La Procura di Firenze ritiene un imprenditore trapanese ed il suo gruppo imprenditoriale in rapporti costanti di affari con elementi di spicco della mafia trapanese, effettuando investimenti, prevalentemente in Toscana, per decine di milioni di Euro, costituenti principalmente il provento dell'attività da lui svolta in seno alla società C. E., poi passata dalle sue mani direttamente a quelle di V.V., indicato come capo del mandamento mafioso di Trapani, tanto che la stessa società, nell'ambito di procedimento di prevenzione personale e patrimoniale a carico del V., veniva poi sottoposta a confisca.
Cassazione penale, sez. II, 05/05/2016, (ud. 05/05/2016, dep.17/06/2016), n. 25320
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio - Presidente -
Dott. CERVADORO Mirella - Consigliere -
Dott. IMPERIALI L. - rel. Consigliere -
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere -
Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FIRENZE;
nei confronti di:
B.A., nato a (OMISSIS);
T.F., nato a (OMISSIS);
BO.SA., nato a (OMISSIS);
P.F., nato a (OMISSIS);
PO.GI., nato a (OMISSIS);
M.R., nato a (OMISSIS);
F.M., nato a (OMISSIS);
C.A., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 182/2015 del TRIBUNALE del RIESAME di FIRENZE,
del 28/10/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. CIRO ANGELILLIS,
che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 28/10/2015 il Tribunale distrettuale del Riesame di Firenze, accogliendo il ricorso proposto dagli interessati, ha annullato il decreto di perquisizione e di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale della stessa città in data 30/9/2015, nei confronti di B.A., Bo.
S., e Po.Gi. in relazione al delitto di cui agli artt. 110 e 648 ter c.p. aggravato dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, accertato in (OMISSIS) nei primi mesi dell'anno (OMISSIS), e nei confronti dello stesso B., nonchè di P.F., T. F., S.G., M.R., F. M. e C.A. in relazione al delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di reati di cui agli artt. 640, 646 e 648 ter c.p., aggravati dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, nonchè in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 640 c.p., commessi in (OMISSIS) ed altrove dal (OMISSIS), confermando, invece, il decreto di sequestro limitatamente al solo reato di cui all'art. 646 c.p., aggravato dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, contestato al B. come commesso in (OMISSIS) ed altrove dal (OMISSIS) in poi.
2. Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame di Firenze propone ricorso per Cassazione il P.M. presso il Tribunale di Firenze, chiedendone l'annullamento e deducendo a tal fine la violazione degli artt. 253, 127 e 324 c.p.p. e l'omessa ed apparente motivazione in relazione all'insussistenza del fumus commissi delicti, ritenuta dal Tribunale del riesame che ha ravvisato l'indeterminatezza delle fattispecie delittuose, a dire del ricorrente omettendo di valutare gli elementi circostanziali e di fatto evidenziati nel decreto di sequestro annullato, una pluralità dei quali nemmeno menzionati nel provvedimento impugnato. Lamenta altresì il ricorrente che D Tribunale avrebbe omesso di fare corretta applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui in sede di riesame del decreto di sequestro probatorio il fumus commissi delicti va valutato non già nella prospettiva del giudizio di merito in ordine alla fondatezza dell'accusa, bensì in ordine all'idoneità degli elementi raccolti a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe del fatto non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all'indagato.
3. Il Procuratore Generale presso questa Suprema Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. Con memorie depositate ex art. 611 c.p.p. l'avv. Tullio Padovani per il B. e l'avv. Nicola Apa per il C. ed il F. hanno chiesto il rigetto del ricorso e l'avv. Franco Coppi e l'avv. Dinoia per il P. ed il M. hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettare il ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento, in quanto il Tribunale del riesame di Firenze con il provvedimento impugnato non si è limitato a valutare la sussistenza o meno del fumus commissi delicti in ordine alle fattispecie delittuose ipotizzate nel decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. il 30/9/2015, ma ha operato un non consentito sindacato nel merito delle ipotesi accusatorie poste a fondamento del decreto annullato.
Giova premettere che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, che anche il Collegio condivide, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Cass. sez. U. n. 25932 del 29/5/2008 Rv 239692; Sez. 5 n. 43068 del 13/12/2009;
Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013 Rv. 254893). TantoM premesso, deve anche rilevarsi che in tema di misure cautelari reali la verifica del giudice del riesame non deve tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, ma deve accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, anche se ai fini dell'individuazione del "fumus commissi delicti" non è sufficiente la mera "postulazione" dell'esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice, nella motivazione dell'ordinanza, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, che dimostra indiziariamente la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale (sez. 5, n. 28515 del 21/5/2014, Rv. 260921).
Nel caso in esame il provvedimento impugnato ha annullato il decreto di sequestro probatorio del 30/9/2015, in relazione all'ipotesi di reato di cui all'art. 648 ter c.p., a carico del B., del Bo. e del Po., ed in relazione ad ipotesi di associazione per delinquere e truffa a carico dello stesso B. e dei coindagati P., T., M., F. e C., assumendo trattarsi di ipotesi di reato "tutt'altro che ben delineate nel decreto impugnato" ed in relazione alle quali non poteva riconoscersi quel fumus commissi delicti che, invece, il Tribunale del riesame ha riconosciuto in relazione al delitto di appropriazione indebita ascritto al solo B..
Il decreto di perquisizione e sequestro probatorio, però, con corposa motivazione evidenziava gli elementi posti a fondamento della misura cautelare reale, desunti da diversi procedimenti nei confronti di soggetti condannati per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. e da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, oltre che dalle attività di intercettazione svolta nel presente procedimento e dai servizi di osservazione e dagli accertamenti espletati dalla polizia giudiziaria. Tali elementi venivano, in primo luogo, rappresentati come convergenti nell'indicare il B. ed il suo gruppo imprenditoriale come costantemente in rapporti di affari con elementi di spicco della mafia trapanese, così riuscendo ad effettuare investimenti, prevalentemente in Toscana, per decine di milioni di Euro, costituenti principalmente il provento dell'attività da lui svolta in seno alla società Calcestruzzi Ericina, poi passata dalle sue mani direttamente a quelle di V.V., indicato come capo del mandamento mafioso di Trapani, tanto che la stessa società, nell'ambito di procedimento di prevenzione personale e patrimoniale a carico del V., veniva poi sottoposta a confisca.
Inoltre, nel suddetto decreto veniva evidenziata l'attualità dei rapporti tra le società del gruppo B. - oltre che personali del B. e del Po. - con Be.Gi., detto L., indicato come legato da vincoli non solo familiari a M.D.M., fino all'arresto del predetto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare per partecipazione ad associazione di stampo mafioso, nel 2014. Il decreto di sequestro evidenziava anche che la scarsa affidabilità dei dati contenuti nei bilanci delle società del gruppo B. è emersa sia da una relazione del CT dr. P.C. che da conversazioni intercettate, ed indicava altresì rapporti asseritamente anomali del B. con i vertici di diversi istituti bancari, in particolare sostenendo che "dalle indagini espletate emerge la sussistenza di un gruppo organizzato che vede coinvolti i più alti vertici dell'Unicredit, costituito su iniziativa di B.A. al fine di commettere un numero indeterminato di delitti patrimoniali, come il reimpiego di denaro di provenienza illecita, appropriazione indebita e truffa in danno della banca": seguivano tali affermazioni il riferimento a benefici finanziari che si assumeva che il gruppo B. avrebbe ricevuto dalla Banca di Credito Cooperativa di Cascina, prima che questa venisse commissariata a seguito di ispezione della Banca d'Italia, e costanti contatti del B. con il direttore di questa, L.V., anche durante l'ispezione; il decreto descriveva, poi, i rapporti apparentemente privilegiati instaurati dal B. e dal suo socio T. con la banca Unicredit per ottenere, attraverso la predisposizione di un piano di rientro, un ridimensionamento dell'esposizione debitoria del gruppo con abbattimento degli interessi di mora per un ammontare di 5 milioni di Euro ed un finanziamento di 17 milioni e mezzo di Euro, assumendosi nel provvedimento che "sebbene i vertici della banca fossero pienamente consapevoli della situazione reale, gli stessi si sono adoperati non per adottare le conseguenti decisioni di corretta gestione (interruzione dei finanziamenti e avviamento delle procedure di rientro), ma per venire incontro alle richieste di B. assicurandogli un vitale ingiusto vantaggio patrimoniale". Nel riferire, poi, le risultanze di un'intensa attività di intercettazione di comunicazioni con esponenti di rilievo dell'Unicredit, finalizzati tra l'altro ad accordi che avrebbero dovuto comportare un abbuono sugli interessi maturati, il decreto di sequestro assumeva essere emerso da intercettazioni telefoniche che, comunque, grazie all'intervento dei vertici di Unicredit, il gruppo B. non avrebbe subito alcuna ripercussione derivante dall'imponente debito bancario accumulato, riuscendo anche ad ottenere una retrocessione della valutazione di sofferenza già deliberata da Intesa-San Paolo, che stava per avviare un'autonoma procedura di recupero crediti, tanto da sorprendere gli interlocutori telefonici che parlavano di "una cosa.... straordinaria..."., precisandosi, invece, nel decreto potersi ritenere che tale condotta "configuri il delitto di truffa".
Il Tribunale del riesame, pertanto, senza accontentarsi della mera "postulazione" dell'esistenza dei reati ipotizzati, avrebbe dovuto verificare se dal compendio dei predetti elementi, e degli altri ancora offerti dal decreto di perquisizione e sequestro, emergesse un "fumus commissi delicti" sufficiente a sussumere il fatto nelle ipotesi di reato formulate.
Secondo l'insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di Cassazione, in particolare, "in sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale deve stabilire l'astratta configurabilità del reato ipotizzato. Tale astrattezza, però, non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente "prendere atto" della tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività, ma determina soltanto l'impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti" va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (sez. U., n. 23 del 20/11/1996, rv. 206657).
Il Tribunale, invece, ha esercitato proprio quel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa che in questa sede gli è precluso, peraltro esaminando soltanto alcuni degli elementi addotti a sostegno del sequestro probatorio, ed ha quindi censurato le numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia inerenti la persona del B., attribuendo ad esse "genericità e scarsa precisione" e rilevando trattarsi di dichiarazioni per lo più non fondate su scienza diretta, ha quindi valutato come "assolutamente ordinari" i rapporti commerciali del B. con il Be. e con altri parenti del M.D., ritenendo non particolarmente significativo la corresponsione di provvigioni su un importo complessivo di 529.000 Euro nell'arco di diversi anni, ed ha valutato il contenuto di alcune soltanto delle intercettazioni telefoniche riportate nel decreto per sostenere che da esse emergerebbe una considerazione del B. nell'ambito della banca Unicredit assolutamente diversa da quella dell'imprenditore colluso con la mafia, fino a rilevare non essere stato ancora approvato da Unicredit alcun piano di ristrutturazione del credito, avendo il competente comitato della banca chiesto la ripresentazione della proposta chiedendo alcune puntuali condizioni. Sulla base di tali considerazioni, pertanto, il Tribunale del riesame ha annullato il decreto di perquisizione e sequestro con valutazioni significative soltanto nella prospettiva di quel giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa che, invece, deve essergli estranea, soprattutto ove si consideri che si verte in tema di sequestro probatorio, per sua natura finalizzato proprio all'acquisizione di quegli elementi di prova che, invece, il Tribunale ha ritenuto carenti: come dinanzi esposto, invece, in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale è chiamato a verificare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il "fumus commissi delicti" in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa, ma con riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria (sez. 3, n. 15254 del 10/3/2015, Rv. 263053; sez. 3, n. 15177 del 24/3/2011, rv. 250300).
Atteso che l'ordinanza impugnata non ha effettuato tali valutazioni, bensì un sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, la stessa deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame alla sezione per il riesame dei provvedimenti coercitivi del Tribunale di Firenze.
PQM
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze, sezione per il riesame dei provvedimenti coercitivi, disponendo l'integrale trasmissione degli atti allo stesso Tribunale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016
29-08-2016 15:43
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