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Sentenza

Un uomo minaccia, con aggressioni verbali, spintoni e getti d’acqua, degli operai che stavano eseguendo, per conto della sorella, dei lavori di scavo per la costruzione di un muro di cinta e di una conduttura per lo scolo delle acque. E' violenza privata.
Un uomo minaccia, con aggressioni verbali, spintoni e getti d’acqua, degli operai che stavano eseguendo, per conto della sorella, dei lavori di scavo per la costruzione di un muro di cinta e di una conduttura per lo scolo delle acque. E' violenza privata.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 dicembre 2014 – 18 febbraio 2015, n. 7295
Presidente Zaza – Relatore De Marzo

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 30/09/2013, la Corte d'appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia G.I., avendolo ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 610 cod. pen., per avere, con minacce consistite nello spintonare, aggredire verbalmente e buttare acqua addosso agli operai che stavano eseguendo, per conto della sorella Dorotea I., lavori di scavo per la costruzione di un muro di cinta e di una condutture per lo scolo delle acque e, infine, nel parcheggiare la propria autovettura in modo da ostacolare il passaggio agevole, impedito alla medesima I. di procedere nella realizzazione dei lavori edili. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, con il quale si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in primo luogo, per avere la Corte territoriale trascurato di esaminare circostanze decisive per la diversa qualificazione giuridica dei fatti, da sussumere nella fattispecie di cui all'art. 393 cod. pen., sollecitata dalla difesa con i motivi d'appello. Ed, invero, sia dall'antefatto della querela presentata da Dorotea I. in data 22/05/2008, sia dalla sentenza emessa dal Tribunale di Marsala in data 09/04/2013, sia, infine, dalla stessa deposizione del marito della I., era emerso che l'imputato aveva agito con la volontà di tutelare le proprie ragioni, nel contesto della controversia che lo vedevo opposto alla prima, quanto ai confini della rispettive proprietà.
In secondo luogo, il ricorrente rileva che la I. non aveva riferito di avere sofferto alcuna violenza o minaccia e che, in ogni caso, era necessaria una rigorosa valutazione della sua attendibilità, in ragione dell'acredine nutrita nei confronti del fratello. Esclusa la portata intimidatoria dei comportamenti attribuiti all'imputato, peraltro nei confronti di più uomini comunque estranei alla persona in conflitto di interessi con il primo, il ricorrente conclude osservando che nella condotta contestata comunque non è ravvisabile il macroscopico superamento dei limiti insiti nell'esercizio del proprio diritto.

Considerato in diritto

1. II ricorso è infondato.
Ritiene la Corte che i fatti di violenza o minaccia, attuati per coartare la volontà di persone estranee al conflitto di interessi che oppone l'agente ad altri, integrano, oltre all'esercizio arbitrario delle proprie ragioni in danno dell'antagonista, anche il reato di violenza privata in danno di tali persone, ancorché l'agente si prospetti come finalità definitiva della condotta la reintegrazione di un diritto, preteso verso il soggetto in conflitto. Ne discende che, nel caso concreto, la condotta posta in essere dall'imputato nei confronti degli operai intenti al lavoro - la cui efficacia intimidatoria, fondata dalla Corte territoriale sull'esistenza di spintoni, aggressioni verbali, getto di acqua e sul posizionamento dell'autovettura dell'imputato in modo da rendere non agevole il passaggio, è solo genericamente criticata in ricorso - integra il contestato delitto di violenza privata, procedibile d'ufficio.
2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione all'attività svolta, vengono liquidate in euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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