Tentato omicidio a Salerno.
Cassazione penale sez. I 20/01/2015 ( ud. 20/01/2015 , dep.20/02/2015 ) Numero: 7837
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VECCHIO Massimo - Presidente -
Dott. BONITO Francesco M. S. - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Consigliere -
Dott. LA POSTA Lucia - Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
E.K.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1907/2013 CORTE APPELLO di SALERNO, del
17/03/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAGI RAFFAELLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALLI Massimo che
ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore Avv. Masini Dario, che ha chiesto l'accoglimento
del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 17 marzo 2014 la Corte d'Appello di Salerno confermava, quanto alla penale responsabilità per il delitto di tentato omicidio, i contenuti della decisione emessa dal Tribunale di Salerno in data 15 gennaio 2013 nei confronti di E.K. A..
Costui è stato pertanto ritenuto responsabile - con tale qualificazione giuridica - del fatto avvenuto in (OMISSIS), quando - secondo le conformi valutazioni di merito - munito di un grosso coltello da cucina sferrava due fendenti all'indirizzo di A.V., in direzione del torace e dell'addome della vittima, colpi che non raggiungevano il bersaglio per la pronta reazione della persona offesa. L'azione veniva interrotta dalle urla degli astanti, ivi compresa la figlia dell'imputato - di quattro anni - che si trovava nella vettura da cui era sceso, armato, E.K..
E.K. veniva condannato, con statuizione del giudice di secondo grado derivante dalla intervenuta prescrizione di capi minori originariamente posti in continuazione (porto del coltello e guida senza patente) alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva.
Anche in virtù del contenuto dei motivi di ricorso - che vertono su preteso vizio motivazionale della decisione di secondo grado correlato all'omessa risposta a taluni interrogativi posti nei motivi di appello sulla ricostruzione del fatto - occorre precisare che ad essere oggetto di contestazione da parte della difesa è essenzialmente la metodica dell'accertamento.
Sul punto, la decisione di appello ritiene convincente ed esaustiva la motivazione resa dal giudice di primo grado, cui fa ampio rinvio, limitandosi a ribadirne taluni punti oggetto di critica da parte dell'appellante.
Giova precisare, pertanto, che nella decisione di primo grado il fatto viene ricostruito sulla base di più fonti dimostrative consistenti:
- nell'intervenuto sequestro, poco dopo il fatto, di un grosso coltello da cucina dalla complessiva lunghezza di cm. 20, rinvenuto all'interno dell'autovettura in uso all'imputato;
- nelle risultanze obiettive dell'esame medico - legale della vittima, che subito dopo il fatto presentava una superficiale escoriazione all'avambraccio sinistro definita come lesione da difesa, pur se i margini non lineari di tale escoriazione portavano ad escludere che fosse stata determinata dall'impatto con la lama del coltello e deponevano per un fattore di produzione diverso (un oggetto che l'aggressore portava al polso, in ipotesi);
- nelle deposizioni rese dalla persona offesa A.V., dalla sua attuale compagna C.I. (in precedenza moglie dell'imputato, da cui aveva avuto una figlia, presente anch'essa ai fatti e rimasta all'interno della vettura) dalla madre dell' A., N.E. e da altri soggetti presenti, legati all' A. da vincolo di parentela;
- nelle deposizioni rese dal personale della P.S. che intervenne sul posto, allertato da una chiamata al servizio 113 fatta dalla N..
E' pacifico che il fatto avvenne nei pressi dell'abitazione dell' A., luogo in cui si stava portando la C., seguita con intenzioni minacciose dall'ex marito - appunto E.K. - che non aveva accettato la separazione ed il nuovo legame sentimentale della donna e che aveva già in passato assunto atteggiamenti provocatori ed aggressivi nei confronti di costei e dello stesso A.. Secondo le valutazioni espresse nelle decisioni di merito, A. essendosi reso conto della presenza dell'imputato scese in strada per proteggere la donna. Qui si sarebbe verificata l'aggressione, portata da E.K. all' A. con uso del coltello e la cui dinamica, nei sensi di cui all'imputazione (i due fendenti portati verso il torace e l'addome dell' A., da costui schivati, con un impatto del braccio sinistro della vittima con quello destro dell'aggressore) viene ricostruita attraverso la versione - essenzialmente - dell' A. e della N., asseverata dalle dichiarazioni della C.. Vengono anche valutate affermazioni rese dalla piccola M. - figlia della coppia C./ E.K. - rese all'assistente sociale convocata in sede di prime indagini e da costei riferite. Ad avviso dei giudici di merito può dunque ritenersi provata - in tale modo - la natura unilaterale dell'aggressione (si esclude che anche l' A. detenesse un coltello) la direzione dei colpi verso parti vitali della persona presa di mira, l'idoneità del mezzo usato e la volontà di provocare - con dolo diretto - la morte dell' A..
Tali valutazioni, in particolare, si basano sulla ritenuta attendibilità dei testi e sulla sostanziale convergenza delle narrazioni e non appaiono inficiate dai contenuti espressivi utilizzati dalla N. nella chiamata al servizio 113, ove costei aveva affermato, tra l'altro "ho paura che qua si scannano... stanno con i coltelli in ma no...".
La teste, infatti, in dibattimento ha precisato che in realtà il solo E.K. era armato di coltello e l'espressione "stanno con i coltelli in mano" serviva esclusivamente ad attirare l'attenzione degli operanti, visto che una prima chiamata era rimasta senza esito.
Tale assunto viene ritenuto credibile e non smentito dalle ulteriori emergenze probatorie, visto che nessuno dei testi escussi ha riferito di aver visto un secondo coltello nelle mani dell' A. nè all'atto dell'arrivo della volante è stato rinvenuto tale strumento di offesa sulla persona dell' A., a stento trattenuto dai presenti - in quel momento - per la sua volontà di raggiungere l'aggressore, con cui si erano dati "appuntamento" nei pressi di un vicino centro sociale per regolare la questione insorta.
Non viene pertanto ritenuta credibile l'opzione difensiva di un litigio avvenuto tra persone entrambe armate di coltello, con dinamica enfatizzata in danno dell' E.K. in ragione dei rapporti familiari o di affettività sussistenti tra i testi a carico.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - E.K.A., deducendo vizio di motivazione e travisamento della prova.
Dopo ampia disamina dei contenuti delle decisioni di merito, il ricorso censura la motivazione espressa dalla Corte d'Appello, definendola meramente apparente. Non si ritiene in relatà esaminato il motivo di doglianza espresso in riferimento al contrasto tra quanto affermato in dibattimento dalla teste N. e il contenuto registrato della chiamata al servizio 113.
Costei aveva affermato, nell'avvisare le forze dell'ordine,... stanno con i coltelli in mano..., e ciò implicava l'esistenza, in quel momento, di una reciproca aggressione con arma bianca, fatto del resto ritenuto rilevante in sede di indagini dal GIP che non applicò la richiesta misura cautelare nei confronti di E.K.. La spiegazione fornita in dibattimento - necessità di attirare l'attenzione degli operanti - non era credibile nè logica, posto che non riveste alcun reale incremento di allarme l'affermazione resa rispetto a quella "c'è una persona che cerca di uccidere mio figlio con un coltello", in ipotesi da rendere lì dove la dinamica fosse stata quella poi ritenuta dai giudici del merito. Su tale aspetto la Corte non motiva in modo adeguato, riportandosi alle valutazioni espresse in primo grado, lì dove ad essere contestata era proprio la "spiegazione" del contrasto fornita in sentenza.
Altro punto di critica che si reputa non esaminato riguarda le risultanze medicolegali sulla persona dell' A. e le ricadute di tale dato.
Assodato che l'escoriazione riscontrata sulla persona dell' A. non era ricollegabile - per struttura, forma e tipologia - ad impatto con il coltello,si è dato per provato l'impatto con un braccialetto o un orologio indossato dall'imputato, lì dove in sede di fermo della persona di E.K. non è stato rinvenuto alcun oggetto del genere. Da ciò doveva derivare, quanto alla dinamica del fatto, una valutazione di inattendibilità della versione resa dalla persona offesa, acriticamente accolta anche dalla Corte di secondo grado.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto teso ad introdurre motivi manifestamente infondati e comunque in fatto, estranei al perimetro del giudizio di legittimità.
1.1 Va infatti escluso che nel caso in esame la tecnica espressiva utilizzata dal giudice di secondo grado - con ampio rinvio alle valutazioni già espresse in sede di primo giudizio - possa di per sè rappresentare un vizio della sentenza impugnata.
Il dovere motivazionale del giudice di secondo grado concerne - essenzialmente - la necessità di fornire risposta adeguata alle censure formulate con i motivi di appello.
Nell'assolvere tale compito, la decisione di secondo grado può legittimamente servirsi dello sviluppo logico e ricostruttivo elaborato dal primo giudice - noto alle parti - purchè non si limiti a riprodurre la decisione confermata dichiarando - in termini stereotipati e apodittici - di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi che censurino in modo puntuale dette argomentazioni, con elaborazione autonoma delle ragioni per cui tali doglianze non risultino accoglibili (in tal senso, di recente, Sez. 6^, n. 49754 del 21.11.2012, rv 254102).
Ove pertanto il giudice di appello condivida le valutazioni e le modalità ricostruttive contenute nella prima decisione può di certo richiamarle, spiegando le ragioni per cui dette valutazioni resistono alle critiche formulate. Ragionare diversamente significherebbe imporre al giudice di appello - violando canoni logici e di razionalità espressiva, snaturando lo stesso giudizio di secondo grado nonchè determinando un inutile aggravio di tempi processuali - una ulteriore e autonoma attività di piena ricostruzione del fatto anche lì dove l'elaborazione già operata risulti a suo giudizio pienamente condivisibile, con la conseguenza di una sostanziale "riproduzione" dei contenuti espressivi della prima decisione.
Ciò posto, nel caso in esame, la Corte territoriale, pur rievocando in larga misura i contenuti motivazionali del primo giudice, ha correttamente e autonomamente argomentato circa l'incidenza e la rilevanza dei motivi proposti, non violando dunque l'esatta portata dell'obbligo di motivazione.
1.2 Vi è infatti specifica e non illogica risposta alle questioni ricostruttive che erano state poste nei motivi di appello, non risultando inevasa la domanda di rivalutazione.
In sede di ricorso, pertanto, si tende a riproporre l'incidenza di alcuni "temi" ampiamente esplorati, finendo con il sollecitare un non consentito intervento del giudice di legittimità in ambito strettamente valutativo. Va ricordato, infatti, che è costante l'insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell'atto e della sua interna coerenza logico - giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità "nuove" attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 6^ n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv. 252178).
Così come va ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24.11.1999 rv 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074). Nel caso in esame, la dinamica è stata ricostruita - in sede di merito - con il concorso di più fonti, che hanno ragionevolmente portato ad escludere, data la loro sostanziale convergenza, il rilievo "decisivo" attribuito - per converso - dal ricorrente al modo in cui la teste N. allertò le forze dell'ordine attraverso la chiamata al servizio di emergenza.
Si tratta di tipica valutazione di merito, espressa in modo aderente alle risultanze processuali e non rivalutabile - per quanto sinora detto - in questa sede.
Nè può aver rilievo, essendosi svolto il giudizio dibattimentale, la diversa opinione ricostruttiva espressa - nella fase iniziale delle indagini - dal GIP in sede di decisione reiettiva della misura cautelare, posto che l'ampiezza della cognizione - correlata allo svolgimento dell'istruttoria - rende del tutto legittimo l'approdo cui è pervenuto il giudice della fase successiva.
Analogamente, nessuna portata "disarticolante" del ragionamento giustificativo della decisione può derivare dall'analisi della tipologia di lesione - tenuta presente dai giudici del merito - in rapporto a ciò che venne reperito in sede di sequestro e fermo dell'indiziato.
Non vi è, infatti, alcuna prova certa circa l'assenza - al momento dell'aggressione e sulla persona di E.K. - di oggetti idonei a provocare, durante il contatto fisico, l'escoriazione riscontrata in sede di prime indagini sull'avambraccio dell' A. (E. K. al momento in cui arrivò la polizia si era già allontanato, sia pure restando nei pressi delle palazzine teatro dei fatti ed aveva avuto il tempo di nascondere il coltello nel bagagliaio dell'auto) e ciò esclude il rilievo della doglianza, comunque riferita all'esame del fatto.
Il ricorso, per quanto sinora affermato, va dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in Euro 1,000,00.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2015
16-05-2015 21:32
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