Tenta di uccidere un appuntato dei carabinieri a colpi di ascia.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-07-2018) 19-07-2018, n. 33713
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente -
Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -
Dott. BONI Monica - rel. Consigliere -
Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere -
Dott. CAIRO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
J.C., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/01/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BONI MONICA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. IACOVIELLO FRANCESCO MAURO;
Il P.G. chiede l'inammissibilità del ricorso.
udito il difensore.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 25 gennaio 2017 la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Siena del 18 aprile 2013 che, all'esito del giudizio abbreviato, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della diminuente del vizio parziale di mente, stimate prevalenti sulla contestata aggravante di aver agito per futili motivi, aveva condannato l'imputato J.C. alla pena di anni tre e mesi sette di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del delitto di tentato omicidio in danno di B.I. e dell'appuntato dei Carabinieri M.M. per avere sferrato con un'ascia più fendenti dall'alto al basso nella loro direzione, così compiendo atti diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte, fatto commesso il (OMISSIS).
1.1 A fondamento della decisione la Corte di appello richiamava quanto esposto nella sentenza di primo grado, che, sulla scorta delle informazioni fornite dalle persone offese e dall'appuntato dei Carabinieri Ma., aveva ricostruito gli accadimenti nei seguenti termini: dopo una discussione avvenuta tra l'imputato e la B. all'interno dell'abitazione del primo, ove la donna svolgeva l'attività di badante, lite originata dal di lei rifiuto di intrattenere rapporti sessuali col datore di lavoro, ella era uscita di casa col figlioletto, ma l'imputato l'aveva inseguita, brandendo un'ascia, con la quale aveva tentato più volte di colpirla nonostante la presenza dei Carabinieri, intervenuti su richiesta della donna. I colpi erano stati schivati dalla B. ed anche dall'appuntato M. frappostosi tra la stessa e l'imputato per proteggerla ed avevano cagionato soltanto la rottura del lunotto posteriore dell'autovettura dei Carabinieri, dietro il quale la donna si era rifugiata, nonchè dei vetri anteriori e posteriori dello stesso veicolo lato guida, sino a che l'altro militare presente aveva esploso un colpo di pistola che aveva attinto lo J. ad una gamba, facendolo cadere a terra e consentendone la successiva immobilizzazione.
1.2 Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen.. Secondo la difesa, la sentenza ha errato nel ravvisare la fattispecie di tentato omicidio, perchè la condotta avrebbe dovuto essere rapportata all'ipotesi di lesioni personali aggravate dal momento che: i colpi sferrati sono stati tutti agilmente schivati; gli unici colpi andati a segno hanno attinto l'auto di servizio; il veicolo, al cui interno vi era la B., aveva impedito sin dall'origine qualsiasi tipologia di offesa al bene giuridico "vita"; non vi è stata nessuna lesione derivata dalla azione posta in essere dall'imputato e nessuno è stato attinto dai suoi colpi; egli era in evidente stato di ebbrezza alcolica, instabile fisicamente e incapace di sferrare colpi precisi e diretti; le lesioni riportate dagli agenti sono derivate dalla colluttazione successiva al disarmo dell'imputato ed essi erano armati e capaci in ogni istante di bloccare il J.. Inoltre, ad di là delle modalità della condotta già analizzate, non vi è nessun altro elemento che possa dimostrare che egli aveva agito con dolo diretto, quand'anche alternativo, potendo al più riconoscersi il dolo eventuale, incompatibile col tentativo.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi incentrati sui profili fattuali della vicenda e meramente reiterativi di censure formulate con l'atto di appello e già respinte con motivazione ampia, analitica, congrua e priva di qualsiasi profilo di illogicità o contraddittorietà.
1. L'impugnazione nega la configurabilità del delitto di tentato omicidio e richiama le circostanze di commissione della condotta secondo una prospettiva riduttiva ed arbitraria, che non si confronta col più analitico percorso argomentativo della sentenza contestata.
1.1 La Corte di appello ha, infatti, esaminato in modo accurato e puntuale quanto emerso dagli atti d'indagine e ha disatteso la tesi difensiva sull'inoffensività della condotta posta in essere dall'imputato per non avere attinto nè la B., nè l'app. M. e sull'assenza del dolo omicidiario. Ha osservato, quanto al primo profilo di contestazione, che l'imputato, dopo avere proferito contro la donna nel corso di una violenta discussione minacce di morte per il caso ella avesse abbandonato la sua abitazione, nonchè altri insulti e minacce dalla finestra di casa, vistala uscire con i suoi effetti personali, sceso in strada, si era scagliato contro di lei con un'ascia e, quando ella si era rifugiata dietro l'auto dei Carabinieri, aveva cercato di colpirla al volto con movimenti dall'alto al basso; il primo aveva attinto il lunotto posteriore del veicolo militare , frantumandolo, ed aveva indotto la donna col figlio a portarsi nella parte anteriore destra del mezzo, quindi, frappostosi l'app.to M. a sua protezione, altri colpi erano stati sferrati anche contro la persona del militare , che questi era riuscito a schivare e che erano finiti a danneggiare l'auto di servizio sino a che il collega Ma., compreso il grave pericolo cui era stato esposto il M., impedito dall'estrarre l'arma di ordinanza perchè impegnato ad evitare i fendenti, aveva con la propria esploso un colpo di pistola alla gamba dell'imputato, atterrandolo e consentendone l'immobilizzazione. E' dunque evidente che l'azione, per quanto rapidamente compiuta, si è indirizzata contro le due vittime in fasi distinte e consecutive, dapprima contro la B. quando ella era accanto all'auto di servizio e priva di protezioni, quindi contro il militare intervenuto in sua difesa, che aveva evitato la peggio per avere schivato i primi fendenti e poi per l'intervento del collega di pattuglia che aveva abbattuto l'aggressore.
1.2 Da tali premesse con corretto procedimento inferenziale la Corte di appello ha dedotto che l'impiego di uno strumento dotato di elevata offensività e le modalità dell'azione insistita, compiuta con forza e determinazione, orientata ad attingere parti vitali dei bersagli presi di mira, consentono di rintracciare i caratteri dell'univocità e dell'idoneità a cagionarne la morte, scongiurata soltanto per le manovre di evitamento delle persone offese e per la reazione dell'altro Carabiniere presente. Costui, infatti, aveva ferito l'imputato e gli aveva impedito di protrarre l'aggressione, che già aveva comunque fortemente danneggiato il veicolo di servizio, come documentato dai rilievi fotografici in atti, considerati significativi e concludenti dai giudici di merito con determinazione pertinente e ben argomentata.
1.3 Quanto all'elemento soggettivo, la sentenza ha motivatamente ravvisato il dolo d'impeto nella forma alternativa nell'impiego di uno strumento di elevata capacità lesiva, i cui effetti devastanti se l'impatto fosse avvenuto l'agente aveva prefigurato, compreso e voluto, non avendo interrotto l'azione di sua volontà, nonostante la fuga della B., la presenza della forza pubblica e la legittima reazione d'interdizione.
2. A fronte del chiaro percorso argomentativo della sentenza, che illustra con efficacia e logicità la ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa ravvisata, l'impugnazione oppone obiezioni inconsistenti sul mancato ferimento delle vittime da parte dell'imputato per le sue condizioni di ebbrezza e d'incapacità di sferrare colpi precisi e sulla presenza della B. all'interno del veicolo dei Carabinieri. Il primo assunto non tiene conto della struttura del delitto tentato, in cui l'evento non si verifica per cause indipendenti dall'autore della condotta, che nella sua idoneità a cagionarlo va valutata non in base agli effetti prodotti. La soluzione in tal modo offerta dai giudici di merito si pone in continuità con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in linea di principio, non è dalla severità delle lesioni che può giudicarsi l'idoneità dell'azione a cagionare l'evento morte, dovendosi valutare "ex ante" tale profilo in base alle sue caratteristiche ed alle modalità di realizzazione, in modo da stabilire la reale adeguatezza causale e l'attitudine a determinare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto. Non vengono dunque in rilievo le effettive conseguenze del comportamento, perchè, viceversa, in caso di commissione di un delitto tentato in cui l'evento non si realizza, l'azione non sarebbe mai idonea (Cass. sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, Rv. 248550; sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa e altri, rv. 248305; sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, rv. 241339).
Sotto diverso profilo, come già esposto, non risponde al vero che la B. fosse stata protetta e resa irraggiungibile dai colpi di ascia per essersi chiusa all'interno dell'autovettura dei Carabinieri: all'inizio dell'aggressione ella era all'esterno e priva di ripari, tanto che l'app.to M. si era indotto a frapporsi tra lei e l'imputato proprio per salvarla e porre al sicuro anche il di lei figlioletto. Del pari, non ha fondamento l'assunto difensivo per il quale gli operatori di polizia giudiziaria sarebbero stati in grado di fermare lo J. in ogni istante: al contrario, la sentenza ha ben evidenziato che era stato necessario sparargli alla gamba e farlo cadere per poterne arrestare la furia omicida e riuscire ad immobilizzarlo, il che smentisce in punto di fatto in modo inconfutabile la tesi riproposta in ricorso.
In definitiva la sentenza ha offerto adeguata risposta a tutti i temi posti dalla difesa, la cui impugnazione va dichiarata inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, a ragione dei profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che reputasi equo determinare in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro 2.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018
01-11-2018 15:49
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