Alcamese condannato per bancarotta: aveva simulato il furto di una autovettura a bordo della quale aveva dichiarato c'erano le scritture contabili della società fallita.
Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 36133 Anno 2019Presidente: SABEONE GERARDO Relatore: CALASELICE BARBARA Data Udienza: 04/04/2019
SENTENZA sul ricorso proposto da: V.L nato a Alcamo il ........... avverso la sentenza del 26/01/2018 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice; udita la requisitoria del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, T. Epidendio, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio limitatamente alla rideterminazione della pena accessoria fallimentare, con declaratoria di inammissibilità nel resto; udito il difensore, avv. M. A. Tortora, in sostituzione dell'avv. F. Federico, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha riformato la pronuncia con la quale il Tribunale di Trapani aveva condannato L.V., limitatamente ai reati di cui ai capi a) (art. 367 cod. pen.), b) (223 in rel. art. 216, comma 1, n.1 r. d. n. 267 del 16 maggio 1942), c) (216, comma 1 n. 2, legge fall) ed e) (art. 10 d. Igs n. 74 del 2000), ritenuta l'aggravante di cui all'art. 219 legge fall. contestata in fatto per i reati sub b) e c) e con la contestata recidiva, riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni cinque di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge. 1.1. La Corte territoriale ha dichiarato l'intervenuta prescrizione del reato di cui al capo d) e ha rideterminato la pena irrogata all'imputato, in quella di anni quatto mesi nove giorni venti di reclusione, revocando l'interdizione dal pubblici uffici per anni cinque, con conferma, nel resto, del provvedimento impugnato. 1.2. Si tratta delle contestazioni di bancarotta fraudolenta documentale commessa dal V. nella qualità di amministratore unico della Susa s.r.I., dichiarata fallita il 13 luglio 2007, simulando il furto della vettura a bordo della quale le scritture venivano trasportate verso la nuova sede, comunque distruggendo le scritture obbligatorie in modo da non rendere possibile la ricostruzione degli affari dell'ente, nonché della bancarotta fraudolenta per distrazione di attività (incassi non contabilizzati e distrazione di capitali a favore di soci) per oltre 5 milioni di euro, con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 2. Avverso la pronuncia ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo, nei motivi di seguito riassunti, quattro vizi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia Violazione ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, con riferimento all'art. 367 cod. pen. ed al reato di bancarotta fraudolenta documentale. Si contesta che è stato, comunque, possibile ricostruire la contabilità della Susa s.r.l. e si censura il ragionamento del giudice di primo grado, sul quale fonda la convinzione che l'imputato abbia predisposto artatamente, anche attraverso il deliberato cambio di sede, da Alcamo a Roma, giustificazioni rispetto alla sottrazione e occultamento della contabilità. Le scritture contabili sono state rubate e, dunque, viene meno il dolo specifico. Inoltre era stato possibile, tramite i mastrini, ricostruire l'intera contabilità, anche attraverso perizia. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia Violazione ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, con riferimento al reato di cui all'art. 216 Legge fall. Il reato di bancarotta fraudolenta documentale deve essere assistito dal dolo specifico. Inoltre si osserva che i finanziamenti a favore dei soci non determinavano alcun giro effettivo di danaro. La Susa s.r.l. svolgeva lavori per altra società (Alpa), proprietaria di quote della Susa s.r.l. Quest'ultima, per ottenere finanziamento per attività di costruzione di un immobile, emetteva fatture per lavori eseguiti alla Alpa, scontate per ottenere anticipazioni. Si tratta di somme che entravano nella s.r.l. come anticipo conto soci; quando l'Alpa emetteva assegni per pagare le fatture, le somme venivano erogate come restituzione ai soci. Si trattava di giro fittizio, finalizzato a far quadrare i bilanci. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell'art. 111 Cost. Si deduce che è stata revocata la prova testimoniale introdotta dalla difesa, che non ha, così, potuto provare la certezza dei crediti vantati dalla Susa s.r.l. nei confronti della società per azioni. Sul punto si censura la motivazione che fonda la revoca dei testi per essere stata raggiunta la prova delle distrazioni e dell'insolvenza. 2.4. Con il quarto motivo si censura la motivazione e si ipotizza violazione di legge quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena. La misura della sanzione irrogata sarebbe sproporzionata e non terrebbe conto della condotta collaborativa dell'imputato. 3. Risulta depositata in data 19 marzo 2019 memoria difensiva con motivi nuovi. 3.1. Il primo motivo censura la contraddittorietà della motivazione e la V.zione degli artt. 217 e 216 Legge fall. Si assume che la prova della sottrazione delle scritture è prova logica fondata su un ragionamento congetturale (trasferimento della sede da Alcamo a Roma, mancata iscrizione della relativa delibera presso il registro delle imprese, in costanza di procedura diretta all'esame di domande di fallimento ancora sub iudice). Inoltre il V. ha consegnato documentazione in base alla quale era stato possibile la ricostruzione contabile della Susa s.r.l. Peraltro alla data del furto il V. non era al corrente dell'esito del reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di fallimento. Si tratta di elementi del tutto congetturali che Violano i principi della presunzione di innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Si censura, inoltre, la disposta revoca dei testi della difesa, escussione che avrebbe consentito di accertare che l'entità delle passività era stata coperta da attività, Violando il diritto di difesa diretto alla dimostrazione dell'assenza di dolo. 3.2. Con il secondo motivo aggiunto si censura la contraddittorietà della motivazione. Non è mai stato notificato al V. il decreto della Corte di appello di Palermo con il quale è stato deciso il reclamo. La sentenza di fallimento, secondo il ricorrente, sarebbe viziata da V.zione del diritto al contraddittorio. Si riprende l'argomentare della sentenza di questa Corte di legittimità, ricorrente Corvetta che considera il fallimento elemento costitutivo del reato di bancarotta e si sottolinea che, nella specie, la lesione del diritto al contraddittorio nel procedimento di formazione della sentenza di fallimento, incide sul dolo che deve essere quello della consapevolezza in capo all'imprenditore dell'effettivo dapauperamento del patrimonio sociale. 3.3.Con il terzo motivo si censura la motivazione in relazione al reato di distruzione e occultamento dei libri contabili di cui all'art. 10 d. Igs. 74 del 2000, assumendo che nella specie i mastrini avevano consentito di ricostruire la contabilità in uno alle risultanze bancarie e, dunque, non si configura il reato in quanto manca l'offensività della condotta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile, ma deve essere rilevata, di ufficio, l'illegalità delle pene accessorie fallimentari e, dunque, va disposto, limitatamente a tale punto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la determinazione della loro durata. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Si osserva che è principio affermato reiteratamente da questa Corte di legittimità, di cui la Corte territoriale ha fatto buon governo, quello secondo il quale anche ove la ricostruzione del patrimonio sociale e del volume di affari sia stata, altrimenti, possibile alla curatela, il reato in questione sussiste, posto che la condotta materiale della bancarotta fraudolenta documentale si configura, non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile, per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona, Rv. 265682; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965). Non manifestamente illogico, poi, risulta il ragionamento dei giudici di merito, che hanno valorizzato il deliberato cambio di sede, da Alcamo a Roma, nonostante la pendenza della procedura fallimentare dal gennaio 2007, peraltro non trascritto nel registro delle imprese, nonché le modalità con le quali la documentazione contabile della società era stata trasferita e, in quell'occasione, sottratta, per sostenere il dolo necessario ad integrare la fattispecie di reato contestata. Le modalità di trasporto della documentazione, il difetto di ogni precauzione o di attività di custodia della medesima, predisposta dall'imputato, la piena conoscenza da parte del V. della grave situazione di insolvenza, almeno già dal mese di giugno del 2007, sono tutti elementi di fatto, vagliati dai giudici di merito, con ragionamento non manifestamente illogico, dunque non censurabile in questa sede, per escludere che la denuncia di furto delle scritture contabili, risalente al 24 luglio 2007, potesse incidere, elidendolo, sul dolo specifico del reato di bancarotta fraudolenta documentale ed anzi, reputandola condotta materiale della simulazione di reato contestata al capo A. 2.1. Il secondo motivo è del tutto destituito di fondamento. La ricostruzione prospettata con il ricorso, offre una lettura alternativa dei medesimi elementi di fatto, già vagliati dai giudici di merito, con motivazione non manifestamente illogica, inibita in questa sede di legittimità. Inoltre si osserva che la prospettazione secondo la quale i finanziamenti a favore dei soci non determinavano alcun giro effettivo di danaro, è censura già devoluta alla Corte territoriale, meramente reiterativa del motivo di appello, sul quale i giudici di secondo grado si sono soffermati con motivazione coerente, non manifestamente illogica e, dunque, non censurabile in questa sede. La critica, peraltro, non è specifica posto che non si confronta con la motivazione puntuale della Corte di appello che ha fatto riferimento all'accertamento svolto dal perito in sede dibattimentale, ove si è acclarata l'esistenza di numerosi finanziamenti e apporti ai soci anche in contanti, con un giro di somme, dunque, reale e non fittizio, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente. 2.2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Sufficiente ed incensurabile in questa sede è la motivazione con la quale la Corte territoriale condivide la scelta dei giudici di primo grado di revocare i testi della lista depositata dalla difesa, per superfluità della prova richiesta. Si sostiene, infatti, che questi avrebbero dovuto deporre sull'esistenza di eventuali crediti della Susa s.r.l. e, dunque, erano superflui. Sul punto si osserva, in primo luogo, che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo e non è, dunque, necessario, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori, il quale rileva esclusivamente ai fini dell'eventuale configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 219 Legge fall. (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 - dep. 2013, Rossetto, Rv. 253933; Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012. Lombardi di Stronati, Rv. 252307). Sul punto, infatti, secondo i principi dettati da questa Corte di legittimità, per il delitto di bancarotta per distrazione, è centrale la configurazione della fattispecie incriminatrice come reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763). In secondo luogo si rileva che è principio espresso da questa Corte, pacificamente, quello secondo il quale il recupero, eventuale, del bene distratto e, comunque, la possibilità di recupero, non incide sulla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta, posto che la tutela è assicurata anche al mero pericolo di danno per i creditori. Il recupero della res, in tali casi, rappresenta mero posterius (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Calderini, Rv. 248658; Sez. 5, n. 17384 del 16/03/2005, Miatello, Rv. 231853, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione). 2.3. Il quarto motivo è inammissibile. Sono manifestamente infondate le censure che riguardano il trattamento sanzionatorio. Il motivo denuncia un vizio che sfugge al sindacato di legittimità, in quanto investe il potere discrezionale del giudice di merito esercitato, nella specie, in aderenza ai principi fissati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. La Corte territoriale, infatti, con un ragionamento che non risulta frutto di mero arbitrio né illogico, ha fondato il giudizio circa l'entità della pena, su un ragionamento sufficientemente articolato in quanto opera espresso richiamo alla gravità della condotta, alla personalità dell'imputato ed all'entità vicina al minimo edittale della sanzione irrogata dal giudice di primo grado. Quindi alla luce del pacifico indirizzo espresso dalla Corte di legittimità sul punto il motivo devoluto è inammissibile (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01 Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016 , dep. 2017, S., Rv. 269196 - 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/08/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142). Del pari è ampia e coerente la motivazione circa il diniego delle invocate attenuanti generiche, peraltro censurata con motivo non specifico. 3. Quanto ai motivi nuovi introdotti con memoria difensiva, si osserva che il primo motivo corrisponde al primo ed al secondo motivo del ricorso principale, rispetto ai quali si ampliano le argomentazioni. Dunque si richiamano sul punto, le osservazioni svolte dal Collegio ai punti 2., 2.1. e 2.3. 3.1. Il secondo ed il terzo motivo aggiunto sono inammissibili. Le doglianze proposte investono punti della decisione impugnata — quello relativo alla legittimità della procedura che ha condotto alla declaratoria di fallimento ed il reato di cui al capo D, peraltro oggetto della pronunciata prescrizione — non attinti dal ricorso principale. I motivi nuovi a sostegno dell'impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale contenuta nell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di impugnazione, ai sensi dell'art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259). E' appena il caso di osservare che, comunque, la doglianza relativa alla V.zione del diritto al contraddittorio nell'ambito della procedura fallimentare è manifestamente infondata. Ciò considerato che non può essere prospettata, in sede penale, la lesione del diritto al contraddittorio nel procedimento civile, concluso con la sentenza dichiarativa del fallimento (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ioghà, Rv. 269454 - 01). 4. Il collegio deve rilevare di ufficio l'illegalità delle pene accessorie ex art. 216, u.c., Legge fall. applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata. Con sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 216, u. c. Legge fall. nella parte in cui dispone: la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, anziché: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni". La sostituzione operata dalla sentenza citata, determina l'illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino nel nuovo parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale. Detto principio, elaborato in relazione alle pene principali dalla Corte di cassazione nella sua composizione più autorevole (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon) è stato ritenuto estensibile anche a quelle accessorie non essendo consentita dall'ordinamento l'esecuzione di una pena (principale o accessoria) non conforme, in tutto o in parte, ai parametri legali. Il principio di legalità della pena si applica, invero, anche con riferimento alle pene accessorie (Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., in motivazione; da ultimo: Sez. 5 , n. 5882 del 29/01/2019, Baù Franco, Rv. 274413 - 01). 4.1 Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con obbligo per il giudice del rinvio di attenersi, nella rideterminazione della durata della pena accessoria non più fissa (dieci anni), ma indicata solo nel massimo (fino a dieci anni), ai criteri fissati dalla pronuncia della Corte Costituzionale indicata e da quella delle Sezioni Unite di questa Corte, cui la questione specifica è stata rimessa, in data 10 dicembre 2018 e definita con sentenza del 28 febbraio 2019, ric. Suraci. Si è, infatti, posto il problema di individuare il genere di intervento ij) ) manipolativo, cui sottoporre l'ultimo comma dell'art. 216 Legge fall., tenuto conto che la Corte Costituzionale ha individuato come insoddisfacente il parametro di cui all'art. 37 cod. pen., propendendo per consentire, per tali pene, una funzione distinta, rispetto a quelle proprie della pena principale, fissando una durata diversa, rispetto a quella della pena detentiva inflitta in concreto. In relazione al quesito posto, a seguito della pronuncia del giudice delle leggi, questa Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione, ha fissato il principio secondo il quale le pene accessorie, previste dall'art. 216 Legge fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, così come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice, in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen. 4.2. Discende dal ragionamento sin qui svolto, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto delle pene accessorie, ex art. 216 ultimo comma legge fall., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo; nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 4.3. Ai sensi dell'art. 624 cod. proc. pen., dall'annullamento con rinvio circoscritto all'indicato punto della decisione, deriva l'autorità di cosa giudicata di tutti i restanti punti della sentenza privi di connessione con quello annullato e, quindi, quello dell'accertamento della responsabilità dell'imputato e della quantificazione della pena principale, come operata in grado di appello. PQM Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria fallimentare, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo; dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Così deciso, il 4/04/2019
21-08-2019 15:23
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