La Suprema Corte: per la utilizzabilità delle intercettazioni il presupposto della diversità dei procedimenti va verificato su un piano sostanziale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 aprile – 30 luglio 2015, n. 33598
Presidente Mannino – Relatore Di Nicola
Ritenuto in fatto
1. C.E.V. ricorre per cassazione avverso la ordinanza emessa in data 30 settembre 2014 con la quale il tribunale della libertà di Torino, in sede di appello cautelare, ha accolto l'impugnazione proposta dal pubblico ministero ed ha emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti della ricorrente per il reato di reclutamento ai fini dello sfruttamento della prostituzione.
2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza C.E.V., articola, tramite il difensore, un unico motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione, con il quale deduce la violazione, l'erronea applicazione o l'inosservanza degli articoli 270 e 191 del codice di procedura penale per avere il tribunale cautelare utilizzato gli esiti delle intercettazioni telefoniche disposte in altro e diverso procedimento, lamentando il vizio di cui all'articolo 606, comma 1, lettera c), codice di procedura penale.
Sostiene la ricorrente che il presente procedimento trae origine dall'attività di indagine svolta dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Lucca per l'omicidio di tale U.C. avvenuto in data 15 gennaio 2013.
Nell'ambito del relativo procedimento penale vennero sottoposti ad indagine i presunti autori di tale delitto e il Gip del tribunale di Lucca emise ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare a carico degli indagati in ordine ai reati di omicidio, rapina e sequestro di persona. Nel corso di tali attività di indagine l'autorità giudiziaria lucchese appurò condotte delittuose riferibili all'attività di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di ragazze di nazionalità romena ed albanese, asseritamente poste in essere nella città di Torino anche da parte della ricorrente.
Sulla scorta di ciò, i relativi atti di indagine vennero trasmessi per competenza territoriale alla procura della Repubblica presso il tribunale di Torino al termine delle indagini preliminari relative ai soli reati di omicidio, rapina e sequestro di persona. Il pubblico ministero torinese chiese al Gip la misura cautelare per i reati commessi in violazione della legge Merlin ma il Gip rigettò la richiesta sul rilievo che, dopo la trasmissione degli atti per competenza territoriale, non erano state svolte ulteriori indagini, trattandosi di un'attività investigativa complessa ed articolata, basata su intercettazioni telefoniche, esame di tabulati e servizi di osservazione e pedinamento al punto che il Gip, ritenendo non utilizzabili le intercettazioni eseguite nel diverso procedimento, rigettò la richiesta.
Considerato in diritto
1. II ricorso è fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
2. II tribunale della libertà ha premesso che, a fronte del reperimento nella propria villa del cadavere di U.C. (denudato, rapinato e soffocato), erano insorti gravi indizi di sussistenza dei delitti di omicidio e rapina e le deduzioni investigative tratte dall'analisi dei tabulati telefonici in merito alle utenze attive, all'orario e nel luogo dei fatto, nonché dell'ambiente circostante la villa e delle frequentazioni di un contiguo agriturismo, indussero a concentrare i sospetti sul nipote del gestore dell'agriturismo, Lorenc Marini, sottoposto a legittime intercettazioni e risultato in collegamento con altri soggetti parimenti in seguito intercettati.
Le conseguenti attività di completamento delle indagini - tese all'individuazione di eventuali altri correi, anche nel filone dei delitti contro il patrimonio con cui gli indagati apparivano avere una certa consuetudine - si dipanarono con la prosecuzione di intercettazioni sul propalante, che apparve in costante contatto telefonico con gli altri due fratelli (coindagati) a carico dei quali emersero indizi di reità in merito all'anomala gestione dei rapporti con le rispettive "fidanzate"; ed invero ne scaturì, in seguito, la contestazione di sfruttamento della prostituzione e in conseguenza degli sforzi dei trio di reperire una fidanzata anche al fratello M. B., che in quel momento ne era privo, venne coinvolta nell'indagine anche la presunta reclutratrice di nuove prostitute "C.E." (V.) udita mentre prometteva "una sorpresa" imminente agli interlocutori, facendo chiara allusione all'arrivo di una donna dall'estero a loro destinata. Il giudice procedente, a fronte della successiva osservazione che le meretrici operavano in Torino, declinò la propria competenza territoriale.
Secondo il tribunale cautelare, la panoramica effettuata ha consentito di evincere l'emersione progressiva, cristallizzata in consequenziali provvedimenti autorizzativi, del seguente nesso investigativo unitario: M. B. era indagato per i delitti di rapina e omicidio ma era irreperibile e le intercettazioni già effettuate davano conto della sua permanenza all'estero e del flusso di aiuti economici garantitigli dai fratelli operanti in Torino; gravi indizi indicavano la verosimile provenienza dei predetti aiuti da delitti contro il patrimonio programmati o consumati dagli interlocutori di sesso maschile e dallo sfruttamento del meretricio da parte di essi verso le plurime donne risultate in contatto con loro.
Nel caso di specie, quindi, le intercettazioni erano scaturite da un unico filone di indagine originario che, come di frequente accade nella prassi, ha portato alla emersione progressiva e all'elaborazione di distinti capi di imputazione; solo successivamente si è giunti alla separazione formale delle regiudicande per semplici motivi di competenza territoriale; il che significa che l'autorità giudiziaria procedente non ha voluto maliziosamente avvalersi di una indebita osmosi di elementi indiziari tratti da due procedimenti formalmente e sostanzialmente diversi. E gli atti investigativi sono stati comunque offerti al pieno accesso difensivo, come prescritto dall'articolo 270 codice di procedura penale con riferimento ai casi di deroga al divieto.
Con specifico riferimento alla nozione di unico filone di indagine originario, il Collegio cautelare ricorda che la giurisprudenza ammette l'utilizzabilità delle intercettazioni disposte per delitti previsti a monte anche in relazione ai diversi delitti che successivamente vengano accertati nell'ambito dello stesso filone di indagine, addirittura quando relativamente agli stessi ex se considerati non sarebbero legittimamente attivabili nuove intercettazioni. E nel caso di specie la lettura del progressivo avvicendarsi dei decreti autorizzativi consentiva di escludere una elusione dei divieti di attivazione connessi ai limiti edittali di pena. Pertanto, nel caso di specie, la scoperta casuale di una nuova notizia di reato intervenuta durante le intercettazioni legittimamente autorizzate disposte per l'unico delitto già noto all'autorità giudiziaria procedente era del tutto incompatibile con la nozione di diverso procedimento e con il rischio di un utilizzo strumentale delle ulteriori autorizzazioni e prove, così come sul piano logico andava escluso che il giudice procedente lucchese avesse continuato passivamente ad erogare e prorogare decreti di intercettazione, senza cogliere la doverosità dell'atto a fronte di indizi del tutto nuovi di sussistenza oggettiva di delitti che prima non erano affatto noti e che rientravano comunque nel novero dei delitti punibili sopra la soglia di ammissibilità delle intercettazioni quoad poenam.
In altri termini, l'individuazione della vera e profonda ratio del divieto ex articolo 270 codice di procedura penale, derogabile solo fronte dell'indispensabilità per accertare i più gravi delitti legittimanti l'arresto obbligatorio in flagranza, consente di conferire, secondo il tribunale del riesame, maggiore concretezza alle astratte e difficilmente decodificabili categorizzazioni giurisprudenziali relative alle produzioni di "stesso procedimento sostanziale", o di "nesso oggettivo, soggettivo, probatorio, finalistico" dei fatti, o di "autorizzazione in bianco" sottraendole ad interpretazioni equivoche e relativistiche.
3. Ciò posto, va ricordato che recentemente le Sezioni Unite Floris (Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014) - chiamate a risolvere la questione se, in tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata, costituente di per sé condotta criminosa, possa essere qualificata corpo dei reato e sia come tale utilizzabile - hanno incidenter tantum significativamente affermato, condividendo il prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, che la nozione di "diverso procedimento" va ancorata ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, considerandosi decisiva, ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, l'esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591).
A tal riguardo, alcune pronunce avevano già chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, comma primo, cod. proc. pen., il concetto di "diverso procedimento" va collegato al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento (ex multis, Sez. 4, n. 7320 del 19/01/2010, Verdoscia, Rv. 246697).
Nel rigettare la richiesta cautelare, quest'ultimo argomento è stato in particolare speso dal Gip che ha reiteratamente affermato come il fatto per il quale le intercettazioni sono state disposte ed il fatto in ordine al quale esse sono state utilizzate fosse, all'evidenza, storicamente diverso e come, in assenza di connessione o di collegamento investigativo e/o probatorio ex art. 371 bis cod. proc., il divieto di utilizzazione non potesse essere superato dovendo ritenersi "la diversità dei procedimenti penali laddove, come in questo caso, esista tra i due fatti-reato (storicamente diversi) un mero collegamento probatorio rilevante ai (soli) fini dell'articolo 371, comma 2, lettera c) codice procedura penale, in particolare la prova di diversi reati derivando dalle risultanze delle stesse intercettazioni".
L'ordinanza impugnata non si confronta con tali rilievi ed assume che l'unitarietà del procedimento fosse affidata ad un nesso investigativo unitario e ciò sarebbe effettivamente ipotizzabile se ad essere intercettato fosse stato sempre M. B., indagato per i delitti di rapina e omicidio, ossia indagato della notizia di reato originariamente iscritta e che aveva dato legittimamente ingresso alle operazioni di intercettazione, da cui sono scaturiti i fatti storicamente diversi, ma l'argomentazione diventa meno plausibile quando le intercettazioni sono state disposte anche nei confronti dei fratelli di M. B. diventati indagati nel diverso procedimento e, senza essere coinvolti (per quanto risulta dalla motivazione dell'ordinanza impugnata) nella rapina e nell'omicidio C., persone a lungo intercettate, in uno alla Sabau, persona offesa dei reati attribuiti ai fratelli M., che ne favorivano e ne sfruttavano la prostituzione.
Va precisato che quando dall'intercettazione risultino prove di un fatto diverso da quello per cui l'autorizzazione fu concessa, il pubblico ministero deve, di regola, procedere ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato.
In altri termini, non è possibile assumere che non vi fosse diversità tra i procedimenti sulla base di un ritenuto nesso investigativo (che intercorrerebbe peraltro tra un fatto sostanziale, rappresentato dalla notizia di reato per reati di prostituzione, ed un fatto processuale quale l'irreperibilità) costituito dal fatto che i proventi (e le relative collegate indagini) derivanti dallo sfruttamento della prostituzione e dai reati contro il patrimonio servissero per finanziare l'irreperibilità del correo dei reati di omicidio e di rapina per i quali si procedeva e per i quali soltanto le intercettazioni erano state autorizzate.
Era necessario invece dimostrare, con adeguata e logica motivazione, nella specie mancante, l'esistenza di un reale e sostanziale collegamento tra il procedimento (per omicidio e rapina) nel quale le intercettazioni erano state autorizzate ed il procedimento (per i reati dì sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione) nel quale le intercettazioni sono state utilizzate e ciò in quanto è diverso il procedimento che non abbia, con quello in cui le intercettazioni sono state disposte, alcun intimo collegamento di tipo oggettivo, probatorio o finalistico, con la conseguenza che siffatta diversità non si verifica quando tra i procedimenti esiste un nesso che, indipendentemente dall'accorpamento in un unico fascicolo processuale di una molteplicità di fatti storici oggetto dell'accertamento penale, renda i procedimenti stessi, siano essi separati o meno, processualmente interdipendenti.
In altri termini, se la formale unità dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non può fungere da schermo per l'utilizzabilità indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale, allo stesso modo, la separazione formale dei procedimenti (ed allora, a maggior ragione, il simultaneus procedimento) può consentire che tra gli stessi esista un collegamento sostanziale ai fini di escludere la diversità oggetto della disciplina limitativa di cui all'art. 270 cod. proc. pen.
Ed una tale situazione processuale si verifica, per ancorare il dato alla disciplina positiva, nelle ipotesi di connessione e di collegamento di procedimenti previsti dall'art. 12 e dall'art. 371, comma 2, lettera b) e c) cod. proc. pen., limitatamente, in tale ultimo caso (lettera c), alle intercettazioni legittimamente autorizzate nel medesimo procedimento, quantunque per le notizie di reato che vengano, di volta in volta, acquisite anche se, come nella specie, rientranti nella competenza territoriale di altra autorità giudiziaria, o per quelle nelle quali la conversazione o la comunicazione intercettata, allorché essa stessa integri ed esaurisca la condotta criminosa, costituisca corpo di reato, unitamente al supporto che la contiene (Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, Floris ed altro Rv. 259776).
Sotto tale aspetto, allora, il nesso oggettivo dei procedimenti si identifica nelle fattispecie disciplinate dall'art. 12, lettere a) e b) cod. proc. pen., il nesso finalistico nelle fattispecie di cui all'art. 12 lett. c) e art. 371, comma 2, lettera b), prima parte, cod. proc. pen. e quello probatorio nell'art. 371, comma 2, lettera b) seconda parte, e lettera c) cod. proc. pen. con l'eccezione in precedenza enunciata e che trova fondamento nella ovvia considerazione che, presupponendo sempre e comunque come "stessa fonte" l'intercettazione eseguita in un procedimento ed utilizzandola quindi indiscriminatamente nei diversi procedimenti, sarebbe eluso il divieto di cui all'art. 270, comma 1, cod. proc. pen., rendendo sempre possibile l'utilizzo delle captazioni nel diverso procedimento fondato sulle risultanze delle medesime intercettazioni.
Posto che, in tema di utilizzazione dei risultati di intercettazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, il controllo - demandato al giudice del procedimento diverso che li utilizzi - dà luogo a un giudizio di fatto che è censurabile in cassazione solo per mancanza o manifesta illogicità della motivazione (Sez. 1, n. 20224 del 07/02/2002, Coppola, Rv. 221445), va osservato che, nel caso di specie, non sono stati indicati dal tribunale cautelare, per i reati relativi alla violazione della legge sulla prostituzione, elementi di connessione o collegamento con quello relativo all'omicidio ed alla rapina (ossia l'esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico), non potendo bastare al riguardo il riferimento al "nesso investigativo unitario", né la circostanza, puramente estrinseca, dell'emersione dei fatti di prostituzione in occasione delle indagini sulla reperibilità della persona indagata per l'omicidio.
L'impugnata ordinanza deve, pertanto, essere annullata con rinvio al tribunale della libertà di Torino che procederà, in diversa composizione personale, a nuovo esame sulla questione dell'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche alla luce dei rilievi suesposti e valutando, in caso di esito negativo di tale verifica, la (autonoma) rilevanza degli altri elementi probatori ai fini del giudizio sui gravi indizi di colpevolezza.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Torino in diversa composizione.
31-07-2015 23:31
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