Accusa il Giudice di aver fatto sparire un fascicolo processuale. E' un attacco all'onestà ed all'integrità del magistrato.
Cassazione penale, sezione VI, sentenza 11 febbraio 2020, n. 5456
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06/11/2019) 11-02-2020, n. 5456
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -
Dott. TRONCI Andrea - Consigliere -
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -
Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -
Dott. ROSATI Martino - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.G.P., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/02/2018 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Martino Rosati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Orsi Luigi, che ha
concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
uditi i difensori, avv. Maria Gabriella Cascini del foro di Milano, in sostituzione (come da nomina
che deposita) dell'avvocato Umberto Fantini del foro di Milano, e Anna (Annaisa) Garcea del foro
di ROMA, in difesa del ricorrente, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ricorsi distinti, ma identici nel loro contenuto, proposti da entrambi i suoi difensori di
fiducia, P.G.P.M. impugna per cassazione la sentenza della Corte di appello di Brescia del 12
febbraio 2018, che ha confermato la condanna inflittagli dal Tribunale di Brescia con sentenza
del 4 luglio 2017, per il delitto di oltraggio a magistrato in udienza.
Gli si contesta, in sintesi, che, all'udienza di un processo civile del quale era parte, tenutasi l'11
maggio del 2011 dinanzi alla Corte di appello di Milano, dopo la lettura del dispositivo, egli si è
avvicinato al banco della Corte, rivolgendo ai consiglieri le frasi: "Non vi vergognate? Quanto
prendete voi per fare queste sentenze?"; e quindi, al presidente: "Lei è vergognoso, lei è una
persona vergognosa, si vergogni, lei che ha fatto sparire il fascicolo della causa (OMISSIS)".
2. Entrambi i ricorsi si articolano in undici motivi, qui di seguito esposti nei limiti di cui all'art.
173, disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo, si deducono violazione di norme processuali e vizio di motivazione, per aver
la Corte omesso di motivare compiutamente sulle questioni decise con le ordinanze
endoprocessuali specificamente impugnate con l'appello.
2.2. Con il secondo, si eccepisce la nullità dell'intero procedimento, in conseguenza: a)
dell'irrituale notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, in quanto
eseguita presso un domicilio mai eletto; b) dell'omesso interrogatorio di costui, benchè
ritualmente richiesto a seguito di tale avviso; c) del mancato svolgimento di indagini in favore
dell'indagato.
2.3. Il terzo motivo prospetta la nullità della sentenza di primo grado e degli atti consequenziali,
per essere stata la stessa pronunciata in pendenza di istanza di ricusazione del giudice e di
rimessione del processo ad altra sede, in violazione delle relativa disciplina del codice di rito
nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., e art. 6 CEDU. 2.4. Il quarto motivo lamenta violazione di
legge e vizio di motivazione, in relazione all'omessa restituzione degli atti al pubblico ministero,
e comunque alla mancata concessione di un termine a difesa, a seguito dell'avvenuta
contestazione in udienza della recidiva.
2.5. Il quinto denuncia la nullità di tale contestazione, per violazione dell'art. 517 c.p.p., poichè
relativa ad un fatto non emerso "nel corso dell'istruzione dibattimentale", bensì già noto da prima
al pubblico ministero.
2.6. Con il sesto, la nullità della sentenza di primo grado e degli atti consequenziali viene invocata
sul presupposto dell'inosservanza dell'art. 97 c.p.p. e art. 28 disp. att. c.p.p., per avere il
Tribunale omesso di accertare se l'imputato avesse ricevuto l'avviso di cui a tal ultima norma,
essendo la relativa notifica avvenuta - si assume - in domicilio diverso da quello eletto. Riguardo
a tale eccezione, inoltre, si censura il difetto di motivazione da parte della sentenza impugnata.
2.7. Il settimo motivo rappresenta la violazione della disciplina del codice di rito nonchè
degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, ed altresì l'insufficienza della motivazione con cui la
Corte distrettuale ha giustificato il rigetto delle relative eccezioni, relativamente alla ritenuta
tardività della lista testimoniale presentata dalla difesa in primo grado, alla mancata ammissione
delle prove dirette, richieste tramite pec, nonchè all'omessa rinnovazione dell'istruzione in
appello, erroneamente - si sostiene - non ritenuta necessaria, in presenza di molteplici
discordanze fra le deposizioni acquisite.
2.8. Con l'ottavo motivo, la violazione di legge ed i vizi di motivazione rappresentati attengono
alla configurabilità della fattispecie delittuosa ipotizzata, sotto plurimi profili, ovvero perchè: a)
l'imputato ha tenuto la condotta non "nel corso dell'udienza", bensì dopo che questa era
terminata; b) non vi sono stati, da parte sua, alcun tentativo di aggressione fisica nè un contegno
minaccioso; c) le frasi da lui pronunciate non intendevano alludere ad atti di corruzione, bensì
agli stipendi percepiti dai magistrati, e sono state diversamente intese dai destinatari soltanto
per una loro erronea percezione soggettiva.
2.9. Il nono motivo prospetta la violazione del disposto dell'art. 51 c.p., comma 1, assumendosi
che il contegno dell'imputato sia scriminato, poichè riconducibile al legittimo esercizio di un diritto
di critica delle decisioni giudiziarie e non alle persone dei magistrati. Inoltre si evidenzia che esso
sarebbe stato da costui tenuto nella condizione di acuta sofferenza psicologica, conseguente ad
una pronuncia, appena emessa, che incideva sulle primarie esigenze abitative dei propri genitori.
2.10. Il decimo lamenta, sia sotto il profilo della violazione di legge che dell'insufficienza della
motivazione, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, nonchè di quelle della
provocazione e dei motivi di particolare valore morale o sociale. I giudici del merito - si assume
- non avrebbero tenuto nel dovuto conto la buona fede dell'imputato, il suo impegno quale
fondatore e referente di varie associazioni per la promozione e la difesa della legalità, ed altresì
il fatto che egli abbia agito per tutelare il diritto all'abitazione dei suoi genitori, leso - testuale -
da "decisioni palesemente abnormi e contrarie a ogni principio di civiltà giuridica".
2.11. Con l'ultimo motivo, infine, le difese ricorrenti si dolgono, sia sotto il profilo della violazione
di legge che dell'insufficienza della motivazione, del mancato riconoscimento del vincolo della
continuazione tra la condotta di che trattasi ed altre analoghe, già giudicate con precedenti
sentenze. Si sostiene, infatti, che esse sarebbero tutte riconducibili alla medesima attività di
denuncia della "persecuzione giudiziaria" di cui l'imputato, a torto o a ragione, si reputa vittima,
e sarebbero volte a tutelare la libertà d'impresa, la proprietà privata, la libertà di associazione e
di espressione, il diritto di agire e di difendersi in giudizio per la tutela dei propri interessi.
3. Ha depositato motivi nuovi, a norma dell'art. 585 c.p.p., comma 4, l'avv. Fantini.
3.1. Con il primo, chiede il rinvio a nuovo ruolo del processo, per essere stato omesso l'avviso
di fissazione dell'udienza al codifensore, in relazione all'autonomo ricorso da quest'ultimo
presentato e non formalmente riunito al proprio.
3.2. Con il secondo, insiste nella declaratoria di prescrizione del reato, sostenendo che debba
escludersi la contestata recidiva, poichè sono stati nelle more dichiarati estinti per prescrizione,
con ordinanza dell'11 giugno 2019 della Corte di appello di Milano, tutti i titoli posti a base dei
ritenuti precedenti penali.
3.3. Il terzo motivo, riprendendo e sviluppando i temi già esposti con il decimo e l'undicesimo
motivo di ricorso, lamenta, innanzitutto, l'eccessività della misura della pena, poichè non
giustificata dalla recidiva, da reputarsi inesistente a seguito del suddetto provvedimento della
Corte di appello di Milano; in secondo luogo, il mancato riconoscimento dell'attenuante della
provocazione; e, infine, il diniego della continuazione con i reati oggetto delle precedenti
condanne, tutti, invece, scaturiti dall'ingiusta sentenza di fallimento subita molti anni or sono,
caratterizzati dalla natura meramente ideologica ed espressivi di un progetto politico di lotta alla
corruzione.
3.4. Il quarto ripropone le doglianze di cui al nono motivo di ricorso, insistendo per il
riconoscimento dell'esimente del diritto di critica.
3.5. Con il quinto ed ultimo motivo, infine, si chiede la sospensione del processo a norma dell'art.
721 c.p.p., comma 2, rappresentando che l'imputato è stato estradato dall'estero per un reato
diverso da quello per cui si procede e successivamente a quest'ultimo, senza aver rinunciato al
principio di specialità.
4. Ha depositato memoria scritta il secondo difensore, avv. Garcea, ribadendo la richiesta di
sospensione del processo ex art. 721 c.p.p., comma 2, nonchè il quinto motivo di ricorso ed il
secondo, terzo e quarto dei motivi nuovi proposti dal codifensore.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è del tutto aspecifico.
L'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che esso
fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o
rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste
a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio:
sicchè, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed
incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche
implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della
configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e),
(Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841).
Nello specifico, la Corte di appello si è soffermata sui diversi punti oggetto delle ordinanze
endoprocessuali, nei limiti in cui la risoluzione delle relative questioni si presentava funzionale
alla propria decisione finale.
Il ricorso, invece, si è limitato ad un generico e confuso elenco di tali provvedimenti, per lo più
relativi, peraltro, a questioni oggetto anche di ulteriori motivi d'impugnazione, senza neppure
indicare le ragioni per cui l'ipotizzata omissione di motivazione dovesse ritenersi decisiva ai fini
di un diverso esito del giudizio.
2. Anche il secondo motivo, nei diversi aspetti con esso evidenziati, non è fondato.
2.1. Quanto alla notifica all'imputato dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., la sentenza dà conto
in dettaglio delle regolari modalità della stessa (pag. 12). Il ricorso, invece, si limita a negare i
relativi presupposti (elezione di domicilio nel luogo dov'è stata eseguita, idoneità della persona
che l'ha ricevuta), comunque ammettendo che la notifica "è fortuitamente pervenuta alla parte":
il che permette di superare ogni incertezza sul punto.
2.2. Correttamente, poi, la Corte di appello ha escluso che, nell'istanza avanzata dall'imputato
a seguito del predetto avviso, quella, cioè, di "essere sentito davanti all'a.g. competente ex art.
11 c.p.p.", potesse ravvisarsi una richiesta di interrogatorio, ai sensi del citato art. 415-bis,
comma 3 bis: quest'ultima, infatti, pur non necessitando di formule sacramentali, dev'essere
enunciata in maniera esplicita ed inequivocabile, non derivandone, altrimenti, il dovere di
provvedervi per il Pubblico ministero e le relative sanzioni processuali per il caso di
inadempimento (Sez. 3, n. 6922 del 17/12/2018, dep. 2019, Ndoye Adjia Nancy, Rv. 275002;
Sez. 1, n. 48846 del 24/09/2013, Allicate, Rv. 258102). Nel caso specifico, dunque, è sufficiente
rilevare come la richiesta avanzata da P. non fosse nemmeno rivolta all'autorità inquirente, bensì
ad altra autorità giudiziaria.
L'equivocità di siffatta richiesta consente di superare la questione relativa alla tempestività o
meno di essa, sulla quale la valutazione della Corte di appello, in termini di tardività della stessa,
non è corretta, in quanto il relativo termine non è perentorio (Sez. 6, n. 50087 del 18/09/2018,
D., Rv. 274506).
2.3. Assolutamente generica, infine, è la doglianza concernente l'assenza di indagini in favore
dell'indagato, da parte della polizia giudiziaria delegata: alle specifiche e logiche osservazioni
rassegnate sul punto in sentenza (pag. 9, in fine), il ricorso non replica affatto, limitandosi
soltanto a riproporre il tema.
3. Il terzo motivo di ricorso è generico, oltre che manifestamente infondato.
Con un'esposizione estremamente confusa, ivi si riferisce di quattro istanze di ricusazione e/o di
rimessione, una delle quali non sarebbe stata nemmeno esaminata, senza tuttavia specificare le
ragioni di doglianza nè offrire a questa Corte precisi elementi da valutare: sicchè le valutazioni
compiute dai giudici di appello sulla correttezza dell'operato del primo giudice (pagg. 11 s., sent.)
debbono rimanere ferme.
Al di là della genericità della deduzione, va comunque ribadito che la sentenza pronunciata in
violazione del divieto posto dall'art. 47 c.p.p., comma 1, (che inibisce al giudice di definire il
giudizio finchè non sia intervenuta l'ordinanza della Corte di cassazione che dichiara
inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione del processo), è nulla solo nel caso in cui la
Corte medesima abbia accolto l'istanza, mentre conserva piena validità tutte le volte in cui
quest'ultima sia dichiarata inammissibile o rigettata. Il predetto divieto, infatti, integra
solamente un temporaneo difetto di potere giurisdizionale, limitato alla possibilità di pronunciare
la sentenza e condizionato alla decisione della Corte di cassazione dichiarativa della sussistenza
delle condizioni per la rimessione del processo ad altro giudice, con la conseguenza che la
valutazione di validità o meno della sentenza irritualmente adottata avviene secundum eventum
(Sez. U, n. 6925 del 12/05/1995, Romanelli, Rv. 201301).
Analogamente, in tema di ricusazione, la violazione del divieto di compiere alcun atto del
procedimento, previsto dall'art. 42 c.p.p., comma 1, per il giudice la cui ricusazione sia stata
accolta, comporta la nullità delle decisioni ciò nonostante pronunciate, a norma del successivo
art. 178, lett. a), e l'inefficacia di ogni altra attività processuale; mentre la violazione del divieto
di pronunciare sentenza, previsto dall'art. 37 c.p.p., comma 2, per il giudice soltanto ricusato,
determina la nullità di quest'ultima solo ove la ricusazione sia successivamente accolta, ma non
anche quando la relativa istanza sia rigettata o dichiarata inammissibile (Sez. U, n. 23122 del
27/01/2011, Tanzi, Rv. 249734).
Nello specifico, dunque, non essendo stata accolta nessuna di quelle istanze, non si è
determinata alcuna nullità della sentenza.
4. Manifestamente destituiti di fondamento giuridico sono il quarto ed il quinto motivo di ricorso,
che possono essere trattati congiuntamente, poichè entrambi legati alla contestazione
dibattimentale della recidiva, non contenuta nell'originario capo d'imputazione.
In siffatta evenienza, non grava sul giudice alcun obbligo di restituzione degli atti al Pubblico
ministero, che è previsto dall'art. 518, c.p.p., peraltro quale regola generale ma non priva di
eccezioni, soltanto per l'ipotesi di contestazione suppletiva di un fatto di reato nuovo e procedibile
d'ufficio.
La disciplina processuale di riferimento, per l'ipotesi in discussione, è invece quella contenuta
negli artt. 517 e 520 c.p.p., che, in caso di contestazione dibattimentale all'imputato assente di
una circostanza aggravante, qual è la recidiva, prevedono l'inserimento della stessa nel verbale
d'udienza, la notificazione di quest'ultimo all'imputato ed il rinvio dell'udienza per la prosecuzione
del giudizio: incombenze, queste, certamente osservate nel caso specifico.
Nessuna lesione dei diritti di difesa del ricorrente si è, pertanto, realizzata, nè, in particolare, gli
è stato precluso l'accesso ai possibili riti alternativi a sua domanda, essendogli tale facoltà
riconosciuta, invece, a seguito della parziale declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art.
517, cit., pronunciata sul punto dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 184 del 25 giugno
2014, per quel che riguarda il "patteggiamento", e n. 139 del 9 luglio 2015, relativamente al
giudizio abbreviato.
5. E' manifestamente infondato, in fatto prim'ancora che in diritto, pure il sesto motivo di ricorso.
La mancata comunicazione all'imputato del nominativo del difensore d'ufficio designato
dall'autorità giudiziaria non comporta la nullità dell'atto al cui compimento è funzionale la nomina
(Sez. 2, n. 48055 del 28/09/2018, Lleshi Fatos, Rv. 275511; Sez. 6, n. 26095 del 03/06/2010,
Attene, Rv. 248036; Sez. 1, n. 9541 del 17/03/2006, Matei, Rv. 233540).
Se così è, nessuna nullità può derivare, a maggior ragione, quando ad essere omesso sia soltanto
l'avvertimento all'imputato della facoltà di nominare un difensore di fiducia: informazione,
peraltro, nello specifico, espressamente contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini
notificato all'imputato (vds. pag. 13, sentenza d'appello).
6. Analoghe debbono essere le valutazioni sul settimo motivo di ricorso, col quale P. si duole,
sotto diversi profili, dell'incompletezza dell'attività istruttoria.
Sui diversi rilievi in rito (tempestività della lista difensiva, possibilità di formulare domande per
iscritto ai testi e trasmissione del relativo atto via pec), la sentenza impugnata ha compiutamente
motivato (pag. 8) ed il ricorso si limita a riproporre la doglianza: in merito alla irricevibilità di
una lista testimoniale presentata a mezzo di posta elettronica, certificata o meno, è perciò
sufficiente qui richiamare Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016, dep. 2017, Manzi, Rv. 269197.
Nel merito, poi, non risulta che si trattasse di prove sopravvenute - essendo, anzi, testimonianze
già ammesse a richiesta del Pubblico ministero e poi revocate, perchè divenute superflue - ed il
ricorso nulla esplicita sui contenuti di esse, fatta eccezione per un accenno alla testimonianza
R., su cui la Corte d'appello si trattiene (pag. 8, sent., in fine), con osservazioni che nel ricorso
non trovano specifica censura.
Non è dunque possibile apprezzare la decisività di tali prove ai fini di un diverso esito del giudizio,
qual è invece richiesta dall'art. 603 c.p.p., comma 1, per giustificare una rinnovazione
dell'istruttoria dibattimentale in appello.
7. Non è fondato nemmeno l'ottavo motivo di ricorso, in nessuno dei punti attraverso i quali si
articola.
7.1. La doglianza per cui il fatto non si sarebbe verificato mentre i magistrati offesi erano "in
udienza" - a stretto rigore - non risulta nemmeno proposta con i motivi d'appello,
rinvenendosene soltanto un cenno incidentale al punto 74 (pag. 29) del relativo atto a firma
dell'avv. Fantini.
In ogni caso, essa è priva di qualsiasi sostegno giuridico. Il magistrato deve considerarsi in
udienza, infatti, tutte le volte in cui, in una qualsiasi fase processuale, amministri giustizia con
l'intervento delle parti (Sez. 6, n. 26178 del 21/06/2012, Cincimino, Rv. 253121; conforme, tra
varie altre, Sez. 6, n. 17314 del 03/02/2003, Giubbini, Rv. 225432, riguardo ad una condotta
tenuta durante l'inevitabile intervallo tra il termine di un processo e l'inizio di un altro).
Nell'ipotesi in scrutinio, è indiscusso che il fatto sia avvenuto nell'immediatezza della lettura della
sentenza e nemmeno il ricorrente adduce che l'udienza fosse stata formalmente già dichiarata
chiusa ovvero che non fossero previsti altri processi successivi.
7.2. Del tutto irrilevante, al fine dell'invocata esclusione del reato, è l'addotta assenza di minacce
od urla: le quali possono semmai integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 343 c.p.,
comma 3.
7.3. Nel merito, infine, il tenore testuale delle parole pronunciate dal ricorrente, con l'espressa
allusione a fascicoli "spariti" e l'epiteto di "vergognoso" rivolto al magistrato, nonchè il contesto
in cui tale condotta si è manifestata escludono ogni incertezza sul fatto che P. intendesse
accusare quei magistrati di condotte corruttive, o comunque disoneste, e non volesse riferirsi
esclusivamente all'ammontare dei loro stipendi.
8. Analoghe osservazioni vanno rassegnate riguardo al nono motivo di doglianza.
8.1. Le anzidette parole ingiuriose, rivolte specificamente al magistrato che presiedeva il collegio,
non alludevano affatto al provvedimento da costui - e dai suoi colleghi - appena reso, perciò
potendosi discutere, semmai così fosse stato, del fatto se si trattasse o meno dell'esercizio di un
legittimo diritto di critica delle decisioni giudiziarie, ancorchè espresso in forme inappropriate.
Invero, l'accusa di aver "fatto sparire il fascicolo della causa Lucchini" non può essere letta che
come un attacco all'onestà ed all'integrità di quel magistrato, poichè del tutto eccentrica rispetto
ai temi della sentenza appena pronunciata, rendendo perciò manifesta la volontà del P. di
offendere la persona del giudice e non di criticare il prodotto del suo operato.
8.2. Lo stato di alterazione, conseguente al contenuto sfavorevole della sentenza appena
ascoltata, non può escludere la rilevanza penale della condotta del ricorrente, non incidendo nè
sulla materialità del reato, nè - a norma dell'art. 90, c.p. - sulla colpevolezza.
9. Non ha alcun fondamento neppure il decimo motivo di ricorso, relativo alle circostanze
attenuanti che si assumono ingiustamente negate.
9.1. Quanto alle generiche, il giudice del merito esprime, sul punto, un giudizio di fatto, la cui
motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè non sia contraddittoria e dia conto,
anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati
preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. Tale onere motivazionale deve ritenersi
adeguatamente assolto, in particolare, attraverso il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti
penali dell'imputato (tra moltissime altre conformi: Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli,
Rv. 271269; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016,
De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Tanto è avvenuto nel caso di specie, ove la Corte d'appello ha posto in evidenza non solo le
plurime condanne precedenti dell'imputato, anche per fatti della stessa specie, ma altresì la
gravità dei fatti, effettivamente tali da attingere quello che è il requisito essenziale e peculiare
dell'onorabilità del magistrato: la sua integrità morale nell'esercizio delle funzioni istituzionali.
9.2. Relativamente, poi, alla provocazione, il "fatto ingiusto altrui" deve rivestire carattere di
ingiustizia obiettiva, nel senso di effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali,
reputate tali nell'ambito di una determinata collettività, in un dato momento storico, e non
valutate con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale (fra
tantissime altre, Sez. 5, n. 55741 del 25/09/2017, R., Rv. 272044).
Tale, dunque, non può certamente reputarsi una sentenza legittimamente pronunciata, se non,
al limite, quando essa si presenti immediatamente ed all'evidenza come il frutto di un palese
arbitrio e, perciò, manifestamente lesiva di un indiscutibile diritto della parte: situazione, questa,
estrema e patologica, che però, dagli atti processuali, non risulta in alcun modo essersi verificata
nel caso di specie.
9.3. Non è affatto configurabile, inoltre, l'attenuante dei motivi di particolare valore morale o
sociale.
Tali sono, infatti, quelli oggetto di un generale consenso sociale in tal senso, non essendo
sufficiente l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile (tra le
più recenti di molte altre conformi, Sez. 6, n. 27746 del 31/05/2018, T., Rv. 273681; Sez. 2, n.
197 del 07/12/2016, Dolce, Rv. 268779). E, come questa Corte ha da tempo statuito, tra di essi
non rientra lo scopo dell'agente di alleviare le condizioni economiche disagiate, proprie o dei
propri congiunti, rappresentando, questo, uno dei naturali moventi che comunemente inducono
a commettere un reato (Sez. 4, n. 4401 del 29/01/1990, Verdoliva, Rv. 183861).
Inoltre, affinchè tali motivi possano reputarsi causa di una data condotta delittuosa - come
richiede l'art. 62 c.p., n. 1), non trovando altrimenti giustificazione razionale l'attenuazione di
pena che esso prevede - quella condotta deve risultare funzionale alla riparazione od alla
protezione di essi o, per lo meno, deve presentarsi tale nelle intenzioni dell'agente: è di solare
evidenza logica, infatti, che, laddove così non fosse, quei motivi rappresenterebbero, al più, il
pretesto, l'occasione del reato e, come tali, non ne renderebbero l'autore meritevole di una minor
sanzione.
Nella specifica fattispecie in rassegna, invece, un simile rapporto tra l'azione del ricorrente ed i
motivi - a suo dire - ad essa sottesi non si rinviene, poichè non si vede come la stessa potesse
tutelare o riaffermare il diritto alla casa per gli anziani genitori o quello di critica dell'attività
giudiziaria.
10. Infondato è pure l'undicesimo motivo d'impugnazione, in tema di continuazione tra il reato
in discussione e quelli, della stessa specie, per i quali P. è stato condannato in precedenza.
L'unicità del disegno criminoso non s'identifica, infatti, con l'identità del generico movente,
espressivo di una posizione ideologica, culturale o simile, ma occorre, invece, una complessiva
programmazione unitaria di tutte le condotte, adottata in via anticipata rispetto alla commissione
della prima di esse, ancorchè da definire nei dettagli. Soltanto ricorrendo tali circostanze, infatti,
può ritenersi che l'agente si sia posto per una sola volta in contrasto con l'ordinamento giuridico
penale, così che la relativa condotta, complessivamente intesa, possa reputarsi espressiva di un
minore disvalore penale, e, come tale, sia meritevole del più blando trattamento sanzionatorio
previsto dall'art. 81 c.p..
Nello specifico, la Corte di merito ha plausibilmente motivato, valorizzando il notevole lasso
temporale tra le diverse condotte, pari a svariati anni (questa in esame risale al 2011, le altre,
rispettivamente, al 1997 ed al 2001), sì da rendere estremamente improbabile una deliberazione
unitaria anticipata di esse.
L'aver ravvisato altri giudici la continuazione, per fatti analoghi, non può condurre ex se ad
estendere l'identità del disegno criminoso anche ai fatti oggetto di questo processo, nel difetto
di enunciazione nel ricorso di specifiche ragioni apprezzabili in tal senso.
11. Venendo all'esame dei motivi nuovi, deve ritenersi superato il primo di essi: il codifensore,
avv. Garcea, al quale l'avviso di fissazione d'udienza non era stato inviato, è comparso alla scorsa
udienza e, in quella sede, ha ricevuto avviso orale del rinvio alla presente udienza fissa, a
norma dell'art. 148 c.p.p., comma 5.
12. Il secondo di tali motivi è manifestamente destituito di fondamento.
L'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano nel giugno scorso - e quindi in pendenza del
presente ricorso - ha dichiarato l'estinzione delle pene irrogate al P. con le condanne ivi
specificamente indicate, ma non dei corrispondenti reati: ragione per cui la recidiva contestatagli
in questo processo, e non esclusa o bilanciata in sentenza, è effettivamente sussistente (oltre
che già dichiarata con precedente sentenza del 5 febbraio 2009 della Corte di appello di Brescia,
irrevocabile il 24 settembre 2009, di cui v'è traccia nel provvedimento di unificazione di pene
concorrenti, allegato alla memoria integrativa dell'avv. Garcea).
Il termine di prescrizione del reato per cui si procede è, dunque, pari a dieci anni (sei anni,
ex art. 157 c.p., comma 1; aumentati di due terzi, a norma del successivo art. 161, u.c., in
ragione, appunto della recidiva specifica, nel quinquennio e reiterata) e non è ancora decorso,
essendo stato detto reato commesso l'(OMISSIS).
13. Per il terzo ed il quarto dei motivi aggiunti, valgano le considerazioni appena rassegnate
riguardo alla recidiva, nonchè quelle esposte in riferimento ai corrispondenti motivi di ricorso
(nono, decimo ed undicesimo: retro, p.p. 8.1., 9.2. e 10).
14. Inammissibile, infine, è l'ultimo motivo supplementare, con cui si chiede la sospensione del
processo a norma dell'art. 721 c.p.p..
14.1. In primo luogo, esso è del tutto nuovo rispetto a quelli rassegnati con il ricorso, mentre i
motivi nuovi a sostegno dell'impugnazione possono avere ad oggetto soltanto i capi od i punti
della decisione impugnata enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581 c.p.p.,
lett. a), (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259, ribadita, tra le più recenti, da Sez.
2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 272821).
14.2. In ogni caso, è privo di qualsiasi fondamento giuridico.
Dagli atti che lo stesso ricorrente ha allegato a sostegno, infatti, egli risulta essere stato trasferito
nel territorio dello Stato non già per effetto di un provvedimento di estradizione, bensì in forza
di un mandato d'arresto Europeo, emesso il 16 novembre 2017, per l'esecuzione di una condanna
definitiva per un delitto di calunnia (v. provvedimento di unificazione di pene concorrenti,
allegato alla memoria integrativa dell'avv. Garcea).
Tanto premesso, deve allora ribadirsi che, in tema di mandato di arresto Europeo, ai sensi
della L. n. 69 del 2005, art. 32 vige un principio di specialità - per così dire - "attenuata", per il
quale la persona consegnata può essere legittimamente sottoposta a procedimento penale anche
per fatti anteriori e diversi da quello cui si riferisce la consegna, a condizione che non sia privata
della libertà personale durante o in conseguenza di tale procedimento (principio già affermato
da Sez. 6, n. 39240 del 23/09/2011, Caiazzo, Rv. 251366, e ribadito, tra le tante, da Sez. 3, n.
47253 del 06/07/2016, Bertoni, Rv. 268062, e Sez. 2, n. 14738 del 19/01/2017, Cascarino, Rv.
269430, ma anche da Sez. U, n. 30769 del 21/06/2012, Caiazzo, Rv. 252891, non massimata
sul punto).
Non può trovare applicazione, dunque, il disposto dell'art. 721 c.p.p., e dev'essere
conseguentemente escluso qualsiasi obbligo di sospensione del presente processo, essendo P.
libero per questa causa.
15. Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso dev'essere respinto.
Al rigetto consegue obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616 c.p.p. - la condanna del proponente
al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020
09-03-2020 23:39
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