Umanizzazione della pena. Omicida autorizzato ad assistere la moglie psicotica. 3 giorni di permesso. Diritto di visita.
Articolo 30 dell'Ordinamento penitenziario. Anche la malattia psichica grave del familiare (in questo caso la moglie) autorizza la concessione al detenuto di un “permesso di necessità”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 1° settembre 2016 n. 36329, rigettando il ricorso del Procuratore generale di Lecce che, invece, dopo aver ricordato che il richiedente stava espiando una condanna per omicidio, aveva escluso la riconducibilità della fattispecie al requisito della «eccezionalità» vista la «cronicità» della patologia.
Il Tribunale di sorveglianza nell'accordare i tre giorni di visita aveva sottolineato l'importanza per il detenuto di poter stare accanto alla moglie «affetta da psicosi cronica gravissima con deterioramento cognitivo e turbe del comportamento». E nella motivazione aveva anche richiamato la «positività dei risultati dell'osservazione della personalità espletata in Istituto di Pena» dal detenuto che aveva intrapreso un giusto percorso riabilitativo. Riguardo questo secondo punto la Procura ha lamentato l'erronea applicazione di criteri valutativi (condotta carceraria, revisione critica della devianza) che «sono propri dei permessi premio, ma che non possono incidere sulla decisione afferente un premio di necessità». Un rilievo quest'ultimo sostanzialmente corretto secondo la Cassazione che ricorda come «il contegno regolare del detenuto può servire, al più, come fattore rafforzativo di una decisione già assunta, poiché il permesso di necessità prescinde del tutto dal ravvedimento del condannato, potendo essere concesso anche al detenuto che non abbia tenuto condotta corretta».
Igiudici ricordano poi che, al termine di un lungo dibattito, nel '75 il Parlamento decise di accordare permessi soltanto per gravi esigenze familiari del detenuto e non anche, come pure si era proposto, per attenuare l'isolamento della vita carceraria e favorire il mantenimento delle relazioni. L'ordinamento penitenziario però con una formula generica previde che «analoghi permessi» potessero essere accordati «per gravi ed accertati motivi». La flessibilità dell'espressione, prosegue la sentenza, si tradusse in una certa ampiezza interpretativa da parte della magistratura, cui però nel 1977 il legislatore pose rimedio prevedendo la concessione di permessi solo «eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità». Dal 1986, poi, con l'introduzione del “permesso premio” si esaurì anche la residua applicazione «variegata» dei permessi, e l'istituto venne riportato definitivamente alla sola funzione di «umanizzazione della pena».
«Così oggi il permesso previsto dall'articolo 30 O.P. al comma 2 può essere concesso soltanto eccezionalmente e per eventi familiari di particolare gravità», termine che «non si riferisce soltanto ad un evento luttuoso o drammatico, ma deve essere inteso come un qualsiasi avvenimento particolarmente significativo nella vita di una persona». E la gravissima psicosi cronica della moglie del detenuto è «una condizione che integra una vicenda eccezionale, e cioè non usuale, particolarmente grave perché idonea ad incidere profondamente nel tratto esistenziale del detenuto e pertanto nel grado di umanità della detenzione e nella rilevanza per il suo percorso di recupero».
In questo senso, conclude la Corte, «diviene arduo» condividere l'assunto secondo cui «I‘attestazione di cronicità del severo quadro di psicopatologico della moglie del detenuto sarebbe in un insanabile contrasto con il requisito dell'eccezionalità della concessione, poiché questa accezione finirebbe per sovrapporre il requisito dell'eccezionalità alla nozione di assoluta straordinarietà ed irripetibilità dell'evento familiare, facendo divenire quest'ultimo sostanzialmente come unico nel suo verificarsi». «Deve, invece, ritenersi che il permesso di necessità vada concesso non in ipotesi di evento unico, bensì in ipotesi di vicenda familiare particolarmente grave e non usuale, idonea ad incidere profondamente nella vicenda umana del detenuto e nel grado di umanità della stessa nozione detentiva». E in questa nozione «certamente rientra la grave malattia psicotica».
03-09-2016 16:15
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