Trapani. Concorso in tentata estorsione, detenzione e porto di ordigno esplosivo, danneggiamento.
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-01-2019) 01-02-2019, n. 5252
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico - Presidente -
Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -
Dott. PARDO Ignazio - rel. Consigliere -
Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere -
Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.A., nato il (OMISSIS);
A.E., nato a (OMISSIS);
D.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/09/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. IGNAZIO PARDO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Marinelli Felicetta che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Udito il difensore avv.to GIAMBATTISTA COLOMBO che si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento.
Svolgimento del processo
1.1 Con sentenza in data 21 settembre 2017 la corte di appello di Palermo confermava la pronuncia del G.U.P. del tribunale di Trapani del 10-07-2015 che aveva condannato M.A., A.E. e D.F. alle pene di legge in quanto ritenuti colpevoli del delitto di concorso in tentata estorsione, detenzione e porto di ordigno esplosivo, danneggiamento.
1.2 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati tramite i rispettivi difensori di fiducia; M. e D. deducevano, con il primo motivo, violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e) per violazione dell'art. 649 c.p.p. e dell'art. 4 CEDU e del divieto del secondo giudizio posto che a seguito della prima sentenza emessa dal GUP di Trapani, che aveva riqualificato la più grave condotta nell'ipotesi di cui all'art. 611 c.p., la corte di appello di Palermo con la pronuncia 15 ottobre 2014 aveva dichiarato la nullità della pronuncia per difetto di correlazione tra accusa e sentenza e rimesso gli atti al tribunale di primo grado che, successivamente, aveva poi emesso condanna in ordine al contestato delitto di tentata estorsione. In tal modo, senza che vi fosse impugnazione del pubblico ministero quanto alla qualificazione giuridica del fatto, la corte di appello palermitana aveva violato il principio del giudicato sostanziale e violato altresì il divieto di reformatio in pejus.
Con il secondo motivo lamentavano violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento alla affermazione di responsabilità basata su elementi indiziari non univoci.
Con il terzo motivo di doglianza deducevano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.
1.3 A. proponeva ricorso lamentando anche egli violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all'art. 649 c.p.p. e art. 4 CEDU poichè a seguito della riqualificazione del fatto di cui al capo a) nel meno grave delitto di cui all'art. 611 c.p. la successiva condanna per il fatto di estorsione aveva violato i principi del giudicato sostanziale, non potendo la qualificazione giuridica essere messa in discussione in assenza di impugnazione del PM.
Motivi della decisione
2.1 I ricorsi sono avanzati per motivi non proponibili o comunque manifestamente infondati e devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Quanto al primo motivo di entrambi i ricorsi deve innanzi tutto essere premesso che eventuali vizi della sentenza di appello datata 15 ottobre 2014 dovevano essere fatti valere attraverso l'impugnazione di detta pronuncia con ricorso per cassazione e non possono, invece, essere dedotti nella presente fase processuale nella quale si fa esclusivo riferimento all'impugnazione della seconda sentenza di appello del 21 settembre 2017.
Al proposito le sezioni unite di questa corte hanno infatti stabilito che è ammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado e rinviato gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, Rv. 244108).
Ammesso quindi il ricorso per cassazione avverso la pronuncia che abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado, eventuali vizi della siffatta pronuncia di appello devono quindi essere dedotti con l'impugnazione della stessa e non anche nelle successive fasi che abbiano a svolgersi a seguito della trasmissione degli atti al giudice di primo grado per nuovo giudizio.
In ogni caso, non si ravvisa il lamentato vizio dedotto, poichè i giudici di appello appaiono avere fatto corretta applicazione della generale disciplina prevista dall'art. 604 c.p.p., comma 1 secondo cui il giudice di appello, indipendentemente da chi abbia proposto impugnazione e cioè sia l'imputato che il pubblico ministero, investito del giudizio ha sempre la possibilità di dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado se ravvisi essere stata pronunciata la condanna per un fatto diverso. Circostanza questa puntualmente verificatasi nel caso in esame in cui, a seguito della diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal GUP di Trapani che qualificava il capo a) ai sensi dell'art. 611 c.p., il giudice di appello riteneva il difetto di correlazione ed annullava la appellata sentenza disponendo esattamente la trasmissione degli atti per un nuovo giudizio di primo grado.
Correttamente pertanto la corte di appello palermitana ha escluso la violazione del principio del ne bis in idem, essendo intervenuta la qualificazione dei fatti nella più grave ipotesi originariamente contestata di cui al capo a) nel corso dello stesso procedimento e non anche in un secondo giudizio.
Nè sussiste violazione del principio del divieto di reformatio in pejus posto che l'art. 597, comma 3 e l'art. 604 c.p.p. sono norme di pari grado e che la seconda disposizione appare evidentemente derogare alla prima nella parte in cui consente l'annullamento della sentenza che abbia qualificato i fatti attribuendo agli stessi valore meno grave; al proposito, questa corte, ha già affermato che il divieto della "reformatio in peius" non opera nel nuovo giudizio conseguente all'annullamento della sentenza di primo grado disposto dal giudice di appello o dalla Corte di cassazione per la rilevazione di una nullità assoluta o di carattere intermedio non sanata (Sez. 3, n. 6710 del 18/10/2017, Rv. 272117). Fattispecie questa esattamente corrispondente anche alla ipotesi dell'art. 604 c.p.p., comma 1 in cui vi sia stata declaratoria di nullità della sentenza appellata e trasmissione degli atti al primo giudice per essere la condanna emessa per un fatto diverso con violazione dei principi in tema di correlazione tra accusa e sentenza.
2.2 Quanto al secondo motivo va ricordato come il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", e cioè di condanna in primo e secondo grado, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv 256837). Inoltre ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Nel caso in esame non si ravvisa nè il presupposto della valutazione da parte del giudice di appello di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle doglianze proposte avverso la sentenza di primo grado nè, tantomeno, il dedotto macroscopico travisamento dei fatti denunciabile con il ricorso per cassazione; in particolare, il giudice di merito, ha già risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni della difesa degli imputati che in sostanza ripropongono motivi di fatto osservando che il compendio probatorio a carico dei predetti è costituito dal contenuto di una conversazione datata 24-2-2012 che coinvolge i tre imputati e nel corso della quale tutti si attribuiscono la responsabilità del fatto-reato; nelle dichiarazioni del teste P., in altra conversazione tra tali D.B. del 10 marzo 2012, negli esiti dell'analisi dei tabulati telefonici.
Ed a fronte di tali elementi tutti logicamente interpretati dalla corte di secondo grado i ricorrenti deducono una lettura alternativa non deducibile nella presente sede di legittimità. Quanto all'ultimo motivo comune, sia la mancata concessione delle attenuanti generiche che la determinazione della pena, peraltro determinata in misura prossima ai minimi assoluti, appaiono adeguatamente motivate dalla corte di appello sulla base di precise circostanze sicchè nessuno dei lamentati vizi appare proprio sussistere.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spesè processuali, nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2019
26-02-2019 21:33
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