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Sentenza

Imprenditore condannato per il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e falso ideologico commesso in atto pubblico.
Imprenditore condannato per il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e falso ideologico commesso in atto pubblico.
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16/10/2018) 12-12-2018, n. 55488

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente -

Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere -

Dott. SEMERARO Luca - Consigliere -

Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -

Dott. CIRIELLO Antonella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 10/07/2017 della CORTE APPELLO di L'AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza 10.07.2019, la Corte d'appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Vasto del 4.05.2016, appellata dal M. e dal PG, applicava all'imputato le pene accessorie D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 12, confermando nel resto l'impugnata sentenza che lo aveva condannato alla pena condizionalmente sospesa di 1 anno ed 8 mesi di reclusione, per i reati do frode fiscale (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) commessa mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.) e falso ideologico commesso in atto pubblico (art. 483 c.p.), in relazione a fatti contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nei capi di imputazione, rispettivamente in data 27.09.2012 (il reato tributario) ed in data 5.03.2012 (i residui reati).

2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613 c.p.p., articolando tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al combinato disposto di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p., art. 351 c.p.p., art. 357 c.p.p., comma 2, lett. a), b), attesa l'inutilizzabilità del PVC n. 264 della GdF di Vasto nelle parti in cui il controllo ispettivo non è stato proseguito con le modalità di cui all'art. 220, citato (pagg. 6 e 7) relativamente agli accertamenti concernenti il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, e ai reati di cui agli artt. 640 bis e 483 c.p..

Si duole il ricorrente per aver la sentenza impugnata ritenuto irrilevante la mancata prosecuzione delle attività ispettive poste in essere dalla GdF in sede di redazione del processo verbale di constatazione, secondo le modalità previste dall'art. 220 disp. att. c.p.p., in dispregio della esegesi invece offerta dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza 4917/2015 che, in caso di emersione di indizi di reato nel corso dell'attività ispettiva della GdF, impone procedersi secondo le modalità garantite, pena l'inutilizzabilità degli elementi successivamente acquisiti.

Altra violazione di legge riguarderebbe l'assunzione del teste qualificato, m.llo C. della GdF, il quale sarebbe stato sentito illegittimamente su quanto dichiaratogli da altri testimoni circa l'asserita falsità delle fatture contestate, riportando quanto de relato riferitogli dai testi escussi durante le operazioni di controllo; in definitiva, l'asserita inesistenza delle operazioni sottese alle fatture, in assenza dell'audizione dei soggetti che le avevano emesse, no poteva ritenersi provata dalle dichiarazioni rese dal teste di PG, in quanto inutilizzabili, come inutilizzabili erano gli esiti dell'accertamento contenuti nel PVC per le ragioni dianzi esposte.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, ed artt. 81, 640 bis e 483 c.p., e correlato vizio di illogicità, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per non aver i giudici di appello assolto l'imputato dai reati contestati per insussistenza del fatto.

Sostiene il ricorrente, richiamando le censure svolte nel precedente motivo, che la sentenza della Corte d'appello, avendo fondato la responsabilità dell'imputato su atti e dichiarazioni inutilizzabili, sarebbe contraddittoriamente pervenuta alla condanna non esistendo invece in atti prova della responsabilità penale del ricorrente, atteso che la prova dell'inesistenza delle fatture sarebbe dovuta passare attraverso l'esame dei soggetti che le avevano emesse e non attraverso l'utilizzazione del PVC in cui le predette dichiarazioni erano state riportate de relato.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 533 c.p.p., e correlato vizio di motivazione, atteso che il ricorrente andava assolto dai reati contestati quantomeno con la formula dubitativa di cui all'art. 530 cpv. c.p.p..

Sostiene il ricorrente che, essendo rimasto indimostrato l'utilizzo da parte del ricorrente delle fatture asseritamente emesse per operazioni inesistenti, in assenza di prova dell'inesistenza, e non essendo utilizzabili nè il PVC nè le dichiarazioni del teste C., i giudici avrebbero dovuto adottare la formula assolutoria di cui all'art. 530 cpv. c.p.p..
Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Il ricorso è infatti manifestamente infondato.

Ed invero, emerge dalla sentenza impugnata che i giudici di appello hanno esaminato e risolto l'eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla difesa limitatamente alle dichiarazioni dibattimentali del teste C., rese de relato, nella parte in cui aveva fato riferimento a circostanze apprese a seguito delle sommarie informazioni assunte dalle persone informate sui fatti; sul punto i giudici di merito hanno evidenziato come la responsabilità dell'imputato non discendesse tanto dalle dichiarazioni del teste C. (le sole di cui era stata eccepita l'inutilizzabilità davanti alla Corte d'appello), quanto dalla copiosa documentazione prodotta dal PM all'udienza 22.04.2015 ed acquisita agli atti nulla opponendo il difensore dell'imputato, dimostrativa della colpevolezza del medesimo per i reati addebitatigli, atteso che dalla stessa, si legge in sentenza, si desume che le ditte che apparivano avere emesso le fatture di cui all'imputazione nei confronti della ditta dell'imputato per l'acquisto di beni soggetti a finanziamento pubblico, non avevano avuto nella realtà alcun rapporto commerciale con la stessa, se non la ditta Essemme per un acquisto pari ad Euro 72,80, ben minore rispetto alla somma indicata nella fattura di cui all'imputazione (Euro 1.254,22) e che gli importi delle predette fatture erano stati contabilizzati dall'imputato come beni strumentali per i quali il medesimo nelle dichiarazioni dei redditi degli anni 2011 e 2012, aveva portato indebitamente in detrazione i costi relativi alle quote di ammortamento ed aveva illegittimamente detratto l'IVA nella relativa dichiarazione dell'anno 2011.

5. Trattasi di motivazione del tutto corretta in diritto. Ed infatti, se è ben vero quanto dedotto dal ricorrente nel primo motivo, laddove sostiene che il teste di PG non avrebbe potuto riferire su quanto riferitogli de relato in sede di assunzione a ss.ii.tt. atteso lo specifico divieto di cui all'art. 195, comma quarto, cod. proc. pen., è tuttavia priva di pregio l'altra eccezione sollevata con riferimento alla pretesa inutilizzabilità del contenuto del PVC nella parte del documento redatta successivamente all'emersione di indizi di reato nel corso dell'attività ispettiva della GdF. Questo Collegio, infatti, condivide quella giurisprudenza secondo cui integra la nullità d'ordine generale di cui all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), l'acquisizione, nel corso di attività ispettive o di vigilanza durante il cui svolgersi siano emersi indizi di reato, degli atti necessari ad assicurare le fonti di prova senza l'osservanza delle disposizioni del codice di rito, relative alla fase delle indagini preliminari; tuttavia, si è precisato che detta nullità deve essere eccepita prima della pronuncia del provvedimento che conclude l'udienza preliminare, ovvero, se questa udienza manchi, entro il termine previsto dall'art. 491 c.p.p., comma 1 (v., in termini: Sez. F, n. 38393 del 27/07/2010 - dep. 29/10/2010, Persico, Rv. 248911; Sez. 3, n. 5235 del 24/05/2016 - dep. 03/02/2017, Lo Verde, Rv. 269214).

6. Orbene, nel caso in esame non risulta che detta eccezione sia stata tempestivamente sollevata nel termine indicato (ossia, tenuto conto della natura dei reati contestati, prima della pronuncia del provvedimento che conclude l'udienza preliminare), con la conseguenza che la parte è decaduta dalla possibilità di eccepirla successivamente, men che mai, per la prima volta, davanti al giudice di legittimità, risultando infatti che davanti alla Corte d'appello era stata eccepita la sola inutilizzabilità delle dichiarazioni assunte dal teste C. dai testi di riferimento, in violazione dell'art. 195 c.p.p..

Corretta, pertanto, è la decisione dei giudici di appello che hanno fondato il giudizio di responsabilità sul contenuto del PVC, in quanto, attesa la tardività dell'eccezione, detto documento era pienamente utilizzabile e valutabile nei suoi contenuti. Perdono quindi, di spessore argomentativo perchè infondate sia le doglianze esposte nel primo che nel secondo motivo, atteso che nessuna contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione è ravvisabile nella sentenza impugnata, essendo infatti pervenuti i giudici all'affermazione della responsabilità penale utilizzando legittimamente il contenuto del PVC nelle parti in cui si dava atto della inesistenza delle operazioni sottese alle fatture, ideologicamente false, utilizzate nella dichiarazione di imposta dall'attuale ricorrente.

7. Analogamente, infine, è a dirsi quanto al terzo motivo, atteso che la mancata disamina del motivo di appello relativo alla richiesta assolutoria ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., non comporta alcuna violazione di legge o vizio motivazione di sorta, atteso che la condanna "al là di ogni ragionevole dubbio" ai sensi dell'art. 533 c.p.p., presuppone che venga quantomeno prospettata dall'imputato un'alternativa ricostruzione dei fatti, così da consentire al giudice di porre in essere quella attività di individuazione e valutazione degli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa.

Ipotesi, tuttavia, non ravvisabile nel caso di specie, in cui l'imputato ha dedotto la violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, in base alla censura puramente contestativa secondo cui era rimasto indimostrato l'utilizzo da parte del ricorrente delle fatture asseritamente emesse per operazioni inesistenti, in assenza di prova dell'inesistenza, non essendo utilizzabili nè il PVC nè le dichiarazioni del teste C..

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

9. In applicazione del decreto del Primo Presidente della S.C. di Cassazione n. 84 del 2016, la presente motivazione è redatta in forma semplificata, trattandosi di ricorso che riveste le caratteristiche indicate nel predetto provvedimento Presidenziale, ossia ricorso che, ad avviso del Collegio, non richiede l'esercizio della funzione di nomofilachia o che solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l'applicazione di principi giuridici già affermati dalla Corte e condivisi da questo Collegio, o attiene alla soluzione di questioni semplici o prospetta motivi manifestamente fondati, infondati o non consentiti.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro a favore della Cassa delle ammende.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018
Avv. Antonino Sugamele

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