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Sentenza

Sussiste il reato di diffamazione nel caso in cui un
Sussiste il reato di diffamazione nel caso in cui un "blogger", nel dare la notizia della morte di un esponente apicale di un sodalizio mafioso, adopera espressioni tese ad umiliare e a ricoprire di disprezzo la persona del defunto, in quanto esula dai limiti del diritto di critica l'accostamento di quest'ultimo a cose o concetti ritenuti ripugnanti, osceni o disgustosi, considerata la centralità che i diritti della persona hanno nell'ordinamento costituzionale.
Cass. pen. Sez. V Sent., 10/05/2017, n. 50187 (rv. 271434)
 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio - Presidente -

Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -

Dott. CATENA Rossella - Consigliere -

Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere -

Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI TRAPANI;

nel procedimento a carico di:

G.G., nato il (OMISSIS);

inoltre:

P.R. nato il (OMISSIS);

A.V. nato il (OMISSIS);

A.P.P. nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/06/2016 del TRIBUNALE di TRAPANI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO;

Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso del PM;

Udito il difensore, Avv. Giulio Vasaturo, il quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 07/06/2016 il Tribunale di Trapani ha assolto G.G. dal reato di cui all'art. 595 c.p., perchè il fatto non costituisce reato.

Ha osservato la sentenza impugnata che veniva in questione l'esercizio del diritto di critica. Era certo esatto che l'autore, nel dare notizia sul suo blog del decesso di A.M., esponente apicale di (OMISSIS) per il mandamento di (OMISSIS) e condannato, oltre che per la partecipazione a tale sodalizio criminale, anche per il coinvolgimento in plurimi omicidi, dopo averne descritto la vita criminale, aveva concluso che la sua morte toglie alla Sicilia un gran bel pezzo di merda; ma era, altresì, vero che l'espressione imponeva al lettore di confrontarsi con il sistema pseudo-valoriale proposto dall'associazione di cui era parte l' A., in un contesto ambientale nel quale la confusione (o apparente coincidenza) tra valori e disvalori costituisce un obbiettivo preciso del sodalizio criminoso. Aggiunge il Tribunale di Trapani che, in tale cornice di riferimento, la frase rappresentava uno strumento retorico in grado di provocare nel lettore un senso di straniamento che lo interroga sulla validità delle prospettive tradizionali, e ciò allo scopo di sollecitarlo ad una nuova consapevolezza sulla necessità di sradicare ogni ambiguità nella scelta tra contrapposti (seppure artatamente confondibili) sistemi valoriali.

2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani ha proposto ricorso immediato per cassazione, con il quale lamenta erronea applicazione della legge penale.

3. Sono state depositate memorie nell'interesse del G. e delle parti civili.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

Al riguardo, va ribadito che il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l'esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, Rv. 261122).

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in particolare, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta, ossia strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione (v., ad es., Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C, Rv. 267866).

Nel bilanciamento tra la protezione della fondamentale libertà di espressione e l'esigenza di assicurare il rispetto dei diritti della persona, l'ordinamento, nazionale e sovranazionale (v., ad es., la sentenza della quarta sezione della Corte Europea dei diritti del 30/06/2015, Peruzzi c. Italia) impone la verifica della strumentalità dell'espressione, pur aspra, adoperata rispetto alle finalità di critica e coglie, nel superamento di tale fondamentale requisito funzionale, la gratuità della condotta.

Siffatto momento valutativo è certo strettamente legato agli obiettivi comunicativi perseguiti e allo specifico contesto nel quale l'espressione è adoperata, ma è necessariamente correlato anche al contenuto di quest'ultima, in quanto la pur giustificata critica dell'operato altrui impone, comunque, il rispetto di quelli che sono e restano limiti invalicabili, posti dall'art. 2 Cost., a tutela della dignità umana, con la conseguenza che alcune modalità espressive sono oggettivamente (e dunque per l'intrinseca carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario) da considerarsi offensive e, quindi, inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate ioci causa (Sez. 5, n. 19070 del 27/03/2015, Foti, Rv. 263711).

In questa prospettiva, ben s'intende che Sez. 5, n. 42933 del 29/09/2011, Gallina, Rv. 251535, non massimata sul punto, abbia ritenuto che assume rilievo determinante la valenza sociale delle parole, al di là e al di fuori della specifica intenzione di chi le adopera, con la conseguenza che obiettivamente lesive dell'onore sono quelle espressioni con le quali si "disumanizza" la vittima, assimilandola a cose, animali o concetti comunemente ritenuti ripugnanti, osceni, disgustosi, quali appunto un escremento.

Nel caso di specie, la finalità generale perseguita dall'autore del commento, ossia quella descritta dalla sentenza impugnata di aggredire l'ambiguità del sistema di controvalori mafioso, non risulta idonea a giustificare la lesione di un valore fondamentale della persona. E, si ritiene doveroso aggiungere, di qualunque persona, anche del riconosciuto autore di delitti efferati, giacchè proprio il rispetto di tali diritti vale a qualificare la superiorità dell'ordinamento statale, fondato sulla centralità della protezione dell'individuo, rispetto ad organizzazioni criminali, che invece si nutrono del sostanziale disprezzo di chi non risponda alle proprie finalità, quale che sia il modo in cui esse possano autorappresentarsi per cercare di conquistare consenso sociale.

Le superiori considerazioni non sono inficiate dall'accostamento di (OMISSIS) ad una montagna di escrementi, secondo una celebre frase destinata a sottolineare proprio la devastante capacità delle associazioni mafiose di intaccare le strutture portanti della società civile. Si tratta, all'evidenza, di un'argomentazione che elude, nel caso di specie, il problema centrale, rappresentato proprio dal fatto che la generale riflessione sottesa a quella frase muta completamente di significato, quando concentrandosi sul singolo appartenente all'associazione - sia pure con un ruolo apicale - finisce per violare in modo insuperabile il nucleo fondamentale della dignità che il nostro ordinamento riconosce a qualunque essere umano, anche a chi appartiene ad una associazione malavitosa sanguinaria e nefasta (o addirittura la capeggia), in quanto il fondamento costituzionale del nostro sistema penale postula la "rieducabilità" anche del peggior criminale (art. 27 Cost., comma 3) e, pertanto, non può tollerare, neanche come artifizio retorico, la sua reificazione.

In conseguenza dell'accoglimento dell'impugnazione, la sentenza del Tribunale di Trapani va annullata con rinvio, ai sensi dell'art. 569 c.p.p., comma 4, alla Corte d'appello di Palermo.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Palermo per il giudizio di secondo grado.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2017
Avv. Antonino Sugamele

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