54 Kg di cocaina imporati dalla Colombia.
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 09-10-2018) 19-10-2018, n. 47803
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MENICHETTI Carla - Presidente -
Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -
Dott. PICARDI Francesca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.M., n. il (OMISSIS);
C.L., n. il (OMISSIS);
M.S., n. il (OMISSIS);
B.C.J., n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di FIRENZE in data 04 dicembre 2017;
visti gli atti;
fatta la relazione dal Cons. Dott. Gabriella CAPPELLO;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona della Dott.ssa CARDIA Delia, la quale ha chiesto l'inammissibilità dei ricorsi;
uditi l'Avv. Tiziana Mannocci del foro di Pisa in difesa di B.C.J. la quale si è riportata ai motivi;
l'Avv. Michele Malquori del foro di Firenze in difesa di C.L. il quale si è riportato ai motivi di ricorso;
l'Avv. Giovanni Antonio Capria del foro di Pisa in difesa di B.M. il quale si è riportato ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. La corte d'appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Pisa, appellata dagli imputati B.M., C.L., M.S. e B.C.J.E., con la quale costoro sono stati ritenuti penalmente responsabili del delitto di cui all'art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 bis e 6, aggravato dal cit. D.P.R., art. 80, in relazione a un episodio di importazione di cocaina dalla Colombia, per Kg. 54,450 (con un principio attivo pari al 66, 70%), riconoscendo le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e rideterminando la pena.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi gli imputati con separati atti e difensore.
2.1. Il ricorso di B.M..
La difesa dell'imputato ha formulato tre motivi.
Con il primo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale con riferimento alla motivazione dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni, rilevando la impossibilità di collegare gli interlocutori del procedimento originario iscritto per il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 con quello attuale, il rilevato difetto non essendo colmabile neppure attraverso un rinvio ad altri atti processuali, neppure formulato dal GIP. Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al concorso dell'imputato nella condotta di importazione, essendo stati travisati e ignorati gli elementi a difesa da parte del giudice d'appello.
A tal proposito, il deducente richiama innanzitutto la circostanza che l'indagine, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore S., aveva preso avvio sin dal 2014, senza che tuttavia fossero stati acquisiti elementi atti a collegare il viaggio effettuato dal B. e dal C. in Colombia tra gennaio e febbraio 2015 ai soggetti già indagati, cosicchè non poteva collegarsi il primo viaggio al secondo e soprattutto affermarsi che il primo fosse finalizzato ad avviare un rapporto di commercializzazione di prodotti.
La corte di merito avrebbe anche sottovalutato la circostanza che, di tutti i coimputati, il B. conosceva solo il C. e non avrebbe neppure debitamente considerato le risultanze delle intercettazioni disposte, il cui contenuto assume indicativo dell'assenza del suo concorso nel reato.
Con il terzo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva, rappresentata da una perizia fonica.
2.2. Il ricorso di C.L..
La difesa dell'imputato ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla affermazione della esistenza di alcuni elementi indiziari (utilizzazione di sim telefoniche non intestate agli interlocutori; mancanza di documentazione relativa al carico lecito del cui trasporto avrebbe dovuto occuparsi l'imputato; ricerca di una giustificazione per spiegare il viaggio in Italia dei colombiani; preoccupazione manifestata dagli imputati nel corso di alcune telefonate, incompatibile con la asserita natura lecita dell'affare), rispetto ai quali assume l'insufficienza delle argomentazioni logico-giuridiche utilizzate dal giudice del gravame.
2.3. Il ricorso di M.S..
La difesa dell'imputato ha formulato quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale relativamente alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, alla luce della asserita mancanza di motivazione dei relativi decreti autorizzativi. In particolare, assume la difesa che l'originario decreto autorizzativo sarebbe carente di motivazione, con conseguente impossibilità, anche per questa difesa, di collegare gli interlocutori del procedimento originario con quello attuale.
Il deducente svolge considerazioni analoghe a quelle svolte dalla difesa del B., rilevando l'impossibilità di rinvenire una motivazione per relationem non avendo il GIP operato alcun richiamo ad atti del procedimento.
Con il secondo, la difesa ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al ruolo ascritto al M., rilevando come il coimputato SC.Ca., avente la medesima posizione del M., fosse stato definitivamente assolto in abbreviato sia dall'imputazione associativa che dal reato di importazione contestato al ricorrente.
Sul punto, il deducente ripercorre la vicenda processuale e propone una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti al processo, anche alla luce delle conclusioni cui i giudici di merito erano giunti con riguardo allo SC..
Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto violazione di legge in relazione alla sussistenza dell'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, avuto riguardo al mancato conseguimento del possesso della droga e alla volontaria desistenza del M. da ogni ulteriore proposito criminoso ben prima che scattassero i fermi dell'A.G., cosicchè il criterio della saturazione del mercato doveva ritenersi solo virtuale.
Con il quarto motivo, infine, la difesa ha dedotto violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., atteso che anche senza il concorso del M. all'operazione di recupero dello stupefacente si sarebbe comunque verificata.
2.4. Il ricorso di B.C.J.E..
La difesa ha formulato un unico motivo, con il quale ha dedotto erronea applicazione della legge penale con riferimento alla riconosciuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, per asserita inintelligibilità della motivazione dei decreti autorizzativi. Il primo decreto, in particolare, sarebbe privo di struttura motivazionale adeguata poichè in gran parte oscurato, vizio che inficia anche parte dei decreti di proroga, e i decreti di convalida del GIP, in alcuni essendo stato depositato solo l'incipit senza che vi facesse seguito il corpo del provvedimento, indicando specifici allegati in copia.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono tutti inammissibili.
2. Secondo la ricostruzione contenuta nella sentenza censurata, la giustificazione dell'affermazione di colpevolezza degli imputati si rinviene in un compendio probatorio costituito soprattutto dagli esiti di intercettazioni telefoniche tra tutti i soggetti coinvolti nell'indagine.
E' stato così possibile individuare tre gruppi di persone, tutte a vario titolo coinvolte nell'operazione di importazione descritta nel capo d'imputazione: un primo gruppo (del quale avevano fatto parte gli odierni ricorrenti B., C. e M.), formato da soggetti facenti parte del mondo imprenditoriale; un secondo, svolgente ruolo di intermediazione con i fornitori colombiani; un terzo, infine, composto da soggetti, tra i quali B.C., giunti in Italia per partecipare alle operazioni di recupero della cocaina.
Tutti i contatti (chiamate e sms) erano connotati da una diffusa accortezza degli interlocutori nell'utilizzare un linguaggio criptico, di per sè incompatibile con la natura lecita dell'affare allegata dagli imputati (secondo i quali si sarebbe trattato di una normale spedizione di campionature di prodotti).
In particolare, la tesi difensiva sostenuta (anche da B. e C. e da costoro riproposta in ricorso), secondo cui l'interagire dei vari soggetti era da ricollegarsi alla importazione del Sudamerica di campioni di merce lecita, era stata contraddetta dai risultati obiettivi emersi nel corso dell'istruttoria e non corroborata da regolare documentazione di accompagnamento della spedizione del container, necessaria per recuperare la merce presso lo scalo di Livorno. Lo stesso BE. non disponeva di detta documentazione, mentre conosceva il codice alfa-numerico identificativo.
Anche i riferimenti utilizzati dagli interlocutori (per esempio a "70 palazzine") sono stati ritenuti indicativi dell'oggetto dell'affare in corso, al pari 4 della circostanza che nessuno dei soggetti coinvolti era in possesso di regolare documentazione per recuperare il carico contenuto nel container, nel quale, all'interno del carico di banane verdi provenienti dal Costa Rica era stata inserita, secondo i giudici del merito, dai colombiani e dallo stesso BE., la cocaina all'insaputa della società che aveva curato la spedizione del carico, quello illecito dovendo essere recuperato proprio nel porto di Livorno prima del suo trasferimento su altra nave (il container era rimasto invece sulla banchina per sovraffollamento ed era stato quindi caricato su una nave diretta al porto di Catania, prima che i complici avessero potuto recuperare la droga).
Del resto, se si fosse trattato di semplice invio di campionatura di prodotti, non si spiegherebbe la necessità della presenza in Italia dei colombiani e la circostanza che solo costoro conoscevano il codice alfa-numerico che contraddistingueva il container, in uno con la loro reticenza a comunicare detto codice agli italiani.
Quanto poi alle modalità di recupero della droga presso il porto di Catania, era pure emerso il rifiuto degli italiani (tra questi C. e M.) di procedere avvalendosi di conoscenze dei colombiani in quel luogo, per esosità della somma richiesta a titolo di contropartita, avendo costoro preferito continuare a utilizzare gli operatori portuali di Livorno.
Infine, con riferimento all'aggravante dell'ingente quantità, essa era stata direttamente collegata al dato ponderale, alla luce dei principi già affermati da questa corte, tenuto conto della elevatissima concentrazione di principio attivo, idoneo a soddisfare un elevato numero di consumatori anche per un notevole lasso temporale.
3. La decisione veniva appellata dai ricorrenti, i quali opponevano motivi di merito, in parte riprodotti in questa sede, alla luce dei quali la corte territoriale ha ritenuto di confermare le conclusioni del primo giudice, eccezion fatta per il trattamento sanzionatorio, con riferimento al quale, riconosciute in termini di mera equivalenza le attenuanti generiche, ha ridotto la pena.
In particolare, quanto al C., la corte ha opposto la propria valutazione del compendio probatorio (sostanzialmente rappresentato dal contenuto delle intercettazioni) alla diversa lettura, in chiave lecita, offerta dalla difesa, esaminando punto per punto le singole doglianze difensive e argomentando in ordine al rigetto delle osservazioni svolte con i motivi d'appello.
Ha così ritenuto che la scarsa accortezza del C. nel parlare al telefono ne provasse solo la inaffidabilità nell'interagire criminale, ma non la estraneità alla condotta criminosa. Egli era in sostanza un complice "maldestro", come emergeva dalle conversazioni intercettate. Quanto alla sua condotta concorsuale, l'uomo aveva partecipato a un viaggio in Colombia con il B., aveva partecipato alle operazioni intese al recupero della droga, prima a Livorno, poi a Catania; aveva inoltre messo più volte in contatto i colombiani con i complici italiani; infine, non aveva denunciato la stranezza della spedizione e cioè la mancanza della merce a lui diretta e l'atteggiamento non lineare dei suoi interlocutori, con i quali avrebbe agito solo in veste di trasportatore.
In risposta a specifica deduzione difensiva, poi, la corte fiorentina ha sottolineato la circostanza che la documentazione di viaggio del carico non era nella disponibilità di alcuno dei compartecipi all'affare e non del solo C., cosicchè era lecito chiedersi come avrebbe fatto un trasportatore a spostare merce legale da recuperare, come già fatto altre volte, senza tuttavia conoscere neppure il numero del contenitore sul quale era trasportata. Proprio la conoscenza di tale codice, peraltro, aveva costituito oggetto di contenzioso tra la parte colombiana e quella italiana dell'affare.
Inoltre, le preoccupazioni manifestate dai complici non potevano spiegarsi con una normale apprensione sull'arrivo della merce, dal momento che, in quel caso, la trafila - una volta perse le tracce del carico - sarebbe stata quella di rivolgersi alle autorità, alle quali avrebbe dovuto essere segnalato l'eventuale smarrimento della merce: esse, al contrario, traevano origine dalla natura illecita del carico in questione e proprio per questo motivo il C. era stato pure malmenato da uno degli operatori portuali a Taormina ed era rientrato in Toscana senza denunciare alcunchè e nemmeno provare a recuperare il carico che aspettava, considerato che, per come asserito dalla difesa, si era pure procurato un mezzo per effettuare il recupero a Catania.
Nessun rilievo assumeva, poi, la circostanza che il C. non avesse finanziato l'operazione, dal momento che gli altri partecipi all'azione delittuosa gli avevano fornito il denaro per i viaggi in Colombia, così confermandosi la strumentalità di essi rispetto all'importazione di droga di cui all'imputazione.
Anche la difesa dell'appellante M. aveva proposto una diversa valutazione delle prove, evidenziando la scarsa verosimiglianza della spiegazione (sovraffollamento della banchina) per la quale gli operatori presso il porto di Livorno si sarebbero lasciati sfuggire il carico, dirottato presso il porto di Catania, destinazione, peraltro, risultante dagli stessi documenti di viaggio del carico, che in ogni caso non proveniva dalla Colombia, bensì dal Costa Rica. La difesa aveva pure evidenziato che il ruolo di organizzatore dell'imputato era smentito dal fatto che egli non aveva partecipato al viaggio in Colombia, nè era stato referente dei due che vi si erano recati ( C. e B.), nulla aveva saputo del luogo e del tempo della spedizione, nè conosceva il codice identificativo del container, non avendo avuto neppure possibilità di muoversi all'interno del porto di Livorno o di monitorare il carico da lontano, nè aveva partecipato alla trasferta a Catania per il suo recupero o all'incontro chiarificatore svoltosi a Ferrara.
Tale diversa lettura non è stata condivisa dalla corte di merito che ha sottolineato che la circostanza che gli italiani fossero all'oscuro di alcuni dati relativi all'importazione illecita era frutto di una decisione dei partners colombiani per ragioni relative allo scarso rapporto di fiducia tra i due gruppi.
Il porto di Livorno era, nel programma criminoso, il luogo in cui i complici avrebbero dovuto operare il recupero degli zaini contenenti la droga, a prescindere da quale fosse l'effettiva destinazione finale del carico. Nè gli operatori di P.G. avevano affermato che il M. non aveva potuto monitorare il container da lontano, ma solo che dalla posizione in cui si trovavano gli inquirenti non si poteva tenere sotto controllo il carico e che non era impossibile che esso fosse invece tenuto d'occhio dagli imputati.
Il ruolo direttivo del M., poi, irrilevante ai fini del concorso nel reato, era diretta conseguenza di quanto emerso dal contenuto dei dialoghi: egli era colui che dirigeva le operazioni degli altri e aveva cura di non farsi coinvolgere troppo. Ciò spiegava la circostanza che non aveva partecipato alle trasferte in Colombia, non era andato a prelevare i complici all'aeroporto di Bologna e non aveva fornito referenze ai colombiani per giustificarne il viaggio in Italia.
Del resto, proprio il suo coinvolgimento nell'illecito affare giustificherebbe l'affermazione dell'imputato - dopo la sparizione della droga - di volersi fare da parte, intercettata nel corso di un dialogo.
L'aggravante dell'ingente quantità, infine, era ampiamente giustificata non solo alla luce del dato ponderale, ma anche considerato il numero di consumatori che quel quantitativo poteva soddisfare, laddove, quanto al disvalore del ruolo di concorrente del M., la corte ne ha ritenuto il contributo, come delineato dal contenuto dei dialoghi intercettati, tutt'altro che marginale.
Quanto all'imputato BE. (reo confesso), la corte ha accolto il motivo riguardante l'accesso al rito abbreviato, rigettando invece quello riguardante il trattamento sanzionatorio, con il quale si era allegato il presunto ruolo marginale avuto nella vicenda, rispetto a quello dell'altro colombiano, Z., identificato come figlio o nipote di un boss del narcotraffico colombiano, l'unico a conoscere, peraltro, il codice alfa-numerico del container.
Tale marginalità è stata esclusa dai giudici di merito alla luce del ruolo effettivo emerso, quale vero e proprio addetto alla sicurezza e incolumità dello Z., esponente della malavita colombiana e gestore dell'intera vicenda. Il BE., inoltre, era l'unico a conoscere il codice alfa-numerico e aveva intrattenuto frequenti rapporti con i complici italiani.
Infine, con riferimento alla posizione del B., l'esposizione dei motivi del gravame di merito evidenzia, ancora una volta, la differente lettura del dato probatorio da parte della difesa, finalizzato ad accreditare la tesi che i viaggi in Colombia avrebbero avuto come obiettivo quello di organizzare un rapporto di commercializzazione di prodotti dal paese sudamericano, affare nel quale la presenza del B. era quella di soggetto esperto in pellami e materie prime, richiesto di assistenza da parte del C., unico soggetto conosciuto tra quelli imputati, i quali avevano sempre fatto riferimento al solo C..
Secondo la difesa, peraltro, il collegamento dell'imputato con i fatti oggetto dell'indagine sarebbe stato incongruo, siccome legato unicamente alla predisposizione di lettere di invito dei colombiani in arrivo in Italia, essendosi egli limitato a inviare al coimputato BE., tramite sms, i dati della sua partita IVA, l'unica intercettazione riguardante il B. essendo quella del dialogo in cui il BE. aveva chiesto all'imputato gli estremi di una società per la predisposizione dell'invito dei colombiani in Italia.
A fronte di tali deduzioni difensive, la corte territoriale ha però ritenuto, da un lato, del tutto irrilevante che il collegamento tra il B., il C. e gli altri imputati fosse avvenuto successivamente rispetto alla originaria ed iniziale attività investigativa; dall'altro, ha evidenziato l'assoluta inanità dello sforzo difensivo di far passare i due viaggi dell'imputato in Colombia come mere occasioni lavorative, considerato che essi erano stati addirittura finanziati dagli altri imputati. La circostanza che il B. conoscesse solo il C. era smentita dalle stesse affermazioni difensive a proposito del messaggio inviato al BE., al pari della sua disponibilità a fornire la sua opera per giustificare il viaggio dei colombiani in Italia.
Infine, del tutto inverosimile, ove si accedesse alla tesi della inconsapevolezza del B. in ordine alla vera natura dell'affare con i colombiani, sarebbe stato l'atteggiamento di questi che mai si era insospettito e aveva chiesto spiegazioni ai soggetti che lo circondavano.
Quanto alla richiesta di procedere a perizia fonica, la corte del merito ne ha motivato il relativo rigetto, affermando che la voce dell'imputato era stata riconosciuta in sede di perizia trascrittiva e che la sua partecipazione nell'illecito affare traeva conferma anche dagli altri elementi di prova esaminati.
4. Il motivo unico formulato nell'interesse dell'imputato BE. e il primo motivo formulato sia nell'interesse dell'imputato B. che dell'imputato M. sono manifestamente infondati e il loro esame deve logicamente precedere quello degli ulteriori motivi, riguardando la stessa utilizzabilità del materiale probatorio posto a fondamento della condanna nel doppio grado di merito.
4.1. Secondo le difese degli imputati (che neppure hanno proposto gravame di merito sul punto), un generale connotato di incertezza sarebbe rinvenibile sia nel decreto autorizzativo originario, che nei successivi decreti di proroga e di convalida, risultando in quei provvedimenti l'oscuramento di intere parti del documento che non consentirebbe di cogliere alcun collegamento tra gli indagati e le indagini. Ne deriverebbe, per le difese, il divieto di utilizzazione dei risultati delle captazioni, a norma dell'art. 271 c.p.p., per violazione dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 267 c.p.p..
4.2. Sulla ammissibilità della doglianza, non proposta in sede di gravame del merito, questa corte ritiene intanto di aderire all'orientamento di legittimità secondo cui in tema di intercettazioni, l'inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captative derivante dalla mancanza di motivazione dei decreti di autorizzazione e di proroga può essere dedotta dalle parti, per la prima volta, nel giudizio di cassazione e rilevata d'ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2, (cfr. sez. 3 n. 15828 del 26/11/2014 Ud. 8 dep. 16/04/2015), Solano Abreu e altri, Rv. 263342 (in motivazione, la corte ha precisato che l'inosservanza dell'obbligo di motivazione dei decreti autorizzativi integra una inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni di carattere assoluto, non sanabile in virtù della richiesta di accesso al rito abbreviato perchè derivante dalla violazione dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione)).
Inoltre, in via generale, è certamente vero che in tema di intercettazioni telefoniche, la motivazione dei decreti autorizzativi deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l'intercettazione di una determinata utenza telefonica, facente capo ad una specifica persona, indicando il collegamento tra l'indagine in corso e la medesima persona, affinchè possa essere verificata, alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del provvedimento, la sua adeguatezza rispetto alla funzione di garanzia prescritta dall'art. 15, comma secondo, Cost. (cfr. sez. 5 n. 1407 del 17/11/2016 Cc. (dep. 12/01/2017), Nascetti, Rv. 268900). Ma va pure precisata l'incidenza del vizio sulla utilizzabilità del risultato delle intercettazioni, sulla scorta del consolidato principio, secondo cui la mancanza di motivazione dei decreti che autorizzano o prorogano le operazioni di intercettazioni telefoniche o tra presenti, di quelli che convalidano i decreti emessi in caso d'urgenza dal pubblico ministero, nonchè di questi ultimi, comporta certamente l'inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative (cfr. sez. unite n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv.216665 (nell'occasione, la S.C. ha avuto modo di precisare che si ha mancanza della motivazione non solo quando l'apparato giustificativo manchi in senso fisico-testuale, ma anche quando la motivazione sia apparente, semplicemente ripetitiva della formula normativa, del tutto incongrua rispetto al provvedimento che dovrebbe giustificare; mentre si ha difetto della motivazione - emendabile dal giudice cui la doglianza venga prospettata, sia esso il giudice del merito che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni, sia esso quello dell'impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità - allorchè quest'ultima sia incompleta, insufficiente, non perfettamente adeguata, affetta da vizi che non negano, nè compromettono la giustificazione, ma la rendono non puntuale); sez. 1 n. 6146 del 26/10/2000, Pagano e altro, Rv. 217608).
4.3. Ciò premesso, deve intanto rilevarsi la genericità di una doglianza che neppure distingue tra i vari provvedimenti censurati, considerando alla stessa stregua il provvedimento autorizzativo e quelli successivi di proroga delle operazioni di intercettazione.
Al contrario, deve ribadirsi anche in questa sede, che la motivazione dei decreti di proroga può essere ispirata anche a criteri di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione, potendosi risolvere nel dare atto della constatata plausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del pubblico ministero (cfr. sez. 4 n. 16430 del 19/03/2015, Caratozzolo, Rv. 263401; n. 32924 del 14/05/2004, Belforte e altri, Rv. 229105) e che l'eventuale difetto di motivazione del decreto emesso in via d'urgenza dal pubblico ministero è sanato con l'emissione del decreto di convalida da parte del giudice per le indagini preliminari, che assorbe integralmente il provvedimento originario e rende utilizzabili i risultati delle operazioni di intercettazione, precludendo ogni discussione sulla sussistenza del requisito dell'urgenza (cfr. sez. 6 n. 55748 del 14/09/2017, P.G. in proc. Macrì e altri, Rv. 271741; sez. 5 n. 16285 del 16/03/2010, Baldissin e altri, Rv. 247266).
4.4. In ogni caso, dall'esame dei decreti allegati ai ricorsi, non emerge il difetto di motivazione che le difese hanno opposto in questa sede. L'oscuramento di alcune parti del provvedimento, per evidenti ragioni connesse al prosieguo delle indagini, non impedisce, infatti, l'intelligibilità del collegamento tra le indagini svolte e le utenze controllate, intestate o in uso agli imputati.
5. Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, va rilevato, per come evidente dalla semplice esposizione dei motivi d'appello contenuta nella sentenza censurata, che le difese hanno in larga parte riproposto doglianze che non si pongono in chiave di critica effettiva al ragionamento probatorio, ma costituiscono vera e propria contestazione della lettura data dai giudici del merito al contenuto dei dialoghi oggetto di captazione e, in genere, della valutazione del compendio probatorio condotta in maniera conforme nei due gradi di giudizio.
Ciò impone quindi una premessa di ordine generale mediante il richiamo al consolidato orientamento di questa corte in ordine alla natura del gravame di legittimità e al contenuto del ricorso. Già da tempo è acquisito il principio secondo cui le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei, rispetto a quelli utilizzati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità (cfr. sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250; sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Rv. 252615). Peraltro, non è superfluo osservare come la funzione tipica dell'impugnazione sia proprio quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (cfr., in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 Cc. (dep. 22/02/2017), Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
5.1. Alla luce di tale premessa, devono ritenersi, pertanto, manifestamente infondati il secondo motivo formulato nell'interesse dell'imputato B., quello unico formulato nell'interesse dell'imputato C. e il secondo formulato nell'interesse dell'imputato M..
Intanto, la congruità della motivazione della sentenza censurata va valutata alla luce dell'ulteriore principio di diritto, secondo cui il giudice d'appello non è neppure tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione (come al contrario ha fatto la corte fiorentina nel caso in esame), giacchè le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (cfr. per tutte, sez. 6 n. 1307 del 26/09/2002 ud. (dep. 14/01 2003), Rv. 223061).
Cosicchè, è lecito affermare che il dovere di motivazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l'analisi approfondita e l'esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6 n. 20092 del 04/05/2011, Rv. 250105).
5.2. Nel caso in esame, le tesi difensive sostenute nei gravami di merito e puntualmente richiamate nella sentenza impugnata, sono state esaminate dalla corte di merito che ne ha motivatamente contestato la fondatezza, opponendovi argomentazioni direttamente correlate ai dati fattuali emersi dall'istruttoria e, soprattutto, alle stesse parole degli imputati, definitivamente riscontrate dal sequestro del carico di droga.
Il percorso argomentativo rinvenibile nella sentenza censurata è del tutto congruo, scevro da contraddizioni e manifeste illogicità e coerente con i principi più volte affermati da questa corte anche in ordine alla valutazione della prova che derivi da compendio intercettativo.
Intanto, gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
Inoltre, nel caso specifico, tenuto conto del contenuto di gran parte delle doglianze formulate con i motivi dei ricorsi e del materiale probatorio che sta alla base delle valutazioni condotte dai giudici di merito, occorre ribadire l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa corte, secondo cui, proprio in ipotesi di compendio probatorio rappresentato da intercettazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. Sez. U. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715). In tali ipotesi, il sindacato di legittimità è ammissibili solo nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione (cfr. sez. 2 n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea e altri, Rv. 268389).
6. E' manifestamente infondato anche il terzo motivo formulato nell'interesse dell'imputato B..
Questa corte ha già da tempo chiarito che la sentenza con cui il giudice respinge la richiesta di una perizia, ritenuta decisiva dalle parti, non è censurabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (cfr. sez. 4 n. 7444 del 17/10/2013, Sciarra, Rv. 255152), poichè la perizia, infatti, non rientra nella categoria della "prova decisiva" (cfr. sez. 2 n. 52517 del 03/11/2016, Russo, RV. 268815).
Tali principi sono stati anche di recente ribaditi dal S.C. di questa corte che ha precisato che la perizia non può rientrare nel concetto di prova decisiva, perchè è un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr. Sez. U. n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936).
La corte di merito, peraltro, ha congruamente motivato in ordine al rigetto della relativa richiesta motivato, alla luce dell'avvenuto riconoscimento della voce del B. in sede di perizia trascrittiva e del grave compendio probatorio emerso neri suoi confronti circa la sua partecipazione all'importazione, da ritenersi accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.
7. Quanto, infine, agli elementi circostanziali del reato, deve rilevarsi la manifesta infondatezza del terzo e del quarto motivo formulati nell'interesse del'imputato M..
Innanzitutto, quanto all'aggravante dell'ingente quantità, deve rilevarsi come la motivazione rinvenibile nella sentenza censurata sia coerente, oltre che con il dettato normativo, anche con i principi di matrice giurisprudenziale in materia: in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l'aggravante della ingente quantità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore - soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (cfr. Sez. U. n. 36258 del 24/05/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253150).
Peraltro, come è stato chiarito, anche da questa sezione, per effetto della espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, comma 1 bis, come modificato dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile (cfr. sez. 4 n. 55014 del 15/11/2017, Corrao, Rv. 271680; sez. 6 n. 50076 del 04/10/2016, Dervishaj e altri, Rv. 268935; sez. 3 n. 47978 del 28/09/2016, Hrim e altro, Rv. 268699), da ritenersi "flessibili", soprattutto nel caso di superamento del valore soglia (cfr. sez. 4, n. 49619 del 12/10/2016, Palumbo e altro, Rv. 268624).
Il giudice di merito, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha fatto corretta applicazione di tali principi, fornendo adeguata giustificazione della valutazione discrezionale condotta, peraltro non solo alla luce del dato ponderale, oggettivamente apprezzabile, ma valutando anche la qualità della sostanza stupefacente, alla luce del principio attivo rinvenutovi e della derivante capacità di saturazione del mercato.
Infine, quanto al ruolo dell'imputato M., il relativo motivo di ricorso sconta l'evidente, mancato confronto con la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, non tenendo in alcun conto il rinvio operato dal giudice territoriale a quanto affermato con riferimento alla condotta provata sulla scorta del compendio probatorio, pure specificamente richiamato, attestante un ruolo tutt'altro che marginale dell'imputato che aveva addirittura diretto le operazioni degli altri, cercando di mantenere un profilo defilato.
Solo per completezza si richiamano i principi affermati da questa corte sul punto specifico, a mente dei quali, in tema di concorso di persone nel reato, allorchè l'imputato abbia richiesto l'applicazione della circostanza attenuante prevista dall'art. 114 cod. pen., non sussiste il dovere di una motivazione esplicita in ordine alla sua mancata concessione, nel caso in cui il giudice abbia posto in evidenza la gravità del fatto in relazione alle condotte di tutti gli imputati, non operando alcuna distinzione tra il grado di efficienza causale delle condotte rispettivamente poste in essere rispetto alla produzione dell'evento (cfr. sez. 2 n. 48029 del 20/10/2016, Siesto e altro, Rv. 268176).
Peraltro, a tal fine, la valutazione, anche implicita, delle condotte concorsuali non si traduce in una vera e propria comparazione fra di esse finalizzata a stabilire quale tra i correi abbia in misura maggiore o minore contribuito alla realizzazione dell'impresa criminosa, risolvendosi bensì in un esame volto a stabilire se il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di efficacia causale così lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso (cfr. Sez. 3 n. 9844 del 17/11/2016 Ud. (dep. 09/03/2016), Barbato, Rv. 266461 (in fattispecie in cui non è stato ritenuto minimo il contributo concorsuale nel traffico internazionale di sostanza stupefacente, consistito nel collaborare alla ricerca e al reperimento di uno dei corrieri indispensabili per l'importazione della droga)).
8. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno anche alla somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
10-02-2019 14:06
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