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Sentenza

Il medico sbaglia diagnosi? Risponde anche quando omette controlli doverosi al fine di una corretta diagnosi.
Il medico sbaglia diagnosi? Risponde anche quando omette controlli doverosi al fine di una corretta diagnosi.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 settembre 2015 – 1 aprile 2016, n. 13127
Presidente D'Isa – Relatore Ciampi

Ritenuto in fatto

1. Con l'impugnata sentenza resa in data 26 febbraio 2014 la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza dei Tribunale di Roma in data 7 dicembre 2010, appellata da V.G. e G.M., assolveva l'imputato V. dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto e con riferimento alla posizione dell'odierno ricorrente, rimetteva le parti davanti al competente giudice civile per la liquidazione dei danni, revocando le relative statuizioni della sentenza di primo grado. Agli imputati era stato contestato il reato di cui all'art. 589 cod. pen. perché in qualità di medici di bordo della motonave Vittoria - Costa Crociere, concorrevano a cagionare, omettendo qualsiasi condotta idonea per impedirlo, il decesso della signora P.L., avvenuto il 27 aprile 2006, per colpa professionale, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia; in particolare, il dott. G. che in data 26 aprile 2006 alle ore 21,30, a bordo della motonave Vittoria- Costa Crociere, sottoponeva a visita medica la signora P. la quale accusava un forte dolore epigastrico, associato ad astenia intensa e manifestazioni di insufficienza ventricolare sinistra, pur avendo rilevato ipertensione arteriosa ed eseguito ECG che mostrava tachicardia sinusale oltre 150 b/m e segni ecografici di ischemia miocardica, sintomatologia facilmente riconducibile all'insorgenza di un infarto, si limitava a somministrare 15 gocce di Valium (terapia dei tutto inidonea a fronteggiare la situazione clinica), rinviando la paziente in cabina. Exitus verificatosi in acque territoriali greche a bordo della motonave Vittoria - Costa Crociere il 27 aprile 2006 alle ore 00,30.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione a mezzo del difensore di fiducia il G., deducendo violazione dell'art. 606 , 1° comma, lett. b) cod. proc. pen., per erronea applicazione dell'art. 40 cod. pen., in relazione all'art. 589 cod. pen. ; violazione dell'art. 606 , 1° comma, lett. e) cod. proc. pen. per mancanza ed illogicità della motivazione in relazione agli artt. 40 e 589 cod. pen.; violazione dell'art. 606 , 1° comma, lett. e) cod. proc. pen. per mancanza ed illogicità della motivazione in relazione agli artt. 42, 43 e 589 cod. pen.

Considerato in diritto

3. In via preliminare va rilevato che il reato ascritto all'imputato risulta estinto per essere decorso l'intero termine massimo di prescrizione del reato. Il fatto illecito risulta consumato il 27 aprite 2006 e la prescrizione, trattandosi di delitto punito con pena non superiore ad anni sei (art. 589 c.p., comma 1), è maturata con il decorso dell'intero termine massimo al trascorrere dei 27 ottobre 2013. Tanto determina che l'esame del ricorso deve essere condotto secondo la particolare prospettiva tracciata dall'art. 129 cod. proc. pen.; dovendosi quindi verificare - ove non risulti l'inammissibilità dell'impugnazione (cfr. Sez. 2, n. 28848 dei 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266) - se emerga l'evidenza dell'innocenza dell'imputato, ove l'evidenza va intesa come ricorrenza di circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione dei medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergente dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione giudiziale si risolva in una "constatazione" piuttosto che in un "apprezzamento", non richiedendosi alcun accertamento o approfondimento (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
Orbene, nel caso che occupa la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
Ed invero, quanto appresso si osserverà in ordine alle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche vale ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal ricorrente, che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna (generica) dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l'art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza dell' imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2 (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876). Nella prospettiva appena indicata va affermato che il ricorso è infondato. Ed invero il ricorrente ha in particolare, con i tre distinti motivi di ricorso proposti, impugnato i punti ed i capi della sentenza di appello con cui
- è stata ritenuta la sussistenza della condotta omissiva contestata;
- è stato ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata e l'evento verificatosi;
- è stata ritenuta la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Quanto al primo profilo nel ricorso si contesta la ricostruzione dei fatti contenuta nella gravata sentenza ed in particolare la loro tempistica, al fine di sostenere che il G. sarebbe intervenuto sulla P. per "sole" due ore e venti. II motivo così come proposto appare inammissibile, vertendo su una quaestio facti, non esaminabile in questa sede. Le mere affermazioni dei ricorrente sul punto contrastano con l'accertamento operato dai giudici di merito, senza neppure che venga specificamente segnalata una contraddittorietà di questo con le emergenze processuali. Va comunque precisato che il rimprovero che si muove al G. è duplice: quello dell'errore diagnostico, sostanzialmente riconosciuto dallo stesso imputato, a fronte di una pluralità di indici di sospetto ed in particolare delle risultanze dell'ECG e quello, al primo conseguente, dell'adozione di una terapia dei tutto inadeguata. Sotto entrambi i profili la gravata sentenza, cui la Corte territoriale è pervenuta dopo aver accolto il motivo di gravame concernente la richiesta di rinnovazione istruttoria, disponendo nuovi accertamenti medico-legali, motiva in maniera assolutamente logica e congrua, richiamando anche le espletate consulenze tecniche che avevano evidenziato l'assoluta inadeguatezza della terapia farmacologica adottata dall'imputato, che non aveva in alcun modo risolto le difficoltà cardiologiche, aggravate dall'insorgenza, nelle due ore successive alla visita, di un edema polmonare acuto. Ha poi sottolineato come la condotta omissiva dell'imputato si era concretata, oltre che nella somministrazione di una terapia inadeguata, nella mancata richiesta di trasporto della paziente a mezzo elicottero, in un ospedale della terraferma dotato di un'unità di terapia intensiva cardiologica. Con il secondo motivo si contesta la ritenuta sussistenza del nesso di causalità. Nella specie la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza del nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte dell'imputato di idonee misure idonee a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, e il mancato avvio presso struttura idonea a risolvere la stessa e il decesso della P.. Secondo la Corte di merito doveva ritenersi sicuramente accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza dei soggetto. In altri termini, se il medico avesse tenuto la condotta doverosa prevista dalla legge, operando secondo il noto principio di controfattualità, guidato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica (S.U., 10/7/2002, n. 30328), l'evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato) ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. In questo senso l'evento doveva ritenersi evitabile. Né rilevano sotto questo profilo le condizioni pregresse della P., che, in tesi, ne avrebbero dovuto sconsigliare l'imbarco e di cui comunque hanno tenuto conto i consulenti. Ed, invero la deduzione in base alla quale la patologia cardiaca di cui la vittima soffriva fosse talmente grave per cui un intervento medico preventivo non sarebbe stato sufficiente ad evitare l'evento letale, è priva di qualsiasi supporto. La Corte del resto ha sul punto richiamato l'esito, non specificamente contestato, della prova scientifica, acquisita nel dibattimento, ritenendo con argomentazione logica che fosse destituita di fondamento scientifico l'opposta tesi, secondo la quale i comportamenti omessi non avrebbero comunque consentito di evitare l'evento (cfr. pag. 9 dell'impugnata sentenza).
La sentenza si sottrae, dunque alle proposte censure : la conferma dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale non è infatti stata dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché i giudici di merito hanno verificato , sulla base delle circostanze dei fatto e dell'evidenza disponibile nel caso concreto, che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica" (SU n. 30328 cit.), escludendo altresì l'interferenza di fattori alternativi.
Con riferimento all'ultima doglianza afferente all'elemento soggettivo dei reato - -
il motivo riguarda sostanzialmente la riconoscibilità della patologia, stante la repentinità della situazione verificatasi e le particolari circostanze di tempo e di luogo. Si tratta di censure inammissibili, posto che i giudici di merito hanno fondato il loro convincimento sui pareri degli esperti, ai quali hanno fatto riferimento, e non è ravvisabile alcuna illogicità, tanto meno manifesta, o contraddittorietà nel loro argomentare. Va, in ogni caso, rilevato che, a fronte della possibilità di una diagnosi differenziale non ancora risolta, costituisce obbligo del medico al quale sia stato sottoposto il caso compiere gli approfondimenti diagnostici necessari per accertare quale sia l'effettiva patologia che affligge il paziente e adeguare le terapie in corso a queste plurime possibilità. L'esclusione di ulteriori accertamenti può, infatti, essere giustificata esclusivamente dalla raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa ovvero, nel caso in cui i trattamenti terapeutici siano incompatibili, che possa essere sospeso quello riferito alla patologia che, in base all'apprezzamento di tutti gli elementi conosciuti o conoscibili, se condotto secondo le regole dell'arte medica, possa essere ritenuto meno probabile, sempre che la patologia meno probabile non abbia caratteristiche di maggiore gravità e possa, quindi, essere ragionevolmente adottata la scelta di correre il rischio di non curarne una che, se esistente, potrebbe però provocare danni minori rispetto alla mancata cura di quella più grave. Ma, fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia alcuna incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico­chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell'arte medica da lui esigibili, di escludere la patologia alternativa, proseguendo gli accertamenti diagnostici ed i trattamenti necessari.
E' sufficiente evidenziare che entrambi i giudici di merito hanno peraltro adeguatamente motivato, anche sulla scorta dei pareri degli esperti acquisiti al processo, in merito all'esistenza di sintomi di elevata gravità che, sin dalla prima visita, avrebbero dovuto allarmare il sanitario ed indurlo ad un diverso comportamento. È peraltro, principio ribadito nella giurisprudenza di questa Corte come, in tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configuri non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (Sez. 4 n.13542 del 14/02/2013, Caracciolo, n.m.; Sez. 4, n. 10614 del 4/12/2012, dep. 2013, Perrotta, Rv.256337; Sez.4, n.46412 del 28/10/2008, Calò, Rv.242250). Senza, poi, trascurare il rilievo che nella specie l'insorgenza della patologia cardiaca era agevolmente dimostrata dai risultati dell'esame elettrocardiografico che, come precisato dalla Corte territoriale, rendevano facilmente prevedibile che il progressivo peggioramento delle condizioni della P., avrebbe condotto ad un esito letale, ovvero gravemente lesivo delle funzioni vitali. L'imputato avrebbe poi potuto agevolmente evitare l'ulteriore aggravamento delle condizioni della paziente, somministrando gli opportuni farmaci e richiedendo il trasporto a mezzo elicottero...
4. Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata va annullata ai fini penali per essere il reato estinto per prescrizione, mentre il ricorso va rigettato ai fini civili; ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata ai fini penali per essere il reato estinto per prescrizione; rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusone delle spese processuali sostenute dalle costituite parti civili E.P., N.P., M.P. e C.P. che liquida in complessivi € 2859,57 oltre accessori come per legge
Avv. Antonino Sugamele

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