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Sentenza

Rapina. Più persone riunite e travisate.
Rapina. Più persone riunite e travisate.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DAVIGO Piercamillo - Presidente -
Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere -
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - rel. Consigliere -
Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere -
Dott. FILIPPINI Stefano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
- L.R.B., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
- C.N., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
- R.I., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 23/03/2016 della Corte di Appello di Milano;
PARTI CIVILI: Banca Popolare di Milano Soc. Coop. a r.l. - Credito Valtellinese Soc. Coop. - A.V. - S.J. - Sf.Gu.;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. AGOSTINACCHIO Luigi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio per incompetenza territoriale;
uditi i difensori dei ricorrenti, avv. CIANFERONI Luca del foro di Firenze per il L.R. ed il R., avv. ROSSI Edoardo L. del foro di Milano per il L.R., avv. RUSSO Domenico del foro di Milano per il C., i quali hanno concluso riportandosi ai rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Il Gup del Tribunale di Monza con sentenza del 16/07/2015 condannava L.R.B., C.N., R.I. alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione ciascuno perchè ritenuti responsabili, in concorso con altri, dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui ai capi A (associazione a delinquere, con qualità di capi, promotori ed organizzatori, allo scopo di commettere rapine ai danni di istituti di credito), B - D - F (rapine aggravate per aver commesso il fatto in più persone riunite e travisate), C - E - G (sequestro delle persone presenti all'interno della banca al fine di eseguire le rapine in questione); con sentenza del 23/03/2016 la Corte di Appello di Milano, a seguito di impugnazione (anche) dei suddetti imputati, confermava il giudizio di responsabilità rideterminando la pena in anni sette, mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed Euro 2.900,00 di multa ritenendo la continuazione fra i fatti di cui al presente procedimento e quello meno grave di cui ad altra sentenza (Gip Tribunale di Milano dell'11/12/2014) divenuta irrevocabile. Erano altresì confermate le statuizioni civili in favore delle parti civili (società bancarie e persone fisiche vittime, rispettivamente, delle rapine e della privazione della libertà personale).
2. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione il L.R., il C. ed il R. tramite i rispettivi difensori di fiducia.
2.1 L.R.B. ha eccepito la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento: a) alla condanna per il delitto associativo ed alla ritenuta sussistenza dell'aggravante della qualifica direttiva, senza tener conto delle specifiche doglianze formulate nell'atto di appello; b) ai singoli fatti di rapina, per l'attribuzione dell'uso di determinate utenze telefoniche secondo una costruzione congetturale priva di elementi di sicuro riscontro individualizzante, trascurando i dati relativi alle compromesse condizioni fisiche ostative alla partecipazione alle rapine stesse; c) all'ingiustificato diniego di rinnovazione istruttoria per acquisire la prova documentale dell'acquisto di un bustino ortopedico; d) all'ingiustificata applicazione della recidiva ed al diniego delle attenuanti ex art. 62 bis cod. pen.. Con memoria depositata ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4 la difesa del L.R. ha ampliato i quattro motivi di ricorso, allegando copia della fattura di cui al punto c) che precede.
2.2 C.N. ha articolato cinque motivi eccependo la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento: all'aggravante della direzione dell'associazione senza elementi specifici di riscontro; all'aumento per il reato in continuazione di cui alla sentenza del Gup di Milano (delitto ritenuto meno grave di quelli oggetto del processo ma sanzionato con una pena superiore); al travisamento di atti relativi all'attribuzione delle utenze telefoniche; all'individuazione del reato più grave per il computo della pena con conseguenze in tema di competenza territoriale; al mancato assorbimento della condotta autonomamente contestata ex art. 605 cod. pen. nei reati di rapina.
2.3 R.I. con un unico motivo ha eccepito la nullità della sentenza per manifesta illogicità della motivazione in relazione al giudizio di responsabilità per tutti i reati, attesa l'incertezza e la fragilità del quadro probatorio, per la mancata esclusione della recidiva, per l'ingiustificato diniego delle attenuanti. 

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono inammissibili per vari e concorrenti ragioni.
Innanzitutto i motivi si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti (tra le tante Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012; Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, rv 244181). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta adeguata ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d'appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Cass. Sez. 6, sent. n. 20377 del 11/03/2009, dep. 14/05/2009, Rv. 243838).
In particolare, i ricorrenti sotto il profilo dell'affermazione di responsabilità ripropongono in sede di legittimità censure di merito senza considerare - come ribadito anche di recente dalla Suprema Corte - che il principio "dell'oltre ragionevole dubbio", introdotto nell'art. 533 cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello, giacchè la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2 n. 29480 del 07/02/2017 - dep. 13/06/2017 - Rv. 270519).
Le reiterate censure di merito, inoltre, non si confrontano adeguatamente con le argomentazioni a base della doppia pronuncia conforme di condanna; soprattutto non analizzano in chiave critica la valutazione delle prove parcellizzando il dato istruttorio. La Suprema Corte ha altresì precisato a riguardo che nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (da ultimo Cass. sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016 - dep. 20/02/2017 - Rv. 269217); e ciò con specifico riferimento al terzo motivo del ricorso del C. circa elementi di prova - per stessa ammissione del ricorrente - utilizzati dagli inquirenti e valutati dai giudici di merito.
Infine, i ricorrenti censurano la motivazione della corte milanese perchè meramente reiterativa delle argomentazioni del tribunale senza considerare che le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando - proprio come nel caso di specie - i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (Cass. sez. 3, sent. n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 12/04/2012 - Rv. 252615). Per tale ragione in tema di giudizio di appello, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo.
Nell'ambito di tali principi vanno quindi esaminati i singoli ricorsi.
2. Il ricorso del R., innanzitutto, è all'evidenza inammissibile perchè aspecifico consistendo nella generica contestazione delle tecnica redazionale della sentenza di appello, con vaghi riferimenti all'ordinanza di custodia cautelare ed ai criteri della logica argomentativa ("la possibilità di escludere la cessione dell'utenza a terza persona doveva essere esclusa con circostanze concrete o con indizi concreti, anche di natura logica, che dovevano essere esplicitati" - pag. 2), traducendosi nell'apodittica affermazione della lacuna motivazionale a fronte dei motivi di impugnazione. Anche il sintetico richiamo ai principi di diritto (la differenza tra il concorso di persone "normale" ed il reato associativo non si confronta con la caratteristiche in concreto della fattispecie).
Il primo motivo di ricorso non considera in particolare la puntuale ricostruzione in fatto delle vicende delittuose sulla base del corposo materiale d'indagine, l'indicazione precisa delle doglianze dell'appellante, la specifiche ragioni a conferma della valutazione del tribunale: il ruolo fondamentale del R. svolto nella struttura associativa (la decisione di reperire un nuovo alloggio in Lombardia dopo il rinvenimento del Gps sulla sua auto; l'individuazione dei bersagli delle rapine), in stretta collaborazione con il L.R. ed il C., sì che la condotta è risultata finalizzata non soltanto alla commissione dei reati fine ma anche alla direzione e organizzazione della associazione stessa ("i tre imputati... fornivano disposizioni ed indicazioni sul comportamento da tenere", con modalità ricorrenti e similari, ben evidenziate alle pagine 37, 38 e 39 della sentenza impugnata); in relazione alle singole rapine, l'avvenuto riconoscimento fotografico, ritenuto attendibile con argomenti ineccepibili sul piano logico (pag. 47), la disponibilità della vettura utilizzata durante un sopralluogo esplorativo in (OMISSIS), la ricostruzione dei movimenti tramite analisi dei tabulati delle utenze telefoniche riconducibili a ciascuno degli imputati.
Gli indizi gravi precisi e concordanti nei confronti del R. sono riassunti a pag. 40; le risultanze che forniscono "preziosissimi ulteriori elementi per completare il mosaico indiziario" sono riportate in sequenza logica e cronologica alle pagine da 40 a 47, con pertinenti richiami all'analisi del materiale d'indagine effettuata dal tribunale; pagine di motivazione alle quali è sufficiente rinviare non senza rilevare che alle specificità dell'iter argomentativo dei giudici di merito corrisponde una censura - quella in esame - frammentaria ed incompleta.
3. Non supera la soglia di ammissibilità anche il ricorso del L.R. nonostante la maggiore portata espositiva dei motivi nuovi.
La difesa deduce infatti un vero e proprio vuoto motivazionale in relazione al ruolo di dirigente ed organizzatore dell'associazione, denunciando - anche in questo caso in termini generici e avulsi dal provvedimento impugnato - un giudizio di responsabilità astratto e presuntivo, incentrato esclusivamente sull'arresto in occasione della tentata rapina di (OMISSIS) del (OMISSIS); la mera ad acritica riproposizione della valutazione del tribunale circa l'impiego delle utenze telefoniche a lui attribuite; l'incompleta valutazione ed acquisizione dei dati istruttori circa uno stato d'infermità fisica incompatibile con gli spostamenti presso i luoghi delle rapine.
Trattasi in realtà tutte di censure in fatto come confermato dalla (inammissibile) allegazione ai motivi aggiunti di un documento che la corte territoriale ha ritenuto non necessario ai fini dell'accertamento delle condizioni di salute del ricorrente (l'acquisto di un busto ortopedico).
Con argomentazioni anche in questo caso immuni da vizi logici la corte territoriale ha basato il proprio convincimento sul materiale d'indagine acquisito agli atti in ragione del rito, evidenziando gli elementi a carico del L.R. e sottoponendoli ad una sorta di prova di resistenza a fronte dei motivi di impugnazione.
La motivazione si sottrae a rilievi di legittimità per la completezza e congruenza del ragionamento non inficiato dalle censure del ricorrente (primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale) reiterative, in fatto ed aspecifiche.
Il quadro indiziario - come accennato nel paragrafo che precede - ha preso le mosse da un periodo temporale più ampio rispetto alla data di commissione dei delitti in oggetto, a conferma che gli imputati erano soliti raggiungere la zona di (OMISSIS) dove mettevano a segno le ben organizzate rapine viaggiando in nave da Palermo e poi via terra, imbarcandosi con alterati nominativi e riferimento alle autovetture imbarcate; utilizzando in maniera accorta numerosissime utenze telefoniche acquistate ed attivate contemporaneamente (qualche giorno prima delle rapine) ed intestate a nominativi di fantasia o a stranieri irrintracciabili, con aggancio di celle telefoniche che hanno consentito di rilevare tempo e luogo degli spostamenti (la "maglia" di utenze attribuibili a ciascun appellante è stato confermato dall'accertamento eseguito il 7.2.2014 in occasione dell'arresto e delle conseguenti perquisizioni personali ed ambientali); commettendo le rapine con modalità seriali (pagine da 37 a 47 della sentenza impugnata).
La posizione del L.R., in particolare, circa la sua presenza sui luoghi delle rapine è stata spiegata a pag. 47 sulla base di una logica ricostruzione dell'attribuzione di utenze telefoniche; l'esistenza di una struttura ben rodata in grado di mettere a segno importanti rapine con cadenza ravvicinata secondo schemi ricorrenti e condivisi sintetizzata alle pagine 48 e seguenti; la qualità di organizzatore giustificata con la scelta, unitamente al R. ed al C., dei bersagli delle rapine previa effettuazione dei sopralluoghi oltre che con l'emblematico atteggiamento di superiorità nei confronti del P. "più volte rimbrottato e ripreso" in occasione della tentata rapina del 7 febbraio 2014 (pag. 49); la dedotta menomazione fisica ritenuta non determinante sia per la mancata prova dell'effettiva immobilizzazione del soggetto sia per le modalità di esecuzione delle rapine che richiedevano funzioni diverse, anche solo di "vedetta" (pag.36) oltre che per "i fermo-immagini di cui al servizio di opc del 18.12.2013" (pag. 19 della sentenza del tribunale).
4. Ugualmente inammissibile il ricorso del C..
Il primo motivo non si confronta con la motivazione delle sentenze di merito circa la sussistenza dell'aggravante ex art. 416 cod. pen. sostenendosi che non sarebbe stata indicata "una circostanza di fatto da cui trarre elementi probanti idonei a corroborare l'ipotesi accusatoria" - e, senza tener conto, invece, che tale circostanza è stata esplicitamente evidenziata nell'azione sinergica di programmazione e preparazione delle rapine (pag. 50 della pronuncia di appello; pag. 21 della sentenza di primo grado).
Il secondo ed il quarto motivo sono attinenti all'applicazione dell'istituto della continuazione (dell'inammissibilità del terzo motivo si è detto in precedenza) e, in particolare:
- all'aumento di pena per la tentata rapina del 7.2.2014, giudicata con sentenza del Gup Tribunale di Milano dell'11.12.2014, da ritenersi invece del tutto congruo (otto mesi di reclusione ed Euro 350,00 di multa) e legittimo avendo la corte territoriale evidenziato che l'incremento sanzionatorio, superiore a quello fissato per ciascuno degli episodi di rapina consumata oggetto di giudizio (sei mesi di reclusione ed Euro 250,00 di multa), si giustificava per le modalità dell'azione delittuosa, di maggiore allarme sociale, senza alcuna violazione a riguardo di principi di diritto, genericamente richiamati dal ricorrente (secondo motivo);
- all'individuazione del reato più grave ai fini della pena base nella rapina sub D) (rispetto alla quale tutti gli altri reati in continuazione sono stati ritenuti di minore gravità), correttamente effettuata previa valutazione delle condotte ("per commettere il reato sono state tenute sotto scacco ed immobilizzate, per una durata significativa di oltre un'ora, più di dieci persone, sicuramente traumatizzate dall'esperienza che aveva visto anche manifestazioni di violenza verso il direttore per farsi aprire la cassaforte ed all'intensità del dolo..."), con riferimenti quindi precisi, estranei alla censura del ricorrente.
Sull'ultimo motivo, infine, relativo ai reati ex art. 605 cod. pen. le deduzioni difensive sono state ampiamente disattese in entrambi i gradi del giudizio circostanziandosi i tempi e le modalità delle tre rapine in argomento e pervenendosi alla conclusione - basata in particolare sulle dichiarazioni delle persone offese - che si è trattato di privazione della libertà personale che è perdurata anche successivamente alla consumazione delle rispettive rapine "visto che i rapinatori si erano allontanati lasciando le vittime ancora legate" (pag. 48 della sentenza di appello), circostanza in fatto non oggetto peraltro di contestazione.
E' appena il caso di evidenziare che il rilievo sulla competenza territoriale prospettato peraltro in termini generici - è estraneo ai motivi di appello e non si è mai concretizzato nel corso del giudizio di merito in un'eccezione tempestivamente e ritualmente formulata.
5. Manifestamente infondato il motivo, comune ai ricorsi del L.R. e del R., circa l'applicazione della recidiva avendo la corte di appello condiviso a ragione la valutazione del primo giudice sull'excursus criminale e l'accentuata pericolosità sociale (pag. 50).
Il diniego delle attenuanti è stato determinato dal giudizio negativo sulla personalità del C. (pagg. 4 e 5 del ricorso) - oltre che degli altri ricorrenti - desumibile dai precedenti penali e dalle modalità allarmanti delle azioni delittuose, in assenza di deduzioni difensive circa la sussistenza di elementi positivi che avrebbero giustificato una mitigazione del trattamento sanzionatorio.
6. In definitiva, la doppia pronuncia conforme di condanna per i reati in argomento e la conseguente integrazione delle sentenze di merito consente di ritenere la motivazione esente da vizi logici sul piano della valutazione probatoria e del trattamento sanzionatorio per i profili sollevati con i ricorsi in esame da considerarsi tutti inammissibili.
Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 2.000,00 (duemila) a titolo di sanzione pecuniaria. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2017
Avv. Antonino Sugamele

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