Corte di Assise di Trapani. Ergastolo. Estradizione del condannato, arrestato in Spagna. La Cassazione annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di assise
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.D. nato il .....a M.D.V.
avverso l'ordinanza del 01/03/2017 della CORTE ASSISE di TRAPANI
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gabriele Mazzotta, che ha chiesto l'annullamento con rinvio
dell'ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 6 marzo 2006, irrevocabile il 19 aprile 2010,
la Corte di assise di Trapani condannava D.B. alla pena dell'ergastolo
per omicidio plurimo pluriaggravato.
B. era stato già estradato dalla Spagna per altri fatti ed il giudizio di
cui sopra, essendo le imputazioni di omicidio anteriori alla consegna, aveva
avuto corso a seguito di concessione, da parte dello Stato estradante, di apposita
estradizione suppletiva a norma dell'art. 721 cod. proc. pen.
2. Il condannato proponeva incidente di esecuzione, a norma dell'art. 670
cod. proc., nei confronti della sentenza di condanna, chiedendo la commutazione
dell'ergastolo in pena detentiva temporanea, da determinarsi in misura non
superiore a 21 anni e comunque entro la cornice edittale compresa tra 21 e 25
anni.
Faceva presente che l'estradizione suppletiva era stata concessa dalla
Spagna sul presupposto, ed alla condizione, che la pena comminata rispettasse
quel range edittale, costituendo il suo limite superiore la pena massima prevista
dall'ordinamento spagnolo, ripudiante l'ergastolo. Ciò dopo che lo Stato italiano,
tramite il suo Ministero della Giustizia, aveva espressamente richiamato la
predetta forbice edittale nel foglio d'informazione complementare trasmesso
all'autorità spagnola, in risposta alla chiesta assicurazione che la pena da
scontare non fosse l'ergastolo.
La pena perpetua inflitta si sarebbe posta allora in contrasto con la
condizione cui lo Stato estero aveva subordinato l'estradizione e, mediatamente,
con l'art. 720 comma 4 cod. proc. pen.; onde la necessità di ricondurla a legalità.
3. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di assise di Trapani, giudice
dell'esecuzione, disattendeva tale prospettazione, sulla base di due
considerazioni.
Osservava anzitutto il giudice di merito che non vi era prova che la Spagna
avesse apposto limitazioni all'estradizione suppletiva. L'istante non aveva
prodotto alcuna documentazione sul punto e non vi era spazio per un'istruttoria
officiosa.
La Corte di assise escludeva in ogni caso, ampiamente richiamando la
giurisprudenza di legittimità, che la questione sollevata potesse essere scrutinata
in sede d'incidente di esecuzione. Il principio di specialità, ex art. 721 cod. proc.
pen., si traduceva in un vincolo il cui mancato rispetto determinava
l'improcedibilità in parte qua dell'azione penale, che tuttavia non poteva essere
fatta valere oltre la formazione del giudicato; quest'ultimo precludeva altresì il
riesame delle questioni inerenti la pena, quantunque connesse con l'osservanza
delle condizioni apposte in sede di estradizione suppletiva.
4. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia del condannato, articolando
cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 720, comma 4, e 721,
cod. proc. pen., e 95, comma 2, "Accordi di Schengen", nonché la mancanza e
manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente ricorda che l'estradizione suppletiva era stata coicessa con
procedura semplificata, dietro consenso dell'interessato, dopo che all'autorità
spagnola era pervenuto il foglio d'informazione complementare, previsto anche
dalla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985,
nel quale, nella sezione relativa alla "pena massima comminabile", era scritto
"anni 21 di reclusione". Tale assicurazione - essenziale per il consenso della
Stato estradante, essendo la cadena perpetua contraria ai principi fondamentali
dell'ordinamento spagnolo - era stata calpestata mediante l'irrogazione
dell'ergastolo.
La pena così inflitta violava dunque la clausola di specialità di cui all'art. 721
cod. proc. pen., nonché l'art. 66 della Convenzione di Schengen, giacché
l'autorizzazione della Spagna (e lo stesso consenso dell'interessato)
presupponevano che non si desse corso all'applicazione dell'ergastolo.
L'ordinanza impugnata era viziata, perché, in violazione delle norme citate e
con motivazione palesemente illogica, si era rifiutata di procedere alla
rimodulazione della pena.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3 primo comma Cost.,
670 cod. proc. pen. e 6 e 7 CEDU.
L'ordinanza impugnata, eludendo il tema di cui sopra, ha escluso che alla
commessa illegalità si potesse porre rimedio in sede di esecuzione della pena,
con ciò violando la pertinente normativa codicistica, così come interpretata - in
casi esattamente sovrapponibili, onde anche la violazione del principio
costituzionale di uguaglianza - dalla giurisprudenza di legittimità.
4.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, nonché la violazione dell'art. 606, comma
1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all'art. 665, comma 5, cod. proc. pen.
La Corte di merito, nonostante l'iniziativa originariamente intrapresa in tal
senso, aveva infine, contraddittoriamente ed in violazione di legge, omesso di
acquisire il foglio d'informazione complementare già trasmesso dal Ministero
della giustizia all'autorità spagnola, onde era pervenuta in modo illogico ad
escludere la fondatezza della prospettazione difensiva.
4.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la mancanza e manifesta
illogicità della motivazione, in violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen.
L'ordinanza impugnata ha proclamato una sorta di "incompetenza a
decidere" del giudice dell'esecuzione, senza dare compiuta risposta alle chiare e
specifiche censure mosse dal condannato, riferite in termini riduttivi ed
apodittici.
4.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606,
comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., in relazione all'art. 125, comma 3, cod.
proc. pen.
L'ordinanza impugnata si è limitata a dibattere sulle condizioni di
procedibilità dell'azione penale, tema affatto estraneo al tema devoluto dalla
difesa, rendendo così a proposito di esso una motivazione solo apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi primo, secondo, quarto e quinto del ricorso, da esaminare
congiuntamente per la connessione dei temi proposti, sono fondati nei limiti che
seguono.
2. Occorre muovere dall'esatto presupposto, che trova già puntuale riscontro
nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 24066 del 10/03/2009, Noschese,
Rv. 244009), secondo cui la cadena perpetua è ripudiata dall'ordinamento
spagnolo, perché ritenuta in contrasto con l'art. 25 della Costituzione di quel
Paese e con i principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in
relazione all'art. 3 della Convenzione EDU, direttamente applicabili in virtù
dell'art. 15 Costituzione spagnola (cfr., tra molte, la sentenza del Tribunale
Costituzionale spagnolo n. 91 del 2000, che cita Corte EDU 25 aprile 1978, Tyrer
v. Regno Unito, e 16 dicembre 1999, T. e V. v. Regno Unito).
Questa è la ragione che spiega le richieste consuete, formulate dallo Stato
spagnolo in sede di estradizione passiva, di assicurazione che la pena da
scontare nello Stato di esecuzione non sia l'ergastolo.
Va detto subito - ma l'argomento sarà ripreso in sede di disamina del terzo
motivo - che nella specie, non essendo stati acquisiti in sede d'incidente di
esecuzione tutti gli atti riguardanti la procedura di estradizione, non risulta in
modo certo che una tale assicurazione sia stata nel caso di specie domandata;
né risulta se essa, nelle forme stabilite dall'art. 13 della Convenzione europea di
estradizione 13 dicembre 1957, sia stata dall'Italia fornita. Non è pertanto
possibile stabilire, allo stato, se l'estradizione, per i delitti di cui alla sentenza
oggetto dell'incidente, di natura suppletiva (art. 721 cod. proc. pen.), fosse come
tale assoggettata alla condizione - riconducibile alle previsioni di cui al comma 4
dell'art. 720 cod. proc. pen. - dell'irrogazione di pena detentiva solo temporanea
(e, in caso affermativo, quale fosse il "tetto" massimo di pena applicabile dalla
giustizia italiana).
3. La Corte di merito dà atto di tale contingente impossibilità, ponendo
peraltro a carico del condannato la sua sfavorevole ricaduta.
Indipendentemente da ciò (la tenuta di quest'ulteriore profilo argomentativo
sarà, come detto, appresso scrutinata), la stessa Corte reputa che l'eventuale
inosservanza della condizione (escludente l'ergastolo) non possa essere in
executivis più eccepita o rilevata. Vi osterebbe la ricostruzione della specialità in
materia estradizionale, ex art. 721 cod. proc. pen., in termini dì una condizione
di procedibilità, la cui mancanza sarebbe denunciabile in ogni stato e grado del
processo ma non deducibile dopo la sopravvenuta irrevocabilità della condanna.
Principi analoghi varrebbero in tema di specialità "condizionata", ai sensi dell'art.
720 comma 4 cod. proc. pen., sicché il mancato rispetto della condizione non
sarebbe rimediabile nelle forme dell'incidente di esecuzione.
4. Tale ragionamento non può essere condiviso.
Il giudice di merito richiama copiosa giurisprudenza di legittimità, che
riconduce la specialità estradizionale (ed il rispetto dei relativi principi) alla
materia della procedibilità dell'azione penale, senza avvedersi che nel caso di
specie non viene in considerazione tale aspetto.
L'art. 721 cod. proc. pen. (intitolato principio di specialità) - nel testo
vigente all'epoca della decisione, ed il cui contenuto precettivo fondamentale non
è peraltro mutato per effetto della riscrittura operata dall'art. 5, comma 1, lett.
b), decreto legislativo 3 ottobre 2017 n. 149 - vieta di assoggettare la persona
già estradata a pena detentiva, e quindi di sottoporla a previo processo, per fatti
anteriori alla consegna, diversi da quelli per cui l'estradizione originaria era stata
concessa, senza il consenso dello Stato interessato (salva l'ipotesi, che qui non
rileva, del mancato allontanamento volontario, o del rientro, dell'imputato, e
salvo ora il suo consenso).
In realtà, è pacifico che la Spagna abbia dato il suddetto consenso, e quindi
concesso l'estradizione c.d. suppletiva, richiesta dalla citata disposizione
codicistica (sia pure, previa adesione dell'interessato, nella forma semplificata
prevista dall'art. 65, comma 1, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di
Schengen del 14 giugno 1985).
Le imputazioni di omicidio sono state giudicate in Italia in presenza della
corrispondente condizione di procedibilità ed il richiamo alle sentenze di
cassazione, che circoscrivono la rilevabilità della sua mancanza al processo di
cognizione, appare non pertinente.
Quel che si assume in concreto violata, da parte del condannato, al di là
delle imprecisioni terminologiche contenute nell'istanza originaria e nello stesso
presente ricorso, non è allora la specialità ex art. 721 cod. proc. pen., ma la
condizione (di non infliggere l'ergastolo) che sarebbe stata apposta dalla Spagna
- così come autorizzato dagli strumenti internazionali, cui si conforma l'art. 720,
comma 4, cod. proc. pen. - in sede di concessione dell'estradizione; e, ai fini
dell'applicazione della citata ultima disposizione, non fa differenza alcuna che si
versi in ipotesi di estradizionale "suppletiva" anziché "principale".
L'art. 720, comma 4, cod. proc. pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il
potere di accettare la condizione, e la dichiara "vincolante" per l'Autorità
giudiziaria.
La sentenza (di condanna), che non la rispetti, è conseguentemente viziata.
5. La questione che si pone è allora di stabilire se si tratti di vizio rilevabile
anche dopo la formazione del giudicato.
Il tema d'indagine deve essere circoscritto al caso, qui rilevante, in cui la
condizione apposta attenga alla determinazione del trattamento sanzionatorio,
sub specie d'individuazione di un "tetto" edittale diverso (e più coitenuto) di
quello normalmente applicabile secondo la nostra legge interna.
In argomento si registra un'evoluzione in seno alla giurisprudenza di
legittimità.
L'orientamento inizialmente manifestato (Sez. 1, n. 26202 del 17/06/2009,
Licciardi, Rv. 244186, richiamata anche dal giudice del merito) era nel senso che
non potesse ottenersi, in sede d'incidente di esecuzione, la commutazione della
pena dell'ergastolo, sul presupposto della violazione della condizione apposta, in
sede d'estradizione dall'estero, del divieto di condanna a pena perpetua. La
decisione era fondata sul recepimento della nozione tradizionale di giudicato e
sui limiti del controllo demandato al giudice dell'esecuzione, che non poteva
spingersi oltre il riscontro della esistenza e validità del titolo esecutivo.
Successivamente però, da parte di Sez. 1, n. 6278 del 16/07/2014, dep.
2015, Esposito, Rv. 262646 (pure non ignorata dalla Corte d'assise), il rimedio
dell'incidente ex art. 670 cod. proc. pen., in fattispecie del tutto sovrapponibile,
era stato concesso. Questo secondo orientamento teneva conto del principio
costituzionale che prescrive la conformità del nostro ordinamento alle norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali vi è l'obbligo di
rispettare i patti e gli accordi con altri Stati; del generale riconoscimento, da
parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, che in sede esecutiva può
essere corretta la pena illegale, dovendosi ritenere che anche nel caso in esame
sia stata inflitta una pena che, in base al nostro ordinamento giuridico, non
poteva essere irrogata; della recente tendenza, anche a seguito della decisione
in data 17.9.2009 della Grande Camera della Corte EDU nel caso Scoppola, di
utilizzare lo strumento dell'incidente di esecuzione per effettuare correzioni
dell'entità della pena inflitta nel processo di cognizione.
Si registra invero anche altra decisione (Sez. 1, n. 24066 del 11/06/2009,
Noschese, Rv. 244009), che parimenti aveva ammesso (in identico caso di
estradizione "condizionata" dalla Spagna) la commutazione della pena in sede
d'incidente, pur senza specifica motivazione sul punto.
6. Reputa il Collegio che l'orientamento favorevole, di più recente
argomentazione, meriti condivisione.
Quello opposto, che si intende definitivamente superare, è infatti legato ad
una prospettiva - quella d'intangibilità del giudicato penale fuori dei casi
espressamente regolati dalla legge (artt. 2 c.p., 673 cod. proc. pen. e 30 legge
11 marzo 1953 n. 87) - che la Corte di cassazione ha, nella giurisprudenza più
recente, decisamente abbandonato.
7. Occorre prendere le mosse dalla basilare recente sentenza (Sez. U., n.
18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Esposito, Rv. 258651), in cui si afferma in
modo ìnequivoco che - se è vero che «il titolo per l'esecuzione della pena è
integrato dalla sentenza irrevocabile di condanna, che si atteggia, come sostiene
autorevole dottrina, quale "norma del caso concreto" e rende "doverosa
l'attuazione del comando sanzionatorio penale"» - non può neppure «ignorarsi la
"base giuridica" su cui riposano la sentenza di condanna e, assieme ad essa, la
specie e l'entità della pena da eseguire».
«Se la norma generale e astratta, sulla quale il giudice della cognizione ha
fatto leva per giustificare la pronuncia di condanna, si riveli ex post incompatibile
con il principio di legalità convenzionale e quindi illegittima ex art. 117, comma
primo, Cost.» - ammoniscono le Sezioni Unite - «dovrà necessariamente porsi
fine L.] a tale situazione di flagrante illegalità».
Il riferimento del caso concreto era il sistema convenzionale EDU (ed i
principi dettati dalla Corte di Strasburgo con la sentenza 17/09/2009, Scoppola
c. Italia, in tema di retroattività della lex mitior), per assicurare il cui primato -
anche, a determinate condizioni, nei confronti di condannato diverso da quello
personalmente attinto da decisione a lui favorevole della Corte di Strasburgo - la
pronuncia non esita, «anche a costo di porre in crisi il "dogma" del giudicato», ad
additare la via dell'incidente di esecuzione, posto che i margini di manovra che
l'ordinamento processuale riconosce alla giurisdizione esecutiva soro in realtà
ampi, non dovendosi essa ritenere circoscritta alla sola verifica della validità e
dell'efficacia del titolo esecutivo e potendo viceversa essa incidere, in vario
modo, anche sul contenuto di esso, allorquando imprescindibili esigenze di
giustizia lo esigano.
Sulla stessa scia si è poi collocata la sentenza Sez. U., n. 42858 del
29/05/2014, Gatto, Rv. 260697, che ha affermato il principio secondo cui il
giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato, nel
caso di sopravvenuta dichiarazione d'illegittimità costituzionale di norma penale
diversa da quella incriminatrice, incidente però sulla commisurazione del
trattamento sanzionatorio (che non sia stato interamente eseguito: nella specie,
si trattava del divieto di prevalenza di un'attenuante speciale prevista dal T.U.
stup. sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.); e ciò pur se il
provvedimento "correttivo" da adottare non è a contenuto predeterminato,
potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione
(fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di
norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai
principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono
l'applicazione di norme più favorevoli eventualmente medio tempore approvate
dal legislatore).
Di seguito, Sez. U., 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205, ha chiarito
che, intervenuta la declaratoria d'illegittimità costituzionale della disposizione che
fissava la cornice edittale di pena (in materia di disciplina penale degli
stupefacenti), alla rideterminazione si deve procedere anche nel caso in cui la
pena concretamente inflitta (ancorché applicata su richiesta delle parti ex art.
444 cod. proc. pen.) sia ricompresa entro i limiti edittali previsti dalla sua
originaria formulazione del medesimo articolo, rivissuto per effetto della
sentenza costituzionale.
La coeva Sez. U, Sentenza n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264858,
nel ribadire l'assunto, ha stabilito che il giudice della esecuzione, nel
rideterminare la pena "patteggiata", deve seguire il procedimento previsto
dall'art. 188 disp. att. cod. proc. pen. e, solo in caso di mancato accodo, ovvero
di pena concordata ritenuta incongrua, deve provvede autonomamente ai sensi
degli artt. 132 e 133 cod. pen.
8. La giurisprudenza successiva delle sezioni semplici si è attestata sugli
indirizzi testé formulati, facendone ulteriore applicazione in casi identici o
analoghi (cfr., senza pretesa di esaustività, Sez. 1, n. 49935 del 28/10/2015,
Martoccia, Rv. 265697, nonché Sez. 1, n. 5199 del 24/11/2015, dep. 2016,
Vitali, Rv. 266137, conseguenti alla declaratoria d'illegittimità costituzionale n.
32 del 2014; Sez. 5, Sentenza n. 15362 del 12/01/2016, Gaccione, Rv. 266564,
nonché Sez. 6, n. 27403 del 10/06/2016, Crivello, Rv. 267365, che precisano
ulteriormente l'ambito in cui sussista l'interesse del condannato ad ottenere dal
giudice dell'esecuzione la rimodulazione della pena; Sez. 1, n. 26557 del
10/02/2016, Lo Sasso, Rv. 267254, sul tema dei poteri d'intervento dello stesso
giudice in ordine alle sanzioni amministrative accessorie previste dal codice della
strada; Sez. 1, n. 18546 del 13/07/2016, dep. 13/04/2017, Mansi, Rv. 269817,
a seguito della dichiarata incostituzionalità dell'aumento obbligatorio di pena per
la recidiva reiterata, che chiama il giudice dell'esecuzione a verificare se
l'applicazione della recidiva fu sorretta, indipendentemente dalla previgente
obbligatorietà, dal concorrente apprezzamento di merito della valenza dei
precedenti penali).
La latitudine dei poteri di cui è stato dotato il giudice dell'esecuzione è stata
recentemente affermata anche dalla Corte costituzionale, che nella sentenza n.
210 del 2013 ha sottolineato come quell'organo non si limiti a conoscere delle
questioni sulla validità e sull'efficacia del titolo esecutivo, ma sia anche abilitato,
in vari casi, ad incidere su di esso (artt. 669, 670, comma 3, 671, 672 e 673
cod. proc. pen.); essendo peraltro dotato - nel caso dì cui all'art. 671 cod. proc.
pen. - di incisivi strumenti d'intervento (più complessi di quelli richiesti da una
commutazione della pena "a rime obbligate").
Non mancano recenti pronunce di legittimità ancora fedeli al principio,
secondo cui il mezzo dell'incidente di esecuzione sarebbe utilizzabile solo quando
l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto
discrezionale (Sez. 5, n. 552 del 07/07/2016, dep. 05/01/2017, Jomle, Rv.
268593; Sez. 1, n. 44193 del 11/10/2016, Dell'Utri, Rv. 267861), ma esse
riflettono fattispecie in cui erano a disposizione strumenti diversi (la c.d.
revisione europea" ex sentenza Corte Cost. n. 113 del 2011, o lo stesso ricorso
per cassazione in sede di cognizione) per la più penetrante "manipolazione" del
decisum. In ogni caso, esse stesse muovono dal presupposto, ormai indiscusso,
che l'istanza di legalità della pena sia un tema che, in fase esecutiva, debba
ritenersi costantemente sub íudice, non ostacolato dal dato formale dell'avvenuto
esaurimento delle ordinarie impugnazioni.
9. I casi esaminati afferiscono, testualmente, ad ipotesi d'illegalità
sopravvenuta della pena, ma è agevole rilevare che, nei medesimi, ad essere
sopravvenuto fosse piuttosto l'accertamento di una tale illegalità, i cui effetti
erano al contrario destinati a retroagire, vuoi per l'obbligo di conformazione
imposto dall'art. 46 CEDU (che, in caso di violazioni "strutturali", impone
interventi che sopravanzano il caso deciso), vuoi per la natura demolitivocostitutiva
delle pronunce della Corte Costituzionale ex artt. 136 Cost. e 30 legge
n. 87 del 1953.
Sicché è probabilmente più corretto affermare che l'illegalità preesistesse,
ancorché non ancora disvelata.
Esigenze ineludibili di coerenza sistematica, in materia in cui è peraltro in
gioco il valore costituzionale della libertà personale, impongono di considerare
alla stessa stregua, ai fini dell'attivazione del rimedio dell'incidente di
esecuzione, i casi d'illegalità originaria, derivante da palese errore giuridico da
parte del giudice della cognizione.
Ed è questo proprio il principio affermato da Sez. U, n. 47766 del
26/06/2015, Butera, Rv. 265108.
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ammette da tempo la possibilità
che il giudice dell'esecuzione intervenga per rimuovere la pena principale ove la
stessa sia stata inflitta in violazione dei parametri normativamente fissati (Sez.
1, n. 1436 del 25/06/1982, Carbone, Rv 156173; Sez. 5, n. 809 del 29/04/1985,
Lattanzio, Rv 169333; Sez. 1, n. 4869 del 06/07/2000, Colucci, Rv 216746; Sez.
1, n. 12453 del 03/03/2009, Alfieri, Rv 243742; Sez. 4, n. 26117 del
16/05/2012, Torna, Rv 253562; Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, Rv
256879; ; Sez. 1, n. 14677 del 20/01/2014, Medulla, Rv 259733).
In particolare, si è stabilito che in sede esecutiva l'illegittimità della pena
può essere rilevata quando la sanzione inflitta non sia prevista dall'ordinamento
giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale
(non anche quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata
determinata, salvo che sia frutto di errore macroscopico).
Il principio si estende alle pene accessorie, la cui intervenuta applicazione
extra o contra legem da parte del giudice della cognizione deve essere rilevata,
anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell'esecuzione
(purché la pena sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna
discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del
giudice della cognizione: Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv.
262327).
Ancor più recentemente la Corte di legittimità ha precisato che rientra nella
nozione di pena (principale) illegale ab origine quella che si risolve in una pena
diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura
inferiore o superiore ai relativi limiti edittali (Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De
Paola, Rv. 266080).
Di tale pena illegale si impone la rettifica o la correzione da parte del giudice
dell'esecuzione, adito ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen., nel rispetto dei
principi contenuti nell'art. 25, secondo comma, Cost. e nell'art. 7 CEDU, i quali
escludono la possibilità d'infliggere una pena superiore a quella normativamente
stabilita.
10. Non vi è dubbio che l'irrogazione dell'ergastolo, rispetto ad imputato
estradato sotto la condizione - recepita dallo Stato italiano ai sensi dell'art. 720,
comma 4, cod. proc. pen. - che gli fosse applicata pena detentiva solo
temporanea, configuri un'ipotesi di pena illegale.
Da un lato, l'anzidetta disposizione integra, per il caso sottopostc a giudizio,
il parametro normativo legale che fonda l'esercizio della potestà punitiva
statuale. Tale disposizione concorre, insieme alla norma incriminatrice interna, a
delimitare, nella specie, la cornice edittale astratta del reato, che risulterà dalla
combinazione della previsione di pena originariamente stabilita con gli
adattamenti e le limitazioni che formano oggetto della condizione
internazionalmente stabilita. E' chiaro che quest'ultima, dovendo rispettare i
principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, tra cui l'art. 25 secondo
comma Cost., non potrà importare aggravamenti del trattamento sanzionatorio;
mentre ne sarà possibile la mitigazione, se accettata dall'Italia al fine di
assicurare comunque la "gíustiziabilità" interna della vicenda e nel quadro della
reciproca cooperazione tra Stati in materia estradizionale.
Quest'ultimo rilievo sottende l'ulteriore considerazione per cui, nell'ipotesi di
estradizione concessa sotto condizione, l'inosservanza di quest'ultima costituisce
inadempimento ad obblighi internazionali convenzionali, la cui tutela poggia oggi
direttamente (non diversamente da quanto accada per gli obblighi derivanti dalla
CEDU) sull'art. 117, primo comma, Cost., onde la conclusione che l'illegalità della
pena assume qui una dimensione sovranazionale di portata realmente non
dissimile da quella oggetto della citata sentenza Sez. U., n. 18821/14, Esposito.
11. L'approdo, cui è pervenuto l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità più
recente, deve dunque ricevere continuità, dovendosi affermare conclusivamente:
- che, nei confronti di imputato estradato sotto condizione dell'inflizione (in
caso di condanna) di pena non eccedente un prestabilito limite, è illegale la pena
eventualmente determinata, in violazione della condizione, in misura superiore;
- che, all'illegalità eventualmente intervenuta in sede di cognizione, deve
porre rimedio il giudice dell'esecuzione, investito dal condannato nelle forme di
cui agli artt. 666 e 670 cod. proc. pen., riconducendo la pena nei limiti consentiti
ed esercitando a tali fini i necessari poteri di accertamento e valutazione.
12. Tale ultima notazione introduce l'esame del terzo, ed ultimo, motivo di
ricorso, che è fondato e deve essere accolto.
E' principio assolutamente pacifico, in seno alla giurisprudenza di legittimità,
che in tema di esecuzione non sussista un onere probatorio a carico del soggetto
che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di
allegazione, ossia il dovere di prospettare e indicare al giudice i fatti sui quali la
sua richiesta si basa, incombendo poi all'autorità giudiziaria il compito di
procedere ai relativi accertamenti (da ultimo, Sez. 3, n. 31031 del 20/05/2016,
Giordano, Rv. 267413; Sez. 1, n. 34987 del 22/09/2010, Di Sabatino, Rv.
248276; Sez. 1, n. 46649 del 11/11/2009, Nazar, Rv. 245512).
La Corte d'assise ha pertanto errato nell'omettere l'acquisizione del fascicolo
di estradizione, onde verificare la fondatezza dell'assunto che in esso fosse
contenuta la richiesta spagnola di assicurazione in ordine alla mancata
irrogazione della pena perpetua, nonché il corrispondente riscontro da parte
italiana, idonei ad integrare la condizione stabilita dall'art. 720 comma 4 cod.
proc. pen.
13. Si impone pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio
per nuovo esame al giudice che l'ha pronunciata, il quale, in diversa
composizione, provvederà ad integrare opportunamente l'istruttoria e, se del
caso, a rideterminare la pena in linea con i principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di assise
di Trapani.
Così deciso il 30/11/2017
01-02-2018 22:45
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