Trapani. Tentato omicidio, derubricato poi in lesioni personali, detenzione e porto illegali di arma comune da sparo. Anni tre di reclusione ed Euro 4000 di multa.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-10-2018) 13-12-2018, n. 56134
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano - Presidente -
Dott. BIANCHI Michele - rel. Consigliere -
Dott. SARACENO Rosa Anna - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.G.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/09/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MICHELE BIANCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. DI LEO GIOVANNI che ha concluso chiedendo l'inamnnissibilità del ricorso.
udito il difensore E' presente l'avvocato LONGO SALVATORE del foro di TRAPANI che si riporta ai motivi.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza pronunciata in data 18.9.2017 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata in data 15.2.2017 dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trapani che aveva ritenuto B.G.F. colpevole del reato di lesioni personali, detenzione e porto illegali di arma comune da sparo e lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 4000 di multa.
1.1. L'imputazione riguarda il tentato omicidio di C.S., compiuto mediante un colpo di arma comune da sparo sparato in luogo pubblico nel corso di una lite tra due gruppi; fatto commesso in (OMISSIS).
1.2. La sentenza di primo grado ha qualificato il reato più grave in lesioni personali volontarie aggravate dall'uso di arma.
Il fatto è stato ricostruito sulla base di quanto dichiarato da M.A., la quale aveva riferito che una lite fra il di lei figlio C.M. e B.F. era degenerata coinvolgendo numerose persone fra le quali anche, da una parte, C.S., padre di M., e, dall'altra, B.G., nipote di F.; la donna poi, uditi due colpi di arma da fuoco, aveva rinvenuto il marito C.S. a terra ferito alle gambe.
Nell'immediatezza, i carabinieri avevano rinvenuto a casa di Ci.Ma. una pistola giocattolo, priva del tappo rosso.
In data (OMISSIS) B.G. si era presentato ai carabinieri assistito dal difensore di fiducia ed aveva spontaneamente dichiarato che, nel contesto della lite, era stato affrontato da C.S., armato di una spranga di ferro, al quale egli si era contrapposto, dapprima, con altra spranga e, poi, con una pistola che qualcuno dei presenti gli aveva consegnato.
Il B. quindi aveva sparato contro C.S., ma senza intenzione di uccidere, con due colpi, il primo andato a vuoto e il secondo alle gambe; aveva poi lanciato la pistola vicino alla casa della vittima.
Il primo giudice ha dato atto che non era stato possibile individuare le ragioni dello scontro tra i due gruppi, ma era stato accertato che B.G. aveva sparato, in luogo pubblico, contro C.S. che tentava di fuggire.
E' stato ritenuto che, diversamente da quanto affermato dall'imputato, questi fosse uscito di casa portando con sè la pistola.
L'imputazione di tentato omicidio è stata qualificata come lesioni personali volontarie, sul rilievo che il colpo era stato sparato dall'alto verso il basso ed aveva attinto alle gambe della vittima, condotta significativa di una volontà di cagionare lesioni e non di uccidere.
Sono state riconosciute le attenuanti generiche, equivalenti alla recidiva.
1.3. Adita con impugnazione - relativa al mancato riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa e della attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 3 - la Corte di appello ha rilevato che l'imputato aveva volontariamente partecipato alla lite tra altre persone e, come riferito dalla teste M.A., era uscito di casa impugnando una pistola ed aveva rincorso C.S. prima di sparargli, ed ha escluso l'invocata attenuante sul rilievo che la lite tra gruppi non poteva essere assimilata alla nozione di "folla in tumulto".
2. Il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione, denunciando, con il primo motivo, la violazione dell'art. 52 c.p., non avendo la sentenza impugnata considerato il contesto di aggressione e il fatto del rinvenimento fortuito dell'arma sul posto.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell'art. 62 c.p., n. 3, sul rilievo che il fatto era stato determinato dalla situazione di disordine che aveva influito sullo stato d'animo dell'imputato.
3. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di motivi aggiunti, con cui denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa, anche putativa.
A conferma dell'aggressione che il padre e lo zio dell'imputato avevano subito, determinando il ricorrente alla reazione difensiva nei confronti della persona offesa, viene allegato il decreto di citazione a giudizio nei confronti di C.F. e del di lui fratello M..
Motivi della decisione
Il ricorso è articolato genericamente e svolge argomenti di merito, e va dunque dichiarato inammissibile.
1. Il primo motivo si risolve in una ri-lettura del compendio probatorio, finalizzata ad un nuovo giudizio di merito.
A fronte della incontestata ricostruzione del fatto nel senso che, nell'ambito dello scontro che aveva contrapposto persone della famiglia C. ad altri della famiglia B., l'imputato, impugnando una pistola aveva inseguito C.S. in fuga, sparandogli due colpi, uno dei quali l'aveva attinto alle gambe, la difesa valorizza, ai fini del riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa, il contesto, che aveva visto componenti della famiglia B. subire una aggressione violenta.
Il tema era già stato esaminato dal primo giudice che aveva escluso la causa di giustificazione sul rilievo che l'azione era stata posta in essere nei confronti di un soggetto in fuga.
La sentenza di appello, cui il punto era stato devoluto con l'atto di appello, ha aggiunto la considerazione che l'imputato aveva inteso partecipare allo scontro violento ed era andato sino alla propria abitazione per prendere la pistola con cui poi aveva ferito la persona offesa.
Il ricorso, senza dedurre alcun travisamento del compendio probatorio, ha riproposto l'argomento relativo al contesto nel quale la specifica azione del ricorrente si era svolta, già esaminato dalle sentenze di merito ed esattamente valutato nel senso della irrilevanza, ai fini della sussistenza della fattispecie, delle condotte precedenti.
La difesa dunque si pone nuovamente nella prospettiva di un nuovo giudizio di merito, non consentita in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo riguarda il diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 3.
La sentenza di appello, cui era stata devoluta la questione, ha escluso, in fatto, che il reato fosse stato commesso in un contesto di "folla in tumulto", trattandosi di una lite che aveva visto lo scontro tra più persone di due gruppi contrapposti.
Il motivo non ha proposto alcuna censura sul punto, limitandosi a sostenere che il coinvolgimento di più persone nella lite aveva suggestionato l'imputato.
La difesa, dunque, pur rubricando il motivo come violazione di legge, prescinde dall'accertamento in fatto, incompatibile con il riconoscimento dell'attenuante, compiuto dalla sentenza impugnata, e propone, in definitiva, una diversa lettura del compendio probatorio.
In particolare, viene valorizzato il nesso di causalità psichica tra il contesto e il sorgere della volontà criminosa, elemento che è solo uno di quelli richiesti dalla norma, prescindendo dall'elemento oggettivo della presenza di "folla in tumulto", escluso dalla sentenza impugnata.
Il motivo, dunque, è articolato genericamente, senza considerare tutti gli elementi della fattispecie, ed ha contenuto solo di merito.
3. La inammissibilità del ricorso preclude l'esame della memoria di motivi aggiunti, (ex art. 585 c.p., comma 4).
4. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000, 00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018
10-02-2019 15:51
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