Sottufficiale dell'esercito uccide la moglie.
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-06-2016) 29-07-2016, n. 33319
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano - Presidente -
Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -
Dott. CAPUTO Angelo - rel. Consigliere -
Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere -
Dott. AMATORE Roberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.S., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/05/2015 della CORTE ASSISE APPELLO di PERUGIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito in PUBBLICA UDIENZA del 13/06/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANGELO CAPUTO;
Udito l'Avvocato generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione Dott. Rossi A., che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito, per le parti civili, l'avv. M. Gionni, che ha concluso per l'inammissibilità o, comunque, per il rigetto, depositando conclusioni e nota spese.
Uditi, per il ricorrente, l'avv. V. Biscotti e l'avv. N. Gentile, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza deliberata il 30/09/2013 la Corte di assise di appello di l'Aquila confermava - salvo che per il trattamento sanzionatorio - la sentenza emessa, all'esito del giudizio abbreviato, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Teramo in data 26/10/2012, che aveva riconosciuto P.S. responsabile d i delitti di omicidio volontario di R.C., detta M. (aggravato dalla qualità soggettiva di coniuge della vittima, dall'aver approfittato di circostanze tali da ostacolarne la difesa e dall'aver agito con crudeltà) e di vilipendio di cadavere; la Corte di assise di appello, invece, riformava la sentenza di primo grado, rideterminando la pena dell'ergastolo irrogata dal G.U.P. di Teramo in quella di anni 30 di reclusione.
Investita del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato, la Prima sezione penale di questa Corte, con sentenza n. 8163/15 deliberata il 10/02/2015, annullava la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante della crudeltà, ritenuta al capo A (omicidio), che escludeva, rigettava nel resto il ricorso e rinviava per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio alla Corte di assise di appello di Perugia; la sentenza di annullamento precisava, per un verso, che l'esclusione della circostanza aggravante indicata imponeva l'annullamento della sentenza impugnata sul punto della determinazione del trattamento sanzionatorio, in modo da consentire al giudice del rinvio la nuova operazione di quantificazione della pena e, per altro verso, che non poteva valutare il sedicesimo motivo di ricorso in quanto "il mantenimento (o meno) del diniego delle circostanze attenuanti generiche è compito (...) del giudice di rinvio, essendo parzialmente mutato il quadro circostanziale posto a carico del ricorrente".
2. Con sentenza deliberata il 27/05/2015, la Corte di assise di appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dato atto dell'esclusione della circostanza aggravante della crudeltà, ha determinato applicata la riduzione ex art. 442 c.p.p. - la pena nei confronti di P.S. in anni 20 di reclusione; il giudice del rinvio ha confermato il diniego dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ha individuato la pena base per l'omicidio aggravato in anni 30 di reclusione, aumentata di anni 4 di reclusione per la continuazione con il reato di vilipendio di cadavere aggravato, ridotta ad anni 30 di reclusione per il criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. e, quindi, ad anni 20 di reclusione a norma dell'art. 442 c.p.p..
3. Avverso l'indicata sentenza della Corte di assise di appello di Perugia ha proposto ricorso per cassazione P.S., attraverso i difensori avv. V. Biscotti e avv. N. Gentile, denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, - inosservanza dell'art. 62 bis c.p. e vizi di motivazione in ordine al diniego dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
La sentenza impugnata non ha operato un'adeguata valutazione estesa al mutamento delle circostanze fattuali della vicenda omicidiaria, che avevano inizialmente condotto ad applicare la circostanza aggravante della crudeltà, ma è pervenuta alla decisione in esame sulla base di una motivazione che si caratterizza per la manifesta illogicità.
Uno stesso elemento di valutazione non può essere preso in considerazione due volte (in sede di misura della pena e di concedibilità delle attenuanti generiche), laddove non coglie nel segno il rilievo della sentenza impugnata incentrato sulla concreta gravità della condotta, giacchè, a supporto del decisum, la Corte territoriale richiama un aspetto morale (i pregressi tradimenti dell'imputato e la sua relazione extraconiugale con Pe.Lu.), con considerazioni che esprimono più una reprimenda di carattere etico, che un elemento valido ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, con continui riferimenti che travalicano la regiudicanda atteggiandosi a giudizio morale sulla personalità che P. avrebbe manifestato anche prima del delitto e nei confronti di un soggetto diverso dalla vittima.
Il dolo d'impeto che ha connotato l'azione omicidiaria è ontologicamente incompatibile con la conclusione della Corte di assise di appello circa la riconducibilità di una simile situazione ai comportamenti pregressi dell'imputato determinanti, sia pure inconsapevolmente, una situazione tale da far maturare l'omicidio, tanto più che, a fronte del giudicato parziale sulla responsabilità di P. rispetto all'omicidio, non risultano chiariti movente e occasione del delitto, sicchè l'incertezza circa la situazione scatenante dell'omicidio preclude la riconducibilità di detta evenienza alla responsabilità dell'imputato. I riferimenti della sentenza impugnata alla reiterazione dei colpi sono incompatibili con l'accertato dolo d'impeto e con l'esclusione della circostanza aggravante della crudeltà, in quanto tale reiterazione è il risultato del parossistico furore che ha connotato la fase omicidiaria: è contraddittorio assumere che il delitto sia scaturito da un impeto incontrollabile e pretendere che la condotta possa ricondursi a canoni di razionalità.
Anche i riferimenti alla condotta post omicidiaria sono censurabili: la sentenza impugnata muove dalla premessa non accertata che l'imputato sia tornato sul luogo del delitto nei giorni successivi, sicchè è viziato l'argomento ritenuto dirimente dalla Corte di appello per delineare la personalità negativa dell'autore del reato, laddove erroneamente si considera quale comportamento collaborativo solo la confessione. Con riguardo agli ulteriori elementi segnalati dalla difesa a sostegno del riconoscimento delle circostanze in esame, la sentenza impugnata si risolve in proposizioni meramente assertive.
4. Con memoria in data 20/05/2015, la difesa delle parti civili, ripercorse le argomentazioni della sentenza impugnata e le censure proposte dal ricorso, ha chiesto che lo stesso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. In premessa, mette conto sottolineare che, nella consolidata interpretazione della giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ha la funzione di "adeguare la determinazione della pena all'entità dell'episodio criminoso" (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003 - dep. 22/09/2003, Dell'Anna e altri, Rv. 227142), ossia di assicurare un adeguamento della sanzione alle peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto (Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716; Sez. 2, n. 2769 del 02/12/2008 - dep. 21/01/2009, Poliseno, Rv. 242709); attraverso l'applicazione dell'art. 62 bis cod. pen., infatti, al giudice è assicurata la possibilità di un intervento correttivo che renda, di fatto, la pena rispettosa del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della finalità della pena costituzionalizzata dall'art. 27 Cost., comma 3, di cui la "congruità" costituisce elemento essenziale (Sez. 6, n. 7946 del 10/04/1995 - dep. 18/07/1995, Faletto ed altri, Rv. 202165). Nell'operare la valutazione sottesa all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice deve riferirsi ai parametri - o ad alcuni dei parametri commisurativi dettati dall'art. 133 c.p. (Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004 -dep. 25/01/2005, Alba ed altri, Rv. 230691; Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010 -dep. 13/09/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv. 247959), ma può anche valorizzare "altri elementi e situazioni di fatto, diversi da quelli legislativamente prefigurati, aventi valore significante ai fini dell'adeguamento della pena alla natura ed all'entità del reato nonchè alla personalità del reo" (Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999 - dep. 04/11/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214570). In questo quadro, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche è espressione dell'esercizio di un apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emerge la valutazione circa "l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo" (Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004 - dep. 02/12/2004, P.G. in proc. Palmisani ed altro, Rv. 230591; conf. Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010 -dep. 23/11/2010, Straface, Rv. 248737), fermo restando che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 - dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
3. La Corte di assise di appello di Perugia ha fatto buon governo dei principi di diritto richiamati.
3.1. I rilievi del ricorso circa la duplice valutazione di un medesimo elemento sono aspecifici, poichè, tra l'altro, la base fattuale e argomentativa presa in considerazione dal giudice del rinvio ai fini del diniego delle circostanze ex art. 62 bis c.p. e quella valutata ai fini della commisurazione della pena non coincidono (a questi ultimi fini, in particolare, il giudice del rinvio ha valorizzato, ritenendola di "pregnante rilievo", la circostanza aggravante di cui all'art. 577 c.p., comma 2) e il ricorso omette la puntuale ricostruzione dell'una e dell'altra.
In ogni caso, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015 - dep. 16/06/2015, P.G., Rechichi, Rv. 264378, in tema di valutazione della gravità della condotta per il diniego delle attenuanti generiche e in sede di determinazione della pena; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013 - dep. 13/01/2014, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013 - dep. 13/11/2013, Testa, Rv. 257425).
3.2. Esaminando gli elementi valorizzati a sostegno della richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice del rinvio ha preso in considerazione il dolo d'impeto che ha connotato il fatto di omicidio, sottolineando, al fine di escludere la valenza prospettata dalla difesa, che lo stesso P. si era posto nella condizione idonea all'esplosione dell'intento omicida.
Le censure proposte dal ricorso sul punto non colgono nel segno.
I riferimenti svolti dalla sentenza impugnata alla doppiezza e alla falsità del comportamento dell'imputato nei confronti sia della moglie (a suo tempo rassicurata circa la cessazione della relazione extraconiugale, relazione invece proseguita), sia della Pe. (alla quale aveva rappresentato l'avvenuta fine del matrimonio, con la promessa di recarsi da lei e di presentarsi ai suoi genitori dopo aver definitivamente lasciato la moglie) sono funzionali, nel percorso argomentativo del giudice del rinvio, a dar conto del rilievo sopra indicato, ossia che la situazione creatasi nel rapporto dell'imputato con le due donne era tale da costituire "l'humus psicologico per lo scatenamento della sua furia, propiziato dal fatto che la povera vittima era stata avvertita come un fastidioso ostacolo e come un pericolo" per la sua carriera. Lungi dall'indulgere in considerazioni moraleggianti, come prospettato dal ricorso, i riferimenti alla doppiezza e alla falsità del comportamento dell'imputato (anche nei confronti della Pe.) danno corpo ad argomentazioni, immuni da vizi logici, tese ad escludere che la connotazione dell'elemento psicologico dell'omicidio possa assumere la valenza invocata dalla difesa dell'imputato sul piano delle valutazioni relative all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche e, dunque, alla meritevolezza dell'adeguamento della pena alle peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto (Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, La Selva, cit.); del resto, l'argomentare della sentenza impugnata è in linea con i rilievi della sentenza di annullamento della prima Sezione di questa Corte, che ha sottolineato come la Corte di assise di appello di L'Aquila avesse correttamente considerato la relazione P. - Pe. non come "movente" in senso tipico, "ma come "antecedente logico e storico" di un profondo disagio personale, che nel determinare una "strettoia emotiva" ben può avere determinato quelle particolari condizioni di aggressività sintetizzatesi nel momento del delitto". Rilievi, questi, che rendono altresì ragione dell'infondatezza delle ulteriori censure del ricorrente incentrate sulle origini della "situazione scatenante" dell'omicidio. Al riguardo, può aggiungersi che dette censure riflettono specularmente quelle - riferite a diversi profili delle decisioni di merito - disattese dalla sentenza di annullamento di questa Corte laddove, in linea con quanto già richiamato, ha rimarcato la correttezza del rilievo attribuito dalla decisione allora impugnata a tale "antecedente causale" e al litigio tra P. e la vittima insorto durante il trasferimento in auto dall'abitazione di (OMISSIS): litigio, questo, rispetto al quale, sottolinea la sentenza n. 8163/15, le censure difensive circa il carattere solo probabile dello stesso ritenuto dai giudici di merito non inficiano "la validità dell'inferenza, che è sostenuta da convincenti e copiose risultanze istruttorie "a monte" (la relazione perdurante, gli ultimatum della Pe., le false rassicurazioni del P., il risentimento della stessa M. per quanto era già accaduto e la sua determinazione nel portare avanti la relazione coniugale) e, purtroppo, dalla constatazione di quanto accaduto "a valle", in (OMISSIS)".
3.3. Parimenti infondate sono le doglianze del ricorrente circa le argomentazioni della sentenza impugnata in ordine alla reiterazione dei colpi (trentacinque coltellate) inferti da P. sulla vittima. La Corte di assise di appello di Perugia ha richiamato il dato per metterne in luce (alla stregua dei parametri commisurativi afferenti alle modalità dell'azione e alla gravità del danno cagionato alla vittima e in linea con la giurisprudenza sopra richiamata) la valenza dimostrativa della gravità della condotta, che vide la vittima indifesa colpita appunto con trentacinque coltellate in un momento di particolare debolezza connesso all'ostacolo frapposto alla propria difesa dagli abiti abbassati sotto le ginocchia in un momento di intimità: alla mancanza di freni inibitori espressa dalla prolungata reiterazione del colpi e all'assoluta mancanza di pietà verso la donna si accompagna, nel percorso argomentativo del giudice del rinvio, il recupero, appena terminata l'azione, del pieno controllo della situazione da parte di P., che, con lucidità e prontezza, riuscì ad imbastire un piano diversivo, volto a sviare le indagini e ad allontanare da sè qualsiasi sospetto. Nei termini sinteticamente indicati, la motivazione della sentenza impugnata non è inficiata dalle censure del ricorrente. Esse, infatti, sotto un primo profilo, muovono erroneamente dall'esclusiva considerazione della reiterazione dei colpi isolando l'azione da quanto immediatamente dopo ne seguì, ossia, per riprendere le espressioni della sentenza impugnata, la fredda determinazione dell'imputato e il piano diversivo prontamente messo in esecuzione: è il complesso di tale segmento della vicenda che è stato congruamente valutato dal giudice del rinvio nel giudizio sull'esclusione dell'applicazione delle circostanze ex art. 62 bis c.p.. Inoltre, il ricorso trascura la valenza del dato oggettivo del numero dei colpi che attinsero la vittima nella posizione di debolezza descritta dai giudici di merito, quasi a voler attribuire al dolo d'impeto, accertato nel caso di specie, l'idoneità ad escludere qualsiasi profilo di gravità del fatto.
Rilievo, questo, che si aggiunge alla considerazione del più articolato riferimento operato dalla Corte distrettuale all'azione e all'immediata reazione alla stessa da parte di P. (quest'ultima estranea alla disamina critica dell'impugnazione), il che rende ragione della tenuta logico-argomentativa della sentenza impugnata sul punto in esame.
3.4. Anche le doglianze relative agli argomenti dedicati dalla sentenza impugnata alla condotta post factum di P. non meritano accoglimento. Il ricorrente censura il riferimento alla circostanza che il vilipendio del cadavere sia stato commesso nei giorni successivi all'omicidio, richiamando alcuni dati probatori e un passo della sentenza della Corte di assise di appello di L'Aquila.
Le doglianze, tuttavia, trascurano di considerare i puntuali rilievi svolti sul punto dalla sentenza della prima Sezione di questa Corte: valutando la questione dei possibili momenti di realizzazione del fatto, la sentenza di annullamento ha chiarito che la verifica sul punto è stata operata in termini di compatibilità e che, specie in rapporto alla mattinata del (OMISSIS), gli elementi "antagonisti" rispetto all'ipotesi formulata in sede di merito appaiono privi di consistenza. Alle valutazioni appena richiamate deve aggiungersi il rilievo che il giudice del rinvio non ha valutato solo il fatto di vilipendio di cadavere accertato nei confronti di P. e il relativo tempus commissi delicti, ma - nella prospettiva tracciata dal criterio commisurativo dettato dall'art. 133 c.p., comma 2, n. 3) - la complessiva strategia di depistaggio delle indagini posta in essere dall'imputato, strategia, comprensiva del vilipendio del cadavere, che si articola in una pluralità di condotte, quali i tentativi di occultamento della relazione con la Pe. (tra i quali la "rimozione" del contatto tra i due su facebook), l'occultamento di tracce, la false informazioni e indicazioni fornite agli inquirenti. E' in questo più ampio quadro che deve essere iscritta la valutazione del giudice del rinvio circa l'insussistenza del comportamenti collaborativi da parte di P. invocati dalla difesa: sul punto, le doglianze proposte dal ricorso non scalfiscono la tenuta logico-argomentativa della sentenza impugnata, che, lungi dall'ancorare il confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche alla mancata confessione, ha fatto buon governo del principio di diritto in forza del quale, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento e la cui violazione è indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012 - dep. 20/09/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253152).
3.5. Inammissibili per plurime, convergenti, ragioni solo le ulteriori censure. Ineccepibili sono le argomentazioni della Corte distrettuale in ordine all'incensuratezza, di per sè non valutabile a norma dell'art. 62 bis c.p., comma 3, nonchè alla qualità di militare (a fronte dei rilievi sulla violazione di regole del servizio connessa alla relazione con un'ex allieva), sicchè rispetto ad essi manifestamente infondate sono le doglianze difensive.
Generiche e, comunque, manifestamente infondate sono le ulteriori censure relative ad elementi del tutto privi di consistenza ai fini in esame (l'amore per la figlia, la giovane età, etc.).
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, mentre l'inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
Non può essere accolta la richiesta della difesa delle parti civili di liquidazione delle spese sostenute nel presente grado. Premesso che, come si è visto, l'annullamento con rinvio era stato deciso dalla prima Sezione di questa Corte con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio, deve ribadirsi che la condanna alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile dipende dalla sussistenza di un interesse civile tutelabile, e, pertanto, non può essere disposta nel giudizio di impugnazione quando si discuta unicamente della pena irroganda (così, in una fattispecie in cui, come nel caso in esame, il ricorso per cassazione riguardava unicamente il diniego delle circostanze attenuanti generiche, Sez. F, n. 1019 del 13/09/2012 - dep. 09/01/2013, Antonini ed altro, Rv. 254291); infatti, nel processo penale, l'onere della rifusione delle spese giudiziali sostenute dalla parte civile è collegato alla soccombenza e pertanto, nel giudizio di impugnazione, all'interesse della persona offesa o danneggiata a far valere i propri diritti in contrasto con i motivi proposti dall'imputato, sicchè, qualora nessun pregiudizio possa derivare alla parte civile dall'accoglimento del gravame, la stessa, pur avendo diritto di intervenire, non ha alcun interesse a concludere, con l'ulteriore conseguenza che non può essere ordinata in suo favore la rifusione de qua (Sez. 5, n. 11272 del 23/09/1998 - dep. 27/10/1998, Cucumazzo, Rv. 211516; conf. ex plurimis, Sez. 6, n. 49864 del 29/11/2013 -dep. 11/12/2013, Talone, Rv. 258133; Sez. 6, n. 1671 del 20/12/2013 - dep. 15/01/2014, Spagnuolo, Rv. 258524).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese secondo legge.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016
Classificazione Nuova Ricerca
28-09-2016 21:59
Richiedi una Consulenza