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Sentenza

Un avvocato in attesa del processo che lo avrebbe visto direttamente impegnato, dopo essere intervenuto a sostegno di altro  legale, manifestando il proprio dissenso verso la conduzione del processo da  parte del magistrato e sottolineando che costui non consentiva l'esercizio della  difesa, si era voltato sulla destra verso il pubblico, composto anche da avvocati,  facendo con le mani il gesto, caratterizzato dai pollici ed indici aperti, che sta ad  indicare «ti faccio un culo così».
Un avvocato in attesa del processo che lo avrebbe visto direttamente impegnato, dopo essere intervenuto a sostegno di altro legale, manifestando il proprio dissenso verso la conduzione del processo da parte del magistrato e sottolineando che costui non consentiva l'esercizio della difesa, si era voltato sulla destra verso il pubblico, composto anche da avvocati, facendo con le mani il gesto, caratterizzato dai pollici ed indici aperti, che sta ad indicare «ti faccio un culo così».
Penale Sent. Sez. 6   Num. 51970  Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO
Data Udienza: 17/10/2018
SENTENZA 
sul ricorso proposto da 
S.R. , nato il ...........a C. 
avverso la sentenza emessa in data 27/09/2016 dalla Corte di appello di Brescia 
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale 
Elisabetta Cesqui, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 
RITENUTO IN FATTO 
1. Con sentenza del 27/9/2016 la Corte di appello di Brescia ha confermato 
quella del Tribunale di Brescia in data 5/10/2015, con cui S.R. è 
stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 343 cod. pen. commesso nei 
confronti del dott. V.M., nel corso di udienza da costui tenuta quale 
Giudice del Tribunale di Como. 
2. Ha presentato ricorso il S. tramite il suo difensore. 
2.1. Con il primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione in quanto 
la Corte aveva omesso di motivare in ordine alle doglianze riguardanti la 
configurabilità del dolo, essendo stato dato conto di una condotta volontaria ma 
non specificamente di una rappresentazione o di una volizione del fatto, alla luce 
di una completa analisi delle circostanze esteriori. 
Del resto il ricorrente non aveva diretto il gesto, che gli è stato contestato, 
al magistrato e non si sarebbe potuto affermare che tale gesto stesso avesse 
rivestito caratteristiche di offesa all'onore e al prestigio dello stesso, tanto che lo 
stesso dott. V. aveva negato di aver visto il gesto e di aver percepito 
comportamenti offensivi e oltraggiosi. 
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in quanto la Corte 
aveva formulato una motivazione illogica, non esauriente, condizionata da una 
riduttiva indagine conoscitiva e un'imprecisa ricostruzione della prova, avendo 
fatto leva sulle dichiarazioni di tre testi, peraltro non correttamente valutate, a 
fronte di quanto risultante dalle altre testimonianze rese da soggetti presenti che 
avevano negato di aver veduto il gesto incriminato. 
In particolare il ricorrente si sofferma su alcuni passi delle dichiarazioni rese 
dai testi B. e R., per segnalare l'erroneità della valutazione fattane dalla 
Corte. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. 
Il ricorso è nel suo complesso inammissibile, perché volto a prospettare 
una diversa ricostruzione dell'episodio sulla base delle prove acquisite, ciò che 
esula dal giudizio di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato. 
2. 
La Corte ha dato conto delle deposizioni assunte nel corso del 
dibattimento e rilevato come sulla base di quelle rese dai testi R., B. e 
B. potesse dirsi provato che nel corso dell'udienza tenuta dal Giudice V. 
M., l'Avv. S., presente in aula, in attesa del processo che lo avrebbe 
visto direttamente impegnato, dopo essere intervenuto a sostegno di altro 
legale, manifestando il proprio dissenso verso la conduzione del processo da 
parte del magistrato e sottolineando che costui non consentiva l'esercizio della 
difesa, si era voltato sulla destra verso il pubblico, composto anche da avvocati, 
facendo con le mani il gesto, caratterizzato dai pollici ed indici aperti, che sta ad 
indicare «ti faccio un culo così». 
D'altro canto la Corte ha anche valutato le testimonianze di coloro che 
hanno negato di aver veduto un gesto siffatto, nondimeno rilevando che tali 
assunti avrebbero potuto trovare spiegazione nella rispettiva collocazione dei 
soggetti in aula, a fronte di quanto specificamente veduto dagli altri testi da una 
posizione a tal fine idonea. 
3. 
A fronte di ciò il secondo motivo, volto a contestare la ricostruzione sulla 
base di una diversa lettura delle testimonianze si colloca al di fuori dello scrutinio 
di legittimità, dovendosi escludere che la Corte si sia basata su una parziale 
verifica delle prove acquisite, che risultano al contrario non illogicamente 
valutate, e non emergendo dai passi delle deposizioni riportati nel motivo di 
ricorso alcun elemento che consenta di ravvisare un travisamento della prova, 
inerendo per il resto al giudizio di merito la valutazione della concreta 
attendibilità delle deposizioni. 
4. 
Venendo al primo motivo, deve rilevarsi che la Corte, contrariamente agli 
assunti del ricorrente, non si è limitata a valutare la volontarietà del gesto, ma 
ha anche specificamente rilevato l'inequivoca direzione dello stesso verso l'offesa 
dell'onore e del prestigio del magistrato nell'ambito dell'udienza pubblica, 
caratterizzata dalla presenza di numerose persone, in ciò ravvisando la lesione 
del bene protetto dalla norma incriminatrice. 
A ben guardare dunque la Corte, pur sottolineando che il magistrato non si 
era accorto del gesto, ha nondimeno dato conto degli elementi costitutivi della 
fattispecie, rilevando che la stessa era stata integrata sia sotto il profilo 
oggettivo, in ragione della concreta offensività del gesto, che sotto quello 
soggettivo della direzione della volontà, individuata sulla base dell'intera 
condotta tenuta in quel peculiare frangente dal ricorrente, connotata dagli 
interventi a sostegno del collega e dalle censure in ordine conduzione 
dell'udienza da parte del magistrato, che peraltro, secondo quanto rilevato dalla 
Corte, aveva in precedente occasione segnalato al Consiglio dell'Ordine un 
comportamento scorretto del legale. 
Va del resto aggiunto che il reato di cui all'art. 343 cod. pen. presuppone 
l'offesa dell'onore o del prestigio del magistrato in udienza e che, come già 
affermato, sia, pur con riguardo all'originaria formulazione dell'art. 341 cod. 
pen., «l'offesa al prestigio assurge ad esposizione a pericolo di attributi che 
devono accompagnare l'azione della pubblica amministrazione e quindi dei 
soggetti preposti o componenti dei suoi uffici ed il cui pregiudizio potrebbe 
risultare ostativo al raggiungimento delle finalità poste dalla legge, od 
all'efficacia dell'azione pubblica, incidendo sul consenso che la p.a. deve 
necessariamente avere nella società» (Cass. Sez. 6, n. 11579 del 28/9/1995, 
Pulletta, rv. 203860). 
In tale ottica il reato risulta integrato allorché la condotta sia riconosciuta 
come idonea a compromettere quei requisiti di efficacia e di autorevolezza che 
devono assistere l'azione del magistrato, non essendo indispensabile che la 
condotta sia da esso direttamente percepita, ma occorrendo che la stessa sia di 
per sé tale da determinare quelle condizioni di pregiudizio, che valgono ad 
offendere il bene tutelato dalla norma incriminatrice. 
Da ciò discende che l'analisi della Corte risulta in linea con tali principi, 
essendo stato dato conto della offensività del gesto e del fatto che lo stesso, 
percepito o meno dal magistrato, era comunque riconoscibilmente volto a 
lederne il prestigio, vulnerando l'efficacia e la credibilità della sua azione nel 
corso dell'udienza. 
Di qui dunque anche la manifesta infondatezza dei rilievi difensivi, esposti 
nel primo motivo. 
5. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al 
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla 
causa dell'inammissibilità, a quello della somma di euro 2.000,00 in favore della 
cassa delle ammende. 
P. Q. M. 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle 
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle 
ammende. 
Così deciso il 17/10/2018
Avv. Antonino Sugamele

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