabile del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 4 per avere portato illegalmente fuori dalla propria abitazione un fucile da caccia semiautomatico calibro 12 nonchè 12 cartucce caricate a palla singola e a pallettoni, il (OMISSIS).
Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito, che in punto di fatto non risulta contrastata dal ricorso, l'imputato è risultato avere portato al seguito - a bordo di un veicolo occupato anche da altri due soggetti che, in possesso di valida licenza per il proto d'armi a uso di caccia, portavano ciascuno al seguito il proprio fucile - l'arma di cui all'imputazione, venendo colto nell'agro oristanese dove pochi istanti prima gli agenti del Corpo Forestale dello Stato avevano fermato un altro individuo che portava al seguito un cane da caccia.
Risulta, del resto, non controverso che la licenza per il porto di fucile da caccia rilasciata all'imputato il 26 febbraio 2010 era stata oggetto di diniego del rinnovo annuale nel 2013 e che, d'altra parte, l'imputato non risultava neppure possedere i requisiti soggettivi per ottenere il rinnovo della licenza del porto d'armi per uso di caccia ovvero una nuova concessione di essa.
Viceversa, la detenzione dell'arma sequestrata risultava regolarmente denunciata da parte del medesimo imputato presso la propria abitazione.
2. Ricorre M.M., a mezzo del difensore avv. Giuseppe Floris, che chiede l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando la violazione di legge, in riferimento agli artt. 110, 51 e 119 c.p., art. 521 c.p.p., L. n. 895 del 1967, art. 4, art. 42 TULPS, L. n. 110 del 1975, art. 22 e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione della responsabilità nonostante l'imputato non detenesse da solo l'arma, ma insieme ad altri due individui che erano titolari di regolare licenza, sicchè, trattandosi della detenzione in concorso, il ricorrente doveva essere mandato assolto in presenza della causa di giustificazione costituita dall'autorizzazione amministrativa di cui gli altri due soggetti erano in possesso.
3. L'udienza del 7/4/2020, fissata per la trattazione del ricorso, è stata rinviata ex lege in forza del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, e successivi, con sospensione del termine di prescrizione dal 9 marzo 2020 fino alla cessazione dei provvedimenti emergenziali successivamente emanati.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.
2. Va anzitutto premesso che il porto, in luogo pubblico o aperto al pubblico, di un'arma comune da sparo da parte di persona munita di licenza di caccia scaduta, revocata o non rinnovata per decisione dell'autorità amministrativa, integra il delitto previsto dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 4 in relazione all'art. 7 della stessa legge (Sez. 1, n. 1664 del 19/06/2018 dep. 2019, Stefana, Rv. 274797).
La giurisprudenza ha tempo chiarito che il porto illegale di arma comune da sparo da parte di persona munita di licenza di caccia scaduta per decorso del termine di validità previsto dalla legge - ipotesi alla quale è assimilabile anche quella derivante dalla revoca della licenza da parte dell'autorità - si risolve in una vera e propria mancanza della licenza, sicchè il reato configurabile è il delitto previsto dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 4 in relazione all'art. 7 della stessa legge; mentre la diversa condotta di porto della stessa arma, abusivo per mancanza di validità della licenza per uso caccia conseguente all'omesso pagamento della tassa di concessione governativa, integra gli estremi della contravvenzione prevista dal combinato disposto dell'art. 699 c.p. e L. n. 497 del 1974, art. 15 ed è punita ai sensi dell'art. 14, comma 2 della predetta legge, in relazione al già citato art. 699 c.p. e della L. n. 110 del 1975, art. 34 (Sez. 1, n. 1 del 08/01/1982, Chiurco, Rv. 152169).
3. Ciò premesso, deve essere sgombrato il campo dall'impropria deduzione della violazione della L. n. 110 del 1975, art. 22 in disparte la circostanza, in realtà di per sè decisiva per escludere l'ammissibilità della questione, che la difesa non ha mai dedotto nel giudizio di merito che il fucile in questione sia stato locato o concesso in comodato dall'imputato a terzi.
3.1. La norma stabilisce, sotto la rubrica "locazione e comodato di armi" che "non è consentita la locazione o il comodato delle armi di cui agli artt. 1 e 2, salvo che si tratti di armi per uso scenico, ovvero di armi destinate ad uso sportivo o di caccia, ovvero che il conduttore o accomodatario sia munito di autorizzazione per la fabbricazione di armi o munizioni ed il contratto avvenga per esigenze di studio, di esperimento, di collaudo (...)".
Dell'art. 22, successivo comma 2 stabilisce "che è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 2.000 Euro a 20.000 Euro chiunque dà o riceve in locazione o comodato armi in violazione del divieto di cui al precedente comma".
Con riguardo alla fattispecie di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 22 la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che "in tema di locazione e comodato di armi da guerra o comuni da sparo, la illiceità della condotta è esclusa solo alla doppia condizione che l'oggetto materiale sia obiettivamente qualificabile quale arma per uso scenico o destinata ad uso sportivo o di caccia, e che l'arma concessa in locazione od in comodato sia effettivamente destinata dal ricevente all'uso scenico, sportivo o venatorio" (Sez. 1, n. 10650 del 22/01/2002, Mula ed altro, Rv. 221469), precisando, poi, che non sussiste in capo al cedente il reato nel caso di consegna in comodato di un fucile da caccia per l'utilizzo in una battuta di caccia a soggetto non munito di porto d'armi (Sez. 1, n. 46260 del 08/11/2012, Valisi, Rv. 253967).
Appare, pertanto, evidente che la concessione in locazione o comodato delle armi da sparo è invariabilmente vietata ed è penalmente sanzionata dalla, L. 110 del 1975, art. 22, comma 2.
Viceversa, resta al di fuori del perimetro normativo dell'indicata disposizione la cessione in locazione o comodato di un'arma da sparo soltanto in presenza di una doppia condizione: che si tratti di arma per uso scenico o destinata ad uso sportivo o di caccia e che sia effettivamente destinata a tali usi.
3.2. Così chiarito l'ambito di applicazione della L. n. 110 del 1975, art. 22 è opportuno evidenziare che le condotte ivi descritte concernono unicamente la cessione dell'arma a tale titolo e non anche la detenzione e il porto di essa.
Il sistema legale posto a presidio della circolazione delle armi è improntato al rispetto di rigidi schemi caratterizzati dalla formalizzazione e tracciatura di ogni vicenda che riguarda l'arma, sicchè i vari obblighi di catalogazione, registrazione, denuncia e licenza seguono il percorso dell'arma dalla produzione, al commercio, alla vendita, alla cessione e alla detenzione, restando generalmente vietato il porto.
In tale contesto di rigida regolamentazione trova spazio la disposizione che concerne la locazione e il comodato di armi, quale negozio di trasferimento da un soggetto a un altro.
Infatti, gli istituti negoziali della locazione e del comodato, noti fin dal diritto romano, sono caratterizzati da una simile situazione di fatto: il trasferimento della cosa o del diritto di goderne per un tempo o un uso determinato.
Il conduttore o il comodatario, usualmente descritti quali detentori qualificati (si veda, in particolare per il comodato, Cass. Civ. Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008 Rv. 602815), esercitano la detenzione della cosa nel proprio interesse (a differenza del detentore), sicchè risulta elemento fondamentale la consegna del bene. In effetti, il contratto, pur concludendosi con il consenso, necessita della consegna della cosa locata o data in comodato in quanto l'oggetto del contratto consiste proprio nell'usare a proprio vantaggio il bene.
3.3. Così sintetizzati i principali elementi dei contratti di locazione e comodato, appare evidente che la locazione e il comodato consentono il trasferimento dell'arma da un soggetto all'altro, con particolare riferimento alla detenzione di essa.
Trattandosi, pertanto, di un negozio giuridico che trasferisce la detenzione dell'arma (similmente alla vendita o alla donazione), la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "in materia di armi, la L. n. 110 del 1975, art. 22 che disciplina il trasferimento a titolo di comodato o locazione di un'arma, non prevede alcuna deroga all'obbligo di denunzia della detenzione dell'arma trasferita ai sensi dell'art. 38 TULPS, obbligo che prescinde dal titolo o dalla durata della detenzione medesima" (Sez. 1, n. 20186 del 16/01/2018, Barranca, Rv. 273124; in precedenza Sez. 4, n. 7292 del 20/01/2006, Farinella ed altri, Rv. 233411).
Conclusivamente, deve affermarsi che il comodato e la locazione di armi, laddove consentiti a norma della L. n. 110 del 1975, art. 22 costituiscono il legittimo titolo per la detenzione, sicchè diversamente entra in gioco la L. n. 895 del 1967, art. 2 detenzione che, a sua volta, deve essere puntualmente denunciata all'autorità di pubblica sicurezza.
3.4. Viceversa, come noto, il porto delle armi è regolato in modo ancora più stringente, giacchè al legittimo detentore di un'arma è vietato portarla fuori dalla propria abitazione, salvo che sia in possesso della specifica licenza o rientri in quelle categorie che sono autorizzate ex lege al porto delle armi da fuoco (si veda, ad esempio, quanto previsto dall'art. 73 del Regolamento del TULPS).
Risulta, infatti, di palmare evidenza la differenza tra il negozio giuridico di locazione o comodato, legittimante il trasferimento della detenzione dell'arma, e il porto dell'arma che è costituito da una situazione di fatto caratterizzata dalla pronta disponibilità per un uso quasi immediato (Sez. 4, n. 23702 del 16/05/2013, Sanna, Rv. 256205).
Ad avviso del Collegio, perciò, indipendentemente dall'eventuale legittimità della locazione o comodato di un'arma di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 22, comma 2, laddove sussistente la doppia condizione ivi prevista, i soggetti protagonisti del negozio giuridico devono adempiere agli obblighi di denuncia della detenzione, mentre, in particolare, il conduttore o comodatario resta soggetto al generale divieto di porto dell'arma, salvo che disponga della relativa licenza o di altro titolo abilitante, non potendosi ritenere tale il ridetto negozio giuridico.
3.5. Ciò premesso, appare evidente che l'attuale ricorrente, avendo intenzionalmente portato fuori dalla propria abitazione il fucile, peraltro neppure a fine di caccia in quanto la relativa stagione risultava chiusa - tanto che nel giudizio si è tentato di introdurre l'uso sportivo, peraltro escluso dalla licenza revocata di cui era titolare l'imputato -, risponde di porto abusivo a norma della L. n. 895 del 1967, artt. 4 e 7 sostituiti dalla L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14 indipendentemente dal concorso dei reati di vendita o di cessione temporanea dell'arma di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 22, comma 2.
4. Deve, del resto, concludersi per la genericità del ricorso con riguardo alla qualificazione della condotta e per la manifesta infondatezza della argomentazione di diritto, che in realtà costituisce il fulcro del ricorso, circa la legittimità del porto del fucile derivante dalla circostanza che le persone, con cui l'imputato si trovava, erano titolari di licenza per il porto di fucile ad uso caccia.
4.1. Va anzitutto evidenziata, con riguardo alla genericità del ricorso, la circostanza, di per sè decisiva per escludere la fondatezza dell'argomentazione difensiva, che i giudici di merito hanno valorizzato come il porto dell'arma è stato accertato nell'immediatezza allorquando l'imputato, invitato dai militari a consegnare le armi di cui fosse in possesso, spontaneamente consegnava il proprio fucile da caccia, così dimostrando la pronta disponibilità dell'arma, elemento che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, dimostra la condotta in argomento (Sez. 1, n. 395 del 06/12/1999 dep. 2000, Verderosa, Rv. 215146; Sez. 6, n. 4970 del 01/12/2015 dep. 2016, Pagano, Rv. 266171).
A fronte di tale logica e coerente argomentazione, il ricorso non sviluppa alcuna specifica censura sicchè sotto tale profilo risulta generico.
4.2. E', comunque, manifestamente infondata la deduzione difensiva che attiene alla censura della violazione di legge, poichè muove da un presupposto errato e propone un'interpretazione manifestamente illogica e in patente contrasto con i principi vigenti in materia.
I giudici di merito hanno concordemente escluso, nè del resto la contestazione conteneva alcun riferimento all'art. 110 c.p., che il porto del fucile di proprietà dell'imputato fosse addebitabile a titolo di concorso anche alle altre due persone che si trovavano insieme al ricorrente a bordo del veicolo diretto in campagna, verosimilmente, come concordemente accertato dai giudici di merito, per avviare l'attività venatoria in un periodo vietato.
Risulta, pertanto, erronea la deduzione difensiva che denuncia la violazione di legge, poichè essa muove da un presupposto di fatto che risulta escluso dalla ricostruzione operata dai giudici di merito, non potendo certo essere ammessa in sede di legittimità una diversa ricostruzione del fatto vieppiù quando il ricorso neppure sviluppa deduzioni sul punto.
4.3. Ciò premesso, è il caso di precisare che l'art. 110 c.p. svolge la specifica funzione di estendere la portata incriminatrice della norma di parte speciale a coloro che concorrono con colui il quale pone in essere la condotta materiale tipica; viceversa, l'art. 110 c.p. non svolge di certo la funzione di escludere la responsabilità dell'autore materiale perchè con esso "concorrono" soggetti che, in quanto dotati della prescritta licenza, sarebbero perciò abilitati al porto dell'arma.
Tale inaccettabile stravolgimento della funzione attribuita dalla legge all'art. 110 c.p. deve essere fermamente respinta, non senza, del resto, evidenziare che la portata incriminatrice della suddetta disposizione di parte generale è stata valorizzata dalla giurisprudenza, piuttosto, per dare fondamento all'affermazione di responsabilità per il soggetto che, pur in possesso del titolo abilitativo, concorre con il porto dell'arma posto in essere da colui al quale l'arma era stata affidata.
E' sufficiente richiamare in proposito il costante orientamento di legittimità secondo il quale "in tema di reato di porto illegale di arma (L. 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 4 e 7 sostituiti dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 12 e 14), risponde a titolo di concorso nel reato colui che dia in prestito un fucile da caccia, avendo consapevolezza del fatto che chi lo riceve sia privo della prescritta licenza" (Sez. 1, n. 29444 del 21/06/2001, Usai, Rv. 219583; Sez. 1, n. 1664 del 19/06/2018 dep. 2019, Stefana, Rv. 274797).
4.4. Deve, pertanto, concludersi nel senso che risponde del reato di porto illegale di arma L. 2 ottobre 1967, n. 895, ex artt. 4 e 7 in specie di un fucile da caccia, colui che, essendo privo di licenza e detenendo legittimamente l'arma all'interno della propria abitazione, la porta in luogo pubblico o aperto al pubblico, a nulla rilevando la presenza di un diverso soggetto titolare della licenza per il porto di armi lunghe per uso di caccia.
5. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020
01-11-2020 18:06
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