Trapani. Appropriazione dell'8 per mille affidato alla Conferenza Episcopale Italiana, ente centrale della Chiesa cattolica, di cui i Vescovi sono esecutori materiali. Sequestro confermato ad eccezione del tabernacolo.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio - Presidente -
Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere -
Dott. DAVIGO P. - rel. Consigliere -
Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere -
Dott. AIELLI Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F., nato a (OMISSIS);
Mi.Do., nata a (OMISSIS);
C.T., nato a (OMISSIS);
O.O., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del Tribunale di Trapani del 21/04/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica Mario Maria
Stefano Pinelli, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano
dichiarati inammissibili;
udito il difensore e procuratore speciale, Avv. Bernardo Mario, che
ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto 6.2.2015 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani dispose la perquisizione locale dell'abitazione di M.F., indagato per i reati di cui agli artt. 646 e 316 bis cod. pen., condivisa con la sorella Mi.Do. e con il cognato C.T..
All'esito della perquisizione e del sequestro non interveniva alcun provvedimento di convalida.
2. Il Tribunale di Trapani dichiarava inammissibile l'istanza di riesame sull'assunto che sarebbe stata necessaria l'adozione di provvedimento di convalida del sequestro, in quanto il decreto di perquisirne non conteneva l'indicazione di specifici beni.
3. A fonte di istanza di dissequestro il P.M., con provvedimento in data 15.3.2015, la rigettò e ordinò il sequestro dei beni già appresi.
4. Con ordinanza 21.4.2015 il Tribunale di Trapani, investito di richiesta di riesame sul decreto di sequestro, annullò il decreto di sequestro limitatamente al tabernacolo chiuso a chiave e confermò nel resto il provvedimento di sequestro.
5. Ricorrono per cassazione, con distinti atti di contenuto simile quanto ai motivi diversi dal primo, l'indagato tramite il difensore ed i terzi interessati Mi.Do., C.T. e O.O., tramite procuratore speciale, deducendo:
1. (limitatamente al ricorso proposto dall'indagato) violazione di legge e straripamento di giurisdizione per il combinato disposto dell'art. 20 cod. proc. pen., art. 111 Cost., art. 11 del Trattato del Laterano tra Italia e Santa Sede, L. 20 maggio 1985, n. 206, artt. 46, 47 e 48 (modifica ai Patti Lateranensi), L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 13 e 48 ed agli oneri di valutazione del Tribunale; i fatti sono contestati in riferimento all'appropriazione delle somme relative all'8 per mille che sono affidate alla Conferenza Episcopale Italiana, ente centrale della Chiesa cattolica, di cui i Vescovi sono esecutori materiali; la Cei non è tenuta a rendiconto e non è configurabile alcun illecito penale; l'autorità giudiziaria italiana non può agire senza impulso della C.E.I., che peraltro ha approvato i bilanci consuntivi; in ogni caso i documenti sono segreti ai sensi dell'art. 200 c.p.p., comma 1 e art. 256 c.p.p., comma 1; nel ricorso dell'indagato è richiamato come parte integrante l'allegato parere pro veritate redatto dal Prof. Avv. Nicola Battone;
2. violazione di legge per divieto di bis in idem in quanto la decisione del riesame era preclusiva alla emissione di nuovo provvedimento di sequestro (richiamando Cass. S.U. n. 20 del 12.10.1993) in assenza di elementi sopravvenuti;
3. violazione di legge avendo il Tribunale di riesame esorbitato dall'ambito di valutazione spettante non essendogli consentito integrare la motivazione del P.M. sulle esigenze cautelari;
4. violazione di legge per mancanza della motivazione ed alla luce dei principi di cui all'art. 111 Cost., commi 6 e 7 a fronte della valutazione generica sul nesso pertinenziale riguardante la "maggior parte dei beni sottoposti a sequestro".
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte ha chiarito che, ai fini dell'annoverabilità di un ente o istituto ecclesiastico tra gli "enti centrali della Chiesa" - i quali, ai sensi dell'art. 11 del Trattato fra l'Italia e la Santa Sede dell'11 febbraio 1929, reso esecutivo in Italia con L. 27 maggio 1929, n. 810, sono "esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato" - non è sufficiente che esso sia dotato di personalità giuridica, ma accorre anche che rientri fra gli organismi che, come le Congregazioni, i Tribunali e gli Uffici, costituiscono la Santa Sede in senso lato, facendo parte della Curia romana e provvedendo al governo supremo, universale della Chiesa cattolica nello svolgimento della sua missione spirituale nel mondo. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22516 del 09/04/2003 dep. 21/05/2003 Rv. 224185. Nella specie è stato escluso che, in base alla stessa legislazione della Chiesa, che possa essere qualificata come "ente centrale" la Radio vaticana, giacchè essa, pur dotata di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale, è indicata, nella Costituzione apostolica "Pastor bonus" del 28 giugno 1988 (art. 186), soltanto come istituto che, per quanto collegato con la Santa Sede, non fa parte, tuttavia, della Curia romana, avendo la funzione di prestare un servizio ritenuto necessario ed utile al Sommo Pontefice, alla Curia ed alla Chiesa universale, allo stesso modo di altri organismi quali il Centro televisivo vaticano, la Biblioteca apostolica, le diverse Accademie pontificie, la Tipografia poliglotta, la Libreria editrice vaticana ed il giornale "L'osservatore romano".) In precedente pronunzia, che aveva ritenuto lo I.O.R. - istituto per le opere di religione - ente centrale della Chiesa cattolica, questa Corte aveva precisato che, al fine di stabilire i limiti dell'obbligo di non ingerenza" sugli enti centrali della Chiesa cattolica da parte dello stato italiano, Obbligo comportante la rilevante conseguenza del difetto di giurisdizione, è da ritenere "ente centrale", quello costituzionalmente rilevante nell'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica e cioè dotato di personalità giuridica, autonomia patrimoniale e Competenza funzionale universale (ovverosia estesa a tutto l'ordinamento), per il raggiungimento dello scopo ad esso connaturale ed essenziale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3932 del 17/07/1987 dep. 23/07/1987 Rv. 180350).
Pacificamente la Conferenza Episcopale Italiana, avendo competenza non universale, ma limitata all'Italia, non rientra fra gli enti centri della Chiesa Cattolica.
Del resto neppure nel parere pro veritate, parte del ricorso, si sostiene che la C.E.I. sia ente centrale della Chiesa Cattolica.
Ma quand'anche si volesse accedere alla tesi, sostenuta dal Tribunale, che la C.E.I. sia ente centrale della Chiesa Cattolica, certamente non lo sono i Vescovi diocesani.
Diversa questione è quella del segreto, che certamente può essere ipotizzato, ma non risulta che tale segreto sia stato opposto.
L'eventuale presenza del segreto professionale su quanto conosciuto dal testimone per ragione del proprio ministero, ufficio o professione non può essere rilevata direttamente dal giudice, ma deve essere eccepita dallo stesso soggetto chiamato a deporre, nell'ipotesi in cui egli venga a trovarsi in una delle situazioni individuate dall'art. 200 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 9866 del 11/02/2009 dep. 04/03/2009 Rv. 242701).
In assenza di formale opposizione del segreto d'ufficio o professionale alla richiesta di esibizione di documentazione ai sensi dell'art. 256 c.p.p., comma 1, nulla impedisce all'autorità giudiziaria procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione in questione sulla base della norma generale di cui all'art. 253 c.p.p., comma 1e non dell'art. 256 c.p.p., comma 2, la cui operatività è espressamente fondata nel presupposto cui vi sia stata una formale opposizione del segreto, della cui fondatezza l'autorità giudiziaria procedente abbia motivo di dubitare (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 144 del 22/01/1997 dep. 23/04/1997 Rv. 208469).
Quanto all'asserita non rilevanza penale dei fatti è sufficiente rilevare, quanto meno ai fini del reato di appropriazione indebita, che tale reato è configurabile anche nei rapporti fra privati e che è perseguibile d'ufficio quando ricorre la circostanza aggravante delle relazioni d'ufficio o di prestazione d'opera.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte ha chiarito che, in tema di sequestro probatorio, il principio del "ne bis in idem", ricavabile dalle linee generali dell'ordinamento processuale, comporta la impossibilità di una reiterazione di un provvedimento avente medesimo oggetto e fondato su identico contenuto, solo quando sia intervenuta pronuncia giurisdizionale non più soggetta ad impugnazione, la quale pronuncia abbia escluso la sussistenza delle condizioni per disporlo, e non anche nell'ipotesi di caducazione di un originario provvedimento ablativo per motivi puramente formali (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 709 del 09/02/1999 dep. 22/03/1999 Rv. 212779. Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso dell'indagato che, in considerazione del fatto che il precedente sequestro, operato dalla polizia giudiziaria sugli stessi beni, era stato annullato dal Riesame, aveva sostenuto essere non conforme a legge la successiva ordinanza del medesimo giudice che aveva rigettato sua istanza di riesame avverso un nuovo decreto di sequestro, incidente sullo stesso oggetto).
Pertanto la mancata convalida del sequestro operato di sua iniziativa dalla polizia giudiziaria non preclude la possibilità per il P.M. di disporre autonomamente in ogni tempo, finchè sono in corso le indagini preliminari, il sequestro probatorio delle medesime cose, indipendentemente dalla circostanza che queste siano state o meno nel frattempo restituite all'interessato (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 4403 del 16/11/1994 dep. 25/01/1995 Rv. 200857; Sez. 1, Sentenza n. 4424 del 28/06/1996 dep. 06/08/1996 Rv. 205505).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale non ha affatto integrato la motivazione del P.M., ma ha rilevato che il P.M. ha integrato la motivazione all'udienza attraverso ulteriori produzioni, richiamando giurisprudenza di questa Corte.
Infatti la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non sussiste la nullità del provvedimento di sequestro probatorio qualora la motivazione, pur originariamente carente, sia indicata dal P.M. - in sede di udienza - e integrata dal Tribunale del riesame, non ravvisandosi, in tal caso, l'ipotesi di mancanza assoluta di motivazione che determina la nullità del provvedimento per violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 2 (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41853 del 21/05/2013 dep. 10/10/2013 Rv. 257189. Nella specie il provvedimento di sequestro originario si esauriva nell'apposizione di un timbro in calce al relativo verbale).
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha specificamente motivato a p. 112 la rilevanza del materiale sequestrato ai fini delle indagini (sulla scorta delle allegazioni del P.M.) ed ha richiamato l'interesse a prendere visione del materiale rinvenuto in sede di perquisizione per trattenere quello rilevante ed ha ordinato la restituzione del tabernacolo rivelatosi non pertinente.
5. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - ciascuna al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2015
14-02-2016 16:57
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